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A cavallo tra gli anni '40 e '50 si va a sviluppare quell'idea di cinema moderno le cui basi erano state gettate da personaggi illuminati che fungevano da cardine tra le due fasi riuscendo in maniera singolare a presentare delle novità stilistiche senza però restare invisi al sistema degli studios. Ma

proprio in questo periodo lo studio system comincia a perder terreno, le grandi case di produzione non riescono più ad arginare l'autorità artistica dei singoli all'interno dei loro contratti ed il pubblico si avvicina sempre più a quelle tematiche sociali ed intime che il cinema hollywoodiano aveva sommerso sotto un mare di trucco e lustrini. Quello che rende tale il cinema moderno è la libertà di scelta delle tematiche indirizzate ormai verso un nuovo realismo, verso un'indagine sul mondo ed una riflessione sull'individuo, rinuncia alla spettacolarità tradizionale preferendo una narrazione meno mossa priva degli alti e bassi e della suspance tipici del dècoupage classico.

La vera distinzione tra i due periodi è più facilmente leggibile nella dicotomia azione- tempo proposta da Deleuze41: il cinema classico è caratterizzato dall'azione nella sua forma immagine-

movimento mentre quello moderno dal tempo nella forma immagine-tempo. Il cinema moderno è dunque un cinema di tempo e poiché il montaggio proprio di raccordi di spazio e tempo si occupa continua a giocare un ruolo importante anche in questa fase ma viene ridimensionato, basti pensare al fatto che il campo-controcampo ed il montaggio rapido vengono messi in discussione mentre si stabilizza definitivamente il ruolo del piano.

7.1 Cinéma-Vérité

La ricerca di trasparenza, verità, di una visione priva di schermi, di una realtà cruda non era certo un'innovazione e già prima degli anni '50 si era cercato di avvicinarsi il più possibile al sentire umano ma lo si era fatto in un modo distaccato imposto dalle strumentazioni. Le enormi e pesanti macchine da presa si introducevano nella vita reale come elefanti in negozi di cristalli occultando inevitabilmente l'agire spontaneo degli individui, verso gli anni '60 vennero realizzate le prime macchine da presa portatili, leggere e trasportabili consentivano di riprendere in maniera “discreta” le intimità più nascoste. Il filone del cinema realistico, che dal racconto sconfina nel mondo antropologico e documentaristico, trova fortuna in America come in Europa.

Proprio due etnologi-cineasti, Jean Rouch e Edgar Morin, con il loro Cronique d'un Etè (1961) fondano il movimento definitoCinéma-Vérité in cui i protagonisti delle riprese sono soggetti

inconsapevoli, intervistati per le strade di Parigi. Ma se la realtà ripresa non doveva essere contaminata in nessun modo come si colloca il ruolo del montaggio? Se Bazin sembra vietare i tagli per far scorrere in maniera fluida e naturale la narrazione quale sarà il risultato di questo cinema “improvvisato”? La risposta provocatoria ed estenuata ci viene proposta dal film Sleep di Andy Warhol del 1963 la cui versione originale durava 8 ore e ci mostra ininterrottamente un uomo che dorme. Risulta chiaro che rinunciare al montaggio non sia affatto possibile, anzi, ciò che rende film queste riprese portandole oltre il piano sociologico sono proprio le scelte di montaggio nella selezione ed organizzazione del materiale. Di fatti la figura del video-maker non si discosterebbe da quella del videoamatore se non fosse proprio per questo passaggio, i film moderni sono scelti, scritti, girati e montati da un'unica figura la quale, nel caso del cinema-verità, si getta per le strade con una videocamera in spalla intento a riprendere il trascorrere della vita reale. Si potrebbe credere ad una prima analisi che chiunque allora possa realizzare questo genere di riprese ma analizzando i film di Chris Marker, uno degli esponenti più significativi di questo genere, si susseguono interviste in corsa, riprese all'indietro ed in casi estremi come La Jetée (1962) il film è costruito unicamente da immagini fisse che si susseguono, quello che caratterizza questi film è dunque un montaggio attento quasi sempre effettuato direttamente in macchina.

Si parla di “cinema educativo” in quanto questi prodotti demo-etno-cinematografici come quelli del gruppo definito Drew Associates sono così vicini, fisicamente e non, alle tematiche e ai soggetti ripresi da fornire una visione quasi ipnotica e persuasiva dovuta alla totale assenza di giudizio critico. Il film si sostituita all'occhio ed alla vista, presentava i fatti così com'erano senza alcun accenno alla caratterizzazione positiva o negativa del personaggio poiché questa spettava unicamente allo spettatore ma ciò che guidava il soggetto verso un giudizio era, ancora una volta, il montaggio. Non importa che questo fosse realizzato direttamente in macchina invece che in

moviola anzi, dimostra che tutto era pensato ed architettato già all'inizio della sceneggiatura quando il film era ancora un'idea, il regista mostra la realtà senza filtri ma decide lui stesso quale scena o immagine far seguire alla precedente e, proprio come succedeva per i “geroglifici” di Ejzenštejn, la somma di due scene poteva avere come risultante un'idea totalmente diversa dai due fattori sommati.

Nel film Le joli mai del 1962 il regista svolge un'indagine sociologica sugli umori degli abitanti di Parigi durante tutto l'arco del mese di Maggio, nella scena introduttiva Marker presenta immagini storiche di Parigi (la parte vecchia della città, i cittadini intenti a svolgere i “mestieri”) contrapposte a quelle della nuova metropoli: la critica alla società contemporanea non è esplicita ma allo spettatore viene offerta la possibilità di elaborare un proprio giudizio nato per l'appunto dal confronto visivo diretto del prima e del dopo ottenuto grazie al montaggio, le campagne ed i centri storici contrapposti alle strade invase dalle automobili, le mura ed i palazzi storici al confronto con i casermoni anonimi dei quartieri-dormitorio. Nelle interviste si susseguono diverse opinioni e stati d'animo ognuna montata con una serie di immagini e sicuramente Marker, che proveniva da un ambiente marxista, reputava osceni i grossi casermoni simbolo per eccellenza della trasformazione capitalistica della città ma si astiene dal giudizio critico e monta immagini di un antico cortile insieme a quelle di un presunto agente immobiliare che spiega i tre motivi per cui il palazzo Kebler- Chaillot è il più invidiato di tutta Parigi.

7.2 La Nouvelle Vague

L'astensione dal giudizio e la libertà di scelta offerta allo spettatore sull'identificazione del bene e del male caratterizzarono un altra corrente cinematografica che ebbe enorme risonanza e si delineò come portatore assoluto di modernità. La Nouvelle Vague non rappresenta un gruppo o un movimento poiché non ebbe carattere unitario ne medesime linee guida ma piuttosto racchiuse un numero di artisti, neofiti della cinepresa42 e spesso ex-critici cinematografici, i quali ognuno con

propri mezzi voleva rielaborare non solo un nuovo linguaggio narrativo ma addirittura una nuova idea di cinema. La eterogeneità del gruppo era palese:

Qualsiasi Paese si prenda in esame, il nuovo cinema è un disordinato assortimento di cineasti molto diversi le cui opere di solito non rivelano quell'unicità stilistica presente nei veri movimenti dell'epoca del muto. Non si può tuttavia negare che le varie tendenze condivisero alcuni elementi generali.43

All'interno della stessa “corrente” la mescolanza era sottolineata da distinzioni interne, alcuni esponenti tra cui, più rilevanti, François Truffaut e Jean-Louc Godard, arrivavano dalla fucina critica dei Cahiers du Cinemà mentre altri come Alain Resnais sono stati collocati nel gruppo d'autori definito della rive gauche, più intellettuali e letterari.44

Nonostante le evidenti differenze stilistiche e tematiche si può comunque individuare una linea rossa che congiunge tutti gli artisti: per prima cosa la volontà di ridurre i costi di produzione allontanandosi dal cinema-macchina-da-soldi pomposo tipicamente francese e rifiutando tutta la retorica ad esso legata, così si rinuncia tra tutto alla classica concatenazione dei fatti, all'esposizione lineare dei soli avvenimenti necessari e cominciano a trovare posto i tempi morti che per anni il cinema classico hollywoodiano aveva cercato di occultare, digressioni non facilmente comprensibili, casualità, improvvisazione reale o apparente. In tutto questo il montaggio torna a dominare la scena , si pensi che lo stesso Truffaut affermò di salvare tutti i suoi film in moviola.

Il primo film rappresentativo questa “nuovo corso” è I Quattrocento Colpi (1959) di Truffaut, tenendo presente che egli è inevitabilmente allievo di Bazin si riconosce nelle sue opere la nuova concezione temporale del film. Nel primo cerca di conservare il senso di continuità anche quando la scena risulta troppo lunga e viene tagliata al centro invece che all'inizio o alla fine, così nella scena in cui il padre di Antoine esce da una porta per rientrare nell'altra stanza non è difficile immaginare

43 Bordwell-Thompson, 1998, p. 603

che sia trascorso più tempo del dovuto nello svolgersi di quest'azione oppure che la macchina sia stata bloccata e fatta riprendere nell'inquadratura successiva quando il padre si trova in posizione per continuare. Ma la scena più singolare del film riguarda l'interrogatorio dell'assistente sociale in cui le risposte del bambino vengono montate con una serie di dissolvenze come se fossero elementi a se stanti e non continuativi, questa scelta insieme a quella di non inquadrare mai l'assistente ci porta direttamente nel mondo personale del bambino che non bada a chi lo interroga e non si interessa poi molto delle domande, dando delle risposte che descrivono la sua interiorità la quale non conosce scaglioni temporali. L'utilizzo delle dissolvenze in questo periodo cambia natura, prima utilizzate per inserire flashback o sottolineare salti temporali adesso al contrario vanno a determinare l'instabilità emotiva mentre i salti temporali diventano brusche rotture non più mitigate dalle dissolvenze.

Come detto la Nouvelle rivaluta in maniera inedita il ruolo dei tempi morti ovvero quei tempi “naturali” ritenuti superflui e dunque tagliati nel cinema classico, la corrente del cinema-verità e dei documentari aveva cercato di ristabilirne l'autenticità per rispettare i tempi della realtà ma in film come Tirate sul Pianista (1960) il loro inserimento quasi esasperato si fa portatore di concetti personali e assoluti. Nella scena in cui Charlie si reca ad un appuntamento per un'audizione si vede il protagonista esitare davanti al campanello con il susseguirsi di tre inquadrature del dito che si avvicina al pulsante, in primo luogo l'emozione del musicista risulta palpabile così come la sua timidezza inoltre lo spettatore si immedesima in lui ripensando ai numerosi momenti morti che ognuno è costretto a vivere durante la giornata, quei momenti in cui l'attesa trasforma un ascensore, un treno o un campanello nell'intero universo.

Montaggio meno canonico invece è quello di Godard il quale sembra disinteressato in maniera quasi provocatoria della fluidità e continuità temporale, nel suo film d'esordio Fino all'ultimo

Respiro (1960) il regista inserisce scene di routine non necessarie al racconto, utilizza poi jumpcut45

anche consecutivi come nella scena in cui Michel dialoga con Patricia in auto le risposte della ragazza sono spezzate da 11 jumpcuts e le inquadrature riprendono sempre la nuca della protagonista ma sebbene si capisca che il dialogo tra i due segue una linearità temporale lo sfondo delle riprese cambia ogni volta che si “salta” da un'immagine all'altra rompendo la continuità spazio-tempo. Il film si caratterizza inoltre per una grande quantità di scene improvvisate e prive di un découpage preventivo ma :

La leggenda di un montaggio realizzato a caso non regge di fronte alla visione del film, un film molto costruito, molto pensato, anche se è costruito e pensato partendo da un'idea di disordine e frammentazione. Godard semplicemente è il primo che ha il coragguio di farlo in un film commerciale.46

Il montaggio fa la differenza in circostanze in cui l'instabilità emotiva di un personaggio va a rispecchiarsi con il ritmo del racconto che può risultare confuso quando si tratta di personalità come quella di Nana in Questa è la mia Vita del 1962, ex prostituta che decide di abbandonare la “vita” e riscattarsi, nella scenda dell'incontro in un bar con il suo magnaccia l'inquadratura sembra quasi disturbare lo spettatore perché, rompendo totalmente con i canoni della classicità, non rispetta il campo-controcampo tipico di un dialogo ma ci presenta la protagonista sempre di spalle. Il montaggio disgiuntivo collega inquadrature indipendenti una accanto all'altra suggerendo il bombardamento di frammenti cui si è ridotta la vita moderna e l'apatia con cui Nana vive.

Alain Resnais realizza un cinema del tempo giocando con il ricordo e la memoria ma sottraendola dai cassetti del passato ed anzi inserendola nella contemporaneità senza stacchi decisi, dissolvenze e flashback. I suoi film sono realizzati attraverso un montaggio davvero sapiente che non si interessa di continuità temporale ma piuttosto di trasfigurazione visiva di emozioni senza tempo, così in Hiroshima mon amour (1959) ripropone immagini d'archivio del bombardamento

Arsenale (1929) di Aleksandr Dovzhenko ma utilizzati a scopo narrativo (Cfr. V. Pinel, 2004, p. 52) 46 G.P. Brunetta, 2000 ,p.971

della città insieme ad altre della città d'origine della protagonista. Passato e presente si mescolano annullando il concetto di tempo, i dialoghi tra la donna e l'amato non conoscono il passato e le immagini di lei seduta alla stazione del treno sono evidentemente quella della città di Nevers mentre l'altoparlante annuncia l'arrivo a Hiroshima. I due film successivi L'anno scorso a Marienbad e

Muriel, il Tempo di un ritorno presentano un attacco ancora più radicale alle istituzioni del

montaggio poiché la cronologia è stravolta e non somiglia affatto alla vita reale ma rappresenta piuttosto un insieme di ricordi, immagini ricordate ed immaginate, narrazioni ellittiche in cui un fatto non trova mai la sua conclusione.

7.3 Cinema d'autore in Italia

Ormai sbarcato negli anni'60 il cinema conosce un'ondata di rinnovamento talmente forte e con un bacino d'utenza così esteso che risulta complesso individuare specifiche correnti all'interno di ogni paese e per ognuna di questa dei tratti dominanti, piuttosto parlare di “cinema d'autore” aiuta a comprendere come ogni nome, ogni regista si facesse portatore di una propria poetica cinematografica non ascrivibile ad un gruppo.

Per quel che riguarda il montaggio il nome più significativo è quello di Michelangelo Antonioni, non a caso molto vicino all'esperienza francese della Nouvelle Vague. la sua produzione filmica fu piuttosto prolifica ed ogni film riuscì a presentarsi con caratteristiche differenti, sebbene risulta difficile individuare strette comunanze tra le sue opere è stato colto come tratto distintivo la durata ed il tipo dell'inquadratura, i movimenti di macchina e la scelta delle angolazioni. Nel film L'Avventura (1959) il vero protagonista della storia è il paesaggio che sembra rispecchiare lo stato d'animo di Claudia e Sandro, spesso il regista si sofferma molto a lungo su questo mentre i protagonisti rimangono in lontananza senza dialoghi ne primi piani. Si è parlato di sequenze “montate male47” poiché vengono accostate immagini dell'isola a frammenti più brevi, ed inoltre i

tempi morti già visti in precedenza non sono tagliati ma tutt'altro usati per inserirvi gli avvenimenti

più importanti. Ne La Signora senza Camelie del 1953 e Le Amiche del 1955 gioca sulle inquadrature e soprattutto nel secondo film sul montaggio di una sequenza di immagini rappresentanti i volti dei personaggi e i cambi di angolazione hanno lo scopo di mettere in rilievo lo scontro tra loro.

7.4 La New Hollywood

Tra gli anni '60 e '70 l'America comincia a ribellarsi alla “dittatura” delle majors le quali ormai mantenevano il loro prestigio solo nel nome ma erano state rimpiazzate (sino agli anni '80) dalla personalità artistica dei registi. A questi anni risale il fenomeno definito New Hollywood che si presenta in antitesi con la Hollywood classica californiana, questa scelta critica nasce però da una consapevolezza e conoscenza della storia del cinema inedita poiché i nuovi registi sono, nella maggioranza dei casi, neo-laureati presso le università di Los Angeles e New York. Il ribaltamento rispetto al periodo classico riguarda lo stile narrativo, la caratterizzazione dei personaggi e le scelte di montaggio ma a livello generale tutto il campo artistico: cambiano i produttori, gli obbiettivi, il pubblico, la morale, i fatti storici come la guerra in Vietnam impossibile da non considerare nel totale clima di cambiamento che investe gli USA.

Alla base della nuova corrente si individua da una parte il richiamo al cinema d'autore della

Nouvelle Vague francese e dall'altro una nuova forma, più edulcorata e mediata, del sistema

industrializzato di Hollywood. Se i primi esempi filmici risultano ancora legati alla linearità del cinema americano senza riuscire a distaccarsene in maniera netta come succedeva nelle coeve esperienze europee va detto che in generale si mantenne una certa omogeneità con le norme del cinema classico nonostante le evidente novità apportate, vale la pena proprio per questo motivo citare alcuni esempi di film, più che di registi, nei quali viene adottato un montaggio che può definirsi “sperimentale”.

Easy Rider di Dennis Hopper (1969) viene montato tenendo presente che in alcune scene i

protagonisti sono sotto l'effetto di stupefacenti e ne risulta una frammentazione accelerata e psichedelica, ricca di flashforward volta a rendere evidente lo stato di instabilità mentale momentanea legato all'uso di droghe.

I principi del montaggio classico vengono scardinati in diversi film del regista Francis Ford Coppola il quale utilizza abilmente le tecniche di montaggio alternato e parallelo in film come Il

Padrino (1972) e Cotton Club (1984) ma è in Apocalypse Now (1979) che il regista diede maggior

dimostrazione del suo personale interesse per il montaggio aggiunto alla conoscenza delle teorie costruttiviste sovietiche, così nella scena in cui Brando viene ucciso durante il sacrificio del bufalo si legge perfettamente il tributo al film Sciopero del grande teorico russo dove il massacro degli operai da parte delle guardie zariste è associato alla mattanza dei buoi. Montaggio moderno è anche quello di Martin Scorsese in Taxi Driver (1976) dove vengono utilizzati falsi raccordi e rallenti per marcare la follia del personaggio oppure quello del film Io e Annie di woody Allen (1977) in cui invece viene utilizzata la tecnica tipicamente moderna del décadrage48.

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