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Il cinema istituzionale americano degli anni '

Tappa fondamentale della storia del cinema, e dunque del montaggio, è il periodo che storicamente viene definito del «cinema classico hollywoodiano» o dello Studio System la cui nascita si fa risalire al 1927 (anno del primo film sonoro) sino agli anni '6030. L'egemonia economica americana fa si che anche l'industria cinematografica ed i suoi standard tendano ad affermarsi (salvo alcuni casi noti) in tutto il mondo, la sua particolarità e novità era il fatto che questo sistema potesse controllare l'intero ciclo produttivo occupandosi anche della distribuzione del film stesso. Questo vuol dire che tutte le figure artistiche dallo sceneggiatore al regista, dal montatore al tecnico delle luci, dagli attori ai manager, dai pubblicitari agli imprenditori dovevano rispondere ad un unica direttiva: quella imposta dalla casa di produzione.

A capo dello Studio System stavano la Paramount-Publix, la Metro Goldwyn Mayer e la First National alla quale seguivano poi numerose case più piccole ma che col tempo seppero crescere ed arrivare a risultati rilevanti quali la Fox e la Universal Pictures. Nel 1922 i più importanti studios si associarono nella Motion Pictures Producers and Distibution Association (MPPDA) con lo scopo di dettare misure e parametri standard che ogni film da loro prodotto avrebbe dovuto rispettare al fine di regolamentare il contenuto morale31 delle opere. Ne derivò inevitabilmente un cinema piatto ma non del tutto privo di creatività, la quale veniva però spesso limitata in fase di montaggio32 e per

30 s.Bernardi, 2007, p.143

31 A partire dal 1934 il codice Hays stabilisce codici precisi per la rappresentazione di tematiche sessuali , scene di violenza o crimini. (Cfr. P. Bertetto, Introduzione alla Storia del Cinema, De Agostini Scuola, Novara, 2006, p. 110).

32 In questo caso specifico la funzione del montaggio sembra essere stravolta rispetto alla fase precedente: se prima le scelte di montaggio venivano effettuate dal regista (o da un suo collaboratore ma sotto la sua supervisione) ed

questo molti registi furono costretti a girare più scene o finali alternativi per rispettare le scelte imposte.

L'aderenza alla realtà era lo scopo principale dei film classici ed in nome di questa veniva formandosi uno stile compatto ed omogeneo con le sue regole standard: lo stile “unipuntuale” del cinema delle origine viene sostituito da uno «pluripuntuale» in modo tale da offrire allo spettatore la miglior visione possibile dell'azione, il montaggio frammentato, rapido, espressionista, viene sostituito dal “montaggio invisibile33” con unica funzione narrativa, illuminazione della scena derivante da tre fonti.

Il montaggio invisibile rientra all'interno del Continuity System per cui ogni stacco deve essere giustificato da una necessità di maggiore realismo ma al tempo stesso non deve essere percettibile ed invadente, per attenuare la sua presenza venivano seguiti una serie di raccordi le cui basi erano state già gettate nel decennio precedente ma che ora trovano la loro migliore applicazione ( ivi p.8). Il découpage classico rispetta dunque questo principio di trasparenza attraverso una punteggiatura essenziale fatta di dissolvenze normali e tendine ed assembla inquadrature molto brevi tra le diverse sequenze per mantenere la linearità tra le unità di tempo, spazio e luogo.

5.1 C'è chi dice no: il cinema autoriale americano

I dettami dello Studio sSstem stavano stretti a personaggi creativi o irriverenti i quali non volevano sottostare a regole ferree che in alcuni casi arrivavano ad imporre agli attori diete precise e a sanzionarli in caso di perdita o aumento del peso; nel 1919 attori e registi tra cui Charlie Chaplin e David W. Griffith fondarono la United Artist, una casa cinematografica che non possedeva ne sale ne studi e che realizzava e produceva i propri film in modo indipendente. Si è visto come lo stesso Griffith, nonostante fosse un nome di assoluto rilievo nel cinema americano del primo decennio,

imprimevano uno stile ed un ritmo alla narrazione adesso vengono imposte dagli studios per censura che come atto creativo. «Il montatore diventa dunque il braccio armato di forbici mandato dagli studios per imporre la loro legge, quella di un final cut senza sentir ragioni» (Cfr. V. Pinel, 2004, p.36 )

venne spinto ai margini del sistema a causa delle tematiche da lui trattate, l'unico modo di produrre i suoi film era dunque quello di slacciarsi totalmente dal sistema degli studios. Così fece anche Charlie Chaplin, attore e regista considerato talmente irriverente da rientrare nella così detta «caccia alle streghe» maccartiana34 . Il cinema di Chaplin era nato durante il periodo del muto e puntava tutto sulle immagini, il personaggio comico di Charlot allora calca le scene con una gestualità ed un'espressività marcata quasi da circo ma le sue trovate geniali fecero il giro del mondo trovando centinaia di emulatori.

Le tematiche di Chaplin sono derivate dalla sua vita personale, in lui il contatto e l'analisi della società globale e dell'individuo che in essa si inserisce è primario ma si schiera per la prima volta dalla parte dei più deboli, dei poveri e degli emarginati che però continuano a sognare di cambiare in meglio la loro vita nella grande America, il tutto scritto con tempi comici e gags nuove per il cinema hollywoodiano. Il montaggio non è sempre quello standard del continuity system che trasforma il linguaggio comico in completa narrazione, la contiguità tra i diversi piani che consente di confrontare (ironicamente) la diversità tra la figura del vagabondo e quella della città, sono i primi piani delle mimiche facciali accostati a piani totali del suo corpo a rendere la scena realmente espressiva. Qualche storico cinematografico ritiene che Chaplin rifiutasse un montaggio ad effetto, in realtà:

Il suo film pienamnete maturo è The Cure (La Cura Miracolosa, 1917) [...] In questa comica, di circa 9 minuti, troviamo ben 181 inquadrature, che è un numero molto alto; con i suoi 6 secondi di durata media per ogni inquadratura, La Cura Miracolosa ha lo stesso montaggio di pezzi brevissimi della Corazzata Potemkin che Ejzenštein avrebbe realizzato otto anni dopo. E' quindi Chaplin il vero padre del montaggio brevissimo, a cui Ejzenštein rende spesso grandi omaggi35.

L'interesse per l'uomo comune trova spazio, sebbene difficilmente, anche in film prodotti dagli

34 Agli inizi degli anni '50 il senatore Joseph McCarthy indisse la Commissione per le attività antiamericane e pubblicò una lista di persone ritenute essere filocomuniste o simpatizzanti per la sinistra, processandole ed arrivando ad espellerle dal paese. Molti attori, registi e sceneggiatori, spesso emigrati dall'Europa a causa del Nazismo, vennero processati e come nel caso di Chaplin questo significò la fine della loro carriera negli USA.

studios i quali però riuscivano ad imporre sempre il loro volere, è il caso del film La Folla (1928) di

King Vidor per cui il regista dovette proporre ai produttori ben sette finali differenti, mentre diverso è il mondo dei documentari che proprio in questi anni cominciavano a diffondersi. Il documentario è di per se una registrazione del dato reale all'interno del quale, in teoria, l'uomo deve intervenire il meno possibile onde evitare di compromettere la trasparenza della realtà. In teoria, perché il primo documentario della storia che venne realizzato nel 1922 da Robert Flaherty tra le popolazioni Inuit (Nanook l'esquimese) è frutto di una ricostruzione e riadattamento ad una sceneggiatura piuttosto che la registrazione del dato reale. Un esempio per tutti: l'igloo in cui viveva l'uomo era troppo buio per le riprese e difficilmente accessibile per le strumentazioni dell'epoca perciò Nanook venne ripreso mentre dormiva con la sua famiglia all'aperto, al gelo. Nel documentario successivo,

L'Ultimo Eden (1926) gli abitanti delle isole Samoa furono convinti ad indossare i loro abiti tribali,

ormai abbandonati da tempo in seguito all'occidentalizzazione.

Nonostante questo Flaherty è considerato il precursore di questo nuova figura dell'antropologo- cineasta, grazie a quella che Jean Rouch chiama cine-trans per cui risulta difficile distinguere il documento reale dalla finzione36. Come era possibile? Grazie al montaggio, il regista infatti utilizza quel metodo invisibile che tanto piace a Bazin perché meno stacchi ci sono e più la scena risulta reale, è questo il cinema in cui il fatto aveva più importanza del modo in cui era rappresentato. Così « quando l'essenza di un evento dipende dalla presenza simultanea di due o più fattori dell'azione, è proibito fare stacchi37».

Ultimo esempio è quello di Buster Keaton, regista ed attore comico il quale si cimenta nell'esplorazione dell'oscuro e dell'onirico, del mondo della magia come fece per primo Melies. Per rispondere alla necessità della rappresentazione dei sogni Keaton utilizza i tagli di montaggio, ne è un esempio il film La Palla Numero 13 uscito contemporaneamente al Manifesto Surrealista che recitava «L'arte deve registrare i sogni», è il racconto di un sogno in cui grazie al montaggio il

36 A. Marazzi, 2008, p.114-115

regista utilizza i tagli per far comparire e scomparire oggetti oppure il suo personaggio all'interno di nuovi scenari(come prima di lui Milles) creando situazioni comiche.

5.2 Le novità del 1927

Sino a questa data si era ormai affermata una grammatica cinematografica piuttosto stabile che però venne stravolta, almeno nel primo periodo, con l'introduzione del suono. Sino ad allora i dati sonori del film si limitavano alle registrazioni di musiche e colonne sonore che venivano poi riprodotte durante la proiezione, come fece ad esempio Griffith in Nascita di una Nazione ma i dialoghi tra i personaggi erano ancora raffigurati con cartelli. In quest'anno venne lanciato al cinema il primo film musicale in cui erano presenti una decina di battute, The Jazz Singer del regista Alan Crosland .

Da questo momento in poi i dialoghi parlati cominciarono a dilagare ed inevitabilmente quel cinema che aveva ampliato il richiamo visivo grazie alle tecniche di montaggio perde di tono, la prima battuta di arresto durò però pochi anni e portò ad un impoverimento del linguaggio filmico, in una regressione. L'euforia legata alla novità portò ad impiegare i dialoghi per descrivere quello che le immagini rappresentavano in maniera già chiara, svalutando quindi il dato visivo; inoltre la fissità della camera dovuta alla presa diretta del suono non consentiva di utilizzare quei posizionamenti e movimenti di camera che invece avevano segnato le correnti ed i film più innovativi. Arrivederci a campi-controcampi, a riprese in movimento, ad angolazioni speciali. Il dialogo per un paio di decenni divenne l'ossatura portante del film attorno a cui ruotavano tutte le altre scelte stilistiche tra le quali anche il découpage.

Superato il primo momento buio il montaggio tornò ad assumere la sua importanza ed anzi scoprì che il sonoro poteva diventare un elemento molto utile nel cross cutting nel passaggio da uno spazio all'altro per la resa della simultaneità, per aiutare lo spettatore a tenere il filo di più linee narrative (quello che Griffith fa utilizzando il colore in Intollerance), era inoltre un ottimo elemento per enfatizzare la suspance o preavvisare sorprese. Nel complesso dunque il sonoro accrebbe le

potenzialità espressive e narrative del film anche in alcuni casi precoci dove venne utilizzato in maniera saggia e segnò il compimento del MRI38.

In Europa l'arrivo del sonoro fu più tardo e sicuramente più complesso poiché il momentaneo impoverimento delle trame narrative e del supporto visivo, in nome dei dialoghi e delle musiche, limitava la distribuzione al solo mercato nazionale. In Europa infatti si parlavano decide di idiomi diversi e le tecniche di sottotitolaggio o doppiaggio arrivarono solo più tardi, nel primo periodo si optò per film bilingue o addirittura recitati in tre lingue in modo tale che si potesse capire, almeno parzialmente, lo svolgersi dei fatti. Alla fine degli anni '20 erano ancora attivi i registi che avevano fatto la differenza in Russia, era prevedibile dunque che la reazione al sonoro avrebbe portato ad una riflessione creativa così nel 1928 S. Ejzenštejn, V. Pudovkin e Grigorij Aleksandrov pubblicarono il Manifesto dell'asincronismo: riprendendo la teoria del montaggio delle emozioni sostenevano che il suono non dovesse ripetere in maniera sterile il senso dell'azione ma piuttosto realizzare delle dissonanze (delle collisioni attrattive) e dei giochi per creare degli effetti di asincronia. Uno degli esempi più espliciti è offerto dal film di Boris Barnet Okraina (1933) dove vengono montate di seguito scene di guerra tra le trincee e immagini di operai russi intenti a cucire gli stivali per le truppe zariste, il rumore delle pesanti macchine da cucire viene sovrapposto all'immagine di una mitragliatrice tedesca creando un'evidente metafora sonora per cui gli strumenti della guerra (le armi) hanno il suono degli emblemi del sistema capitalistico (le macchine delle fabbriche) e dunque la causa della guerra è il sistema stesso.

Sempre nel 1927 venne brevettato lo schermo panoramico detto anche «Cinamascope» ad opera del francese Henri Chrètien, consisteva nell'utilizzo di una lente anamorfica per comprimere l'immagine e proiettarla secondo un rapporto di 1:2,5. All'epoca l'invenzione non entusiasmò gli

studios e sebbene la Century-Fox se ne accaparrò i diritti due anni dopo si dovrà aspettare il 1954

per la realizzazione del suo primo film girato in cinamascope (La Tunica). Il montaggio poteva risultare minacciato anche da questa nuova modalità di proiezione, lo schermo panoramico infatti consentiva riprese più ampie grazie alle quali non era necessario aggiungere in fase di montaggio ulteriori immagini per raccontare cosa succedeva magari nell'altro lato della stanza proprio perchè veniva ripreso tutto quello che era necessario alla comprensione della scena. «Alcuni montatori avevano paura a fare montaggi veloci, temendo che gli spettatori non avrebbero saputo dove guardare in una sequenza rapida di composizioni molto ampie [...] si tornò al montaggio ortodosso, completo di campi e controcampi e di stacchi analitici.»39

Per alcuni teorici come Andrè Bazin questo rispettava a pieno la natura imitativa del cinema ed era quindi un valore aggiunto, per altri invece la diminuzione degli stacchi, di campi ravvicinati, primi piani, particolari impoveriva il tessuto visivo narrativo. Tutto veniva fatto in nome della trasparenza hollywoodiana, quel montaggio fantasma che perfettamente si sposava con lo schermo panoramico alla quale però alcuni esponenti illuminati decisero di dissociarsi.

Gli artisti indipendenti americani avevano cercato di sottrarsi al sistema degli studios per dedicarsi a tematiche meno popolari e pregne di valenza sociale ma i loro aggiornamenti stilistici furono quasi irrilevanti. Sono invece due i nomi di registi che, sebbene integrati nel sistema, riuscirono a rifiutare la trasparenza imposta creando un linguaggio visivo tutto personale, sfruttando al meglio le tecniche cinematografiche comprese quelle di montaggio restando però apprezzati da pubblico e produzioni.

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