Un esempio di modello di condivisione che si sta diffondendo ultimamente offline, è il gift circle.
Anche se all’interno del nome è inserita la parola “gift” e cioè “dono”, si potrebbe considerare questa attività come una sorta di baratto asincrono con uno sviluppo particolarmente accentuato del concetto di sharing comunitario.
Il gift circle è diffuso tra i piccoli gruppi. Nell’esempio utilizzato si è osservato il gift circle proposto dal “Centro Nascita Serena” di Sassari e attuato quindi sempre da delle mamme, che, come abbiamo visto, sembrano essere la categoria più predisposta a questo genere di attività.
Il centro si occupa di seguire le mamme prima e dopo il parto, fino a che loro stesse non ne sentono più la necessita. In genere da quando si scopre di essere in dolce attesa fino ai 3 anni del bambino, ma alcune proseguono anche oltre.
Il modello utilizzato a Sassari tra le neo-mamme consiste nel sedersi in cerchio, ognuna di loro spiega di cosa ha bisogno, beni o prestazioni, ed allo stesso tempo dice cosa può dare, ad esempio vestitini del bambino che non utilizza più. Vi è poi una mediatrice che cerca di far incontrare le necessità di tutti.
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L’idea generale è che poi i beni immessi nella comunità ritornino alla comunità stessa e girino di mano in mano tra le mamme che ne fanno parte.
In realtà, quella utilizzata nel gruppo di Sassari è un po’ una rivisitazione del gift circle puro, che prevede il dare senza ricevere nulla in cambio, cioè l’esporre le proprie necessita ed aspettare che qualcuno del gruppo risponda dicendo di poterle soddisfare.
All’interno del gruppo di mamme di Sassari, invece, tutte vogliono dare e si aspettano di ricevere, perciò si potrebbe considerare questo come una sorta di baratto, anche se nessuna di loro parla di equità dello scambio, anzi, nessuna si aspetta di ricevere quanto ha dato.
Da una chiacchierata con una delle neo mamme che chiameremo P. emerge come non vi sia nessun problema nel mettere le cose a disposizione della piccola comunità, soprattutto perché ci si conosce e perché:
«siamo tutte mamme o stiamo per diventarlo e abbiamo gli stessi obiettivi, viviamo le stesse esperienze. Tra di noi si forma un senso di solidarietà che non so spiegare».
(P. 36 anni, mamma, dottoressa).
In questo genere di attività quindi lo sharing comunitario è molto sviluppato.
L’organizzatrice delle attività che chiameremo F., vorrebbe che le mamme appartenenti al piccolo gruppo, circa venti persone, donassero i propri beni senza aspettarsi nulla in cambio, quindi che i gesti fossero improntati unicamente verso il dono.
In realtà, come anche per ZR, la filosofia dei fondatori è un po’ diversa da quella dei partecipanti, infatti un minimo di ritorno se lo aspettano tutte le mamme coinvolte, ma, di sicuro, è chiaro come nessuna di loro abbia interesse a fare dei discorsi legati al valore e controvalore.
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Parlando con loro emerge come tutte siano disposte a dare e a ricevere qualcosa. Non importa se ciò che ricevono non ha lo stesso valore di quello che danno, anzi, sono ben felici di condividere i propri beni con il gruppo e soprattutto si fidano di ognuna delle altre mamme, perché si conoscono e hanno condiviso tanto a livello di esperienze.
L’organizzatrice dice che il concetto di fiducia è talmente fondamentale che non scriverà da nessuna parte chi dà qualcosa e cosa dà e, tantomeno, chi riceve qualcosa e cosa riceve.
«Mi dicevano di fare delle liste ma mi sono rifiutata. Non è importante sapere dove vanno i beni, poi saranno loro a rimetterli a disposizione del gruppo se non ne avranno più bisogno. Ne sono certa.»
(F. 50 anni, curatrice del gruppo, ed educatrice perinatale).
A conferma di ciò che è stato detto nel primo capitolo, si ha una conversione nella mente dei consumatori, le mamme del gruppo parlano molto di “etica” e la stessa organizzatrice dice:
«nel mondo dei bambini c’è uno spreco pazzesco e mi sono resa conto che a tutte le mamme del mio gruppo questa cosa dava fastidio, quindi ho proposto il gift circle, ed il tutto è stato accolto con un entusiasmo inaspettato»
Nel “centro nascita serena” ed in particolare nel gruppo osservato, si respira un’aria di cordialità e giovialità importante, sicuramente sostenuta dal fatto che le mamme si conoscono da tanto e molte affermano di essere amiche al di fuori degli incontri bisettimanali del gruppo.
L’organizzatrice, che baratta anche con un gruppo di vicini di casa nella vita quotidiana, parla del desiderio di allargare il baratto fatto al centro , anche alle persone al di fuori. Anche se poi afferma di avere paura perché si rende conto che la fiducia è fondamentale e che l’aria di serenità e giovialità percepita durante lo scambio potrebbe risentirne.
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Quando le viene chiesto quale sarebbe l’atteggiamento nei confronti di persone sconosciute l’organizzatrice dice:
«probabilmente verrebbe a mancare quella voglia in più data dal fatto che si scambia tra amiche o tra persone che si stanno simpatiche e che condividono molte esperienze»
Questa ultima esperienza conferma, quindi, il risultato dell’analisi svolta.
In linea generale il limite delle piattaforme online, può essere quello di non creare dei rapporti che siano sufficienti a sentirci più generosi o predisposti verso l’altro, quei rapporti che portano le persone a mettere da parte il valore dei beni, anzi a non percepirlo quasi.
Le barter di ZR sono più serene e predisposte nei confronti delle loro “amiche” anche se virtuali.
Anche solo il fatto di aver scambiato un’unica volta, o di aver socializzato in qualche modo, è sufficiente ad instaurare quel minimo di fiducia in più necessario a sentirsi sereni nel giudicare i beni in proprio possesso.
Ovviamente da tutto questo esulano i baratti che riguardano persone che non si trovano nella stessa situazione economica.
Praticamente tutti i soggetti analizzati, infatti, mostrano compassione verso chi ritengono più bisognoso di loro. Questo concetto, però, sfocia nella sfera del volontariato che di sicuro è diversa da quella del baratto.