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[…] Ad hanc enim similitudinem poeta Virgilius "Minoem," iudicem apud inferos,

tamquam si praetor sit rerum capitalium, "quaesitorem" appellat. Dat illi sortitionem, ubi "urnam" nominat; dat electionem iudicum, cum dicit "consilium vocat;" dat cognitionem facinorum, cum dicit "vitasque et crimina discit"76.

[…] A immagine di ciò, infatti, Virgilio, il poeta, chiama Minosse, che è giudice presso gli Inferi, quaesitorem, “presidente del tribunale”, come se si tratti di un pretore che giudica i delitti capitali. Gli attribuisce l’estrazione a sorte dei nomi dei giurati, laddove nomina urnam, l’“urna”; la scelta dei giudici, quando afferma consilium vocat, “convoca il consiglio”; il riconoscimento dei misfatti, quando dice vitasque et crimina discit, “studia a fondo le vite e le colpe delle anime”.

Appare evidente la citazione virgiliana che si nasconde sotto questo passo presente all’interno dell’argomentum accusationis; si tratta di Aen. 6, 432:

Quaesitor Minos urnam movet. Anche a una prima, superficiale

ricognizione, si nota immediatamente come al poeta mantovano spetti il primo posto tra gli auctores lirici utilizzati dallo ps.Asconio nel suo commento alle Verrine, secondo soltanto a Cicerone stesso – come era prevedibile ‒ nell’elenco generale degli autori antichi77. Basti considerare che solo in Verr. II, 1 si possono contare sei citazioni78, di cui cinque tratte dall’Eneide e una dalle Georgiche, evidente segnale della predilezione tardo-antica per l’opera epica del Mantovano.

76 Ps.Asc. in Verr. Stangl 224, 22. 77 Negro 2011, pp. 4-7.

78 Aen. 6, 432 Stangl p. 224; Aen. 12, 395 Stangl p. 226; Georg. 3, 347 Stangl p. 228; Aen. 3, 73 Stangl p. 235; Aen. 1, 16 Stangl p. 235; Aen. 1, 358-359 Stangl 242.

In Aen. 6, 431-43379 Virgilio descrive la procedura giuridica adottata da Minosse per attribuire le sedes alle anime dei morti secondo un ordine preciso, non senza sorteggio e giudizio (sine sorte, sine iudices). Egli, agitata l’urna, convoca il consiglio dei morti (consilium silentum) e ascolta vite e colpe delle anime.

L’immagine rimanda immediatamente ad una fase processuale dei tribunali permanenti con competenza per materia, le quaestiones

perpetuae. Minosse, figura mitologica rappresentativa del giudice per

antonomasia, viene definito con l’appellativo di quaesitor, nome tecnico- giuridico usato per identificare il presidente del tribunale, il quale aveva il compito di estrarre a sorte un certo numero di nomi, a seconda del tribunale che doveva giudicare, da un’urna contenente tutti i nomi di quanti, per quell’anno, erano stati designati a sedere in una determinata

quaestio. La cesta o il vaso avrebbero, poi, avuto un ruolo anche nella parte

finale della procedura, giacché da essi venivano estratti, da parte del presidente della giuria, i voti segreti dei giudici, dai quali derivava la sentenza definitiva; e proprio sulla base di ciò fu elaborata da una parte dell’esegesi antica e di quella moderna un’interpretazione del verso virgiliano in questo senso80.

79 Verg. Aen. 6, 431-433: Nec vero hae sine sorte datae, sine iudice, sedes: / quaesitor Minos

urnam movet, ille silentum / consiliumque vocat vitasque et criina discit.

80 L’esegesi del locus è dubbia e presenta molteplici problemi, di cui due appaiono fondamentali. Per prima cosa non è chiaro come debba essere interpretato il gesto di Minosse: l’urnam movet, ovvero l’azione di scuotere la cesta, potrebbe tanto alludere alla sortitio dei giudici (Austin 1901; Heyne-Wagner 1968; Conongton-Nettleship 1979; Masi Doria 20042), oppure al sorteggio dell’ordine in cui dovranno essere discusse le varie cause, come interpreta Servio ad Aen. 6, 432: SINE SORTE sine iudicio. Traxit autem hoc ex more Romano: non enim

audiebantur causae nisi per sortem ordinatae. nam tempore quo causae agebantur conveniebant omnes - unde et ‘concilium’ ait - et ex sorte dierum ordinem accipiebant, quo post diem tricesimum suas causas exequerentur: unde est ‘urnam movet’. Iuvenalis (13, 4) “gratia fallaci praetoris vicerit urna”, oppure all’atto di scuotere l’urna per estrarre i voti dei giudici

La prima interpretazione sembra supportata proprio dal passo del nostro ps. Asconio, il quale cita il verso dell’Eneide per dimostrare quanto sia importante che i giudici conoscano la vita ante acta degli imputati. Minosse, infatti, nella funzione di giudice supremo, nonché di presidente della giuria (quaesitor), con funzione di sorteggio delle cause e dei giudici, ha piena conoscenza del passato criminoso delle anime.

Stangl81 sembra, tuttavia, ritenere che con buona probabilità il passo sia spurio, basandosi in particolar modo sulla peculiare modalità con cui viene realizzata la citazione: se in genere i versi dei poeti in questo testo vengono riportati a sé stanti, separati rispetto al commento, in questo caso le parole di Virgilio sono inserite all’interno del discorso del commentatore.

Può, inoltre, essere notato come il nome del Mantovano sia preceduto dall’appellativo poeta, un unicum nella porzione di testo a noi giunta del commento alle Verrinae. Questi indizi hanno portato a sostenere che queste righe del testo sunt alicuius retractatoris82, dal momento che una citazione diretta del verso virgiliano, che segue la modalità citazionale usuale del nostro commentatore, la si riscontra in Verr. I, 29.

Nel passo ciceroniano in questione si fa un riepilogo dei magistrati designati per l’anno 69 a.C. e si vuole mostrare come questi siano tutti a favore di Verre, tanto che l’oratore afferma che i due consoli e un presidente di tribunale saranno determinati dai desideri dell’imputato. La

posto dal v. 433: consilium è lezione di Pg, di Tiberio Claudio Donato nel lemma ad loc. e dello ps.Asconio ad Verr. 1, 5, accettata da Norden 19263; Sabbadini 1966; Mynors 1969; Perret 1993; Austin 1901; Behrends 1970; Paratore-Canali 20088; Masi Doria 2004. Concilium è di MR, dei codici in minuscola, di g1, di Servio e di Tiberio Claudio Donato nel corpo della nota ad

loc; fra i moderni, cfr. Heynewagner 1968; Conington-Nettleship 1979; Conte 2009. Secondo la

prima interpretazione, il sostantivo indicherebbe l’insieme delle anime chiamate a giudicare insieme a Minosse, mentre, nel secondo caso, si tratterebbe del gruppo in attesa della sentenza.

81 Stangl 1909, p. 105. 82 Stangl 1912, p. 224.

glossa pseudo-asconiana si volge alla spiegazione del termine quaesitor e per supportare la propria argomentazione cita Virgilio Aen. 6, 432:

Quaesitor. Praetor de pecuniis repetundis quaestionem exercens. Nam proprie ‘quaesitores’ dicuntur criminalium quaestionum, ut Virgilius:

Quaesitor Minos urnam movet.

‘Duo’ autem ‘consules’ Hortensius et Q. Metellus; ‘quaesitor’ M. Metellus.

Lo scoliasta sembra aver compreso correttamente il significato del termine, rapportandolo alla figura del praetor, il quale in questo contesto assumeva la funzione di presiedere la quaestio de repetundis. I quaesitores erano, infatti, quei magistrati preposti alla presidenza della giuria addetta alle quaestiones criminales, come si può evincere anche dal verso virgiliano in cui Minosse è giudice supremo del tribunale degli Inferi.

Il nostro ps.Asconio chiude poi la glossa con una delucidazione di carattere prosopografico: Ortensio e Quinto Metello sono i due consoli designati, mentre Marco Metello è il quaesitor.

Esaminando l’insieme delle citazioni virgiliane presenti in Verr. II, 1 e, in generale, di quelle disseminate lungo tutto il testo del nostro tardo commentatore, risultano emergere delle interessanti corrispondenze con le opere di altri grammatici e glossatori, in particolar modo con le glosse di Donato e di Servio, i quali, loro stessi o le loro scuole, in passato vennero considerati a torto i possibili autori di questi scholia alle Verrinae83.

Un’analisi più attenta dei testi ha portato, tuttavia, a concludere che in realtà tali comunanze non debbano per forza essere interpretate come il risultato di una dipendenza diretta, ma indichino un utilizzo delle medesime fonti da cui tutti e tre i glossatori avrebbero attinto il materiale poi utilizzato.

83 Il nome di Donato è proposto da Lammert 1912; quello di Servio da Thilo-Hagen 1881 (= 1986), e da Gessner 1888.

Del resto, non è neppure da escludere la possibilità che nel Commento dello ps. Asconio, oltre alla più antica esegesi ciceroniana e ad altri

auctores, siano confluiti anche elementi tratti dalle opere di Servio e di

Donato84. Tale supposizione, per quanto non possa essere sostenuta con certezza, sarebbe in linea con l’arco temporale stimato per la redazione delle glosse pseudo-asconiane.

Anche se in maniera incerta, si può riscontrare una comunanza di fonti nella somiglianza presente tra gli scholia ad Aen. 6, 432 e la glossa al sostantivo quaesitor in Verr. I, 29.

Servio, ad Aen. 6, 432, commenta così: QVAESITOR quaesitores sunt qui

exercendis quaestionibus praesunt. Et notandum quia Minoem quasi crudelem introducit, quod ei epitheton et Plato et Homerus dat: nam Aeacus et Rhadamanthus fratres mitiores sunt. Rileva anch’egli che i quaesitores

sono coloro che si trovano a capo dell’amministrazione delle quaestiones, sottolineando come questo fosse l’epiteto del Minosse virgiliano, visto in tutta la sua crudeltà a confronto dei fratelli più moderati Eaco e Radamanto, visione che accomunerebbe Virgilio a Platone e Omero.

La similarità tra i due scoli ha portato lo stesso Stangl ad ipotizzare una discendenza diretta della nota pseudo-asconiana da quella del commentatore virgiliano85. Tale supposizione si basa soprattutto sul nesso comune quaestionem exercere, locuzione che però non sembra affatto di origine serviana, dal momento che viene impiegata nella stessa maniera anche nel ben più antico de lingua Latina varroniano.

Varrone in ling. Lat. 5, 81 fa derivare quaesitor dal più antico quaestor e vede i quaesitores come qui quaestionum iudicia exercent, ovvero coloro che gestiscono i processi delle quaestiones perpetuae: Quaestores a

84 Cfr. Introduzione pp. 18 ss.

85 Stangl 1912, p. 215; con lui Gessner 1888, pp. 24-25, uno dei massimi sostenitori della paternità serviana dei commentari alle Verrinae.

quaerendo, qui conquirerent publicas pecunias et maleficia, quae triumviri capitales nunc conquirunt; ab his postea qui quaestionum iudicia exercent quaes<i>tores dicti. La presenza, dunque, del nesso quaestionem exercere

anche nell’autore reatino porta a ridimensionare l’idea di una discendenza diretta della nota alle Verrinae da quella di Servio e fa propendere maggiormente per l’ipotesi di una fonte comune.

Tale intuizione sembra essere confermata dalla fortuna che il verso virgiliano ha avuto nell’esegesi antica in riferimento all’attività giudicante di Minosse. Tre sono le glosse dello ps. Acrone ad Orazio che citano il suddetto locus (ad carm. 1, 28, 9; 2, 3, 26; 4, 7, 21)86 e di queste la nota ad

carm. 2, 3, 26 è particolarmente significativa per la spiegazione che egli

espone circa il gesto del giudice infernale: VERSATVR V<R>NA aut ubi

fatum et conditio vitae versatur, aut urna, ubi cineres colligebantur, ut Lucanus (9, 68): Numquam plenas plangemus ad urnas? Hic autem poetice per urnam quasi sorte ad mortem ductos rapi dixit, ut Vergilius (Aen. 6,

432): Quaesitor Minos urnam movet. Il gesto di scuotere l’urna sembra qui finalizzato all’estrazione casuale dei nomi di coloro che sono destinati a morire; evidentemente nella ripresa pseudo-acroniana del locus virgiliano il gesto di Minosse ha un significato diverso rispetto a quello a cui si allude nell’Eneide. Lo stesso si può affermare dello scolio ad Theb. 4, 530 del Commento che è stato attribuito a Lattanzio Placido: ARBITER HOS quasi

quaesitor. Ex sorte iudex legit, quos habeat in consilio. ut Virgilius (Aen. 6,

432); ‘quaesitor Minos urnam movet’. Hic Iovis et Europae filius, cui fuere

fratres Rhadamanthus et Sarpedon. Anche in questo caso il passo di Stazio

che è stato glossato mostra il giudice infernale in un contesto diverso

86 Ps.-Acr. ad carm. 1, 28, 9: ET IOVIS ARCANIS MINOS ADMISSVS Aut qua se Minos praedicabat

cum Iove colloqui et ex consilio eius cuncta agere, aut Iovis arcanis ‘Plutonis’, a quo institutus est iudex pro recordatione iustitiae, ut (Verg., Aen. 6, 432): Quaesitor Minos urnam movet; Ps.-Acr. ad carm. 4, 7, 21 SPLENDIDA MINOS Ut (Verg., Aen. 6, 432): Quaesitor Minos urnam movet.

rispetto a quello virgiliano87, poiché egli è presentato come inquisitore delle anime dei trapassati che attendono la definitiva sentenza di condanna; scuote minaccioso i loro nomi nell’urna e li costringe a riepilogare la loro vita e comminare a sé stessi autonomamente la pena meritata. Lo ps.Lattanzio glossa il passo interpretando, alla stregua dello ps.Asconio e in maniera difforme rispetto a Servio e allo ps. Acrone, l’azione di Minosse come una sortitio iudicum e citando in questo senso Verg. Aen. 6, 432.

Da notare come, tuttavia, lo scolio si chiuda con un riferimento a Radamante e Serpedone, riferimento riscontrabile anche nella glossa di Servio, aspetto che porta a ipotizzare una fonte comune, alla quale può aver attinto lo stesso ps.Asconio, che collegasse il passo virgiliano con le procedure giuridiche romane.

Tale ipotesi, contro quella di una dipendenza diretta, viene d’altro canto rafforzata dalla diversa interpretazione del gesto di Minosse fornita dai due commentatori: lo ps.Lattanzio propende per il sorteggio dell’organo giudicante, mentre Servio per l’ordine delle cause da trattare.

È evidente, quindi, che i punti in comune tra il commento alle Verrinae e l’insieme dell’esegesi virgiliana a proposito di Aen. 6, 432 non siano in ultima analisi tanto stringenti da poter affermare un legame diretto tra loro, ma al tempo stesso non così trascurabili da poterne negare un’origine comune88.

87 Arbiter hos dura versat Gortynius urna / vera minis poscens adigitque expromere vitas /

usque retro et tandem poenarum lucra fateri (Stat., Theb. 4, 530-532).

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