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UNA GLOSSA LINGUISTICA: ps.Asc in Verr Stangl 229,

(§ 21) Abstulerit. Pro suo: habuerit persuasum sibi105.

(§ 21) Abbia tratto. Al posto suo: “abbia persuaso se stesso”.

La glossa in questione non appare affatto banale e in questo caso ha un esplicito carattere linguistico. Il tentativo, infatti, dello ps. Asconio sembra essere quello di fornire una spiegazione del significato che il verbo aufero assume nel passo ciceroniano Verr. II, 1, 21.

Si è al punto in cui l’oratore tira le somme della vittoria da lui conseguita alla fine del primo dibattito: non mirava tanto alle spoglie di Gaio Verre, quanto all’approvazione del popolo romano. Egli aveva, infatti, il compito di presentare l’accusa con una motivazione accettabile, di preoccuparsi di ciò che potesse essere utile allo stato, ovvero trascinare in giudizio un uomo la cui condanna avrebbe restituito all’ordine senatorio il favore del popolo, in un momento in cui l’amministrazione della giustizia era oggetto di molte critiche. Cicerone conclude infine questo passo dicendo: ostendere

ac persuadere hominem nocentem adductum esse: quis est in populo Romano qui hoc non ex priore actione abstulerit, omnium ante damnatorum scelera, furta, flagitia, si unum in locum conferantur, vix cum huius parva parte aequari conferrique posse? «A me toccava dimostrare

persuasivamente di aver tratto in giudizio un uomo colpevole: e chi c’è nel popolo romano che dallo svolgimento del primo dibattito non abbia tratto la convinzione che, se si ammassassero tutti insieme i delitti, i furti, le turpitudini di tutti quelli che precedentemente sono stati condannati,

difficilmente li si potrebbe accostare e paragonare a una piccola parte delle colpe di costui?»

Il verbo aufero, formato da ab + fero, per la sua composizione con la preposizione di allontanamento ab, assume il significato generico di “portar via”, “trarre”. Tuttavia, come è consueto nei verbi della lingua latina, in base al contesto in cui viene a trovarsi può caricarsi sia di una sfumatura semantica negativa, sia di una positiva. Se lo si intende, infatti, come aufero cum vi gli si attribuisce il valore di extorcere o rapere, “strappar via con la forza”, “estorcere”, “rapire” e può essere riferito tanto a cose quanto a persone; se assume invece una sfumatura positiva, il senso che ne deriva è quello di impetro o obtineo, “raggiungere l’intento”, “ottenere” e spesso sottace un’accezione riflessiva “ottenere per sé”.

È proprio a partire da quest’ultimo significato di aufero, ovvero quello di esprimere l’interesse o il vantaggio del soggetto a ottenere qualcosa, che Cicerone in senso traslato usa questa forma verbale con il valore di “dedurre”, “convincersi di”, “persuadersi di”, come se si trattasse di verbi quali deducere, discere, cognoscere.

Che in Verr. II, 1, 21 questo sia il senso da conferire alla forma abstulerit è confermato da quanto l’oratore afferma poco prima: ostendere ac

persuadere hominem nocentem adductum esse. Se da un lato, infatti, egli nel

primo dibattito aveva il compito di persuadere il popolo e la giuria di aver accusato un uomo colpevole, dall’altro, in questo passo fa mostra di aver pienamente raggiunto il suo scopo, a tal punto da immaginare che non vi sia più alcuno tra i cittadini che non si sia convinto di ciò.

Sembrerebbe che Verr. II, 1, 21 rappresenti l’unica occorrenza del verbo

aufero inteso con questa specifica sfumatura semantica, tanto che lo stesso

parole di commento sul passo, affermando che in questo specifico caso

abstulerit ha valore di intellexerit, cognoverit e aggiunge che questa

locuzione è tipica del linguaggio giornaliero, come può dimostrare l’uso che ne fanno gli autori comici106.

La glossa pseudoasconiana, a questo punto, non sembra affatto banale in quanto questa sfumatura semantica del verbo aufero non risulta essere d’uso consueto nella lingua latina letteraria e per questo doveva destare sicuramente l’interesse di chi, come lo ps. Asconio, fosse interessato agli aspetti linguistico-grammaticali di un testo classico. D’altro canto, l’aspetto formale dello scolio in questione è tale che ha destato nel corso dei secoli l’interesse di vari filologi.

Per prima cosa è necessario accennare allo stato alquanto malridotto del testo in questo punto. L’archetipo di San Gallo (C), che è alla base della nostra tradizione manoscritta, doveva presentare tale forma: sustulere pro

suo habuerit persuasum sibi ostenderit, dove il congiuntivo perfetto abstulerit era stato sostituito da sustulere, perfetto indicativo del verbo suffero, e l’infinito ostendere della glossa precedente107 era stato sbalzato alla fine della glossa successiva e portato anch’esso al perfetto congiuntivo. L’intervento comune a quasi tutti gli studiosi è stato quello di restaurare la forma abstulerit108, sulla base della tradizione ciceroniana delle Verrinae, mentre ciò su cui la maggior parte di essi differisce è l’interpretazione della locuzione pro suo.

106 Zumpt (1831): «id est priore actione intellexerit, cognoverit. Locutio de vita communi petita, quod Comicorum loci probant in lex., sed similiter non semel Cicero».

107 Ps.Asc. in Verr. Stangl 229, 22: <Consulere>, ostendere <ac persuadere>. Subaudiendum est

ad omnia meum fuit.

108 Unica eccezione si trova nell’edizione Beraldina del 1520, che mantiene il verbo suffero coniugato al congiuntivo imperfetto: Sustulerit pro suo habuerit persuasum sibi ostenderit.

Nell’Aldina (1522) e poi successivamente nell’edizione di Loys (1536) la locuzione pro suo funge da complemento “di vantaggio” retto da habuerit, “abbia tratto per sé”; viene inoltre mantenuto il verbo ostenderit, costruito con persuasum sibi: Abstulerit: pro suo habuerit, persuasum sibi ostenderit. Evidentemente non ci si era ancora accorti che il verbo ostendere doveva essere riportato nella glossa precedente. Quanto pro suo apparisse problematico si può evincere anche dal fatto che F. Hotomanus, nella sua edizione del 1551, tentò addirittura di sanare il testo emendando pro suo con pro certo, “con certezza”, sempre costruito con habuerit, e congetturando crediderit al posto di ostenderit.

Il testo edito da Stangl (1912), su cui si basa questa traduzione, prende spunto dalla congettura presente nell’edizione di Orelli-Baiter (1831), nella quale ostenderit ritorna al suo posto nella glossa precedente e in forma infinita, mentre pro suo viene interpretato come distaccato da

habuerit e volto a chiarire cosa debba essere sottinteso accanto al verbo abstulerit: Abstulerit. Pro suo, habuerit persuasum sibi.

Tuttavia, mentre in Orelli-Baiter pro suo ha, quindi, valore di “per sé”, “a proprio vantaggio”, Stangl, sulla base di ciò che si può dedurre dalla sua sistemazione del testo109, sembra averlo inteso con un valore sostitutivo, ovvero come se ps. Asconio volesse annotare nel suo commento che al posto della forma aufero si potesse anche utilizzare habeo persuasum sibi, dal momento che funge da suo sinonimo. Sfortunatamente la sistemazione testuale di Stangl non è supportata da paralleli di pro suo utilizzato con il senso di “al posto di” in contesti simili a questo, ovvero in testi che forniscano parafrasi o spiegazioni, dove, invece, si trova generalmente la formula pro eo quod; questa proposta deve perciò essere considerata un tentativo di sanare un guasto probabilmente più ampio in cui erano coinvolte sia questa glossa che quella precedente.

Per quanto riguarda l’aspetto della parte successiva della glossa, habuerit

persuasum sibi, questo non sembra destare particolari sospetti in quanto si

tratta di una locuzione presente anche nella lingua letteraria110.

In conclusione si può affermare che qui ps.Asconio offre un’utile esegesi del passo Ciceroniano, andando a chiarire in questo contesto l’accezione per nulla consueta con cui debba essere inteso il verbo aufero.

110 Caes. B. G. 3, 2, 5: Accedebat quod suos ab se liberos abstractos obsidum nomine dolebant, et

Romanos non solum itinerum causa sed etiam perpetuae possessionis culmina Alpium occupare conari et ea loca finitimae provinciae adiungere sibi persuasum habebant.

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