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(§ 35) Compilarit. Pilos pervellerit, sic fraudaverit furto, ut ne pilos quidem in

corpore spoliatis reliquerit133.

(§ 35) Derubò. Strappò via i peli, deufradò con il furto a tal punto che non lasciò a coloro che aveva derubato neppure i peli in corpo.

Lo scolio a Verr. II, 1, 35 rappresenta uno dei molteplici esempi presenti nel testo circa il vivo interesse dei grammatici tardo-antichi per la costituzione di etimologie. Di tutte quelle che si possono riscontrare nell’opera esegetica del nostro commentatore, la maggior parte sono comuni ad altri autori dello stesso periodo storico, mentre tre sembrano non avere altre attestazioni e rispecchiano il grado di competenza di questo personaggio in ambito linguistico.

La prima di queste tre etimologie pseudoasconiane si trova nello scolio a

Verr. I, 17 e riguarda alacer, che il nostro commentatore spiega in maniera

del tutto arbitraria con non lacer: Ex alacri atque laeto. Alacris sive alacer

(utrumque enim dicitur) is, qui integer est sensibus universis: quod est indicium erecti animi atque sublimis. Nam et e contrario lacer dicitur amputatis corpore sensuum membris, hoc est auribus oculisve. Quod ad animum saepe transfertur: ut plerumque afflicto animo sensibus non utamur erectis. Sic alacer dicitur is cui omnis sensus in loco suo quisque vegeti sunt et intenti, ut vultu indicet adesse animum [non] sincerum sensibus suis. Qua re cognita illud quoque intelligitur, aliud esse alacrem, aliud laetum. Sunt

qui alacrem festinantem et properum dici putant, quasi alis acrem134. Lo ps.Asconio sembra creare una para-etimologia di alacer, considerandolo un derivato di lacer, “lacero, mutilato”, formatosi con una sorta di a- privativa, volta ad intendere il suo contrario: “non lacero”, e quindi “integro”. In realtà, l’origine dei due aggettivi non risulta affatto collegata:

alacer o alacris, che significa “pieno di entusiasmo, di gioia” e per questo

spesso collegato a laetus (come in Verr. I, 17), presenta un elemento radicale lā-, lo stesso che si riscontra nel verbo ambulare, anche se i dettagli della sua formazione rimangono ancora oscuri135. Lacer, invece, con il significato di “lacero, strappato”, è un aggettivo spesso utilizzato nelle glosse per l’esegesi di locuzioni quali curtatis auribus136, fa parte del linguaggio arcaico e, mentre non è attestato in Cicerone o in Cesare, è usato soprattutto in poesia o nella prosa imperiale. È difficile inoltre stabilire se sia l’aggettivo ad essere di formazione deverbale da lacero o se si tratti del contrario; quello che è certo è che la coesistenza della forma verbale a infisso nasale lancino e di lacer attesta che si tratta di una antica famiglia di lemmi (cfr. sancio-sacer). In effetti, anche in greco si può

134 Ps.Asc. in Verr. Stangl 210, 22-26; 211, 1-4: “Da baldanzoso e lieto. Alacris o alacer (si può infatti dire in entrambi i modi) indica colui che è irreprensibile in tutte le sue facoltà mentali: poiché ciò è indizio di un animo retto ed elevato. Infatti per indicare il contrario utilizziamo il termine lacer, con cui si designano le parti del corpo separate dalle loro facoltà sensoriali, vale e dire gli occhi e le orecchie. E questo viene spesso riferito, in senso traslato, all’animo: di solito, con un animo afflitto, non possiamo fare uso di facoltà sensoriali dinamiche. Così è detto alacer colui i cui sensi siano al loro posto, nel pieno delle loro funzioni e vigili, in modo che per mezzo del volto indichi che in lui è presente un animo veritiero riguardo alle facoltà sensoriali. Saputo questo, si capisce anche quell’altro concetto e cioè che un conto è dire

alacrem, un altro è dire laetum. Vi sono alcuni che ritengono che alacrem si riferisca a chi si

affretta ed è solerte, come se derivasse da alis acrem”. 135 Cfr. Ernout-Meillet 1951, p. 35.

individuare la stessa radice lak-/lᾱk- nel sostantivo attico laki/j, “strappo, lembo”, da cui deriva il verbo laki/zw, “mi strappo”137.

Lo scoliasta, dunque, non solo crea un’etimologia piuttosto fantasiosa di

alacer, ma sembra fraintenderne anche il significato, dal momento che,

lungi dall’indicare “colui che è irreprensibile in tutte le sue facoltà mentali” e “i cui sensi siano al loro posto, nel pieno delle loro funzioni e vigili”, deve intendersi come espressione di uno stato d’animo positivo, accezione semantica ricavabile anche da laetum che è legato ad esso per endiadi. Del resto, ciò è in linea con l’abitudine ciceroniana di creare endiadi attraverso una coppia di aggettivi di significato simile per dare maggiore enfasi al concetto che ha intenzione sottolineare: in questo passo Verr. I, 17 l’oratore descrive Verre prima allegro e lieto, poi umile e avvilito non appena apprende che i suoi piani non sarebbero andati a buon fine138. La seconda etimologia tutta pseudoasconiana si situa nella glossa a Verr. I, 34 e riguarda la forma aggettivale astutus: Astuta. Urbana, etenim urbs astu

dicitur. Terentius: An in astu venit?139 In maniera del tutto ingiustificata lo scoliasta accosta l’idea di urbanitas, ovvero di abitante della città, a quella di scaltrezza, astuzia, probabilmente in contrapposizione, secondo una visione tutta personale, alla ingenuità della rusticitas che caratterizza gli abitanti delle zone campestri. Egli, infatti, scorge all’origine dell’aggettivo

137 Cfr. Ernout-Meillet 1951, pp. 589-590.

138 Cic. Verr. I, 17: Praeclare se res habebat. Libelli nominum vestrorum consilique huius in

manibus erant omnium; nulla nota, nullus color, nullae sordes videbantur his sententiis adlini posse, cum iste repente ex alacri atque laeto sic erat humilis atque demissus ut non modo populo Romano, sed etiam sibi ipse condemnatus videretur. Ecce autem repente his diebus paucis comitiis consularibus factis eadem illa vetera consilia pecunia maiore repetuntur, eaedemque vestrae famae fortunisque omnium insidiae per eosdem homines comparantur. Quae res primo, iudices, pertenui nobis argumento indicioque patefacta est: post aperto suspicionis introitu ad omnia intima istorum consilia sine ullo errore pervenimus.

139 Ps.Asc. in Verr. Stangl 218, 15: “Astuta. Cittadina, infatti la città è detta anche astu. Come dice Terenzio: «Non viene forse in città (astu)?»”

astutus la locuzione greca a)po\ tou= a)/steoj, “derivante dalla città”; tanto

più che in latino esisteva il grecismo indeclinabile astu, di cui lo ps. Asconio cita un esempio tratto dall’Eunuco di Terenzio140. Questa derivazione di astutus da astu potrebbe essere stata condizionata, nella mente dello ps.Asconio, dalla definizione, molto nota in ambito grammaticale, di una figura retorica chiamata astismos, termine collegato anch’esso al campo semantico della città opposta alla rusticitas: Astismos

est tropus multiplex numerosaeque virtutis. Namque astismos putatur quicquid simplicitate rustica caret et faceta satis urbanitate expolitum est141.

Tuttavia anche in questo caso è evidente che si tratta di una para- etimologia: astutus trae, infatti, la sua origine dal sostantivo astus, “astuzia, malizia”, come chiaramente tramandano Servio e Isidoro di Siviglia. Il primo dei due, nel suo commento a Aen. 11, 704, scrive: astu malitia, nam

proprie astutos malitiosos vocamus142, accostando ad astus il sinonimo

malitia e mostrando come dai due sostantivi derivino i corrispondenti

aggettivi. Isidoro chiarisce ancor meglio il rapporto tra il nome e l’aggettivo che si origina da quest’ultimo: astutus ab astu vocatur, quod es

callidi et cauti nominis, qui possit sine periculo fortiter aliquid facere143. L’unica testimonianza che sembra favorire l’etimologia prodotta dallo ps. Asconio è quella di Paolo Festo, tuttavia non tanto relativamente ad

astutus, quanto a astus: astu apud poetas astutiam significat, cuius origo ex Graeco oppido, a)/stu, deducitur, in quo qui conversati assidue sint, cauti atque acuti esse videantur144. Del resto, Festo non sembra aver sentito

140 Ter. Eun. V, 6, 17.

141 Don. Ars maior 673, 8-9 Holtz. 142 Serv. Aen. 11, 704.

143 Isid. Orig. 10, 6.

l’effettiva discendenza dell’aggettivo dal sostantivo, dato che più avanti spiega astutus con arte tutus145, che dovrebbe indicare qualcosa come “prudente, avveduto con maestria”. L’esegesi di Festo rimane comunque un unicum ed è possibile che sia stata il modello su cui il nostro scoliasta abbia costruito la propria para-etimologia.

Quale sia l’effettiva origine di astus ad oggi non è ancora stato chiarito; tra i moderni, infatti, c’è addirittura chi pensa che sia il sostantivo a derivare dall’aggettivo e non viceversa e scorge in astutus un primitivo *a(d)stitutus, ovvero e)pisth/mwn, dal verbo astituo, “porre accanto”, o un originario *adstitus, dal verbo asto, “essere a lato”, ma in entrambi i casi il senso risulta insoddisfacente146.

Il terzo fallimentare tentativo dello ps. Asconio di fornire l’etimo di un lemma in maniera del tutto personale si riscontra nella glossa a Verr. II, 1, 35.

La spiegazione fornita dallo scoliasta si basa sulla considerazione secondo cui all’origine del verbo compīlo, “rubare, saccheggiare”, ci sia il sostantivo

pĭlus, “pelo”. Secondo lo ps. Asconio, il verbo, che letteralmente avrebbe il

significato di “strappar via i peli dal corpo”, assumerebbe il valore metaforico di “spogliare, derubare” sulla base dell’esagerazione retorica per cui si deruba a tal punto da non lasciare neppure i peli in corpo al soggetto che è stato saccheggiato. Tuttavia, si può fin da subito evidenziare una differenza di fondo tra le due palore: la –i del verbo compīlo è evidentemente lunga e non può derivare dal sostantivo pĭlus, in cui, invece, è breve. In effetti, il verbo in questione ha sì una formazione denominativa, ma non tanto da pĭlus, quanto dal sostantivo pīla, “palo, pilastro”, da cui ha inizialmente avuto origine il verbo pīlo, -as, “spingere come un pilastro,

145 Paul. Fest. De verb. sign. Müller 380, 19. 146 Cfr. Walde-Hofmann 1938, pp. 74-75.

piantare, impilare”. Da questo senso di “impilare”, la forma verbale pīlare passa a quello di “accumulare” e, di conseguenza, “saccheggiare, volere”, significato che è frequente nei suoi composti come compīlo, che, ad esempio, nella lingua letteraria veniva usato per uno scrittore che ne saccheggia o plagia un altro147.

L’etimo dello ps.Asconio rimane un unicum anche rispetto alle altre testimonianze tardo-antiche, dove non c’è traccia di un riferimento a pĭlus. Paolo Festo, ad esempio, tramanda soltanto che sia pilare sia compilare traggono la loro origine dal greco, creando un accostamento con la parola greca fῑlh/thj, “ladro”: pilare et compilare a Graeco trahitur. Graeci enim

fures philetas dicunt148. Tuttavia, lo stesso fῑlh/thj è di origine incerta e, comunque, difficilmente può essere ricondotto alla parola latina pīla, -ae da cui si è detto che derivino pīlare e si suoi composti.

Dunque, indipendentemente dall’effettiva etimologia di pīla, -ae, che rimane ancora oscura, ciò che è importante notare è l’erroneo tentativo etimologico del nostro scoliasta, forse condizionato dal fatto che nell’epoca storica in cui visse la sensibilità nei confronti delle quantità vocaliche (compīlare/pĭlus) si stava completamente perdendo.

147 Cfr. Ernout-Meillet 1951, pp. 896-897. 148 Paul. Fest. De verb. sign. Müller 204, 7.

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