2.10. Storia naturale
2.11.1 Citoriduzione chirurgica primaria
La chirurgia citoriduttiva nella malattia in stadio iniziale, identificata dagli stadi I e II della classificazione FIGO, si avvale di una incisione mediana pubo- sovraombelicale o pubo-xifoidea.
L’approccio laparoscopico non è raccomandabile; anzi, alcuni autori hanno riscontrato un peggioramento della prognosi per le donne trattate in via laparoscopica, verosimilmente legato ad una maggiore incidenza di rottura delle cisti neoplastiche. [47]
In una paziente con neoplasia apparentemente confinata alla gonade si procede secondo steps ben codificati:
- esame citologico del liquido ascitico (minimo 250 mL). In assenza di versamento si deve eseguire un lavaggio peritoneale della pelvi e dell’alto addome;
- ispezione sistematica e palpazione degli organi peritoneali e retro peritoneali;
- ispezione scrupolosa del peritoneo pelvico e addominale;
- valutazione dell’estensione della neoplasia e all’asportazione della neoformazione, che viene sottoposta a diagnosi istopatologica estemporanea, evitandone la rottura o lo spillage.
I tempi chirurgici della stadiazione prevedono anche: - omentectomia;
- isterectomia radicale;
- ovaro-salpingectomia bilaterale con asportazione del legamento infundibolo pelvico all’origine dei vasi ovarici;
- appendicectomia;
- biopsie multiple di ogni area sospetta e delle aree a maggior rischio di micrometastasi (peritoneo pelvico e diaframmatico, docce parietocoliche, radice del mesentere);
- la linfadenectomia pelvica e lombo-aortica viene praticata per lo stesso fine, sebbene venga effettuata una linfadenectomia sistematica (soprattutto nei casi dei tumori indifferenziati e sierosi di alto grado, G2/G3) per ampliare la ricerca di micrometastasi, tuttavia questa procedura non sembra aumentare la sopravvivenza libera da progressione nè la sopravvivenza globale. L'eventuale positività di questi linfonodi colloca il tumore nello stadio IIIC FIGO.
Per queste pazienti, trattate tradizionalmente con interventi radicali, l'infertilità è un effetto collaterale drammatico e frequente. Inoltre, questa complicanza grave viene spesso sottovalutata e risulta essere un impact factor determinante in quanto incide pesantemente sulla qualità di vita dei pazienti e riduce la compliance al trattamento. [48] Per questo motivo, nel caso di pazienti giovani (il 12% ha meno di 45 anni) e desiderose di prole, è possibile prendere in considerazione un
trattamento conservativo della fertilità definito “fertility sparing surgery” (FSS) che permette di integrare il miglior trattamento oncologico possibile con la discussione delle strategie disponibili per evitare l'infertilità. Tuttavia, le strategie di risparmio della fertilità hanno bisogno di una consulenza attenta. [49]
Questa procedura prevede l'annessiectomia mono-laterale, il curettage endometriale, il washing e le biopsie peritoneali, la linfadenectomia (almeno monolaterale) delle stazioni pelviche e lomboartiche. Benefici, rischi e la sicurezza di queste procedure devono essere sempre equilibrati e discussi in centri di riferimento appropriati.
Secondo le linee guida della European Society for Medical Oncology (ESMO) il trattamento FSS può essere riservato alle pazienti che presentano uno stadio di malattia IA o IB con grado G1-G2 e disposte a sottoporsi a visite di controllo ravvicinate nel tempo [50].
Secondo i dati più recenti di follow-up emerge che il 10.3% delle pazienti trattate con questa procedura ha recidivato e che il 31% delle donne ha ottenuto una gravidanza. [51]
Studi recenti condotti dal gruppo – Gynecologic Cancer Study Group of the Japan Clinical Oncology Group – hanno dimostrato che pazienti stadiate IC o pazienti con istologia maligna (es. clear cell) possono beneficiare dal trattamento conservativo. [52 – 53]
Uno studio su 36 pazienti condotto a Milano nel 2014 da Ditto e al. ha dimostrato che riservare la FSS a pazienti con EOC in stadio iniziale poteva essere considerata oncologicamente sicura comparabilmente alla chirurgia radicale.
La chirurgia citoriduttiva nella malattia avanzata (stadio III e IV FIGO) si propone di ridurre il numero di cellule tumorali ad un livello tale da consentire alla chemioterapia la massima possibilità di cura.
visibile (malattia residua [MR] =0), o per lo meno tutte le lesioni di dimensioni superiori a 1 cm (debulking), con lo scopo di eliminare i noduli tumorali di maggiore dimensione caratterizzati nel loro contesto da zone ipovascolarizzate e quindi meno aggredibili da parte dell’agente chemioterapico, dunque possibile causa di chemioresistenza. Inoltre la rimozione della maggior parte della massa neoplastica costituisce uno stimolo alla proliferazione delle cellule microscopiche che possono restare in loco anche dopo il trattamento resettivo e proprio queste rispondono meglio ai farmaci citotossici in quanto l’indice di proliferazione cellulare diminuisce con l’aumento di volume della massa tumorale, per questo motivo nelle lesioni di maggiore dimensione il chemioterapico trova frequentemente cellule in fase G0. [54]
L’entità della citoriduzione influenza in maniera importante sia la OS sia la SLP ad ogni aumento del 10% nella citoriduzione è associato un incremento del 5.5% nella mediana di sopravvivenza e determina anche un miglioramento di alcuni sintomi associati con gli stati avanzati del carcinoma come distensione e dolore addominale.
Se la citoriduzione riesce ad eliminare macroscopicamente la malattia, la sopravvivenza a 5 anni è del 60%, altresì con una citoriduzione subottimale (malattia residua > 0.5 cm) scende al 18%. [55]
Per raggiungere questi obiettivi, spesso, bisogna ricorrere a procedure chirurgiche invasive, quindi se la neoplasia infiltra il setto rettovaginale e/o il cavo del Douglas si determina un quadro pelvico definito “frozen” dove l’utero e le masse ovariche si fissano saldamente alle strutture circostanti ed è necessario effettuare l’isterectomia retrograda secondo Hudson - Delle Piane. [56]
Questa tecnica, eseguita con un approccio retroperitoneale, consente l’asportazione in blocco di utero, annessi, peritoneo del Douglas e retto, qualora infiltrato, riducendo il rischio di lesioni alla vescica e agli ureteri e consentendo
un migliore accesso ai vasi.
In base alla localizzazione della malattia, può essere necessaria l’esecuzione di splenectomia, resezione epatica, resezione della porzione distale del pancreas, resezione gastrica, resezioni ileali, emicolectomia destra o sinistra e omentectomia radicale gastrocolica.
Le grosse masse tumorali localizzate sulla superficie peritoneale o del diaframma devono assolutamente essere rimosse, soprattutto se si tratta di masse isolate. Il coinvolgimento del diaframma può richiedere fino a una vera e propria resezione diaframmatica, con un rischio di complicanze postoperatorie notevoli e proprio per questo motivo è necessario valutare con attenzione i rischi e benefici di questo tempo chirurgico.
Un interessamento massivo del mesentere, la presenza di metastasi intraparenchimali epatiche o dell’infiltrazione dell’ilo epatico, oltre che dal basso performance status o l’elevato ASA score della paziente rappresentano veri ostacoli al raggiungimento di una citoriduzione ottimale.
Per quanto riguarda i linfonodi, negli stadi avanzati l’incidenza di metastasi linfonodali è del 13%, nei soli linfonodi pelvici, del 17%, nei soli linfonodi aortici e del 35%, in entrambe le sedi. [57]
L’approccio terapeutico da adottare nei confronti dei linfonodi, durante l’intervento di chirurgia citoriduttiva, è ancora incerto.
Uno studio del 2005, condotto su pazienti in stadio IIIB-C FIGO sottoposte ad intervento di citoriduzione, ha dimostrato che le pazienti sottoposte a linfoadenectomia pelvica e lombo-aortica sistematica, rispetto a quelle che hanno subito un sampling linfonodale, avevano una SLP superiore (7 mesi), tuttavia non si rilevava una differenza statisticamente significativa in termini di OS.
Le donne sottoposte a linfoadenectomia sistematica, inoltre, avevano una più alta incidenza di complicanze post-operatorie, quali linfocisti e linfedema.
Il limite di questo studio era rappresentato dal fatto di non prendere in considerazione la sopravvivenza nel sottogruppo di pazienti con malattia residua macroscopicamente assente.
Uno studio successivo ha dimostrato, infatti, che era vantaggioso, in termini di sopravvivenza globale, eseguire una linfoadenectomia sistematica se la malattia residua era ≤ 1 cm e non se la malattia residua era di dimensioni maggiori [68]. Attualmente è in corso uno studio multicentrico nazionale randomizzato (AGO- LION) orientato a chiarire l’efficacia terapeutica della linfoadenectomia sistematica rispetto al sampling linfonodale in pazienti senza residuo macroscopico di malattia in peritoneo.