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2.10. Storia naturale

2.11.8 Terapia della recidiva

Il trattamento della recidiva dipende da molteplici fattori, quali la dimensione del tumore, il performance status della paziente, il tipo istologico del tumore, la presenza di una recidiva singola o multipla e l’intervallo libero da malattia dopo la chemioterapia di prima linea a base di platino.

Il fattore principale che guida la scelta della terapia è il “Platinum Free Interval” [PFI], ovvero il periodo di tempo che intercorre tra la fine del trattamento a base di platino e la comparsa di recidiva.

Secondo le linee guida proposte dal GCIG (Gynecologic Cancer Inter Group) nel 2010, la malattia recidivante viene così classificata sulla base del PFI in:

- Pazienti platino-refrattarie: quelle pazienti in cui si ha progressione della malattia durante la terapia a base di platino o entro 4 settimane dall'ultimo ciclo di platino.

- Pazienti platino - resistenti: quelle in cui la ricaduta della malattia avviene entro 6 mesi dal termine della terapia a base di platino

- Pazienti parzialmente platino - sensibili: quelle in cui si ha una ricaduta tra i 6 ei 12 mesi dal termine della terapia a base di platino

- Pazienti platino - sensibili: quelle in cui la ricaduta avviene dopo 12 mesi - Pazienti late – recurrence: sono quelle pazienti che recidivano dopo 24 mesi

Questa distinzione è fondamentale per impostare una linea terapeutica adeguata per ogni paziente, in caso di recidiva dopo PFI maggiore di 6 mesi (prendendo in considerazione sia le pazienti sensibili, sia quelle parzialmente sensibili al platino) lo standard terapeutico prevede l’utilizzo di regimi a base di platino, con tassi di risposta paragonabili a quelli della terapia di prima linea. Lo studio ICON4/AGO- OVAR-2.2 ha dimostrato la superiorità del trattamento con combinazione carboplatino + paclitaxel rispetto alla monochemioterapia con carboplatino, con un PFI > 12 mesi. [73] Studi successivi hanno evidenziato che terapie a base di gemcitabina + platino e platino + doxorubicina liposomiale, garantiscono gli stessi vantaggi, in termini di SPL e OS della combinazione carboplatino e paclitaxel, ma con una migliore tollerabilità e una minore incidenza di effetti collaterali severi e duraturi (ematologici e neurologici). Lo studio Calypso ha dimostrato che il regime composto da doxorubicina liposomiale e carboplatino versus paclitaxel e carboplatino era più efficace per SLP ma non per OS, tuttavia presentava una minore tossicità. Studi successivi sembrano indicare che il sottogruppo di pazienti con PFI compreso tra 6-12 mesi tragga vantaggio dalla somministrazione di terapie di seconda linea prive di platino, in modo da prolungare artificialmente l’intervallo libero da platino e garantire un miglior risultato nel suo uso in linee terapeutiche successive.

Le pazienti con recidiva dopo intervallo libero da platino inferiore a 6 mesi hanno una prognosi scadente, con un’aspettativa di vita mediana inferiore a un anno. Queste pazienti devono essere trattate con farmaci di seconda linea come la doxorubicina liposomiale, il topotecan, la gemcitabina e il taxolo settimanale. Data la sostanziale equivalenza di questi farmaci in termini di efficacia, la scelta deve essere basata sul profilo di tossicità.

E’ in corso uno studio internazionale randomizzato di fase III (INOVATYON) che ha lo scopo di dimostrare la superiorità in termine di OS della terapia contenente

trabectedina e doxorubicina pegilata liposomiale (PLD) con un regime contenente carboplatino e PLD nelle pazienti affette da carcinoma ovarico in progressione a 6-12 mesi

Sia per le recidive platino resistenti, sia per quelle platino sensibili, sono stati ottenuti buoni risultati terapeutici anche con l’utilizzo di farmaci a bersaglio molecolare.

Per le pazienti platino resistenti lo studio AURELIA di fase III ha dimostrato che quelle trattate con la combinazione di bevacizumab + doxorubicina liposomiale o topotecan o paclitaxel hanno avuto un miglioramento significativo della sopravvivenza libera da progressione e della qualità della vita (anche se non della sopravvivenza globale) rispetto a quelle sottoposte alla stessa terapia senza il bevacizumab. L’uso di farmaci antiangiogenetici è stato approvato anche per le pazienti platino sensibili con malattia ricorrente.

Per le pazienti platino – sensibili lo studio OCEANS di fase III ha mostrato come l’aggiunta del bevacizumab alla combinazione di gemcitabina + carboplatino offra dei vantaggi significativi in termini di sopravvivenza libera da malattia.

Un’altra possibile modalità di somministrazione è rappresentata dalla chemioterapia intraperitoneale (Intraoperatory Hyperthermic intraperitoneal chemiotherapy, HIPEC) che permette di ottenere elevate concentrazioni del farmaco direttamente nella cavità addominale a temperature elevate (41,5°C), in particolare cisplatino, topotecan e paclitaxel. [74]

Essendo il peritoneo la sede principale di metastasi nel carcinoma ovarico epiteliale, la chemioterapia intraperitoneale è una soluzione che offre la possibilità di avere grosse dosi di farmaco nella sede in cui è presente il tumore con un vantaggio farmacocinetico rispetto alla classica somministrazione endovenosa. [75]

carboplatino e paclitaxel offre vantaggi in termini di sopravvivenza globale e libera da malattia in pazienti con carcinoma ovarico con malattia residua < 1cm. I risultati di questi studi hanno dimostrato che la SLP era aumentata a 23,8 mesi vs 18,3 mesi del braccio di confronto che non faceva HIPEC, inoltre si è dimostrata una riduzione del rischio relativo di 0,78.

Però, nonostante siano stati dimostrati questi vantaggi, i numerosi rischi come la tossicità, le difficoltà tecniche, l'accettabilità del paziente, gli effetti collaterali associati a questa procedura (infezioni, emorragie, perforazioni intestinali) che determinano un peggioramento della qualità della vita e un aumento del dolore addominale, non hanno permesso l’affermazione di questo regime terapeutico nella pratica clinica.

Nei casi di malattia recidivante il ruolo della chirurgia non è stato ancora ben definito, nonostante molti studi dimostrino che il ricorso ad essa è giustificato nei casi in cui sia possibile ottenere una citoriduzione ottimale [76].

I risultati dello studio DESKTOP OVAR hanno consentito l’elaborazione dell’AGO score che permette di selezionare, tra le pazienti platino sensibili, quelle candidabili al trattamento chirurgico, sulla base di fattori che influenzano la possibilità di ottenere una citoriduzione ottimale (performance status, stadio FIGO basso, malattia residua dopo la citoriduzione primaria, assenza di ascite alla diagnosi).