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Pattern di platino-resistenza in funzione dello stato mutazionale di gBRCA Abbiamo analizzato la frequenza ed il timing di insorgenza di resistenza al platino

CHEMIOTERAPIA IN SECONDA LINEA

5.1.3 Pattern di platino-resistenza in funzione dello stato mutazionale di gBRCA Abbiamo analizzato la frequenza ed il timing di insorgenza di resistenza al platino

nelle 57 pazienti sottoposte al test per gBRCA.

Delle 21 pazienti del gruppo con mutazione gBRCA, 5 (23%) hanno sviluppato platino resistenza dopo una mediana di tempo di 45.4 mesi (range da 34 a 58 mesi) [Tabella 13].

Sedici pazienti (76%) non hanno sviluppato platino-resistenza dopo un follow-up mediano di 52.2 (range 4-74 mesi) [Tabella 13, Figure 9 e 10].

Delle 36 pazienti del gruppo g-BRCAwilde-type, 15 (42%) hanno sviluppato platino-resistenza dopo una mediana di tempo di 26 mesi (range 11-56) [Tabella

13] e 21 pazienti (58%) non hanno sviluppato platino resistenza dopo una mediana di tempo di 45,2 (range ,9.1-77.7) [tabella 13, figure 11 e 12].

E’ interessante osservare che è insorta platino-resistenza nel 23% delle pazienti con mutazione di gBRCA e nel 42% di quelle con gBRCAwild-type. Inoltre il tempo mediano tra la chirurgia primaria e la comparsa di platino resistenza è stato di 45.4 mesi nelle prime e 26 mesi nelle seconde.

Figura 2. Sopravvivenza libera da progressione in funzione dell’ascite

Figura 4. Sopravvivenza libera da progressione in funzione della chemioterapia

Figura 7: Sopravvivenza globale in funzione dell’ascite

Figura 9. Pattern di platino-resistenza in funzione dello stato mutazionale di gBRCA

Figura 10. Pattern di platino-resistenza in funzione dello stato mutazionale di gBRCA 0 6 12 18 24 30 36 42 48 54 60 66

Paziente 1 Paziente 2 Paziente 3 Paziente 4 Paziente 5

Tempo alla platino Resisitenza BRCAm 0 6 12 18 24 30 36 42 48 54 60 66 72 78 Sopravvivenza senza di platino resistenza BRCAm

Figura 11. Pattern di platino-resistenza nelle pazienti BRCA wild-type

Figura 12. Pattern di platino-resistenza nelle pazienti BRCA wild-type 0 6 12 18 24 30 36 42 48 54 60 Tempo alla platino Resisitenza BRCAwt 0 6 12 18 24 30 36 42 48 54 60 66 72 78 84 Sopravvivenza senza di platino resistenza BRCAwt

Tabella 9: Analisi univariata: sopravvivenza libera da progressione a 2 e 5 anni in funzione delle variabili cliniche

ETA’ SLP 2anni SLP 5 anni

<61 38.9% 19% >61 23.3% 9 % p=0.255 MR SLP 2anni SLP 5 anni 0 34.5% 34% <1 38.9 % 8 % >1 21 % 0% p=0.005

Ascite SLP 2 anni SLP 5 anni

NO 41.9% 9.7%

SI 27% 3.2%

p=0.012

BRCA SLP 2 anni SLP 5 anni

Non determinato 29.3% 5.2%

Wild-type 34.8% 8,7%

Mutato 37.5% 0% p=0.663

Bevacizumab SLP 2anni SLP 5 anni

Si 47.4% 5.3%

No 28.2% 5.1%

Tabella 10: Sopravvivenza globale

ETA’ OS 2anni OS 5 anni

<61 97% 64.3% >61 90.3% 63.3% p =0.629 MR OS 2anni OS 5 anni 0 98% 80.6% <1 92% 63.6% >1 88.8% 44.8% p=0.009

Ascite OS 2anni OS 5 anni

NO 97.9% 72.3%

SI 91.5% 58.1% p=0.042

BRCA OS 2anni OS 5 anni

Non determinato 89.6% 51.7%

Wild-type 100% 83.3%

Mutato 100% 79.7% p=0.043

Bevacizumab OS 2anni OS 5 anni

Si 97.6% 67.4%

No 92.7% 62.4% p=0.225

Tabella 11: Analisi multivariata: sopravvivenza libera da malattia

Variabile HR IC 95% P

MR 1.647 1.960 - 2.825 0.023

Tabella 12: Analisi multivariata: sopravvivenza globale

Variabile HR IC 95% P

MR 2.285 1.059 – 4.928 0.035

Tabella 13. Platino resistenza in funzione dello status del BRCA

BRCA status n Platino-resistenza n mediana (range) No Platino-resistenza n mediana (range) Mutate 21 5 (23%) 45.4 mesi (34-58) 16 (76%) 52.2 mesi (4-74) Wild-type 36 15(42%) 26 mesi (11-56) 21(58%) 45.2 mesi (9-78)

Tabella 14. SLP mediana nelle pazienti trattate e in quelle non trattate con bevacizumab

BEVACIZUMAB SLP A 2 ANNI SLP A 5 ANNI

SI 47,4% 5,3%

6. DISCUSSIONE

La PDS seguita da chemioterapia a base di platino e taxani rappresenta il trattamento standard del carcinoma ovarico avanzato. Gli attuali regimi sono in grado di ottenere una risposta completa clinica in circa il 50% dei casi, una risposta completa patologica nel 25 - 30%, una SLP mediana di 15.5-22 mesi ed una OS mediana di 31-44 mesi [83-91]. Sebbene la MR dopo PDS sia stata variamente definita, i lavori più recenti suggeriscono che l’outcome clinico più favorevole si ottiene nelle pazienti nelle quali è stato asportato tutto il tumore macroscopicamente visibile [94-98].

Negli ultimi anni la chemioterapia neoadiuvante seguita da chirurgia di intervallo (interval debulking surgery (IDS) è stata sempre più frequentemente utilizzata nelle pazienti con malattia “bulky” non operabili in maniera adeguata per condizioni cliniche generali, età o patologie concomitanti o che richiederebbero estese ed ultra-aggressive procedure chirurgiche per ottenere una citoriduzione chirurgica ottimale [99-102]. Il numero dei cicli di chemioterapia somministrati prima della IDS sembra avere una rilevanza clinica, dato che ogni aumento del numero dei cicli oltre 3-4 ha un effetto detrimentale sulla OS [100, 102]. Pertanto, lo sforzo chirurgico massimale dovrebbe essere pianificato più precocemente possibile in queste pazienti.

Due studi randomizzati di fase III hanno mostrato che la chemioterapia neoadiuvante seguita da IDS non è inferiore in termini di SLP e OS alla PDS seguita da chemioterapia in pazienti con carcinoma ovarico avanzato e che il debulking chirurgico macroscopicamente completo rimane il goal del trattamento indipendentemente dal timing della chirurgia citoriduttiva [103,104]. Tuttavia entrambi questi studi sono stati pesantemente criticati, specialmente per il bias di

selezione delle pazienti, per le insoddisfacenti percentuali di OS e per la scarsa qualità della chirurgia [104,105]. Alcuni studi sembrano suggerire che la recidiva dopo chemioterapia neoadiuvante e IDS è biologicamente più aggressiva rispetto a quella che si sviluppa dopo PDS e chemioterapia [107-114].

In uno studio clinico multicentrico retrospettivo coordinato dalla Ginecologia Oncologica di Pisa su 384 pazienti con carcinoma ovarico in stadio IIIC-IV trattate con PDS seguita da chemioterapia a base di platino (n= 322) o chemioterapia neoadiuvante a base di platino seguita da IDS e ulteriore chemioterapia con lo stesso regime di induzione (n= 62) che erano in risposta clinica completa al termine del trattamento primario, le percentuali di citoriduzione a MR= 0 erano 35.7% e 51.6% per il gruppo PDS e per il gruppo IDS. Tuttavia, l’outcome clinico delle pazienti completamente citoridotte era significativamente migliore nelle pazienti sottoposte a PDS rispetto a quelle sottoposte a IDS. La SLP a 2 anni, 5 anni e 7 anni era 65.8%, 40.8% e 39.3% nelle prime versus 43.8%, 12.5% e 12.5% per le seconde (p=0.001); le OS a 2 anni, 5 anni e 7 anni erano rispettivamente, 96.4%, 69.3%, 50.4% e 87.1%, 41.8% ,32.6% (p=0.001). Le pazienti completamente citoridotte dopo chemioterapia neoadiuvante potrebbero avere avuto una più alta incidenza di lesioni di minime dimensioni non rilevabili chirurgicamente, eventualmente nascoste da cicatrici soprattutto nell’addome superiore e sulle superfici diaframmatiche. Per di più, foci neoplastici microscopici persistenti dopo chemioterapia neoadiuvante potrebbero contenere più cloni chemioresistenti rispetto a quelli persistiti dopo PDS e chemioterapia. Pertanto, il raggiungimento di una MR= 0 ha un significato prognostico assai diverso nei due gruppi di pazienti. La PDS deve essere considerata l’approccio chirurgico standard per le pazienti con carcinoma ovarico avanzato, mentre la chemioterapia neoadiuvante seguita da IDS dovrebbe essere riservata a pazienti considerate non elegibili per uno sforzo chirurgico primario

o per la massiva diffusione, soprattutto con coinvolgimento dei mesi alla TC diagnostica, o per scadenti condizioni generali dopo accurata valutazione da parte di un team multidisciplinare (ginecologo oncologo, anestesista, chirurgo generale dedicato, medico internista).

In questa tesi sono state analizzate retrospettivamente 141 pazienti con carcinoma ovarico in stadio FIGO IIB-IV, grado 2-3, sottoposte PDS, a chemioterapia a base di PTX+CBDCA e a follow-up periodico.

Al termine ella chemioterapia di prima linea, 113 pazienti (80%) erano in risposta clinica completa, 22 (16%) erano in RP, 2 ( 1.4%) avevano malattia stabile e 4 (2.8%) erano in progressione. L' outcome clinico delle pazienti è stato il seguente: 39 (27.6%) erano NED dopo una mediana di 58.1 mesi (range, 9.1–159.2 mesi) dal termine del trattamento primario, 54 (38.3%) erano AWD dopo un intervallo mediano di 24.5 mesi (range,6.4 – 96.3mesi), e 48 (34,1%) erano DOD dopo un intervallo mediano di 36.8 mesi (range, 12.2 – 126.7 mesi) . La SLP a 5 anni era 34% nelle pazienti con MR= 0, 8% in quelle con MR macroscopico < 1 cm e 0% in quelle con MR > 1cm (p=0.005).

All’analisi multivariata, la MR >1cm e la presenza di ascite erano fattori prognostici sfavorevoli indipendenti per la SLP (HR= 1.647, 95%CI= 1.960- 2.825, p=0.23, e rispettivamente, HR=1.651, 95%CI= 1.026-2.659, p=0.039). La OS a 5 anni era 80.6% nelle pazienti con MR= 0, 63.6% in quelle con MR macroscopico < 1 cm, e 44.8% in quelle con MR > 1cm (p=0.009) , ed era 72.3% nelle pazienti prive di ascite e 58.1% in quelle con ascite (p=0.042).

All’ analisi multivariata, la MR >1cm era una variabile prognostica sfavorevole indipendente per la OS (HR= 2.285, 95% IC= 1.059-4.928, p=0.035).

Sono state analizzate e poste a confronto le 45 pazienti sottoposte a terapia di prima linea con bevacizumab in aggiunta a CBDCA+PTX e le 96 pazienti che invece non sono state trattate con bevacizumab.

Abbiamo osservato una differenza statisticamente significativa in termini di sviluppo di una prima recidiva nelle pazienti trattate con bevacizumab rispetto a quelle non trattate: sviluppano recidiva il 49% (22) delle pazienti trattate versus l’80%(83) del gruppo delle non trattate, con un livello di significatività p=0,0002. I nostri risultati sono coerenti con due studi clinici randomizzati di fase III (GOG 218 e ICON 7) che hanno dimostrato che l’aggiunta del bevacizumab al regime CBDCA+ PTX durante la chemioterapia di prima linea e come trattamento di mantenimento migliora sistematicamente la SLP, senza alcun vantaggio in OS [92,93].

Una recidiva Platino-resistente è comparsa nel 9% delle pazienti che sono state trattate con bevacizumab versus il 21% di quelle che non l’hanno ricevuto.

Lo studio delle sedi di recidiva coinvolte ha mostrato, invece, risultati sovrapponibili per entrambi i gruppi. E’ interessante osservare che l’aggiunta alla chemioterapia del bevacizumab migliora la SLP a 2 anni (47.4% versus 28.2%) con un aumento in SLP di 5 mesi in chi ha fatto terapia con bevacizumab rispetto alle pazienti che non l’hanno eseguita, in accordo con i dati degli studi GOG 218 e ICON 7. Questa differenza non raggiunge la significatività statistica per il numero dei casi. I due studi riportati in precedenza includevano rispettivamente 1873 e 1528 pazienti. Inoltre, esiste una differenza significativa tra la percentuale di pazienti morte per malattia e quelle vive con malattia: nel gruppo delle pazienti trattate con bevacizumab, il 73% risulta viva con malattia contro il 45% del gruppo delle non trattate, viceversa il 27% delle trattate risulta morta per malattia contro il 54% delle non trattate, la differenza è pertanto significativa con un livello di significatività (p=0,0241).

Recenti studi hanno riportato che le pazienti con carcinoma ovarico e mutazione di gBRCA hanno un comportamento clinico più favorevole, caratterizzato da una più giovane età alla diagnosi, [115,116,117], da una più grande incidenza di

istologia sierosa di alto grado [115-118,119] , di stadio avanzato [116,118,119] e di distribuzione viscerale di malattia [120], più alte percentuali di risposta al platino sia in prima che in ulteriori linee di trattamento [118,121-123] ed un outcome clinico migliore [116,117,119,124,125]. L’uso sistematico del test genetico è stata introdotto solo di recente nella nostra pratica clinica e pertanto i numeri a disposizione non ci consentono ancora di valutare adeguatamente i risultati in termini di SLP e di OS. Alcuni dati molti interessanti e coerenti con il comportamento biologico descritto in letteratura sono emersi dall’ analisi delle 57 pazienti delle quali era disponibile il risultato del test genetico per BRCA1 e BRCA2. Il 23% delle 21 pazienti con mutazione di gBRCA hanno sviluppato una resistenza durante o entro 6 mesi dal termine dell’ultima terapia a base di platino (platino- resistenza) dopo una mediana di 45.4 mesi (range, 34 -58 mesi). D’altro canto il 42% delle 36 pazienti con g-BRCA wild-type sono andate incontro a platino-resistenza dopo una mediana 26 mesi (range,11-56 mesi). Pertanto, le pazienti con mutazione del gBRCA diventano platino-resistenti meno frequentemente e dopo un più lungo lasso di tempo rispetto alle pazienti con gBRCA wild-type.

I nostri risultati, in accordo con i dati della letteratura, confermano cha la MR dopo PDS è il principale fattore prognostico del carcinoma ovarico avanzato. Le pazienti con MR > 1cm hanno un rischio 1.647 volte più alto di progressione e 2.285 volte più alto di morte rispetto a quelle con MR=0. Lo sforzo chirurgico massimale durante la citoriduzione primaria è pertanto essenziale per offrire alla paziente le migliori probabilità di sopravvivenza a lungo termine.

Il BRCA rappresenta un biomarker predittivo della sensibilità al trattamento con i PARP inibitori, con il platino e con altri farmaci e prognostico dell’outcome clinico. Attualmente tutte le linee guida consigliano di eseguire un test BRCA in tutte le pazienti con carcinoma ovarico epiteliale non mucinoso, non borderline al

momento della diagnosi in modo che queste informazioni siano disponibili tempestivamente per essere incluse nelle decisioni sulle successive strategie di trattamento e in caso di ricaduta.

Un tumore può avere una mutazione somatica de-novo non identificabile attraverso il test germinale.

Le mutazioni germinali e somatiche nei geni HR si verificano in circa il 31% dei pazienti con carcinoma ovarico sieroso di alto grado. Di queste, il 75% delle mutazioni della linea germinale e il 71% delle mutazioni somatiche sono localizzate nei geni BRCA.

Mutazioni di BRCA1 somatiche sono state riportate nel 5-9% dei casi di carcinoma ovarico sporadico, mentre mutazioni somatiche di BRCA2 sono state identificate nel 3-4%. Gli studi hanno dimostrato che il test genetico su tessuto tumorale ovarico consente l'identificazione di tumori con mutazioni germinali o somatiche e potrebbe identificare fino al 50% in più di pazienti con tumore ovarico mutato BRCA rispetto al test germinale da solo.

La mutazione di altri geni coinvolti nel meccanismo di HR, come PALB2, FANCA, FANCI, FANCL, FANCC, RAD50, RAD51, RAD51C, RAD54L, ATM, ATR, CHEK1 e CHEK2, conferiscono al tumore la stessa sensibilità terapeutica (tumori con fenotipo “BRCAness”).

E’ attualmente in corso uno studio in collaborazione con l’Anatomia Patologica e con il Laboratorio di Genetica Medica per la valutazione del BRCA somatico nelle pazienti non sottoposte a test di BRCA germinale su sangue periferico.

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