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2.10. Storia naturale

2.11.9 PARP INIBITOR

Un'altra terapia a bersaglio molecolare ha come target le vie implicate nella ricombinazione omologa, fondamentale nella riparazione del double strand breaks [DSBs]. BRCA1 e 2, insieme ad altre proteine e vie molecolari, sono importanti componenti del sistema di ricombinazione omologa, alterato non solo nelle pazienti con mutazioni germinali o somatiche di BRCA 1 e 2, ma anche nel 50%

delle pazienti con carcinomi sierosi di alto grado.

Le pazienti con deficit della ricombinazione omologa, con o senza mutazioni della linea germinale di BRCA, possono essere trattate con inibitori PARP, come olaparib, niraparib, veliparib. Queste molecole agiscono inibendo gli enzimi PARP (poly-ADP- riboiopolimerasi), fondamentali nella riparazione dei danni a carico del DNA in caso di perdita della funzione della ricombinazione omologa; la cellula, non riuscendo più a riparare il DNA, va incontro così ad apoptosi. PARP1 è un membro della famiglia di enzimi PARP che funzionano come dei sensori di discontinuità (nick) nella catena del DNA e giocano un ruolo fondamentale nella riparazione per escissione di base (BER) [77]. PARP è necessaria per riparare efficientemente le rotture dei singoli filamenti di DNA. Un aspetto importante della riparazione indotta dalla PARP è che, in seguito alla modificazione della cromatina, la PARP si automodifichi e si dissoci dal DNA per facilitare l’accesso agli enzimi di riparazione per escissione di base (BER). L’inibizione della PARP impedisce la scissione della PARP dal DNA e la “intrappola” sul DNA, bloccando in tale modo il processo di riparazione. Nelle cellule replicanti ciò determina rotture dei doppi filamenti di DNA quando le forche di replicazione incontrano l’addotto PARP-DNA. Nelle cellule normali la riparazione per ricombinazione omologa, che richiede i geni BRCA1 e 2 funzionali, è efficace nel riparare queste rotture dei doppi filamenti di DNA. In assenza di BRCA1 o 2 funzionali, le DSBs di DNA non possono essere riparate tramite HR. Per contro, vengono attivate vie alternative soggette ad errori, fra cui la via di unione non omologa delle terminazioni (NHEJ, non-homologous end joining), determinando una maggiore instabilità genomica. Dopo diversi cicli di replicazione, l’instabilità genomica può raggiungere livelli insostenibili e causare la morte delle cellule tumorali, dato che queste cellule hanno un carico elevato di danni al DNA rispetto a quelle sane. Oltre alla inibizione catalitica della HR, i

PARP inibitori agiscono mediante il processo di trapping di PARP1 e PARP2 al DNA danneggiato [78]. I complessi DNA-PARP sembrano essere più citotossici della mancata riparazione dei DSBs, il che suggerisce che i PARP inibitori agiscono con un doppio meccanismo [78].

Olaparib è un PARP inibitore immesso in commercio in Italia nell’aprile 2016. Attualmente olaparib è indicato in monoterapia per il trattamento di mantenimento di pazienti adulte con recidiva platino-sensibile di carcinoma ovarico epiteliale sieroso di alto grado, BRCA-mutato (mutazione nella linea germinale e/o mutazione somatica), che rispondono (risposta completa o risposta parziale) alla chemioterapia a base di platino. Le pazienti devono avere conferma di una mutazione del gene BRCA (mutazione nella linea germinale e/o mutazione somatica), prima di iniziare il trattamento con olaparib. La valutazione dello stato di mutazione di BRCA deve essere effettuata in un laboratorio specializzato che utilizzi un metodo di analisi validato. Il test del gBRCA può produrre 3 possibili risultati: positivo (mutazione patogena), negativo (nessuna mutazione patogena o variante priva di significato patogeno [polimorfismo]) o variante di significato incerto (VUS). Quest’ultima è un'alterazione della sequenza genica di cui non si conoscono ancora le implicazioni sulla funzionalità della proteina codificata e sul rischio oncogeno. Una classificazione proposta nel 2008 da un workshop di esperti riuniti presso l’Agency for Research into Cancer ha suggerito uno schema di classificazione a 5 classi. Le VUS di classe 5 e di classe 4 hanno una probabilità di essere patogene di più del 95% e quindi le pazienti con queste classi di VUS vengono considerate mutate.

La dose raccomandata di olaparib è 400 mg (8 capsule) da assumere due volte al giorno, equivalenti a una dose giornaliera totale di 800 mg. Le pazienti devono iniziare il trattamento entro 8 settimane dall’assunzione dell’ultima dose del

regime terapeutico contenente platino. Il trattamento va proseguito fino a progressione o comparsa di tossicità al farmaco [79,80].

Un trial clinico di fase II (Studio19) ha valutato l’efficacia e la sicurezza dell’olaparib confrontato con placebo, in pazienti con carcinoma ovarico, sieroso di alto grado, recidivante, platino sensibile. Lo studio ha dimostrato che la terapia di mantenimento con olaparib aumentava significativamente la sopravvivenza libera da progressione rispetto al placebo nelle pazienti con carcinoma ovarico con mutazione del gene BRCA (HR=0,18; 95%CI=0.10-0.31, p<0.0001).

SOLO-2 è un trial randomizzato, in doppio cieco, multicentrico, di fase III, finalizzato a stabilire l'efficacia di olaparib come monoterapia di mantenimento rispetto al placebo, nelle pazienti con carcinoma ovarico recidivante o ricorrente platino-sensibile con mutazione gBRCA [BRCAm]. In questo studio la terapia di mantenimento con olaparib in compresse da 300 mg due volte al giorno oltre ad avere allungato la sopravvivenza libera da progressione, ha mostrato di preservare la qualità di vita delle pazienti con tumore ovarico platino-sensibile sieroso recidivante con mutazione germinale di BRCA.

Lo studio SOLO3 è uno studio randomizzato di fase III che ha lo scopo di comparare la terapia a base di olaparib versus una chemioterapia non a base di platino per le pazienti con carcinoma ovarico recidivante, platino sensibili o parzialmente platino sensibili che hanno ricevuto la precendete linea di chemioterapia a base di platino [80].

Niraparib è un potente inibitore selettivo di PARP1 e PARP2. Attualmente approvato solo dalla Food and Drug Administration (FDA). Uno studio di fase III, doppio cieco, controllato con placebo (NOVA) ha confrontato il Niraparib versus placebo in 553 pazienti con carcinoma ovarico, sieroso, di alto grado, recidivante, platino sensibile in risposta parziale o completa.

Le pazienti sono state divise in coorti a seconda dal loro stato di mutazione germinale BRCA. In entrambi i gruppi il braccio Niraparib ha mostrato una SLP significativamente migliore rispetto al placebo [80].

Il veliparib inibisce sia PARP1 and PARP2 e potenzia l’attività citotossica del temozolomide, del cisplatino, carboplatino, ciclofosfamide e della terapia radiante. In uno studio di fase II su 50 pazienti con carcinoma epiteliale ovarico recidivante, portatrici di mutazione BRCA l’OR [risposta obiettiva] era del 20% nelle pazienti platino resistenti e 35% in quelle platino sensibili [81].

2.12. Follow up

Al termine del programma terapeutico tutte le pazienti vengono sottoposte ad un attento follow-up che ha come obiettivi:

− identificare precocemente eventuali recidive − verificare lo stato di malattia

− valutare eventuali complicanze dei trattamenti

Il motivo per cui è fondamentale uno stretto follow-up post trattamento è che nonostante molte pazienti risultino clinicamente libere da malattia dopo la terapia di prima linea, la recidiva si verifica nell’80% dei casi al III e IV stadio e nel 20% al I e II stadio, il 90% delle quali avviene nei primi 2 anni. La ripresa di malattia si localizza prevalentemente a livello pelvico o addominale, interessando soprattutto la sierosa peritoneale; più rare sono le recidive a distanza. In un numero limitato di casi si può avere recidiva a livello dei linfonodi retroperitoneali. Il programma periodico di follow-up comprende:

- visita di controllo con esame della pelvi ogni 3 mesi per i primi due anni, ogni 4 mesi il terzo anno e ogni 6 mesi per i successivi due anni o fino alla

comparsa della recidiva;

- CA-125 ad ogni visita di controllo se inizialmente elevato, ma anche Ca19.9 e CEA nelle forme mucinose;

- TC addome/pelvi se clinicamente indicata;

- Rx torace ogni 6 mesi per i primi due anni e successivamente ogni anno. L’esame obiettivo retto-vaginale permette di identificare una recidiva in sede pelvica presente in più del 60% dei casi di ripresa di malattia.

Nelle pazienti con normalizzazione del CA-125 dopo chemioterapia, un suo aumento durante il follow-up è indicativo di comparsa di una recidiva con una sensibilità dell’86% ed una specificità del 91%. L’innalzamento del CA-125 anticipa di 4 mesi la recidiva sintomatica, ma nel 50% dei casi la recidiva non si accompagna ad un innalzamento del CA-125 rendendo più difficile la sua identificazione precoce.

Lo studio MRCOV05/EORTC ha arruolato 527 pazienti in remissione clinica e biochimica completa al termine del trattamento chemioterapico di prima linea, dividendole in due gruppi:

A) un gruppo veniva sottoposto a chemioterapia precocemente al momento della recidiva biochimica, cioè pazienti asintomatiche con esclusivo incremento del CA-125;

B) il secondo gruppo veniva trattato solo dopo un’evidenza clinica e strumentale di recidiva.

I risultati ottenuti hanno dimostrato che non c’erano vantaggi significativi in termini di sopravvivenza globale con il ritrattamento precoce; anzi determinava un peggioramento della qualità della vita delle pazienti.

Pertanto, ad oggi, il solo incremento dei livelli sierici del CA-125 non giustifica l’inizio di un’ulteriore linea terapeutica, ma può indicare la necessità di sottoporre

le pazienti a controlli più intensivi.

Il follow-up con il dosaggio del Ca-125 rimane comunque importante per selezionare le pazienti da sottoporre a indagini diagnostiche che potranno mettere in evidenza la malattia precocemente prima che ci siano manifestazioni cliniche come ascite od occlusione intestinale che peggiorano notevolmente la prognosi. Tra le indagini diagnostiche è importante sottolineare il ruolo della PET, nelle pazienti con aumento del Ca125 asintomatiche permette di evidenziare lesioni neoplastiche non visibili alla TC, avendo una sensibilità maggiore per quanto riguarda l’identificazione delle recidive e non essendo influenzata dall’istologia del tumore. La pelvi e l’addome sono più frequentemente coinvolti nella recidiva di malattia rispetto ai linfonodi retroperitoneali.

La TC e la RMN hanno una scarsa specificità e una sensibilità del 40-93%, nell’individuare le recidive. Le pazienti, durante il follow-up, vengono sottoposte a una TC addomino- pelvica ad intervalli annuali a meno che non ci sia sospetto clinico, sierologico o ecografico, di recidiva.

La PET con 18FDG, e la PET/TC, grazie alla loro elevata sensibilità per la diagnosi di recidiva di carcinoma ovarico, vengono utilizzate nelle pazienti con incremento del CA-125, asintomatiche, con lo scopo di identificare lesioni neoplastiche eventualmente non rilevate alla TC.

2.13. Prognosi

La prognosi del carcinoma ovarico è infausta a causa sia della diagnosi tardiva sia dell’aggressività intrinseca del tumore con una sopravvivenza globale che si attesta intorno al 38-40% a 5 anni, ma questa è secondaria a diversi fattori che influenzano la prognosi, quali:

-lo Stadio: secondo i dati dell’Annual Report n. 26, la sopravvivenza a cinque anni decresce progressivamente all’aumentare dello stadio, passando dal 90% nei casi di tumore confinato all’ovaio, al 15-20% degli stadi avanzati. In particolare è: IA 89.6%, IB 86.1%, IC 83.4%; IIA 70.7%, IIB 65.5%, IIC 71.4%; IIIA 46.7%, IIIB 41.5%, IIIC32.9%; IV 18.6%

-l’istologia: i tumori borderline hanno una prognosi eccellente con una sopravvivenza del 90% contro il 46% di quelli maligni. La prognosi migliore è dei tumori mucinosi mentre quella peggiore è dei tumori sierosi di alto grado, indifferenziati e a cellule chiare.

-il grado istologico: più alto è il grado e peggiore è la prognosi; la sopravvivenza a 5 anni delle pazienti con malattia in stadio I-II è del 90,3% per il G1, 79,9% per il G2 e 75% per il G3, con un rischio relativo di morte per il G3 doppio rispetto al G1.

-l’età: la prognosi peggiora all’aumentare dell’età. L’età non sembra un fattore prognostico indipendente, in quanto, le pazienti sopra i 65 anni si presentano più spesso con malattia in fase avanzata ed a causa della presenza di comorbidità, spesso vanno incontro ad una citoriduzione non ottimale.

-la malattia residua [MR] dopo la chirurgia: la sopravvivenza mediana delle donne citoridotte in maniera ottimale è di 45 mesi, quella di donne con citoriduzione subottimale (MR inferiore ad 1 cm) è di 32 mesi e quella di donne con malattia residua macroscopica (MR superiore ad 1 cm) è di 26 mesi, è raccomandato quindi

la metanalisi di Bristol del 2002 su oltre 6000 pazienti incluse gli studi clinici randomizzati su terapie di combinazione a base di platino ha dimostrato che ad ogni aumento del 10% delle citoriduzioni ottimali permette di aumentare del 5,5% la mediana di sopravvivenza, la sopravvivenza media per le donne citoridotte in maniera ottimale, rispetto a quella delle pazienti con citoriduzione subottimale (MR < 1cm) e alle pazienti con malattia residua macroscopica (MR > 1cm) è rispettivamente 45, 32 e 26 mesi

-i livelli sierici di CA-125: l’emivita del CA-125 dopo exeresi chirurgica è di 6 giorni, la persistenza di livelli elevati di Ca125 nei successivi 20 giorni dopo la chirurgia è considerata come fattore prognostico negativo. I risultati di molti studi conferiscono al CA-125 un’importanza prognostica, sottolineando che più bassa è la concentrazione del CA125 al nadir, o al termine del trattamento primario, e migliore è la prognosi della paziente, nonostante il valore del CA-125 ricada nel range di normalità. Per quanto riguarda i tempi di normalizzazione nelle pazienti che hanno una rapida riduzione del marcatore durante la terapia, è stato osservato un aumento del tempo libero da progressione.

-i livelli di VEGF: il VEGF rappresenta un fattore prognostico indipendente; alti livelli di VEGF identificano un sottogruppo di pazienti con prognosi peggiore ed a maggior rischio di recidiva. Questi dati sostengono l’impiego di farmaci VEGF inibitori per sopprimere la neo-angiogenesi tumorale.

-Mutazioni di BRCA: donne con carcinoma ovarico portatrici di mutazioni a carico dei geni BRCA, hanno una prognosi migliore delle donne con carcinoma ovarico non ereditario. Le prime, infatti, sono caratterizzate da una più alta percentuale di riposta alla terapia a base di platino, da un più lungo intervallo libero da malattia e da migliore sopravvivenza globale. Anche nei casi di carcinomi sporadici con mutazione BRCA si riscontrano questi vantaggi.