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1. Rime Amorose

1.6 Classicismo dinamico

I richiami petrarcheschi sono molti, nella ripresa di espressioni, epiteti, situazioni e strutture metrico-prosodiche: questo, a volte, crea un effetto straniante e il lettore è costretto a riconoscere una certa macchinosità poetica; il rischio è che si crei una lirica che «accarezza l’orecchio ma non desta risonanze interiori»93.

È ciò che avviene nel componimento LXXX, Aria chiara e serena, modellato ritmicamente su Chiare, fresche e dolci acque (Rvf, 126), ma inserito in una situazione differente. Nella canzone di Petrarca, come nel madrigale accettiano, la natura fa da protagonista; mentre però, nella prima viene sacralizzata dal ricordo di Laura che ne viene quasi avvolta e accolta, nel secondo risulta essere un semplice insieme di elementi grazie ai quali il poeta sembra poter per un attimo dimenticare «le cure acerbe e gravi / de la mia sorte nel mio mal costante». Forse lo stesso Accetto aveva percepito l’inconvenienza di riprodurre una “melodia” di petrarchesca memoria inserendola in un contesto e con risonanze interiori diversi: nell’edizione del ’38, infatti, pur essendo presente la poesia senza significativi cambiamenti, vi è una nuova didascalia che la introduce. Se nel ’21

91 Do12, IX, p. 36.

92 Amorose, 32.

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l’intento del poeta era quello di parlare «del luogo ov’era già stato in compagnia della sua donna», nella redazione finale scompare il riferimento diretto all’esperienza di Petrarca e Accetto si trova più vagamente «in luogo di molto piacere, che gli veniva interrotto dalla lontananza della sua donna».

Accetto sembra, in alcuni casi, voler entrare nel mondo dei Rerum vulgarium fragmenta e riprodurre i sentimenti petrarcheschi, non possedendo però i pieni strumenti per farlo. Nelle poesie in cui Accetto ricalca gli stilemi del Canzoniere si trovano richiami al mondo fantastico ed emotivo del Petrarca e dei suoi successori quattro e cinquecenteschi. Nella tradizione seguita all’opera dell’antico poeta uno dei cardini era lo sdoppiamento di piani per cui una condizione di malinconia e disperazione reale si capovolgeva mostrando il lato più dolce dell’evento.

Nel sonetto accettiano XVI, introdotto dalla didascalia Intese che la sua donna era venuta per ragionargli in parte ov’egli non essendosi trovato risponde a chi glielo disse in suo nome – didascalia che nell’edizione del ʼ38 si semplifica in Occasion perduta94 – compare questo tipo di andamento narrativo.

Vi troviamo il riconoscimento della corrispondenza d’amore da parte del femminile, che da crudele si fa «amante» ricercando la compagnia del poeta. Quest’ultimo, assente durante la visita, è disposto a baciare «l’orme de le amate piante» pur di assaporare la presenza dell’amata anche solo con l’immaginazione; d’altronde non si annulla il senso di perdita e malinconia che segna la lontananza della donna:

Messaggera gentil, tra questi carmi portate del mio duol l’imagin vera; dite che s’ella giunse ov’i’ non era,

piacque al ciel, per mia morte, altrove trarmi. 8

Fino all’ultima terzina in cui, pur avendo riconosciuto il gesto d’amore dell’amata non riesce a rallegrarsi completamente e dichiara che la sua anima è ancora «errante». Per Petrarca pochi saranno i segni positivi inviati da madonna nei suoi confronti95, ma aumenteranno dopo la morte dell’amata, la quale si rivelerà «meno altera»: nonostante ciò, il velo di tristezza e dolore rimane a tormentare il poeta, perché i «detti sì pietosi e

94 Amorose, 89.

95 Petrarca, Rvf, 63, vv. 1-4:

«Volgendo gli occhi al mio novo colore / che fa di morte rimembrar la gente, / pietà vi mosse; onde, benignamente / salutando, teneste in vita il core».

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casti»96 della defunta Laura non possono riportarla in terra. Non solo la situazione, ma le stesse parole o versi portanti della lirica XVI sono calco petrarchesco. Anche qui la donna è descritta come «fera» e luogo «ricetto» per le pene del poeta, come in Petrarca era «dolce»97 ed «eterno alto»98 ricetto; gli occhi che possono alleviare il dolore dell’amante sono «serene luci», come nell’antico poeta erano serene le «ciglia»99 femminili; infine, in entrambi, le orme lasciate sono quelle delle «amate piante»100.

È innegabile la dipendenza di Accetto dal Petrarca, che rimarrà sempre maestro e punto di riferimento a cui guardare per mantenere ordine e misura lirica, ma è d’altronde essenziale offrire una visione più ampia della scrittura poetica di quest’artista, che non si accontenta di una semplice imitazione dell’antico poeta.

In prima istanza, Accetto non è – perché non si pensava – poeta esclusivamente d’amore, né la sua ricerca sfocia in un perenne stato di insoddisfazione amorosa. Ciò che lo rende originale e lo differenzia da altri seguaci di Petrarca, è la capacità di rielaborare, di filtrare la tradizione attraverso la propria sensibilità: questo rende le poesie, soprattutto nelle edizioni successive alla prima, non semplici esercizi letterari e d’imitazione, ma produzioni nate dal desiderio di portare in campo poetico un proprio personale contributo, affinché la sua voce potesse «lasciar qualche nobil segno»101.

La personalità di Accetto, «ricca di fervore interiore, non può restar chiusa negli schemi di una sensibilità umana ed artistica raffinata, ma limitata»102: le situazioni proposte dal Canzoniere sono punto di partenza per un loro ripensamento in chiave più realistica e concreta; spesso lessemi e versi sono ripresi da una prospettiva diversa, acquistando così sonorità ed echi differenti rispetto al contesto da cui erano tratti.

Se è innegabile che Accetto si colloca nel solco della tradizione, il suo classicismo non manca di dinamismo, secondo un’acuta definizione di Quondam, sintomo di una condizione di «fluidità nella ricerca poetica»103 che è disposta ad aprirsi a nuove esperienze.

Diversi sono i segni che testimoniano questa mobilità, tra cui la disposizione dei sonetti che trattano degli attributi femminili e della loro bellezza: occhi, bocca, mano, capelli,

96 Petrarca, Rvf, 302.

97 Ib., 281, v. 1.

98 Ib., 285, v. 6.

99 Ib., 160, v. 5; cfr. anche Ib., 200, v. 9; 37, v. 83; 71, v. 50.

100 Ib., 204, v. 8.

101 T. Accetto, L’autore a chi legge, in Rime, 1621.

102 M. Scotti, La lirica di T. A., p. 358.

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petto, nei. È in particolare la sezione amorosa dell’edizione del ’38 ad essere permeata di questo tipo di liriche, a volte riunite in corone, altre poste come intercalari tra poesie di diverso argomento, come fossero pause create appositamente per lasciar spazio alla contemplazione della bellezza nei suoi dettagli.