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1. Rime Amorose

1.12 Luna

Come altri elementi naturali, anche la luna diviene protagonista di alcune poesie, e sarà una presenza costante in tutte e tre le edizioni. Spesso si accompagna ad uno stato interiore di riflessione, di meditazione e a volte diventa per il poeta motivo di immaginario incontro con l’amata, date le somiglianze tra lei e l’astro (l’incarnato pallido, la freddezza, la luminosità).

Due sono i componimenti in cui il poeta si rivolge direttamente alla luna, il sonetto 83 (XIII) e il madrigale 140: in entrambi l’astro è spettatore indifferente del dolore provato

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dall’amante, che si sfoga, non potendo più trattenere la sofferenza d’amore. Accetto aveva dedicato il sonetto 74 alla notte, celebrandola per la sua capacità di celare i sentimenti e per la possibilità data all’uomo, durante il suo corso, di allontanarsi dal «vulgo infido»; la sua «ombra gentil» è tempo di riposo e silenzio, tempo favorevole per chi ama178. Cambia la prospettiva in 83, dove la luminosità della luna rende la notte meno oscura: questo non gioverebbe agli amanti che vorrebbero errare su «vie gradite e solitarie»179, senza essere notati, eppure la speranza è ormai così scemata che nemmeno la paura d’essere visti sussiste. Anzi, si chiede che la luminosità aumenti e che rischiari totalmente lo status del poeta: forse, vedendo la disperazione incombente potrebbe nascere pietà nei suoi confronti. Eppure anche la luna, come la donna, è «incostante»: l’amante le rivela, “scopre” il suo dolore, ma impassibili rimangono entrambe, la «fredda» e bella luna come l’amata, che per queste caratteristiche le somiglia.

Cinzia, ne’ lumi tuoi felice amante dogliasi perché neghi il passo oscuro; i’ di speranza privo or più non curo

ch’altri vegga le vie del piede errante. 4 Per me raddoppia le tue luci, e tante

mie fiere doglie il tuo sereno e puro viso più scopra e del mio stato duro

prendi ferma pietà, stella incostante. 8 Sotto il tuo chiaro e luminoso argento

non è dolor tra’ miseri mortali

che debba somigliarsi al mio tormento. 11 A te narrando gl’infiniti mali

par che madonna ascolti il mio lamento

poich’è sì fredda ed ha bellezze eguali. 14

Il poeta si rivolge alla luna, ma nel suo cuore è con la donna amata che sta dialogando. È a lei che è disposto a mostrare le «fiere doglie», perché è in lei che spera di poter suscitare «ferma pietà», nonostante fino ad allora sia rimasta indifferente. Ma proprio la sua incostanza femminile potrebbe farle cambiare idea: in fondo la speranza che il suo lamento mitighi la freddezza dell’amata è ancora viva.

178 Amorose, 74, vv. 9-12:

«O dolce speme degli accesi amanti, / ombra gentil, che per soave aita / sol di riposo col tacer ti vanti, /

vieni deh vieni».

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Sembra cambiare la situazione nel madrigale 140, dato che la luna subito viene descritta come «pietosa» e attenta ai lamenti degli «infelici amanti»; eppure rimane pur sempre una «spettatrice»: non può esserci consolazione in lei, empatia, conforto. Può solo essere immagine della donna o entità con cui sfogarsi.

Interessanti in questa poesia i richiami letterari, che Nigro mette in luce nell’introduzione all’edizione delle Rime amorose180. Sono, in particolare, i primi versi ad essere testimonianza delle letture e del bagaglio culturale accettiano:

O degli affanni miei spettatrice pietosa,

vaga compagna de la notte ombrosa.

Se l’aggettivo «ombroso» era di derivazione petrarchesca (nel Canzoniere si trovava accostato ad elementi naturali come colli, boschi, selve181), il riferirlo alla notte è operazione che si deve al Casa: «O sonno, o de la queta, umida, ombrosa / notte»182; per essere più precisi, però, dobbiamo volgere lo sguardo anche al Marino, e in particolare alla lirica amorosa 32, in cui compare il sintagma «notte ombrosa» a fine verso – e non in enjambement – e in rima con «pietosa», proprio come in Accetto183. Riprese di questo tipo si scorgono in tutta la raccolta, a testimonianza del fatto che il nostro poeta non è avulso dal contesto in cui vive e dalle novità poetiche – come pensa Muscetta184 – e si dimostra essere un attento equilibrista che da una parte non manca di misura e dall’altra non rifiuta note barocche. Testimonianza di questo aspetto ambivalente sono alcune parole, vicine al gusto secentesco, che il poeta usa senza mai perdere quella ponderatezza che lo caratterizza, in equilibrio tra classicismo e novità, molte trovate in poesia già citate: “cadavero”, “estinto”, “cenere”, “incenerire”.

Un’espressione particolarmente cara ad Accetto è “ond’arsi e ardo”, usata in riferimento all’incendio che divampa nel cuore dell’amante; in questa forma il sintagma ha sicuramente subito l’influenza dell’incipit mariniano «I’ arsi ed ardo», che avvia una delle

180 S. S. Nigro, Lezione sull’ombra, p. XIX.

181 Cfr. Petrarca, Rvf, 129, v. 5: «ombrosa valle»; 176, v. 13: «ombrosa selva»; 194, v. 2: «ombroso bosco».

182 G. Della Casa, Rime, a cura di R. Fedi, Roma, 1978, 54, vv. 1-2.

183 G. Marino, Sogno, in La lira, III (Amori), 45, vv. 1-4: «Vien la mia Donna in su la notte ombrosa /

qual suole apunto il mio pensier formarla / e qual col rozzo stil tento ritrarla, / ma qual mai non la vidi a me pietosa».

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prime poesie contenute nella Lira: Promette alla sua donna perpetuo amore185. Anche Marino, d’altra parte, mutua l’incipit da quello, più ristretto e incisivo, del Bembo: «Arsi, Bernardo, in foco chiaro e lento»186, ripreso anche dal Casa187 e dal Tasso188. Accetto utilizzerà la coppia verbale come chiusa di verso, prendendo esempio da Della Casa, che, però, aveva usato il verbo singolo: «raffredda, Signor mio, quel foco ond’arsi»189. Ripercorrendo le liriche accettiane dedicate alla luna, troviamo il sintagma nella poesia amorosa 15, La sua donna mirava la luna ed egli in lei e nella luna. Qui l’astro non è più oggetto di sfogo delle pene del poeta, ma diventa termine di paragone esplicito con l’amata. La donna, come già nel sonetto 6 e come nuovamente nel 48190, si rivela «pensosa», mentre il poeta la osserva rivolgere lo sguardo «a l’argentata luna» ed è colei «ond’i’ nel cor sempr’arsi e ardo», specifica l’amante. Entrambe sono così luminose e candide che sembrano essere un’unica entità, apparenza che si rivelerà un «error», perché la donna non è solo stella o luna, ma è molto di più, è sole.

Ancora, la coppia compare in 69, dove viene usata per connotare il volto dell’amata: è questo, con le sue dolci o dure espressioni che fa innamorare o soffrire; in 109, a conclusione del sonetto, indica nuovamente il cuore bruciante dell’amante; nella prima edizione la si trova nel sonetto CXLI, poesia in morte della sua donna, nel penultimo verso: «che la cara memoria, ond’arsi ed ardo / servo mi lascia al tuo regno [di Amore] infelice» in cui serve a sottolineare come, nonostante la morte, lui continui a ricordare l’amata e a provare amore per lei.

In altre due occasioni il verbo “ardere” al presente, prima persona singolare, viene accostato non al suo tempo passato, ma a «languisco», altro termine molto frequentato in poesia: nel sonetto 75 il poeta vede lo «strale» che dagli occhi dell’amata saetta verso il suo cuore, luogo «ov’io languisco ed ardo», situazione che si ripete anche in 82 in cui il petto è «acceso» dalle fiamme d’amore che non sempre sono negative, ma possono portare anche uno stato di dolcezza e languore:

Così le fiamme, in cui languisco ed ardo, mi son più care, e ʼl petto acceso vuole

sentir più spesso il forte aurato dardo. 14

185 G. B. Marino, La Lira, I (Rime amorose), 4, v. 1.

186 P. Bembo, Rime, 114.

187 G. Della Casa, Rime, 32, v. 1: «Arsi …»; cfr. T. Accetto, Amorose, 63, v. 1: «Ardo, …»

188 T. Tasso, Rime, 107: «Arsi gran tempo»; 191: «Arsi mentre m’amaste».

189 G. Della Casa, Rime, 70, v. 12.

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