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CLAUSOLA TACITA DI PRESUPPOSIZIONE

ALTRE SENTENZE DA STUDIARE

17) CLAUSOLA TACITA DI PRESUPPOSIZIONE

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17) CLAUSOLA TACITA DI PRESUPPOSIZIONE.

Cassazione civile, sez. I, 05/03/2018, n. 5112

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Vignale Immobiliare srl (società controllata da Unicoop Tirreno S.C.), proprietaria di un'area e dei sovrastanti edifici (corrispondenti a quelli dell'ex (OMISSIS)) posti nella località (OMISSIS), otteneva il nulla osta della Regione per la realizzazione di un centro commerciale al dettaglio e predisponeva il recupero dell'area in conformità della convenzione urbanistica negoziata (nel 2000) con il Comune, ricevendo le due concessioni edilizie per la realizzazione degli edifici e delle opere di urbanizzazione.

1.1. A seguito dell'adozione (nel corso degli anni 2004-6) del cd. Piano strutturale del Comune, in base al quale (art. 97) l'area dell'ex (OMISSIS) veniva destinata esclusivamente ad attività artigianali e di commercio all'ingrosso, pareva utile alla società proprietaria di dover aderire alla proposta del Comune di delocalizzare l'iniziativa edilizio-imprenditoriale già assentita (sia in sede edilizia, con il rilascio dei relativi permessi, che in sede commerciale, con l'autorizzazione regionale) nel diverso luogo in cui ne sarebbe stata possibile la realizzazione, alla luce della variante urbanistica approvata:

la cd. area del (OMISSIS), posta a nord della città.

1.2. In tale mutamento del quadro urbanistico la società, proprietaria dell'area sita nella località (OMISSIS), ricercava e trovava (nel 2007) un accordo - prima attraverso un preliminare e poi con un contratto definitivo - con tali sigg. R.R. ed altri partecipanti la società PIS srl con i quali - in considerazione dell'approvazione della cd. Variante anticipatrice delle modifiche urbanistiche menzionate - la società proprietaria di un'area nel luogo individuato dal Piano per i nuovi insediamenti commerciali al dettaglio (il cd. (OMISSIS)) cedeva la stessa, mercè la cessione delle quote sociali di controllo della società proprietaria, alla società Ponte del sale srl (a sua volta controllata, al pari di Vignale Immobiliare, da Unicoop) contro la cessione dell'area e dei fabbricati posti nella cd. ex (OMISSIS) ad altro veicolo societario, successivamente individuato nella Barghi srl.

1.3. In corrispondenza di tale accordo inter partes (definitivamente concluso il 29 novembre 2007, mediante la cessione delle quote di PIS srl contro la cessione dell'area dell'ex Fornace), Vignale (il 27 novembre 2007) comunicava al Comune di Grosseto la propria volontà di non costruire il centro commerciale nell'area in cui questo era stato originariamente previsto e di volerlo realizzare lì dove

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era stata stabilita la nuova localizzazione commerciale, chiedendo la restituzione degli oneri di urbanizzazione e degli accessori. Veniva, altresì, pattuito tra le parti anche un regolamento relativo alla cessione del credito vantato da Vignale nei confronti dell'Amministrazione comunale, relativo alla restituzione degli oneri di urbanizzazione (ed accessori) già corrisposti dalla venditrice.

1.4. Unicoop SC, successivamente incorporava le società Vignale e Ponte del Sale, divenendo l'unica titolare dei diritti negoziati con il gruppo acquirente dell'area ex Fornace (e cedente le quote della società proprietaria dell'area (OMISSIS)).

2. Nella primavera del 2009, Vignale veniva a conoscenza sia del fatto che Barghi si era attivata con successo per intestarsi le concessioni edilizie a suo tempo ottenute dalla dante causa e sia che l'acquirente aveva completato i lavori già a suo tempo iniziati dalla venditrice, realizzando un centro commerciale per la vendita al dettaglio proprio nell'area dell'ex (OMISSIS), ipotesi la cui esclusione sarebbe stata alla base dell'accordo concluso tra i due gruppi societari.

3.Sulla base dei fatti così come appena riepilogati in sintesi, la Unicoop Tirreno chiedeva al Tribunale di Grosseto, con ricorso ex art. 702-bis c.p.c., di risolvere il contratto intercorso tra la propria incorporata Vignale e Barghi (sulla base delle seguenti cause petendi: inadempimento contrattuale, inadempimento per presupposizione) o il suo annullamento, per errore essenziale.

3.1. Il Tribunale respingeva le domande, compensando le spese del giudizio.

4. Sull'impugnazione principale di Unicoop e quella incidentale di Barghi, la Corte d'appello di Firenze ha respinto l'appello principale ed accolto parzialmente l'incidentale, condannando la parte soccombente al pagamento delle spese di entrambi i gradi di merito.

4.1. Secondo la Corte territoriale, per quello che ancora interessa in questa sede, non sussistevano le ipotesi rimediali avanzate da Unicoop: a) la risoluzione per presupposizione, in quanto la sopravvenuta modificazione della condizione urbanistica del bene era irrilevante ai fini dell'edificazione di una struttura commerciale al dettaglio, conseguibile legittimamente, secondo quanto disposto dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 15, non già in ragione di uno scorretto comportamento del Comune ma sulla base del completamento delle opere nel termine di legge, consentendolo il menzionato dispositivo purchè i lavori fossero stati già intrapresi prima della Variante e completati nel termine triennale; b) l'annullabilità del contratto per errore sulla condizione urbanistica dell'area e sulla qualità del bene, ai sensi dell'art. 1429 c.c., n. 2, potendo, al più, ricorrere un'errata previsione del comportamento tenuto dal Comune di Grosseto; c) la risoluzione del contratto per inadempimento della compratrice, in ordine all'obbligo "di non utilizzare il bene acquistato destinandolo a centro commerciale", per l'inesistenza di una clausola contrattuale che consentisse di affermare un tale

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vincolo all'attività della cessionaria dell'area suscettiva di impianti per attività economiche.

4.1.1. Con particolare riferimento a quest'ultima ipotesi, infatti, nella prevalenza del tenore testuale del contratto definitivo (rispetto al preliminare), oltre a mancare una esplicita previsione di tale obbligazione, la ricerca di una comune intenzione delle parti tendente ad affermare quello del compratore di non utilizzazione l'area venduta ai fini della realizzazione di una struttura per il commercio al dettaglio - non risulterebbe ricavabile nè dalle previsioni di cessione di quel credito relativo al rimborso degli oneri di urbanizzazione, non avente quell'ipotizzato contenuto ulteriore, e nè dalle premesse poste in capo al contratto, invero relative alle descrizioni urbanistiche necessarie all'esatta individuazione del bene e delle sue qualità.

4.2. Nè sarebbe ipotizzabile una nullità contrattuale per difetto di causa, atteso che il comportamento tenuto dalla società acquirente costituirebbe solo una riserva mentale, non un elemento della causa contrattuale di compravendita.

5. Quanto alle spese processuali, la Corte ha disposto l'accoglimento dell'appello incidentale della società Borghi, atteso che la questione esaminata, per quanto complessa, non prestava il fianco ad elementi di dubbio o a significative incertezze in ordine alla decisione sicchè, non ricorrendo le gravi ed eccezionali ragioni di cui all'art. 92 c.p.c., comma 2, esse dovevano essere poste a carico della attrice ed appellante soccombente.

6.Avverso tale decisione, ha proposto ricorso per cassazione Unicoop, affidato a sette motivi di censura, illustrati anche con memoria, contro cui ha resistito Borghi, con controricorso e memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso (Falsa applicazione degli artt. 1362,1363 e 1366 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che i richiami alle condizioni urbanistiche del bene venduto non paleserebbero l'esistenza di una volontà contrattuale tesa ad impedirne la destinazione commerciale.

1.1.In particolare, richiamando vari stralci testuali degli atti inter partes, la ricorrente censura la loro non corretta interpretazione, emergendo dalla loro lettura il chiaro intento sottostante, consistente nell'assunzione - da parte della cessionaria - di un obbligo di non destinare il bene trasferito ad un'utilizzazione commerciale (al dettaglio).

1.2. Ma, secondo la ricorrente, errore ancor più grave sarebbe conseguito dal non corretto uso dei criteri ermeneutici offerti dalle disposizioni, in epigrafe richiamate, in quanto le stesse imporrebbero una considerazione unitaria di tutti tali criteri, a cominciare da quello del comportamento tenuto dalle

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parti anche dopo la conclusione del contratto oltre che dal principio di buona fede, alla luce dei quali soltanto si potrebbe individuare la causa concreta del negozio.

2.Con il secondo (Falsa applicazione degli artt. 1362,1363 e 1369 c.c., nonchè T.U. n. 380 del 2001, artt. 16,11 e 15 (art. 360 c.p.c., n. 3); omesso esame di un fatto decisivo sotto il profilo della motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (art. 360 c.p.c., n. 5) la ricorrente si duole della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto irrilevante, ai fini dell'accertamento dell'esistenza di una volontà contrattuale tesa ad impedirne la destinazione commerciale dell'area compravenduta, la cessione del credito vantato dalla venditrice (Vignale, poi Unicoop) nei riguardi del Comune, per il rimborso degli oneri di urbanizzazione e degli accessori, relativi alle concessioni edilizie per la costruzione del supermercato nell'area dell'ex Fornace, alla acquirente Borghi.

2.1. Infatti, la richiesta di rimborso di tali oneri, ai sensi dell'art. 16 del TU di cui al D.P.R. n. 380 del 2001 - secondo la prospettazione della società che impugna - poteva avere solo tre significati, costituendo o una rinuncia ai titoli autorizzatori, o integrando una decadenza dagli stessi o certificando il loro mancato utilizzo. Il rimborso, più probabilmente, avrebbe evidenziato una rinuncia alle concessioni edilizie e perciò una volontà di escludere la loro voltura da parte dell'acquirente dell'area, il quale avrebbe potuto soltanto realizzare un complesso edilizio destinato, secondo le nuove previsioni di piano, alle "attività artigianali e di commercio all'ingrosso", con la corresponsione anche dei minori oneri richiesti in tali ipotesi. Così che la condotta tenuta da Barghi costituiva un palese inadempimento rispetto agli impegni assunti con il contratto in esame.

2.2. Quand'anche Barghi avesse avuto la legittima possibilità di chiedere ed ottenere la voltura delle concessioni dal Comune di Grosseto, non per questo - nei rapporti con la sua dante causa (Vignale e, poi, Unicoop) - sarebbe stata legittimata a tenere la condotta effettivamente osservata.

3.Con il terzo motivo (Falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1366 e 1369 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3);

omesso esame di un fatto decisivo sotto il profilo della contraddittorietà (art. 360 c.p.c., n. 5) la ricorrente censura altresì la sentenza impugnata nella parte in cui ha negato l'esistenza di una volontà contrattuale tesa ad impedire la destinazione commerciale dell'area compravenduta, nonostante che essa risultava dal tenore testuale dell'atto nonchè dal comportamento tenuto dalle parti prima e dopo la stipula.

3.1. Prima della stipula, tra l'altro, con: a) le pattuizioni del contratto preliminare; b) l'attesa dell'approvazione della variante speciale (i cui contenuti sarebbero stati compendiati nel certificato di destinazione urbanistica allegato al contratto definitivo); c) la richiesta di rimborso degli oneri di urbanizzazione versati per l'ottenimento delle due concessioni edilizie.

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4. Con il quarto (Falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1366 e 1369 c.c. e T.U. Edilizian. 380 del 2001, artt. 15 e 11 (art. 360 c.p.c., n. 3) si lamenta il disconoscimento della richiesta risoluzione dei pacta per presupposizione, in considerazione del fatto che il contratto che li conteneva avrebbe considerato come sottinteso presupposto oggettivo della contrattazione proprio l'inedificabilità nell'area ceduta di un centro commerciale al minuto.

5. Con il quinto motivo (Falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1366 e 1369 c.c. e art. 112 c.p.c.

(art. 360 c.p.c., n. 3) la società lamenta il disconoscimento della nullità del contratto, attività rilevabile d'ufficio, per la mancanza di una causa negoziale, quand'anche la doglianza non fosse stata proposta espressamente dalla parte.

6. Con il sesto (Falsa applicazione dell'art. 1429 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) si lamenta il mancato accoglimento della domanda di annullamento del contratto perchè il consenso di Unicoop sarebbe stato viziato da un errore - essenziale - consistito nel non ritenere realizzabile l'edificazione, in forza delle concessioni già rilasciate, in quanto la rinuncia della venditrice ai titoli edilizi avrebbe reso impossibile per l'acquirente farne uso, sicchè il bene venduto era stato erroneamente inteso come avente caratteristiche diverse da quelle poi rivelatesi tali (errore sull'edificabilità di un terreno ai fini della realizzazione di un edificio utile al commercio al dettaglio).

7. Con il sesto (Falsa applicazione dell'art. 92 c.p.c., comma 2 (art. 360 c.p.c., n. 3) la società di duole dell'accoglimento dell'appello incidentale, proposto dalla Barghi, in ordine alla regolazione delle spese dei due gradi di merito, nonostante il carattere eccezionalmente complesso delle questioni trattate, come si evincerebbe anche dall'ampia motivazione posta a base delle due decisioni.

8. Va premesso che, pressochè tutto il tenore del ricorso per cassazione della società venditrice, è sostanzialmente incentrato sulla critica alla sentenza impugnata per un mancato riscontro - da parte dei giudici di merito - della affermata comune volontà contrattuale degli stipulanti, tesa - pur nella riconosciuta assenza di una specifica clausola - ad impedire la realizzazione, nell'area ceduta con il contratto esaminato (la cd. ex (OMISSIS) in contrada (OMISSIS)), di un edificio a destinazione commerciale, atteso che il pactum - diversamente da quanto affermato dai giudici di merito risulterebbe desumibile sia dal tenore testuale dell'accordo negoziale e sia dal comportamento, tenuto dalle parti prima e dopo la stipula, valutato secondo il principio di buona fede.

8.1. La misconosciuta previsione dell'obbligo comportamentale oggetto di discussione non riguarderebbe i rapporti delle parti con il Comune di Grosseto, che risulta terzo estraneo all'accordo, ma quelli stabiliti tra i contraenti in ragione delle scelte imprenditoriali calcolate ed adottate da ciascuna parte, anche se di esse non è fatta alcuna espressa menzione nel tenore testuale della

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convenzione.

9. Tanto premesso, il primo ed il terzo motivo di ricorso, tra loro strettamente connessi, possono esser esaminati congiuntamente e respinti in quanto invocano - attraverso il richiamo ai principi ermeneutici fissati dalle richiamate previsioni codicistiche - il riesame dell'interpretazione fornita dai giudici di merito (quelli di appello, in conformità a quella del giudice di primo grado) e non condivisa dalla ricorrente.

9.1. Orbene, a nulla vale invocare il criterio interpretativo costituito dal comportamento tenuto dalle parti, prima e dopo l'accordo, se la stessa ricorrente - a p. 52 del proprio ricorso - riconosce che l'acquirente poteva legittimamente chiedere la voltura delle concessioni e realizzare esattamente quello che, di contro, la venditrice aveva ritenuto di non poter o di non voler fare.

9.2. A ragione il giudice di merito ha, al riguardo, lamentato che nell'assenza di una apposita previsione testuale (circa quella supposta clausola comportamentale vincolante la società acquirente alla edificazione di edifici utilizzabili solo per attività commerciali non al dettaglio) - si potesse regolare la coesistenza, nello stesso mercato locale della vendita al pubblico retail, attraverso grandi strutture commerciali, delle due società, tra di loro potenzialmente concorrenti, ricavando quella supposta disciplina dalla ricostruzione della comune intenzione delle parti, non esplicitata, ma (in ipotesi) solo implicitamente enucleabile dalle non determinanti od univoche premesse al contratto di cessione immobiliare nonchè da alcune disposizioni affatto particolari (quale il rimborso del credito da opere di urbanizzazione), eccentriche rispetto al cuore di quel pactum (la regolazione del trasferimento di beni immobili) ovvero dal non chiaro comportamento delle parti.

9.3. In tale tipo di ambito contrattuale, deve darsi continuità al principio di diritto enunciato da questa Corte (Sez. 2, Sentenze n. 14444 del 2006 e n. 2216 del 2004) e secondo cui "nei contratti per i quali è prevista la forma scritta "ad substantiam", la ricerca della comune intenzione delle parti, utilizzabile ove il senso letterale delle parole presenti un margine di equivocità, deve essere compiuta, con riferimento agli elementi essenziali del contratto, soltanto attingendo alle manifestazioni di volontà contenute nel testo scritto, mentre non è consentito valutare il comportamento complessivo delle parti, anche successivo alla stipulazione del contratto, in quanto non può spiegare rilevanza la formazione del consenso ove non sia stata incorporata nel documento scritto".

10. Il secondo mezzo è del pari infondato.

10.1. Con esso s'intende conseguire, più specificamente di quanto non sia riuscito con il primo ed il terzo, lo stesso esito ermeneutico, attraverso l'esame di una specifica clausola (quella di cessione, all'acquirente dell'area edificando, di quel credito da rimborso, maturato verso il Comune, per le

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concessioni edilizie ottenute - dalla venditrice - sull'area compravenduta, nell'ipotesi di rinuncia all'edificazione ovvero di edificazione diretta ad un diverso tipo di utilizzazione commerciale), che si assume mal fatto dai giudici di merito, anche in rapporto all'art. 16 del TU di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, secondo la prevalente interpretazione della giurisprudenza amministrativa.

10.2. Ma, come si è già ricordato, se è la stessa parte ricorrente a riconoscere - a p. 52 del proprio ricorso - che l'acquirente poteva legittimamente chiedere (salvo a violare il presunto accordo inter partes, desumibile in via interpretativa) la voltura delle concessioni e realizzare esattamente quello che la venditrice aveva ritenuto di non poter o di non voler fare, con ciò rinunciando ad ottenere il rimborso di quel credito da rinuncia totale all'edificazione o parziale (in quanto diversamente finalizzata), non si vede come la pattuizione possa avere rilievo esterno, corrispondendo ad una mera facoltà della cessionaria, non ad un suo obbligo, rispetto alle concessioni già rilasciate dal Comune alla società cedente l'area (ed i titoli edilizi).

10.3. Non è ravvisabile, perciò, nei fatti denunciati, alcuna violazione del TU del 2001 ed, in particolare, dell'art. 16 (sulla disciplina degli oneri) da parte dell'acquirente e cessionario del credito verso il Comune, posizione attiva della quale la parte ha poi inteso non avvalersi, preferendo chiedere la voltura dei permessi edificatori in relazione ai quali erano già state corrisposte le somme per gli oneri di legge.

11. Neppure ha pregio il quarto mezzo, con il quale si chiede una revisione del giudizio negativo sulla domanda di risoluzione contrattuale, per il mancato corretto apprezzamento, da parte dei giudici di merito, dell'esistente presupposizione, in considerazione di una doppia sequenza di violazioni di legge (una, costituita dalle norme codicistiche sull'interpretazione dei contratti e, l'altra, in ragione della violazione delle regole del TU sull'edilizia del 2001).

11.1. Il riferimento ai richiamati criteri ermeneutici codicistici, però, nasconde una inammissibile richiesta di riesame del merito delle valutazioni compiute dal giudice di esso e, quello relativo all'inosservanza delle regole in materia di edilizia, intende impropriamente coinvolgere una supposta violazione normativa che attiene ai rapporti contrattuali privati, dai quali emerge - invece - la comune consapevolezza delle parti di una disciplina transitoria relativa all'area ceduta, il cui completamento edificatorio per finalità commerciali retail (d'ora in avanti non più consentita) era ancora possibile come ha voluto una parte (l'acquirente), che ha inteso pienamente sfruttarlo, essendole consentito, contrariamente all'altra (la venditrice) che non ha voluto proseguirlo (pur potendolo fare).

11.2. Infatti per configurare la fattispecie della cd. "presupposizione" (o condizione inespressa) è necessario che dal contenuto del contratto si evinca l'esistenza di una situazione di fatto, non

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espressamente enunciata in sede di stipulazione, ma considerata quale presupposto imprescindibile della volontà negoziale, il cui successivo verificarsi o venir meno dipenda da circostanze non imputabili alle parti. (Nell'affermare questo principio la S.C. ha riconosciuto la legittimità del recesso di un ente pubblico territoriale dal contratto di locazione di un immobile destinato a scuola, affermando che la durata del rapporto negoziale fosse implicitamente condizionata alla mancata ultimazione della costruzione di un nuovo edificio, da adibire a sede dell'istituto scolastico)(cfr. Cass.

civ., Sez. 3, n. 20620 del 2016).

11.3. Il giudice di merito, pertanto, non ha fatto malgoverno del principio, avendo escluso la ricorrenza di quella situazione di fatto, non espressamente enunciata in sede di stipulazione, ma considerata quale presupposto imprescindibile della volontà negoziale, il cui successivo verificarsi o venir meno era, al contrario di quanto ipotizzato dal ricorrente, dipeso proprio da circostanze

"imputabili" alle parti.

12. Tali considerazioni valgono, mutatis mutandis, anche per la non ravvisata nullità del contratto per difetto di causa, avendo la Corte territoriale - come si è già detto - escluso che la pretesa limitazione dell'uso urbanistico del bene fosse elemento che rientrava nella causa del negozio.

13. Anche il sesto mezzo è infondato.

13.1. Il giudice distrettuale, infatti, ha già escluso l'esistenza di tale errore e il ricorso, con il mezzo in esame, chiede a questa Corte un riesame di tale valutazione sotto le spoglie di una inesistente violazione di legge.

13.2. Si è già detto, infatti, che è stata la stessa parte ricorrente a riconoscere - a p. 52 del ricorso - che l'acquirente poteva legittimamente chiedere (salvo a violare il presunto accordo inter partes, desumibile in via interpretativa) la voltura delle concessioni e realizzare esattamente quello che la venditrice aveva ritenuto di non poter o di non voler fare.

13.3. Con tale mezzo la ricorrente chiede ora alla Corte di considerare come rilevante un error iuris, dovuto all'ignoranza della previsione di cui all'art. 15, comma 4, del TU di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, nella parte in cui afferma che "il permesso decade con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio".

13.4. Ma, in realtà, come questa Corte (Cass. civ., Sez. 2, n. 15991 del 2013) ha già avuto modo di affermare, in un caso che può considerarsi analogo a quello qui in esame, tale prospettiva è erronea in quanto "la falsa rappresentazione della realtà circa la natura (agricola o edificatoria) di un terreno,

13.4. Ma, in realtà, come questa Corte (Cass. civ., Sez. 2, n. 15991 del 2013) ha già avuto modo di affermare, in un caso che può considerarsi analogo a quello qui in esame, tale prospettiva è erronea in quanto "la falsa rappresentazione della realtà circa la natura (agricola o edificatoria) di un terreno,