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TRACCE E PARERI DI DIRITTO CIVILE I (Con traccia per l esercitazione)

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TRACCE E PARERI DI DIRITTO CIVILE

I

(Con traccia per l’esercitazione)

CORSO INTENSIVO AVVOCATO 2018 a cura dell’avv. Giulio Forleo

www.jurisschool.it

www.ildirittopenale.blogspot.com

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INDICE

Premessa...3

Traccia: Contratto preliminare ed erogazione del mutuo: natura della condizione...4

Soluzione Traccia 1...5

Traccia: Deposito ex art. 1210 e accettazione tacita del deposito...12

Soluzione Traccia 2...13

Traccia: Impossibilità sopravvenuta della prestazione...18

Soluzione Traccia 3...19

Traccia: Cessione del credito e cessione del contratto...24

Soluzione Traccia 4...25

Traccia: Ordine o divieto dell’autorità amministrativa ed impossibilità sopravvenuta...31

Soluzione Traccia 5...32

Traccia: Annullabilità del contratto per errore...37

Soluzione Traccia 6...38

Traccia: Dolo omissivo e silenzio...45

Soluzione Traccia 7...46

Traccia: Rapporti tra contratto preliminare e contratto definitivo...50

Soluzione Traccia 8...51

Traccia: Clausola risolutiva espressa e prescrizione...58

Soluzione Traccia 9...59

Traccia: Interesse alla risoluzione del contratto per inadempimento...64

Soluzione Traccia 10...65

Traccia: Immissione anticipata e termini per contestazione vizi...69

Soluzione Traccia 11...70

Altre sentenze da studiare...77

Massime rilevanti cassazione 2018...121

Traccia per l’esercitazione...139

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Premessa Gentili ragazze/i,

con questa prima dispensa del modulo di civile tratteremo alcuni istituti generali della disciplina delle obbligazioni e dei contratti.

Nello specifico, è stata data molta importanza agli istituti del contratto preliminare, dell’impossibilità sopravvenuta, della cessione del credito.

Data la vastità delle questioni decise dalla Cassazione sugli argomenti oggetto della presente dispensa, oltre alle tracce e alle relative sentenze risolutive, nella parte finale troverete una raccolta di sentenze e massime da studiare.

Lo studio della singola massima non dovrà limitarsi alla questione approfondita dalla Cassazione, ma dovrà essere per voi punto di partenza per il ripasso degli istituti ivi richiamati.

Allo stesso modo dovrete condurre lo studio delle sentenze fornitevi per esteso che, oltre, all’argomento centrale, affrontano tante altre problematiche di diritto sostanziale e procedurale, fondamentali per superare l’esame d’avvocato.

Insieme alla presente dispensa riceverete il formulario commentato per la redazione dell’atto di citazione e della comparsa di costituzione e risposta.

Nella dispensa di dottrina verranno affrontati gli argomenti delle fonti del diritto e dei soggetti.

Nell’ultima pagina della presente dispensa vi è la traccia da svolgere.

Il parere che di volta in volta svolgerete dovrà essere redatto “a mano” e inviato scannerizzato all’indirizzo di vostro riferimento, relativo al Gruppo a cui siete stati assegnati.

In proposito vi prego di non inviare più volte l’elaborato da correggere in quanto si creano inutili duplicazioni nella correzione.

Una volta corretto il compito, provvederemo ad inviarvi sul vostro indirizzo email la valutazione personalizzata con indicazione degli aspetti eventualmente da migliorare.

Buono studio e buon lavoro,

Roma, lì 24.09.2018

Avv. Giulio Forleo

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1) CONTRATTO PRELIMINARE ED EROGAZIONE DEL MUTUO: NATURA DELLA CONDIZIONE.

Traccia parere.

Con atto di citazione notificato il 31.5.2017 Mevio evocava in giudizio Caio dinanzi il Tribunale di Latina spiegando domanda ex art. 2932 c.c. per ottenere il trasferimento della proprietà di un immobile sito in Latina, che il convenuto aveva promesso di vendere all'attore con contratto preliminare dell'8.07.2016 redatto nella forma della scrittura privata.

L'attore esponeva che a seguito di accertamenti finalizzati all'ottenimento di un mutuo era emerso che il bene era gravato, nella quota di 1/4 del totale, da pignoramento immobiliare a suo tempo notificato nei confronti del dante causa del promittente venditore. Invocava quindi la sentenza costitutiva ex art.

2932 c.c., previa liberazione del bene dalla formalità pregiudizievole e la condanna del convenuto al risarcimento dei danni e delle spese sostenute per la ristrutturazione del cespite compromesso.

Si costituiva Caio contestando la domanda attorea e spiegando, inter alia, una domanda di accertamento della nullità del preliminare in quanto subordinava la sua validità alla concessione del mutuo da parte della Banca di Mevio, dovendosi tale pattuizione considerarsi alla stregua di una condizione meramente potestativa.

Con sentenza del 15 settembre 2018 il Tribunale di Latina accoglieva la domanda di nullità del contratto proposta da Caio, rilevando che “la condizione apposta al preliminare, secondo la quale l'atto notarile sarebbe stato stipulato non appena il promissario acquirente avesse ottenuto un mutuo occorrente per saldare il prezzo pattuito per la compravendita, è da considerarsi nulla. La clausola in esame, infatti, ha reso sin dal principio certa l'irrealizzabilità dell'evento dedotto in condizione, poichè il promittente venditore era di fatto soggetto al potere decisionale del promissario acquirente, il quale una volta conseguito l'anticipato possesso del bene non avrebbe avuto più alcun interesse a cooperare per l'avverarsi dell'evento dedotto in condizione. Nè, d'altro canto, la clausola "al più presto possibile" avrebbe potuto legittimare il promittente venditore a chiedere al giudice la fissazione di un termine per adempiere. Dal che, attesa la natura meramente potestativa della condizione, discende la nullità del preliminare de quo”.

Mevio, preoccupato dall’esito del giudizio di primo grado, si rivolge al vostro studio legale al fine di proporre appello avverso la suddetta sentenza.

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SOLUZIONE PARERE 1

Cassazione civile, sez. II, 11 settembre 2018, n. 22046

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 31.5.2000 D.C.F. evocava in giudizio L.G. dinanzi il Tribunale di Latina spiegando domanda ex art. 2932 c.c. per ottenere il trasferimento della proprietà di un immobile sito in (OMISSIS), censito nel locale Catasto al foglio (OMISSIS), part. (OMISSIS), che il convenuto aveva promesso di vendere all'attore con contratto preliminare dell'8.12.1993 redatto nella forma della scrittura privata.

L'attore esponeva che a seguito di accertamenti finalizzati all'ottenimento di un mutuo era emerso che il bene era gravato, nella quota di 1/4 del totale, da pignoramento immobiliare a suo tempo notificato nei confronti del dante causa del promittente venditore. Invocava quindi la sentenza costitutiva ex art.

2932 c.c., previa liberazione del bene dalla formalità pregiudizievole e la condanna del convenuto al risarcimento dei danni e delle spese sostenute per la ristrutturazione del cespite compromesso.

Si costituiva il L. contestando la domanda, sostenendo di avere agito in buona fede, mostrando al promissario acquirente il suo titolo di proprietà sin dalla firma del preliminare, e comunque di aver acquistato in asta pubblica, in data 30.9.1999, la quota oggetto del pignoramento pregiudizievole.

Invocava quindi la condanna del D.C. al pagamento del saldo prezzo, pari a lire 100.000.000, oltre interessi, nonchè al risarcimento del danno.

Con sentenza n.1791/2004 il Tribunale di Latina accoglieva la domanda ex art. 2932 c.c., disponendo il trasferimento dell'immobile subordinatamente al saldo del prezzo, respingendo tutte le altre domande, tanto dell'attore che del convenuto, con ordine al Conservatore dei RR.II. di provvedere alla trascrizione della sentenza. Interponeva appello il L. spiegando, inter alia, una domanda di accertamento della nullità del preliminare perchè contenente una condizione meramente potestativa, o comunque illecita ovvero impossibile, ed insistendo per l'accoglimento delle altre domande già svolte in prime cure e respinte dal Tribunale. Si costituiva il D.C. eccependo l'inammissibilità della domanda di nullità perchè mai proposta dal L. in primo grado, resistendo nel resto al gravame e spiegando appello incidentale in relazione alle domande da lui svolte in prima istanza e non accolte dal Tribunale.

Con la sentenza impugnata, n.2635/2013, la Corte di Appello di Roma dichiarava inammissibile

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l'appello incidentale tardivamente proposto dal L., costituitosi soltanto alla prima udienza di comparizione; riteneva parimenti inammissibile, perchè nuova, la domanda svolta dall'appellante per il riconoscimento degli interessi dal giorno dell'immissione del D.C. nel possesso del cespite;

respingeva nel resto l'appello, fissando il termine di 90 giorni per il saldo del prezzo a suo tempo pattuito per la compravendita.

Interpone ricorso avverso detta decisione il L., affidandosi a quattro motivi. Resiste con controricorso il D.C..

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt.

1183,1322,1325,1343,1346,1354,1355,1359,1362 e ss., 1418 e 1421 c.c., in relazione all'art. 111 Cost. e all'art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l'omesso esame circa un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Ad avviso del ricorrente, la Corte di Appello avrebbe errato nel non ritenere meramente potestativa la condizione apposta al preliminare, secondo la quale l'atto notarile sarebbe stato stipulato non appena il promissario acquirente avesse ottenuto un mutuo occorrente per saldare il prezzo pattuito per la compravendita. La clausola in esame, infatti, avrebbe reso sin dal principio certa l'irrealizzabilità dell'evento dedotto in condizione, poichè il promittente venditore era di fatto soggetto al potere decisionale del promissario acquirente, il quale una volta conseguito l'anticipato possesso del bene non avrebbe avuto più alcun interesse a cooperare per l'avverarsi dell'evento dedotto in condizione. Nè, d'altro canto, la clausola "al più presto possibile" avrebbe potuto legittimare il promittente venditore a chiedere al giudice la fissazione di un termine per adempiere. Dal che, attesa la natura meramente potestativa della condizione, discenderebbe la nullità del preliminare de quo.

Il motivo è infondato.

In argomento, questa Corte ha ritenuto che "Nel caso in cui le parti subordinino gli effetti di un contratto preliminare di compravendita immobiliare alla condizione che il promissario acquirente ottenga da un istituto bancario un mutuo per poter pagare in tutto o in parte il prezzo stabilito - patto di cui non è contestabile la validità, poichè i negozi ai quali non è consentito apporre condizioni sono indicati tassativamente dalla legge -, la relativa condizione è qualificabile come "mista", dipendendo la concessione del mutuo anche dal comportamento del promissario acquirente nell'approntare la relativa pratica, ma la mancata concessione del mutuo comporta le conseguente previste in contratto, sena che rilevi, ai sensi dell'art. 1359 c.c., un eventuale comportamento omissivo del promissario

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acquirente, sia perchè tale disposi ione è inapplicabile nel caso in cui la parte tenuta condizionatamente ad una data prestazione abbia anch'essa interesse all'avveramento della condizione, sia perchè l'omissione di un'attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto l'attività omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, e la sussistenza di un siffatto obbligo deve escludersi per l'attività di attuazione dell'elemento potestativo in una condizione mista" (Cass. Sez. 2, Sentenza n.10074 del 18/11/1996, Rv.500605; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n.23824 del 22/12/2004, Rv. 578807).

Il richiamo a tali precedenti è sufficiente ad escludere che, nel caso di specie, si possa configurare una nullità del preliminare, posto che la clausola che subordina il trasferimento della proprietà all'ottenimento, da parte del promissario acquirente, di un mutuo non integra gli estremi della condizione meramente potestativa.

Peraltro, occorre ribadire che l'accertamento inteso a stabilire se un contratto sia sottoposto a condizione sospensiva ed a determinare l'effettiva portata della condizione stessa, nonchè il suo avveramento, costituisce indagine devoluta al giudice del merito (Cass Sez. 2, Sentenza n.3804 del 29/07/1978, Rv.393359; Cass Sez. 1, Sentenza n.4483 del 14/05/1996, Rv.497599; Cass Sez. 3, Sentenza n.1555 del 13/02/1998, Rv.512605). Tale indagine la Corte territoriale ha compiuto, nel rispetto dei canoni ermeneutici di interpretazione del contratto, esaminando la clausola contrattuale in questione e richiamando i precedenti specifici di questa Corte. Il ricorrente contesta l'interpretazione del giudice di merito, ma in tal modo finisce, anche là dove denuncia la violazione degli artt. 1362 c.c. e ss., con il sollecitare un diverso approdo ricostruttivo della volontà delle parti.

La doglianza va quindi respinta.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt.

1343,1346,1418 e 1421 c.c., nonchè della L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3. Considerato che il promissario acquirente aveva ottenuto l'anticipato possesso dell'immobile oggetto di causa per eseguire alcuni lavori di ristrutturazione, e che detti interventi erano stati eseguiti, secondo il ricorrente senza le prescritte autorizzazioni edilizie ed urbanistiche, la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare anche d'ufficio la nullità del contratto preliminare, perchè relativo ad un cespite non regolare dal punto di vista urbanistico.

Anche tale censura va respinta, considerato che il ricorrente non allega alcun elemento idoneo a dimostrare l'effettiva esecuzione, da parte del promissario acquirente, di opere in difformità dalle prescritte autorizzazioni edilizie. Peraltro, dal riferimento operato nel ricorso alla consulenza di parte prodotta in prime cure (cfr. pagg.12 e ss.) si evince che gli interventi de quibus si sono sostanziati in

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opere di manutenzione e restauro dell'immobile, in particolare relativamente alle pareti, agli infissi, agli impianti, e in una diversa distribuzione degli spazi interni. Di talchè non può, neanche con il ricorso allo strumento della presunzione, sostenersi che in concreto l'immobile presentasse difformità che ne precludessero la libera commerciabilità, non avendo il ricorrente fornito alcun riscontro sul punto.

Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115,116,345 e 346 c.p.c.; degli artt. 1124,1147,1175,1176,1218,1277,1343,1346,1375,2041,2042,2697 e 2727 c.c., in relazione all'art.111 Cost. e all'art. 360 c.p.c., n. 3; nonchè la nullità della sentenza e del procedimento per omessa pronunzia ex art. 360 c.p.c., n. 4 e l'omesso esame su un punto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5. Ad avviso del ricorrente, la Corte di Appello avrebbe dovuto ritenere ammissibili tutte le domande restitutorie formulate dal L., inclusa quella relativa agli interessi, perchè costituenti diretta conseguenza della domanda di accertamento della nullità del preliminare di cui è causa;

pertanto, almeno a decorrere dalla sentenza, detti interessi avrebbero dovuto essere riconosciuti al ricorrente. Inoltre la Corte territoriale, nel valutare la condotta dei paciscenti, avrebbe errato nel dar rilievo prevalente al fatto che il L. non aveva informato il D.C. dell'avvenuta liberazione dell'immobile di cui è causa, senza considerare il fatto che il secondo avrebbe potuto comunque conoscere aliunde la circostanza, stante la pubblicità legale che assiste la materia dei trasferimenti dei beni immobili e le aste immobiliari. Ancora, il ricorrente si duole che il giudice di appello non avrebbe considerato il fatto che il D.C. si era risolto ad agire a distanza di sette anni dalla scoperta della trascrizione pregiudizievole, soltanto dopo che il L. aveva ottenuto l'aggiudicazione della quota oggetto del pignoramento, e quindi a scopo solo strumentale. Infine, la Corte territoriale avrebbe errato anche nel respingere la domanda di arricchimento senza causa, posta la condizione di buona fede del L., da un lato, e di malafede del D.C., dall'altro lato.

La censura si suddivide idealmente in tre parti: (1) la prima, relativa alla domanda di riconoscimento degli interessi, che a detta del ricorrente fu ingiustamente ritenuta inammissibile dal giudice di appello perchè non proposta in prime cure; (2) la seconda, riguardante la natura della condizione apposta al preliminare, la ritenuta nullità di esso e, più in generale, la valutazione delle condotte delle parti, ai fini di individuare la rispettiva buona e mala fede; (3) la terza, concernente la domanda ex art. 2041 c.c..

E' opportuno esaminare preliminarmente la seconda parte della doglianza, in relazione alla quale, va premesso che "Il contratto sottoposto a condizione potestativa mista è soggetto alla disciplina di cui all'art. 1358 c.c., che impone alle parti l'obbligo giuridico di comportarsi secondo buona fede durante

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lo stato di pendenza della condizione, e la sussistenza di tale obbligo va riconosciuta anche per l'attività di attuazione dell'elemento potestativo della condizione mista" (Cass. Sez. U, Sentenza n.18450 del 19/09/2005, Rv.583707).

Più specificamente, In tema di contratto condizionato, l'omissione di un'attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto l'attività omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico. La sussistenza di un siffatto obbligo deve affermarsi anche per il segmento non casuale della condizione mista. Ciò in quanto, gli obblighi di correttezza e buona fede, che hanno la funzione di salvaguardare l'interesse della controparte alla prestazione dovuta e all'utilità che la stessa assicura, impongono una serie di comportamenti di contenuto atipico, che assumono la consistenza di standard integrativi di tali principi generali, e sono individuabili mediante un giudizio applicativo di norme elastiche e soggetto al controllo di legittimità al pari di ogni altro giudizio fondato su norme di legge" (Cass. Sez. 1, Sentenza n.14198 del 28/07/2004, Rv.575005; conf. Cass.

Sez. 2, Sentenza n.23014 del 14/12/2012, Rv.624391).

Ciò posto, spetta comunque alla parte interessata la dimostrazione del fatto che l'altro paciscente abbia tenuto un comportamento idoneo ad impedire l'avveramento della condizione, e si sia in tal modo reso inadempiente agli obblighi generali di buona fede e correttezza richiamati dalla giurisprudenza di questa Corte. In proposito, si è affermato che la fictio di avveramento della condizione prevista dall'art. 1359 c.c. si possa applicare anche alla condizione di natura mista, fermo restando che

"incombe sul creditore, che lamenti tale mancato avveramento, l'onere di provarne l'imputabilità al debitore a titolo di dolo o di colpa" (Cass. Sez. 1, Sentenza n.5492 del 08/03/2010, Rv.611872; negli stessi termini, cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n.24325 del 18/11/2011, Rv.619796, secondo cui la norma in commento "non si riferisce solo a coloro che, per contratto, apparivano avere interesse al verificarsi della condizione, ma anche ai comportamenti di chi in concreto ha dimostrato, con una successiva condotta, di non avere più interesse al verificarsi della condizione, ponendo in essere atti tali da contribuire a far acquistare al contratto un elemento modificativo dell'iter "attuativo della sua efficacia").

Nel caso di specie, il ricorso non indica in che modo il L. avesse offerto, nei gradi di merito, la necessaria prova della condotta dolosa o colposa del D.C., ma si limita ad una censura dell'iter logico- argomentativo seguito dalla Corte territoriale. In tal modo, il ricorrente finisce per richiedere un riesame dell'apprezzamento di merito, che è precluso in questa sede.

In funzione del rigetto della seconda parte del motivo, resta assorbita la prima parte, concernente la contestazione del punto della sentenza impugnata con cui la Corte territoriale aveva ritenuto la novità

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della domanda di interessi, in relazione alla quale (peraltro) il ricorso non indica in quale atto del giudizio di prime cure essa sarebbe, in ipotesi, stata proposta.

Quanto invece alla terza parte del motivo in esame, riguardante la domanda ex art. 2041 c.c., si osserva che "L'azione generale di arricchimento ingiustificato, avendo natura sussidiaria, può essere esercitata solo quando manchi un titolo specifico sul quale fondare un diritto di credito, con la conseguenza che il giudice, anche d'ufficio, deve accertare che non sussista altra specifica alcione per le restituzioni ovvero per l'indennizzo del pregiudizio subito, contro lo stesso soggetto arricchito o contro soggetti terzi" (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n.26199 del 03/11/2017, Rv. 647016; conf. Cass.

Sez. 3, Sentenza n.16594 del 05/08/2005, Rv. 584746). Nel caso di specie il ricorrente ha proposto, in via riconvenzionale, azione di ingiustificato arricchimento invocando il pagamento in suo favore di somme a titolo di indennità di occupazione dell'immobile oggetto del preliminare di cui è causa, di oneri condominiali relativi allo stesso, e di imposte che esso ricorrente avrebbe dovuto sostenere ope legis non essendo mai stato perfezionato tra le parti il rogito definitivo di compravendita. A ben vedere tutte queste pretese traggono il loro titolo dal rapporto contrattuale esistente tra le parti e si risolvono in una richiesta di risarcimento, o comunque di indennizzo, che può presupporre - alternativamente- l'invalidità del contratto preliminare ovvero il suo inadempimento da parte del promissario acquirente.

Inoltre, sempre a termini dell'art. 2041 c.c., l'attore è tenuto a fornire la duplice dimostrazione della propria deminutio patrimoniale e dell'altrui correlato arricchimento. Nella fattispecie, il ricorso non chiarisce adeguatamente tali aspetti, che costituiscono presupposti dell'azione de quo, nè indica il momento o l'atto del giudizio di merito in cui i predetti elementi sarebbero stati dedotti e dimostrati.

Dalle esposte considerazioni discende l'insussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 2041 c.c., onde la censura va, per la relativa parte, respinta.

Con il quarto e ultimo motivo, infine, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1183,2907,2908 e 2909 c.c. e degli artt. 282,324 e 359 c.p.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3.

A suo avviso, il giudice di appello avrebbe errato nel fissare il termine di 90 giorni per il saldo prezzo a decorrere dalla pubblicazione della sentenza, e non invece dal suo passaggio in giudicato, senza considerare che la natura costitutiva della decisione ne escludeva l'efficacia provvisoriamente esecutiva.

La censura è inammissibile per tre diverse ma concorrenti ragioni: in primis, perchè la fissazione di un termine per il saldo prezzo è evidentemente a beneficio di ambo le parti; in secondo luogo, posto che il L. aveva espressamente richiesto tale fissazione, sia pure in via subordinata, nelle conclusioni

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rassegnate in secondo grado; ed infine, considerato che l'agganciamento della decorrenza del termine dalla pubblicazione, anzichè dal successivo passaggio in giudicato, della sentenza di secondo grado costituisce un vantaggio per il ricorrente, promittente venditore del bene immobile di cui è causa. Ne consegue che il L. non ha alcun interesse alla censura.

In conclusione, i primi tre motivi vanno respinti, mentre il quarto va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater all'art. 13 del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna;1 ricorrente al pagamento delle spese del grado, che liquida in Euro 3.200, di cui Euro 200 per spese, oltre rimborso spese generali nella misura del 15%, cap ed iva come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dell'art.1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 27 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2018

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2) DEPOSITO EX ART. 1210 E ACCETTAZIONE TACITA DEL DEPOSITO.

Traccia parere.

A seguito di un lungo giudizio civile, Tizio otteneva dal Tribunale di Roma sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. nei confronti di Caio in relazione al preliminare di vendita stipulato qualche anno prima per la alienazione di un immobile di proprietà di quest’ultimo sito in Roma. Il Tribunale accoglieva la domanda di trasferimento ex art. 2932, condizionandolo al pagamento della somma residua di 170.000,00 euro.

Non disponendo di tutta la somma, Tizio formulava offerta reale nei confronti del creditore Caio per la somma di 90.000,00, offerta che veniva rifiutata dal proprietario. Successivamente Tizio effettuava deposito ex art. 1210 c.c. della predetta somma presso l’istituto Bancario Alfa. Caio, dopo aver prelevato la suddetta somma, inviava a Tizio una lettera raccomandata con cui precisava di aver preso quel denaro a titolo di acconto, intimandogli di corrispondere la parte residua entro 15 giorni.

Dopo aver ricevuto la suddetta lettera, Tizio si rivolge al vostro studio legale al fine di ottenere parere legale pro veritate sulla vicenda.

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2) SOLUZIONE PARERE 2

Cassazione civile, sez. II, 19 luglio 2018, n. 19261

Fatto

Con sentenza in data 17 giugno 2008 il Tribunale di Trani, sezione distaccata di Andria, rigettava la domanda proposta da S.M. nei confronti di R.M., diretta ad accertare l'estinzione - a seguito del deposito presso l'Agenzia di Adria della banca CREDEM, in data 31 marzo 2016, della somma di 67.139,92 Euro, oggetto dell'offerta reale da lui fatta al R. il 6 febbraio 2006 e dallo stesso rifiutata - dell'obbligazione relativa al pagamento della somma di Lire 176.500.000 (corrispondente al saldo del prezzo di un fabbricato da lui promesso in vendita al R.) cui il medesimo Tribunale aveva condizionato il trasferimento ex art. 2932 c.c., in suo favore, del suddetto immobile, nonchè per ottenere la condanna del convenuto al rilascio dell'immobile medesimo.

Il primo giudice rilevava che la somma offerta dallo S. non corrispondeva all'importo di 176.500.000 (pari ad Euro 91.154,64) cui, con la sentenza n.1482/2000, passata in giudicato, era stato subordinato il trasferimento ex art. 2932 c.c., e la differenza non era giustificata dai crediti che questi vantava nei confronti del R., se non altro perchè gli stessi erano comprensivi della somma di 11.698,00 Euro, che il R. era stato condannato a pagare al difensore dello S., quale distrattario, per le spese della causa conclusasi con la citata sentenza 1482/2000.

La Corte d'Appello di Bari, con la sentenza pubblicata il 27 agosto 2013, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato che in data 24 aprile si era avverata la condizione cui il Tribunale di Trani aveva subordinato il trasferimento dell'immobile in favore dello S. e condannava il R. al rimborso delle spese del doppio grado di giudizio.

La Corte territoriale, escluso che il credito per spese legali distratte in favore del difensore dello S.

fosse un credito di quest'ultimo e non del suo legale, rilevava tuttavia che il R., ritirando la somma di 67.139,92 Euro (depositata in banca a suo nome) oggetto dell'offerta reale a lui fatta dallo S. e da lui precedentemente rifiutata, aveva accettato il deposito, in tal modo liberando lo S. dall'obbligazione relativa al pagamento della somma di Lire 176.500.000, cui il Tribunale di Trani, con la sentenza n.

1482/2000, aveva condizionato il trasferimento in suo favore.

Per la cassazione di detta sentenza, propone ricorso, con un solo motivo, il R..

Lo S. resiste con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale, articolato su due motivi.

Con ordinanza interlocutoria, resa all'esito della precedente adunanza in camera di consiglio del 10

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novembre 2017, il Collegio, visti l'art. 375 c.p.c. e art. 380 bis c.p.c., comma 1, ritenuto che il ricorso poneva una questione di diritto di particolare rilevanza, avuto riguardo alle condizioni cui, nel deposito successivo all'offerta reale, è subordinato il verificarsi della liberazione del debitore, ha disposto il rinvio della causa alla pubblica udienza per la trattazione del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con l'unico motivo (violazione e falsa applicazione dell'art. 1210 c.c., comma 2, in relazione all'art.

360 c.p.c., n. 3) il ricorrente in via principale sostiene che la Corte d'Appello ha errato nel ritenere che il ritiro della somma depositata in banca integri accettazione del deposito, idoneo a liberare il debitore dalla sua obbligazione.

Deduce, inoltre, che l'offerta era invalida, in quanto non comprendeva l'intera somma (91.154,64 Euro) al cui pagamento il debitore S. era obbligato: la Corte d'Appello non poteva considerare accettato il deposito per il solo fatto che il promittente venditore aveva ritirato, in data 24 aprile 2006, la parziale somma depositata, senza tener conto del rifiuto dell'offerta, manifestato mediante la dichiarazione raccolta dall'ufficiale giudiziario.

Il motivo è infondato.

Conviene premettere che l'offerta reale ex art. 1208 c.c. ed il deposito ex art. 1210 c.c., ancorchè inseriti nel medesimo procedimento (di liberazione del debitore), possiedono distinti requisiti di validità e producono effetti diversi.

E' pertanto irrilevante, ai fini della validità del deposito e dell'efficacia liberatoria della sua accettazione, sia la dedotta invalidità dell'offerta, ai sensi dell'art. 1208 c.c., comma 1, n. 3), che il suo rifiuto da parte del creditore, rifiuto che costituisce anzi il presupposto per la fase successiva, costituita appunto dal deposito di cui all'art. 1210 c.c.

Va dunque disattesa la prospettazione del ricorrente, secondo cui il suo precedente rifiuto dell'offerta, si sarebbe riverberato sulla successiva fase del deposito.

Ciò premesso, deve senz'altro rilevarsi la natura negoziale dell'accettazione del deposito da parte del creditore, che costituisce modalità di liberazione del debitore alternativa rispetto alla "convalida" ed è unicamente subordinata a requisiti di validità e capacità (dell'accettante) propri degli atti negoziali.

Essa va dunque tenuta distinta dall'accettazione della prestazione al di fuori del procedimento di liberazione coattiva del debitore, che, al contrario, non ha natura negoziale: l'accettazione di un pagamento parziale, ex art. 1181 c.c., in assenza di espressa dichiarazione "liberatoria", non comporta pertanto rinunzia al credito o rimessione del debito (Cass. 5363/1997; 14573/2007) e dunque non fa

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perdere al creditore il diritto di pretendere l'intero.

Nel caso del procedimento di liberazione coattiva del debitore, al contrario, l'accettazione del deposito, secondo l'espressa previsione dell'art. 1210 c.c., ha effetto liberatorio, con efficacia retroattiva (alla data del deposito stesso) e determina l'estinzione dell'obbligazione, con effetto assimilabile a quello della datio in solutum.

Da ciò consegue che, una volta intervenuta l'accettazione del deposito ex art. 1210 c.c., comma 2, non vi è luogo ad alcuna valutazione sulla congruità della prestazione (nel caso in esame la somma di denaro) depositata ed accettata e la stessa non può più essere messa in discussione sotto il profilo dell'esattezza dell'adempimento.

Orbene, l'accettazione del deposito, secondo i principi generali in materia negoziale, può essere espressa o tacita.

In particolare, il ritiro da parte del creditore della somma depositata, senza sollevare alcuna riserva, considerato lo specifico contesto in cui tale comportamento si inserisce, vale a dire il procedimento preordinato alla liberazione del debitore, integra, ad avviso del collegio, un comportamento concludente, implicante accettazione a nulla rilevando il pregresso rifiuto dell'offerta, che, come si è avuto occasione di rilevare, costituisce lo stesso antecedente del successivo deposito.

Se infatti, nel caso di accettazione di un pagamento parziale, o di una prestazione parziale o ritardata, il silenzio del creditore non può essere inteso come adesione alla volontà del debitore, quando pure quest'ultimo lo effettui a titolo di saldo del maggior importo preteso dal primo (in tal senso, Cass.

5363/1997), ben diversa è la rilevanza del ritiro, da parte del creditore, della somma depositata ai sensi dell'art. 1210 c.c., comma 1: in tal caso il ritiro della somma non configura, infatti, mera accettazione di una prestazione parziale, ma accettazione del deposito, con i conseguenti effetti liberatori di cui all'art. 1210 c.c., comma 2.

Se dunque, in caso di accettazione della prestazione parziale il silenzio del creditore non assume valore negoziale e non può intendersi come adesione alla volontà del debitore, nè determina estinzione dell'intera obbligazione, il ritiro della somma depositata ex art. 1210 c.c., senza alcuna contraria dichiarazione, in quanto si inserisce in un apposito procedimento disciplinato dalla legge e finalizzato alla liberazione del debitore integra, come già ritenuto dal giudice di appello, comportamento concludente di accettazione tacita, in quanto realizza il risultato tipico cui è preordinato il deposito della somma in favore del creditore: da esso discendono, dunque, gli effetti stabiliti dall'art. 1210 c.c., comma 2:

il debitore non potrà richiedere indietro la somma depositata e sarà liberato dalla sua obbligazione.

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Non è in contrasto con tale conclusione il precedente di questa Corte, secondo cui, qualora il creditore, nel ritirare la somma, ne denunci l'insufficienza rispetto all'importo dovuto, il deposito non ha effetto liberatorio, se non sottoposto alla procedura di convalida (cosi Cass. 743/1983).

In tale ipotesi, infatti, l'espressa dichiarazione di insufficienza della somma fatta dal creditore in sede di ritiro della somma, impedisce di attribuire a tale comportamento efficacia di accettazione tacita.

Nel caso di specie, al contrario, il R. non formulò alcuna riserva al momento del ritiro della somma o comunque nella sua immediatezza, e dichiarò di rifiutare il deposito solo diversi mesi dopo, quando si era già perfezionato l'effetto estintivo-liberatorio conseguente all'accettazione tacita del deposito medesimo.

Deve dunque affermarsi che il ritiro senza riserve, da parte del creditore, della somma depositata nell'ambito del procedimento di liberazione coattiva del debitore costituisce accettazione tacita del deposito, e determina, ai sensi dell'art. 1210 c.c., comma 2 con efficacia ex tunc, l'effetto liberatorio per il debitore.

Il successivo rifiuto del creditore è dunque inefficace ed inidoneo ad incidere su una fattispecie estintiva già realizzatasi, cui corrisponde, in capo al debitore, la preclusione alla ripetizione della somma depositata e ritirata dal primo.

Passando al ricorso incidentale, con il primo motivo lo S. denuncia la violazione dell'art. 1243 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3), censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha erroneamente escluso la legittimità della compensazione legale da lui operata.

Con il secondo motivo si lamenta l'erroneità della sentenza impugnata (violazione dell'art. 115 c.p.c.

e art. 2697 c.c. ai sensi dell'art. 360 c.p.c., nn. 3) e 5)) per avere respinto la domanda di rilascio dell'immobile, ritenendo che non potesse ritenersi provata la detenzione del bene da parte del R., pur in assenza di contestazione da parte della controparte.

Il rigetto del ricorso principale assorbe l'esame del primo motivo del ricorso incidentale.

Il secondo motivo è invece fondato e va accolto.

La Corte territoriale, infatti, pur ritenendo che si fosse avverata la condizione cui era stato subordinato, ai sensi dell'art. 2932 c.c. il trasferimento del bene, ha respinto la domanda di rilascio del bene medesimo, poichè non risultava provato che l'immobile in questione fosse occupato dal R..

Si rileva in contrario che alla luce del contegno processuale tenuto dal R., vale a dire la mancata contestazione della perdurante occupazione dell'immobile, ed anzi l'ammissione, contenuta negli atti difensivi (comparsa conclusionale in appello) del mancato rilascio del bene (giustificato dall'inadempimento dello S.), ai sensi dell'art. 115 c.p.c., comma 1, ult. inciso, l'occupazione del bene

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da parte del R. deve ritenersi un fatto non contestato, con conseguente relevatio dal relativo onere processuale in capo all'odierno ricorrente incidentale, il quale aveva specificamente e reiteratamente allegato tale situazione di fatto nel giudizio di primo e secondo grado.

La sentenza impugnata va dunque cassata sul punto e, considerato che non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con condanna del R. all'immediato rilascio dell'immobile.

Quanto alle spese di lite, va confermata la statuizione di condanna del R. al rimborso dei due gradi di merito, nella misura stabilita nella sentenza impugnata; il R. va altresi condannato al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale.

Dichiara assorbito il primo motivo del ricorso incidentale.

Accoglie il secondo motivo e, decidendo la causa nel merito, condanna il R. all'immediato rilascio del bene immobile oggetto di causa.

Conferma la statuizione sulle spese, relative ai due gradi di merito, adottata nella sentenza impugnata.

Condanna il ricorrente principale al rimborso allo S. delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi 4.200,00 Euro, di cui 200,00 Euro per rimborso spese vive, oltre a rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2018

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3) IMPOSSIBILITA’ SOPRAVVENUTA DELLA PRESTAZIONE.

Traccia parere

Tizio, dopo aver acquistato dall’agenzia viaggi Alfa il pacchetto turistico “all inclusive” per un soggiorno in Malesia insieme alla moglie Caia, qualche giorno prima della partenza scopriva di aver contratto una polmonite virale che gli impediva qualsiasi spostamento. Comunicata tempestivamente all’agenzia l’impossibilità di partire, otteneva dal titolare un secco rifiuto rispetto alla possibilità di ottenere il rimborso della somma pagata, stante la mancata stipula di una polizza a copertura degli eventi imprevedibili.

Tizio si rivolge, dunque, al vostro studio legale per intraprendere un’azione giudiziale nei confronti dell’Agenzia Alfa al fine di ottenere il rimborso della somma pagata.

Il candidato rediga l’atto ritenuto più opportuno.

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SOLUZIONE PARERE 3

Cassazione civile, sez. III, 10 luglio 2018, n. 18047

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. A.A. e L.L. convennero in giudizio, dinanzi al giudice di pace di Bologna, la Settemari Spa e, premesso di aver acquistato presso la società un pacchetto turistico "all inclusive" al quale avevano dovuto rinunciare a causa della grave ed improvvisa patologia che aveva colpito l' A., domandarono la condanna della società alla restituzione della somma da loro pagata come prezzo dell'intera prestazione pattuita.

2. Il giudice di pace accolse la domanda; il Tribunale di Bologna, per ciò che interessa in questa sede, respinse l'appello della società, compensando parzialmente le spese del grado.

3. Ricorre per la cassazione della sentenza la Becana Srl in liquidazione (già Settemari Spa) affidandosi a cinque motivi illustrati anche con memoria.

4. La parte intimata ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la società ricorrente deduce ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt.

1463,1256,1325 e 1345 c.c., ed art. 3 Cost., nonchè, ex art. 360 c.p.c., n. 5, l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Al riguardo:

a. contesta l'interpretazione degli artt. 1463 e 1345 c.c., assumendo che il giudice d'appello aveva confuso la causa del contratto con i motivi di esso;

b. deduce l'inconferenza degli arresti di legittimità richiamati, riguardanti la diversa ipotesi di impossibilità sopravvenuta per un fatto ascrivibile a terzi e non alle parti: assume che non era stato considerato che la mancata partecipazione al viaggio non era dipesa da fatti relativi all'esercizio dell'attività imprenditoriale, ma ad un impedimento soggettivo del fruitore della prestazione che non poteva determinare un effetto completamente liberatorio/risolutorio in suo favore;

c. assume che l'art. 1463 c.c., non prescriveva una regolamentazione inderogabile nè l'inserimento di clausole che potessero implicare uno sbilanciamento del sinallagma contrattuale con trasferimento del rischio solo a carico dell'operatore turistico.

1bis. Il motivo è complessivamente infondato.

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Circa il primo rilievo, si osserva che il Tribunale ha fatto corretta applicazione delle norme sopra richiamate, inquadrando la fattispecie in esame nell'ipotesi in cui la causa del contratto, consistente nella fruizione di un viaggio con finalità turistica, diviene inattuabile per una causa di forza maggiore, non prevedibile e non ascrivibile alla condotta dei contraenti.

Al riguardo, questa Corte ha avuto modo di chiarire che "la causa in concreto - intesa quale scopo pratico del contratto, in quanto sintesi degli interessi che il singolo negozio è concretamente diretto a realizzare, al di là del modello negoziale utilizzato - conferisce rilevanza ai motivi, sempre che questi abbiano assunto un valore determinante nell'economia del negozio, assurgendo a presupposti causali, e siano comuni alle parti o, se riferibili ad una sola di esse, siano comunque conoscibili dall'altra".

(cfr. Cass. 8100/2013; Cass. 12069/2017).

Pertanto il Tribunale, nella congiunta valutazione della causa e dei motivi che avevano indotto all'acquisto del pacchetto turistico, ha dato forma al concetto di "causa concreta del contratto"

attinente all'aspetto della funzione economico - sociale del negozio giuridico posto in essere (cfr.

anche in motivazione Cass. 26958/2007))e, valutando il gravissimo impedimento che non aveva consentito ai contraenti di fruirne, ha correttamente applicato il principio sopra enunciato con il quale la previsione di cui all'art. 1463 c.c., risulta perfettamente compatibile, con riferimento a tutti i contraenti.

E, tanto premesso, anche il secondo rilievo non è condivisibile.

Questa Corte ha affermato che "la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, con la conseguente possibilità di attivare i rimedi restitutori, ai sensi dell'art. 1463 c.c., può essere invocata da entrambe le parti del rapporto obbligatorio sinallagmatico, e cioè sia dalla parte la cui prestazione sia divenuta impossibile sia da quella la cui prestazione sia rimasta possibile.

In particolare, l'impossibilità sopravvenuta della prestazione si ha non solo nel caso in cui sia divenuta impossibile l'esecuzione della prestazione del debitore, ma anche nel caso in cui sia divenuta impossibile l'utilizzazione della prestazione della controparte, quando tale impossibilità sia comunque non imputabile al creditore e il suo interesse a riceverla sia venuto meno, verificandosi in tal caso la sopravvenuta irrealizzabilità della finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto e la conseguente estinzione dell'obbligazione". (cfr. Cass. 26958/2007).

Tale arresto che, per gli aspetti fattuali, risulta sovrapponibile al caso in esame contiene principi ai quali questo collegio intende dare seguito, dovendosi escludere che l'impossibilità sopravvenuta debba essere - come prospettato dal ricorrente - necessariamente ricollegata al fatto di un terzo: la non imputabilità al debitore (v. art. 1256 c.c.) non restringe il campo delle ipotesi ma, per quanto

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sopra argomentato, consente di allargare l'applicazione della norma a tutti i casi, meritevoli di tutela, in cui sia impossibile, per eventi imprevedibili e sopravvenuti, utilizzare la prestazione oggetto del contratto.

Anche il terzo rilievo non può essere condiviso.

La società ricorrente lamenta, infatti, che la decisione impugnata contiene argomentazioni che si traducono in uno sbilanciamento del sinallagma contrattuale e nel trasferimento del rischio dell'evento accidentale a totale carico del tour operator, con conseguente costituzione di una sorta di responsabilità oggettiva.

L'assunto è infondato.

L'art. 1463 c.c., assume una funzione di protezione in relazione alla parte impossibilitata a fruire della prestazione pattuita e ciò è funzionale, in linea generale, proprio alla ricostituzione del sinallagma compromesso, non spostando l'ambito contrattuale della responsabilità.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1463 e 2033 c.c.: assume che la malattia dell' A. si era verificata il giorno prima della partenza quando la prestazione era già iniziata, e che la società aveva iniziato ed in parte completato l'esecuzione del contratto. Si configurava, in tal modo, a suo carico un'ipotesi di indebito arricchimento in favore della parte attrice.

Il motivo è infondato.

Le parti contraenti, infatti, non hanno minimamente fruito della prestazione: al riguardo questa Corte ha avuto modo di chiarire che "l'azione generale di arricchimento ingiustificato, avendo natura sussidiaria, può essere esercitata solo quando manchi un titolo specifico sul quale fondare un diritto di credito" (Cfr. Cass. 26199/2017): nel caso di specie, le pretese dell'odierna parte controricorrente si fondano legittimamente sull'applicazione dell'art. 1463 c.c., e trovano pertanto un fondamento specifico che non consente neanche di ipotizzare l'ipotesi di cui all'art. 2033 c.c..

3. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento all'art. 1385 c.c., ed alla direttiva comunitaria 90/314 in tema di recesso del viaggiatore; lamenta altresì l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti e consistente nella mancata stipula della polizza assicurativa che era stata offerta ai contraenti per garantire gli derivanti da inconvenienti imprevedibili.

Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

La censura, infatti, è espressamente riferita agli artt. 90 e 91, del Codice del Consumo sui quali il Tribunale ha congruamente argomentato (cfr. pag. 6 della sentenza): il ricorrente, chiede, dunque, pur

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denunciando formalmente il vizio di violazione di legge, una rivisitazione del merito e della motivazione della controversia sul punto, preclusa in sede di legittimità in presenza di motivazione logica e sufficiente.

Nè la mancata stipula, da parte dei contraenti, della polizza assicurativa volta a coprire eventi imprevedibili come quello in esame, sposta i termini della decisione.

Tale possibilità, infatti, all'epoca in cui venne acquistato il pacchetto turistico costituiva una mera facoltà sia per il cliente che per l'operatore turistico: ciò non incide, dunque, sulla valutazione dell'impossibilità sopravvenuta alla prestazione, secondo quanto sinora argomentato.

Vale al riguardo rilevare che proprio la recente Direttiva Comunitaria del 2015/2302 sui pacchetti turistici, richiamata dal ricorrente, è stata recentemente recepita ma non è ancora in vigore nel nostro ordinamento: ciò rafforza la dimostrazione che all'epoca della controversia prevaleva la disciplina correttamente applicata dal Tribunale, la cui interpretazione deve tenere conto sia del rischio generale connaturato all'attività imprenditoriale sia del dovere di solidarietà sociale universalmente applicabile (Cass. 14662/2015).

4. Con il quarto motivo, la ricorrente, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1463 e 1672 c.c., nonchè l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, consistente nell'applicazione delle norme relative al contratto di trasporto ed al contratto di mandato;

censura, altresì, il richiamo del Tribunale all'art. 1672 c.c., ritenendolo inconferente rispetto al caso in esame.

Il motivo è inammissibile.

Nonostante la formale evocazione del vizio di violazione di legge, il ricorrente chiede una diversa motivazione della sentenza prospettando un vizio che non può più trovare ingresso in sede di legittimità, vista la modifica dell'art. 360, n. 5, introdotta con al L. n. 134 del 2012.

Circa la postulata applicazione degli artt. 1686 e 1720 c.c., si osserva, poi, che la censura risulta nuova e quindi inammissibile.

5. Infine, con il quinto motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell'art. 91 c.p.c.: chiede la compensazione delle spese anche del primo grado visto che l'appello era stato parzialmente accolto.

Il motivo è inammissibile, in quanto, in presenza di parziale soccombenza in appello la statuizione di compensazione delle spese di primo grado non è sindacabile in sede di legittimità (cfr. ex multis Cass.

18236/2003; Cass. 4799/2006; Cass. 30599/2017) In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

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Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere del grado che liquida in Euro 1400,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi oltre accessori e rimborso spese generali nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2018

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4) CESSIONE DEL CREDITO E CESSIONE DEL CONTRATTO.

Traccia parere.

Con atto 17-7-2017 la società Alfa cedeva a società Beta ogni diritto di credito da essa società cedente vantato nei confronti dell'architetto Mevio in relazione ai danni subiti a causa sia della ritardata e cattiva esecuzione, da parte di quest'ultimo, dei commissionatigli lavori di ristrutturazione sia della inadeguata direzione, da parte dello stesso Mevio, dei detti lavori.

Beta introduceva, dunque, dinanzi al Tribunale di Roma giudizio civile per la risoluzione per inadempimento dei contratti stipulati tra Alfa e Mevio, chiedendo altresì la condanna di quest’ultimo al pagamento della somma di 150.000,00 euro a titolo di dei danni.

Mevio si rivolge al vostro studio legale al fine di costituirsi nel predetto giudizio.

Il candidato rediga l’atto ritenuto più opportuno.

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SOLUZIONE PARERE 4

Cassazione civile, sez. III, 6 luglio 2018, n. 17727

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza 7701/2007 il Tribunale di Roma, in accoglimento della domanda proposta da M.A. nei confronti di F.M., ha dichiarato risolti, per inadempimento di quest'ultimo, i contratti del 9-12-1999 e del 17-1-2000, e condannato il convenuto, a titolo di risarcimento danni, al pagamento della somma di Euro 157.432,77, oltre interessi e spese di lite.

Con sentenza 3308/2016 la Corte d'Appello di Roma, in accoglimento dell'appello principale proposto dal F., ha dichiarato il difetto di legittimazione attiva della M. e condannato quest'ultima al pagamento delle spese di lite di entrambi i gradi del giudizio; in particolare, per quanto ancora rileva in questa sede, la Corte ha osservato:

che con atto 17-7-2001 la Big Brog srl aveva ceduto alla M. ogni diritto di credito da essa società cedente vantato nei confronti dell'architetto F.M. in relazione ai danni subiti a causa sia della ritardata e cattiva esecuzione, da parte di quest'ultimo, dei commissionatigli lavori di ristrutturazione sia della inadeguata direzione, da parte dello stesso F., dei detti lavori;

che, a differenza della cessione del contratto, che opera il trasferimento dal cedente al cessionario dell'intera posizione contrattuale, la cessione di credito è limitata al solo diritto di credito derivato al cedente da un precedente contratto; che, pertanto, in forza dell'atto 17-7-2001 di cessione di credito, erano stati trasferiti al cessionario il credito (peraltro indeterminato nell'an e nel quantum) e le azioni a tutela del credito stesso, ma non l'azione di risoluzione per inadempimento; quest'ultima, infatti, inerendo all'essenza del contratto, afferisce alla titolarità del negozio, che continua ad appartenere al cedente anche dopo la cessione del credito;

che, pertanto, sussisteva il difetto di legittimazione della M. a proporre sia l'azione di risoluzione per inadempimento del F., nella sua qualità di direttore dei lavori, sia la conseguente domanda risarcitoria;

che, come desumibile anche dalle stesse premesse dell'atto di citazione in primo grado, il contratto di appalto 17-1-2000 intercorso tra Big Brog srl (di cui la M. era amministratrice unica) e F.M., avendo ad oggetto la progettazione, direzione ed esecuzione dei lavori di ristrutturazione di un immobile sito in Roma (OMISSIS) (di cui la Big Bross era affittuaria), aveva assorbito, modificato e sostituito quello iniziale del 9-12-1999, intercorso tra la M. ed il F., concernente solo la progettazione dei lavori

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dello stesso immobile;

che, comunque, anche a volere considerare come autonomo e distinto il precedente contratto del 9- 12-1999, intercorso (come detto) tra la M. ed il F. ed avente ad oggetto solo la progettazione e direzione dei lavori, la circostanza (pacifica tra le parti) del cambio di destinazione (da internet caffè a disco pub) voluta dalla M. nel corso dei lavori, con conseguenti richieste (da parte di quest'ultima) di modifiche e variazioni del progetto, portava ad escludere la sussistenza del denunciato grave inadempimento dell'architetto F. per carenze ed errori progettuali; al riguardo rilevava che, pur dovendo il professionista provvedere alla redazione di un progetto edilizio con la diligenza del buon padre di famiglia, la sua responsabilità doveva essere esclusa nel caso, quale quello di specie, in cui il cliente avesse richiesto in corso d'opera modifiche sostanziali; l'accertamento di un eventuale inadempimento del F. per errori e ritardi nell'esecuzione dell'opera (oggetto del contratto 17-1-2000) era invece precluso stante la predetta mancanza di legittimazione attiva della M.;

- Avverso detta sentenza M.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi.

F.M. ha resistito con controricorso.

Entrambi hanno presentato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, denunziando - ex art. 360 c.p.c., n. 3 - violazione ed errata applicazione dell'art. 1260 c.c., si duole che la Corte, nell'accogliere la sollevata eccezione di carenza di legittimazione attiva della M., non abbia considerato la specificità del credito risarcitorio, autonomamente cedibile; al riguardo evidenzia che, come precisato dalla S.C., l'obbligazione risarcitoria, anche quando il risarcimento sia conseguenza di un inadempimento contrattuale, non ha natura accessoria rispetto all'obbligazione contrattuale rimasta inadempiuta, ma si configura come un'obbligazione autonoma, con la conseguenza che il relativo credito può costituire oggetto di cessione.

Il motivo è infondato.

La Corte territoriale ha dichiarato il difetto di legittimazione attiva della M. sia rispetto alla proposta azione di risoluzione per inadempimento del contratto di appalto 17-1-2000, intercorso tra Big Brog srl e F.M., sia rispetto alla conseguente azione risarcitoria per i danni derivati dal detto inadempimento; difetto di legittimazione ravvisato in capo alla M., cessionaria del diritto di credito risarcitorio, per avere la stessa esercitato l'azione di risoluzione del contratto di appalto, non compresa nella cessione di credito del 17-7-2001, con la quale erano stati trasferiti solo il credito (peraltro

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indeterminato sia nell'an sia nel quantum) e le azioni a tutela del credito stesso.

La Corte non dubita, pertanto, che l'atto 17-7-2001 costituisca una cessione di credito nè che il credito risarcitorio possa di per sè essere (come avvenuto nel caso di specie) oggetto di cessione di credito, anche futuro; la censura va, pertanto esaminata con riguardo alla questione (peraltro rilevabile d'ufficio; Cass. sez. unite 1912/2012 e successive, tra cui Cass. 17092/2016) della sussistenza o meno, in capo alla M., della legittimazione attiva a proporre l'azione di risoluzione e la conseguente azione risarcitoria.

Ciò posto, ritiene questo Collegio di dare continuità a quanto già statuito da Cass. 776/1967, secondo cui "mentre la cessione del contratto opera il trasferimento dal cedente al cessionario, con il consenso dell'altro contraente, dell'intera posizione contrattuale, con tutti i diritti e gli obblighi ad essa relativi, la cessione del credito ha un effetto più circoscritto, in quanto è limitata al solo diritto di credito derivato al cedente da un precedente contratto e produce, inoltre, rispetto a tale diritto, uno sdoppiamento fra la titolarità di esso, che resta all'originario creditore-cedente, e l'esercizio, che è trasferito al cessionario. Dei diritti derivanti dal contratto, costui acquista soltanto quelli rivolti alla realizzazione del credito ceduto, e cioè, le garanzie reali e personali, i vari accessori e le azioni dirette all'adempimento della prestazione. Non gli sono, invece, trasferite le azioni inerenti alla essenza del precedente contratto, fra cui quella di risoluzione per inadempimento, poichè esse afferiscono alla titolarità del negozio, che continua ad appartenere al cedente anche dopo la cessione del credito".

Va, invero, ribadito che nella cessione del contratto, disciplinata dagli artt. 1406 c.c. e segg., si verifica una sostituzione nella figura di "parte" di un contratto a prestazioni corrispettive non ancora eseguite;

sostituzione che è totale, in quanto il cedente viene completamente estromesso dalla titolarità del rapporto, che, invece, viene conseguita dal cessionario, il quale sarà l'unico legittimato a ricevere la prestazione e ad avvalersi dei rimedi contrattuali, in quanto tenuto a sua volta ad eseguire una prestazione a favore del contraente ceduto; nella cessione del credito, invece, disciplinata dagli artt.

1260 c.c. e segg., il trasferimento, anche se il credito nasce da contratto, ha per oggetto solo il credito in quanto tale, e la sostituzione riguarda unicamente la posizione di "creditore"; ne consegue che il cessionario del credito, non essendo anche parte del contratto costitutivo del credito stesso, non può avvalersi di poteri connessi a tale posizione di parte, e quindi essere legittimato a proporre l'azione di risoluzione del contratto; ed invero, riconoscere siffatta legittimazione al cessionario, che (come detto) non si inserisce in quel rapporto sinallagmatico che giustifica l'esperibilità dell'azione di risoluzione, significa consentirgli una indebita ingerenza nella sfera giuridica del cedente, il quale invece, nonostante la cessione, è sempre parte del contratto originario; correttamente, pertanto,

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proprio questa S.C., nella su citata sentenza, ha evidenziato che, in caso di cessione di un credito avente fonte contrattuale, vi è una scissione tra la titolarità del rapporto contrattuale, che rimane al cedente, e la titolarità del diritto di credito ceduto, che invece viene trasmessa al cessionario, il quale acquista però solo i diritti e le azioni rivolti alla realizzazione del credito ceduto ed all'adempimento della prestazione, non anche le azioni contrattuali; come infatti già rilevato da questa S.C., la previsione dell'art. 1263 c.c., comma 1, in base alla quale il credito è trasferito al cessionario, oltre che con i privilegi e le garanzie reali e personali, anche con gli "altri accessori", deve essere intesa nel senso che nell'oggetto della cessione rientri ogni situazione giuridica direttamente collegata con il diritto di credito stesso, ivi compresi tutti i poteri del creditore relativi alla tutela del credito e quindi anche le azioni giudiziarie a tutela del credito, tra cui l'azione di adempimento dell'obbligazione ceduta (v. Cass. 15.9.1999 n. 9823).

Alla stregua di quanto sopra, pertanto, nel caso di specie, la M., cessionaria del credito risarcitorio in base ad atto 17-7-2001, poteva agire nei confronti del F. per l'adempimento del detto credito (eventualmente previo accertamento incidentale dell'inadempimento del F. al contratto di appalto 17- 1-2000) ma giammai proporre azione di risoluzione di tale contratto; corretta appare, quindi, la declaratoria, da parte della Corte territoriale, di difetto di legittimazione attiva.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunziando "violazione ed errata applicazione degli artt. 1660 e 1703 cc in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4. Errore in procedendo", si duole che la Corte d'Appello abbia ritenuto che il contratto del 17-1-2000 intercorso tra la Big Bros srl ed il F. avesse assorbito, modificato e sostituito quello iniziale del 9-12-1999, intercorso tra la M. ed il F., con la conseguenza di rendere applicabile all'intero rapporto la predetta eccezione di carenza di legittimazione attiva della M.; al riguardo sostiene che, come desumibile dalla documentazione agli atti e in particolare dal testo dei detti negozi, si tratti di due distinti contratti diversi soggettivamente ed oggettivamente.

Il motivo è inammissibile.

La censura si risolve, invero, nel contrapporre la personale valutazione dei rapporti contrattuali intercorsi tra le parti alla diversa interpretazione degli stessi contenuta nell'impugnata sentenza;

siffatta doglianza va proposta sotto il profilo della mancata osservanza dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e ss. o del vizio motivazionale di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5; come più volte chiarito da questa S.C., invero "in tema di ermeneutica contrattuale, l'accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell'ipotesi di violazione dei canoni legali d'interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg.. Ne consegue che il ricorrente per cassazione deve non

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solo fare esplicito riferimento alle regole legali d'interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali"

(Cass. 27136/2017; Cass. 17178/2012).

Con il terzo motivo la ricorrente, denunziando "violazione ed errata applicazione degli artt. 1660 e 1703 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3. Inesistenza della motivazione", si duole che la Corte d'Appello non abbia in alcun modo motivato l'affermata sostituzione di un contratto (quello del 17- 12000) all'altro (stipulato il 9-12-1999), e che quindi ricorra un'ipotesi di motivazione apparente.

Il motivo è infondato.

Questa Corte ha più volte precisato che ricorre la fattispecie dalla motivazione apparente quando il giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull'esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (v. da ultimo, Cass. 9875/2016); tanto non si è verificato nel caso di specie, ove la Corte territoriale ha ampiamente indicato gli elementi su cui ha fondato il suo convincimento in ordine alla detta

"sostituzione contrattuale" (maggiore ampiezza dell'incarico oggetto del contratto 17-1-2000 rispetto a quello del 912-1999, identico oggetto - ristrutturazione dello stesso immobile - delle prestazioni cui si era obbligato il F. nei due contratti, tenore letterale e contenuto dello stesso atto di citazione).

Con il quarto motivo la ricorrente, denunziando "violazione ed errata applicazione degli artt. 2224 e 2230 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4. Errore in procedendo", si duole che la Corte d'Appello, anche a volere considerare come autonomo e distinto il contratto 9-12-1999, abbia comunque escluso il grave inadempimento dell'architetto F..

Con il quinto motivo la ricorrente, denunziando "violazione ed errata applicazione degli artt. 2224 e 2230 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3. Inesistenza della motivazione", sostiene che la Corte d'Appello abbia escluso la gravità del detto inadempimento con motivazione apparente.

Con il sesto motivo la ricorrente, denunziando "violazione ed errata applicazione dell'art. 1176 c.c.

in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3" si duole che la Corte abbia escluso la responsabilità del professionista sulla base dell'avvenuta richiesta di modifiche.

Siffatte censure, concernenti il contratto 9-12-1999, sono assorbite dal rigetto del terzo motivo, e dalla conseguente conferma della statuizione impugnata nel punto in cui ritiene che il contratto 17-1-2000 abbia sostituito quello del 9-12-1999.

Assorbito è anche il settimo motivo, con il quale la ricorrente, denunziando "violazione ed errata

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applicazione dell'art. 1218 c.c. in relazione all'art. 343 c.p.c. ed all'art. 360 c.p.c., n. 3", ha sostanzialmente riproposto la domanda di risarcimento di ulteriori danni sul presupposto (non verificatosi) dell'accoglimento del ricorso.

Alla luce di tali considerazioni, pertanto, il ricorso va rigettato.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato rigettato, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis del cit. art. 13.

PQM P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 6.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2018

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