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RESCISSIONE DEL CONTRATTO E STATO DI BISOGNO

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13) RESCISSIONE DEL CONTRATTO E STATO DI BISOGNO

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13) RESCISSIONE DEL CONTRATTO E STATO DI BISOGNO.

Cassazione civile, sez. II, 12 giugno 2018, n. 15338

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 53 del 2007 l'adito Tribunale di Velletri, in accoglimento della domanda proposta nel novembre 1998 dalla promittente venditrice R.A.M., dichiarava rescisso per lesione "ultra dimidium" ai sensi dell'art. 1448 c.c., il contratto preliminare di vendita dell'immobile, sito in (OMISSIS), dalla medesima sottoscritto il 18 marzo 1998 con i coniugi promissari acquirenti, M.M.

e P.M.T., e, di conseguenza, condannava questi ultimi a restituire all'attrice lo stesso immobile entro e non oltre il 15 febbraio 2007, nonchè a corrispondere alla R., previa compensazione con la somma dalla medesima ricevuta in virtù del preliminare, l'importo di Euro 93.683,00, a titolo di indennità per l'occupazione dell'immobile in questione dal 1 gennaio 1999 al 30 giugno 2006. Il giudice di primo grado rigettava, inoltre, la domanda riconvenzionale formulata dai convenuti ai sensi dell'art. 2932 c.c. al fine di ottenere il trasferimento, con sentenza costitutiva dell'obbligo di contrarre, dell'immobile oggetto del preliminare, dando atto della sopravvenuta rinuncia dei medesimi all'ulteriore domanda di restituzione del doppio della caparra e di rimborso delle migliorie.

Decidendo sull'appello avanzato dai soccombenti convenuti e nella costituzione dell'appellata R., la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 4549/2008, in riforma integrale della decisione impugnata ed in accoglimento del gravame, respingeva la domanda di rescissione proposta dalla R. unitamente a quelle accessorie ed accoglieva, invece, la domanda riconvenzionale degli appellanti formulata in relazione all'art. 2932 c.c., subordinando l'efficacia esecutiva della sentenza - e, quindi, del trasferimento della proprietà dell'immobile che aveva costituito oggetto del contratto preliminare intercorso tra le parti - al pagamento del residuo prezzo di Euro 118.785,09 da parte degli acquirenti.

L'appellata R.A.M. impugnava la suddetta sentenza di appello con ricorso per cassazione e questa Corte, con sentenza n. 13114/2010, accoglieva tutti e sei motivi del ricorso e, per l'effetto, cassava la pronuncia della Corte capitolina e rinviava la causa ad altra Sezione della Corte di appello di Roma per un nuovo esame. Riassunto tempestivamente il giudizio in sede di rinvio da parte della R.A.M., con il cui atto invocava il rigetto del pregresso appello formulato dai coniugi M.- P., la Corte di appello di Roma, nella resistenza degli originari appellanti, previa rinnovazione della c.t.u. per determinare il valore dell'immobile oggetto della controversia, con sentenza n. 5733/2016 (depositata il 30 settembre 2016), decidendo, per l'appunto, in sede di rinvio e conformandosi ai rilievi

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motivazionali contenuti nella richiamata sentenza di questa Corte n. 13114/2010, così provvedeva:

- dava atto che sussistevano i presupposti ai sensi dell'art. 1448 c.c. per pronunciare la rescissione per lesione del contratto preliminare dedotto in giudizio;

- accoglieva la domanda di riconduzione ad equità delle condizioni patrimoniali dello stesso contratto preliminare avanzata dai coniugi M.- P. ai sensi dell'art. 1450 c.c.;

- accoglieva la domanda subordinata e riconvenzionale in virtù dell'art. 2932 c.c. proposta dai medesimi coniugi, subordinando l'efficacia traslativa della sentenza al pagamento (da avvenire entro tre mesi dalla pubblicazione della sentenza) da parte degli stessi (in via solidale), in favore dell'alienante R.A.M., del residuo prezzo di compravendita del controverso immobile, pari alla differenza tra il prezzo definitivo - determinato in Euro 278.886,72 - e le somme fino ad allora corrisposte alla venditrice a titolo di caparra ed in conto-prezzo, il tutto maggiorato, sulla somma in conto capitale così quantificata, dagli interessi legali dalla data del preliminare (18 marzo 1998) al saldo effettivo;

- respingeva tutte le altre domande delle parti e regolava le complessive spese processuali.

A sostegno dell'adottata pronuncia la Corte di rinvio rilevava la sussistenza di tutte le condizioni per la configurazione della rescissione del contratto ai sensi dell'art. 1448 c.c. ma, al contempo, riteneva accoglibile anche l'offerta proveniente dai promissari acquirenti di "reductio ad aequitatem", siccome adeguata ed idonea, con la conseguente accoglibilità della domanda ex art. 2932 c.c. (originariamente) formulata in via riconvenzionale dai coniugi M.- P., con l'emanazione delle statuizioni appena poc'anzi riportate.

Avverso la suddetta sentenza resa in sede di rinvio hanno proposto ricorso per cassazione M.M. e P.M.T., articolato in sette motivi, al quale ha resistito con controricorso l'intimata R.A.M..

I difensori di entrambe le parti hanno anche depositato memoria illustrativa ai sensi dell'art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno dedotto - in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, - la violazione e mancata applicazione degli artt. 36, 594, 101 e 276 richiamato dall'art. 359, in relazione all'art. 118 disp att. c.p.c., tutti anche con riferimento all'art. 111 Cost. sul giusto processo, sul presupposto che il giudice di rinvio, nel decidere la causa, non si era soffermato su tutti i punti che avevano formato oggetto di discussione nel corso del giudizio, essendosi limitato soltanto ad esaminare i fatti posti a fondamento della pretesa fatta valere dalla R., senza valutare i vizi occulti dell'immobile, la carenza del certificato di abitabilità, l'esistenza di canne fumarie in eternit,

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l'inesistenza dell'autorizzazione comunale per la realizzazione di un garage interrato e, soprattutto, senza considerare che difettava ogni prova circa l'esistenza di altre trattative per la vendita dell'immobile dedotto in controversia, ragion per cui - in mancanza di tali valutazioni - il valore dell'immobile non avrebbe potuto essere quantificato in misura superiore a quello determinato in sede di stipula del preliminare stesso (L. 310.000.000).

2. Con la seconda censura i ricorrenti hanno prospettato - in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn.

3 e 4, - la violazione e mancata applicazione degli artt. 99,101 e 112 c.c., in ordine all'art. 325 c.p.c.

e art. 124 disp. att. c.p.c. nonchè agli artt. 648 e 654 c.p.p., con conseguente violazione dell'art. 1337 c.c., perchè - a loro avviso - con la sentenza di rinvio non era stato tenuto conto del giudicato penale di condanna intervenuto nei confronti della R., con cui la stessa era stata ritenuta responsabile del reato di truffa contrattuale nei confronti di altro soggetto con cui aveva stipulato un diverso contratto preliminare avente ad oggetto il medesimo immobile coevamente a quello concluso con essi ricorrenti, circostanza questa che, producendo la violazione dell'art. 1337 c.c., avrebbe dovuto far ritenere inammissibile l'azione di rescissione per lesione "ultra dimidium" per il pregresso inadempimento della medesima R., quale promittente venditrice.

3. Con il terzo mezzo di impugnazione i ricorrenti hanno denunciato - con riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, - la violazione ed errata applicazione dell'art. 1448 c.c. in relazione agli artt.

1482 e 1490 c.c. deducendo che la Corte di rinvio, anzichè porre riguardo ad un'eventuale sproporzione fra le prestazioni, si era soffermata esclusivamente sul dato astratto costituito da un preteso valore potenziale dell'immobile in relazione alle sue assunte caratteristiche, oltretutto contestate da essi ricorrenti e confutate dalle prove acquisite nel corso dei vari gradi di giudizio.

4. Con la quarta censura i ricorrenti hanno ulteriormente dedotto - ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, - la violazione ed errata applicazione dell'art. 1448 c.c. nella parte relativa all'accertamento dello stato di bisogno della promittente venditrice e dell'approfittamento da parte dei promissari acquirenti, omettendo anche di esaminare la sussistenza o meno di un nesso di causalità psicologica tra l'assunto stato di bisogno e la determinazione volitiva della promittente venditrice.

5. Con il quinto motivo - riferito all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, - i ricorrenti hanno, altresì, denunciato la violazione ed errata applicazione dell'art. 1450 c.c. per mancata valutazione degli inadempimenti della promittente venditrice, dell'acconto prezzo versato sul quale andavano calcolati gli interessi, delle spese di ripristino affrontate da essi ricorrenti con incidenza - anche in riferimento all'art. 1464 c.c. - sulla misura della "reductio ad aequitatem", da accertarsi da parte dello stesso giudice di merito.

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6. Con la sesta doglianza - rapportata all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, - i ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata per incompleta applicazione dell'art. 2932 c.c. in riferimento agli artt. 2659 e 2862 c.c., deducendo l'insufficiente descrizione dell'immobile oggetto del trasferimento con pronuncia costitutiva al fine di evitare possibili rischi nella successiva circolazione del bene e liti fra le parti.

7. Con il settimo ed ultimo motivo i ricorrenti hanno denunciato - in virtù dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, - la violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c. per il pronunciato rigetto senza motivazione delle domande subordinate avanzate da essi ricorrenti in riferimento all'ipotesi di accoglimento della domanda principale proposta dalla R., così vulnerando anche il principio di equità costituente la ratio dell'art. 1450 c.c., al fine dell'esatta determinazione del dovuto in funzione della invocata applicazione della "reductio ad aequitatem".

8. Rileva il collegio che occorre, in via pregiudiziale, chiarire che, nella fattispecie, trattasi di un ricorso per cassazione avverso una sentenza emessa dalla Corte di appello di Roma in sede di rinvio a seguito della sentenza di annullamento di questa Corte n. 13114 del 2010, con la quale, però, non furono enunciati specifici principi di diritto (in relazione a violazioni di legge) ma il ricorso della R.

(ora controricorrente) venne accolto per carenze motivazionali della prima sentenza di appello sull'inadeguato riscontro dello stato di bisogno della stessa ricorrente necessario ai fini della pronuncia sulla domanda di rescissione ai sensi dell'art. 1448 c.c. nonchè sulla determinazione del valore dell'immobile per evincerne la dedotta lesione "ultra dimidium".

Occorre, altresì, rimarcare che il ricorso per cassazione avverso una sentenza emessa a seguito di rinvio disposto a norma dell'art. 383 c.p.c. (come nella specie) è disciplinato, quanto ai motivi deducibili, dalla legge temporalmente in vigore all'epoca della proposizione dell'impugnazione, in base al generale principio processuale "tempus regit actum" ed a quello secondo cui il giudizio di rinvio, a seguito di cassazione, integra una nuova ed autonoma fase processuale di natura rescissoria.

Da ciò consegue che, se la sentenza conclusiva del giudizio di rinvio è stata pubblicata dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della L. 7 agosto 2012, n. 134, di conversione del D.L.

22 giugno 2012, n. 83, vale a dire dal giorno 11 settembre 2012 (e, nel caso in esame, la sentenza emessa all'esito del giudizio di rinvio risulta depositata il 30 settembre 2016), trova applicazione l'art.

360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella nuova formulazione restrittiva introdotta dell'art. 54, comma 1, lett.

b), del suddetto d.l. (v. Cass. n. 26654/2014 e, di recente, Cass. n. 10693/2016).

9. Chiarito questo profilo preliminare, osserva il collegio che si ravvisa la necessità di esaminare, in via prioritaria sul piano logico-giuridico e valorizzando la natura del giudizio di rinvio e la posizione

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precedente delle parti in causa, il terzo e quarto motivo del ricorso - tra loro all'evidenza connessi che attengono alle controverse questioni giuridiche inerenti la valutazione sulla sussistenza dei presupposti per pervenire alla rescissione del contratto ai sensi dell'art. 1448 c.c., dalla cui risoluzione risulta condizionata la disamina delle altre residue censure.

Le doglianze riferite ai due motivi appena richiamati sono fondate e vanno accolte per le ragioni che seguono.

Appare opportuno operare una premessa di ordine generale sull'individuazione delle condizioni indispensabili per pervenire all'accoglimento dell'azione di rescissione contrattuale per asserita lesione "ultra dimidium", per come contemplate nei primi tre commi dell'art. 1448 c.c..

La giurisprudenza di questa Corte è concorde nel ritenere che la suddetta azione richiede la simultanea ricorrenza di tre requisiti e cioè l'eccedenza di oltre la metà della prestazione rispetto alla controprestazione, l'esistenza di uno stato di bisogno, che funzioni come motivo dell'accettazione della sproporzione fra le prestazioni da parte del contraente danneggiato e, infine, l'avere il contraente avvantaggiato tratto profitto dall'altrui stato di bisogno del quale era consapevole. Sulla base di tale imprescindibile presupposto complessivo è, altresì, importante chiarire che fra i tre predetti elementi non intercede alcun rapporto di subordinazione od alcun ordine di priorità o precedenza, per cui riscontrata la mancanza o l'omessa dimostrazione dell'esistenza di uno dei tre elementi, diviene superflua l'indagine circa la sussistenza degli altri due e l'azione di rescissione deve essere senz'altro respinta (cfr. Cass. n. 2347/1995; Cass. n. 3480/2002 e Cass. n. 3646/2009). In modo ancor più specifico si è statuito che per stabilire se risultino integrati gli estremi della lesione nella compravendita (o in un preliminare di vendita) di un immobile occorre, da un lato, far riferimento al valore che esso presumibilmente avrebbe avuto in una comune contrattazione al tempo della stipulazione e, dall'altro lato, tener presente che, ancorchè anche una semplice difficoltà economica o una contingente carenza di liquidità siano idonee ad integrare lo stato di bisogno, si profila comunque necessario che esse si pongano in rapporto di causa ed effetto con la determinazione a contrarre, nel senso che debba emergere, dall'istruzione della causa, quantomeno una situazione tale da consentire di ritenere, attraverso una motivata valutazione complessiva, che la conoscenza dello stato di bisogno della controparte abbia costituito la spinta psicologica a contrarre (v., ancora, Cass.

n. 5133/2007). E', inoltre, rilevante sottolineare che l'approfittamento dello stato di bisogno deve consistere propriamente nella consapevolezza che una parte abbia dello squilibrio tra le prestazioni contrattuali derivante dallo stato di bisogno altrui di cui ha parimenti conoscenza, non essendo a tal fine sufficiente uno squilibrio solo ipotizzato da parte del contraente in posizione di vantaggio (cfr.

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Cass. n. 19625/2003 e, da ultimo, Cass. n. 1651/2015, ord.).

Orbene, sulla base della condivisione dei suddetti principi giuridici, emerge che il giudice di rinvio, nella sentenza qui impugnata, non ha dato alcun conto - in funzione della valutazione complessiva riguardante le condizioni stabilite dal citato art. 1448 c.c. (e al di là della possibile configurazione della condotta violativa dell'obbligo di buona fede da parte della R. all'atto delle trattative per la conclusione del contratto preliminare con i ricorrenti e della possibile rilevanza - quale elemento valutativo - del giudicato penale per truffa contrattuale intervenuto a carico della R. oltre che della sua situazione contabile complessiva tale da poter far escludere, in ipotesi, lo stato di bisogno sul piano oggettivo) - dei seguenti elementi costituenti oggetto della terza e quarta censura dei ricorrenti:

- dell'effettiva e comprovata sussistenza dell'elemento della sproporzione fra le prestazioni corrispettive delle parti da considerarsi al momento della stipula del preliminare in relazione al reale valore dell'immobile da valutarsi non in modo meramente astratto (in relazione alle sue assunte caratteristiche) ma in base ai prezzi commerciali "in illo tempore" correnti, da cui desumere l'eventuale configurazione della lesione "ultra dimidium" (terzo motivo);

- dell'effettività dello stato di bisogno della R. che risulta motivato in modo assolutamente apparente nel seguente testuale passaggio della sentenza impugnata: "con riferimento allo stato di bisogno (sia pure contingente) della R. al momento della sottoscrizione del preliminare, è convincimento del collegio che, all'esito del riesame degli atti processuali, disposto in sede di rinvio dalla Corte di cassazione, difetti la prova di disponibilità di liquidità o di titolarità di conti correnti in capo alla promittente venditrice...", il tutto senza che risulti apportata alcuna giustificazione logico-argomentativa idonea sul riscontro della prova della reale correlazione tra l'assunto stato di bisogno della R. e l'approfittamento da parte dei ricorrenti e, quindi, anche della sussistenza del nesso eziologico rilevante sul piano soggettivo tra lo stesso (presunto) stato di bisogno della R. e la sua conseguente necessitata determinazione volitiva orientata alla conclusione del contratto preliminare con i coniugi M.- P. (quarto motivo).

In particolare, con riferimento al terzo motivo, sulla scorta del principio giuridico (al quale dovrà uniformarsi, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 2, il nuovo giudice di rinvio) secondo cui per stabilire l'intervenuta lesione "ultra dimidium" il relativo accertamento deve essere effettuato sul valore dei beni oggetto del contratto al momento della sua stipulazione (v. Cass. n. 3176/2011), occorre evidenziare che, al fine di determinare se vi sia stata sproporzione fra le prestazioni come imposto dall'art. 1448 c.c., comma 1, è necessario indagare non sul preteso valore intrinseco dell'immobile oggetto del contratto, bensì sull'entità dei prezzi correnti, o mediamente ottenibili, in una normale

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contrattazione di mercato temporalmente fissata, che, con riferimento al caso concreto, avuto riguardo alle trattative intercorse, non aveva, in concreto, superato l'importo di L. 400.000.000, tenuto conto dell'offerta che era stata fatta da altro soggetto interessato all'acquisto (tale H.), la cui vicenda contrattuale era poi sfociata in sede penale con la denuncia della R. per "truffa contrattuale", avendo ella stipulato un secondo preliminare relativo allo stesso immobile già promesso in vendita agli attuali ricorrenti.

Senonchè, in violazione del citato art. 1448 c.c., la Corte di rinvio, per pervenire alla quantificazione del preteso valore dell'immobile al luglio 1998, ha posto esclusivo riferimento - in funzione di una sua esclusiva determinazione in astratto - alle due consulenze tecniche espletate, obliterando del tutto sia il riferimento alle concrete contrattazioni realizzate in tale epoca e alle indagini di mercato immobiliari concretamente contestualizzate sia la valorizzazione di tutti gli altri aspetti - pure dedotti in giudizio dagli odierni ricorrenti - incidenti potenzialmente "in pejus" su siffatta valutazione riconducibili ai possibili vizi occulti dell'immobile, quali la prospettata carenza del certificato di abitabilità, l'esistenza di strutture in eternit e l'insussistenza dell'autorizzazione amministrativa per la costruzione di un garage interrato.

Con riguardo al quarto motivo, oltre al già evidenziato vizio ricondotto all'apparente motivazione della sentenza qui impugnata (perciò ancora attualmente censurabile: cfr., ad es., Cass. Sez. U. n.

8053/2014 e Cass. n. 23950/2017) sulla sussistenza dello stato di bisogno, la Corte capitolina è incorsa nell'ulteriore violazione dell'art. 1448 c.c. perchè si è limitata - sulla base, peraltro, di un riesame degli atti processuali apoditticamente affermato a ravvisare la configurazione di tale stato in capo alla R. all'atto della conclusione del contratto preliminare di compravendita con i ricorrenti sulla base della mera emergenza di un suo stato di difficoltà economica (oltretutto senza valutare le complessive emergenze sollecitate anche dalle parti riassumenti). Essa, però, non ha fatto applicazione del principio giuridico - più volte statuito da questa Corte (e al quale pure dovrà conformarsi il nuovo giudice di rinvio) - alla stregua del quale, ancorchè lo stato di bisogno non debba coincidere con l'assoluta indigenza o totale incapacità patrimoniale (potendo essere ravvisato anche nella semplice difficoltà economica o nella contingente carenza di liquidità), affinchè la rescissione possa essere pronunciata risulta, in ogni caso, necessario accertare che le momentanee difficoltà economiche siano in rapporto di causa ad effetto rispetto alla determinazione a contrarre, nel senso che devono costituire il motivo per cui è stata accettata la sproporzione tra le prestazioni di cui l'altra parte abbia approfittato per trarne vantaggio, elementi questi sui quali il giudice del merito deve adeguatamente motivare, non potendosi limitare ad evincere, in via automatica, la sussistenza del

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predetto nesso di causalità psicologica dalla mera constatazione di un'oggettiva condizione economica negativa del contraente ritenuto svantaggiato, prescindendo dalla valutazione della decisività sul piano volitivo di tale situazione in relazione al comportamento della controparte, del quale - ove, in concreto, la lesione risulti "ultra dimidium" - devono essere accertati sia l'approfittamento che la consapevolezza dell'altrui stato di bisogno (cfr. Cass. n. 2217/1984; Cass. n.

4807/1988 e Cass. n. 4630/1990). Va, infatti, ricordato, più in generale, che ai fini dell'azione di rescissione per lesione, lo stato di bisogno, di cui all'art. 1448 c.c., pur potendo consistere anche in una situazione di difficoltà economica, tuttavia non può prescindere da un nesso di strumentalità tale da incidere sulla libera determinazione del contraente, in mancanza degradandosi, nella possibilità della libera scelta dei mezzi, a quella mera esigenza della realizzazione più conveniente del fine perseguito dal contraente che è presente in ogni negozio.

10. In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente esposte, vanno accolti il terzo e quarto motivo, da cui consegue l'assorbimento dell'esame delle altre (dipendenti) censure, con derivante cassazione della sentenza impugnata e il rinvio della causa, per un nuovo esame, ad altra Sezione della Corte di appello di Roma, la quale, oltre a conformarsi ai principi di diritto precedentemente enunciati, provvederà a regolare le spese dell'intero giudizio, ivi comprese quelle della presente fase di legittimità.

PQM P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo e quarto motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese della presente fase di legittimità, ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione civile, il 5 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2018

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