5. Analisi dei dati raccolti
5.2 La scuola primaria Diego Fabbri
5.2.3 Il CLB: scelta o estrema ratio?
Tutti gli insegnanti hanno dichiarato con estrema naturalezza di ricorrere all’aiuto di bambini interpreti tutte le volte che ve ne è la possibilità e che si presenta una necessità impellente. I piccoli mediatori sono visti come una risorsa preziosa sia per gli insegnanti, che per i bambini che si avvalgono del loro intervento: agiscono in classe e fuori dalle aule, per mediare tra insegnanti e bambini o tra insegnanti e genitori, per trasmettere comunicazioni alle famiglie e aiutare con le procedure burocratiche in segreteria.
Quando è stato domandato ai docenti se avessero mai chiesto ai piccoli interpreti che cosa provassero durante la loro attività di mediazione, la maggior parte ha ammesso di non averlo mai fatto direttamente ma di essersi comunque interrogato in proposito. Alcuni di essi dichiarano di primo acchito che i bambini lo fanno “con piacere” (intervista 5), “ben volentieri” (intervista 1), “sono molto contenti” (intervista 3) perché che si sentono “gratificati” e “orgogliosi delle proprie origini” (intervista 6). Uno solo degli intervistati ha invece riferito di aver chiesto esplicitamente ad un bambino se avesse voglia di interpretare per il proprio compagno poiché in passato la madre aveva voluto che a scuola il figlio parlasse solamente italiano.
Tuttavia ad una riflessione più approfondita emergono dei dubbi negli stessi insegnanti sul fatto che l’attività di CLB sia così piacevole per i bambini. Gran parte delle dichiarazioni e degli aneddoti raccontati risultano infatti in contrasto rispetto a quanto riscontrato dalla letteratura sul CLB (§3.3). A partire da precedenti ricerche, si affermava infatti che in ambiente scolastico, soprattutto quando la mediazione avviene tra pari, i risvolti negativi di tale pratica sono trascurabili rispetto a quanto succede in altri contesti. In riferimento alle tre classi oggetto dell’osservazione emergono sensazioni negative più pronunciate con il crescere dell’età dei bambini e quindi plausibilmente delle richieste delle insegnanti e della difficoltà dell’interpretazione. Nella classe prima infatti, gli episodi di CLB erano molto limitati, in quanto i bambini si trovavano anche fisicamente distanti gli
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uni dagli altri. Si è notato inoltre come lo svolgersi stesso delle lezioni fosse più conciliante all’apprendimento lento e guidato necessario ai bambini che non parlano la lingua italiana. Il metodo di insegnamento era infatti più intuitivo e supportato da ausili visivi (i colori, la ruota dei mesi e dei giorni, la linea dei numeri) che permettevano ai bambini stranieri appena inseriti di seguire la lezione per imitazione. Il fatto che la maestra scrivesse sempre tutto alla lavagna con gessi di colori diversi corrispondenti alle matite da utilizzare sul quaderno, che ripetesse più volte lo stesso concetto ad alta voce, scandendo bene le sillabe e che chiedesse sempre un feedback ai bambini per controllare che tutti avessero capito, ha fatto sì che la presenza del bambino cinese fosse percepita come meno problematica dalle maestre. A questo va unito anche l’aspetto anagrafico, per cui i bambini sarebbero più predisposti all’apprendimento di una lingua, quanto più sono piccoli.
In terza vi era la poi la presenza di due mediatori, di cui uno nato in Italia, questo permetteva ai due bambini di ripartirsi il lavoro. È stato interessante notare le diverse reazioni dei due giovani interpreti, uno più volenteroso e l’altro più schivo, come riferiscono anche le maestre:
A. per esempio ha cominciato ad essere un po' insofferente di ‘sta cosa, perché lui vuole fare le cose che fanno gli altri, se io devo dare il lavoro a X. e lo chiamo, lo distraggo dal suo lavoro, cioè capito? Sì un po’ sì però… B. si diverte ancora molto però lui… è un po’ meno bravo, fa anche più fatica, quindi l’occasione di distrarsi lo fa divertire di più. Poi, non so, forse è anche un filino più sensibile, è entrato più in empatia con questo bambino trapiantato bang, di botto, così. In generale comunque una cosa che li fa f…li fa contenti.
(Intervista 4)
Il diverso approccio nei confronti del CLB può essere dovuto alle diverse capacità linguistiche dei due bambini: il primo anch’egli inseritosi a metà anno in prima, con una conoscenza meno approfondita della lingua italiana ma probabilmente ancora molto legato alla lingua cinese, il secondo molto più competente in italiano, della cosiddetta generazione 1.5 o addirittura nato in Italia, ma più restio ad utilizzare il cinese (si tratta del bambino di cui si parlava prima, la cui madre inizialmente non voleva che parlasse cinese a scuola). Probabilmente, il secondo bambino era anche meno consapevole di cosa significasse per il compagno appena arrivato cambiare paese ed inserirsi, a metà anno e metà percorso, in una scuola dove si parla una lingua completamente diversa.
In quinta, si è riscontrata senza dubbio la situazione più delicata poiché la bambina designata come interprete era a sua volta arrivata da pochi mesi a scuola e con una conoscenza ancora molto limitata dell’italiano. In questo caso era palese come il ruolo di mediatrice fosse per lei un peso più che un piacere, fino ad assistere ad episodi di rifiuto fisico oltre che verbale nei confronti della compagna. La bambina è stata vista esclamare
141 più volte “Lei fastidio!” o intimare all’altra “Parla italiano!”, tra le due si era venuto a creare un rapporto estremamente sbilanciato, di completa dipendenza da parte della prima e assolutamente conflittuale nel caso dell’interprete.
Eppure, solo una delle due maestre della classe intervistate ha ammesso di essere a conoscenza della situazione, ma di non avere altri mezzi per poter comunicare con la nuova arrivata o per poter sostenere la giovane interprete:
Mah, S. secondo me non svolge volentieri questo compito di interprete, anzi è assolutamente scocciata, perché per lei è una fatica doppia e un ostacolo. Uno perché in questo momento in cui lei riesce a creare un legame con gli altri bambini è invece trattenuta da P. nella scioglievolezza del legame, perché l'altra bambina le richiede spesso di aiutarla, di tradurre e le parla costantemente in cinese. Quindi, nei momenti liberi, che sono anche pochi e brevi, S. vorrebbe giocare allegramente con gli altri e si trova proprio l'altra bambina che, proprio anche fisicamente, le sta sempre vicina, la trattiene la tiene un po’ anche per un braccio.
(Intervista 9)
L’altra, che pur aveva un rapporto più a tu per tu con le bambine, riconosce il conflitto interiore dell’interprete, costretta a scegliere tra le amiche italiane e la compagna cinese, ma sembra non essersi accorta appieno della problematicità della situazione:
Intervistatore: A S., chiesto direttamente immagino di no, perché ancora ci sono delle difficoltà di comunicazione, però tu lo vedi come si sente lei ad essere nel mezzo?
Insegnante: Come lo vive questo da interprete? No, non lo vive male secondo me. Se me lo chiedevi prima glielo chiedevo.
(Intervista 8)
Le incomprensioni inoltre, erano all’ordine del giorno e si palesavano soprattutto quando ci si aspettava che la traduzione della giovane interprete dovesse indurre l’altra bambina ad agire in certo modo. Di fronte a dei compiti non fatti per esempio, le maestre non sapevano a chi attribuire la responsabilità e si stizzivano quando, nonostante gli sforzi dell’insegnante e l’intervento della piccola mediatrice, in palestra la bambina appena arrivata continuava ad ignorare le regole interrompendo il gioco. L’episodio più lampante di inefficacia della mediazione tuttavia si è riscontrato in occasione della gita scolastica, quando per veicolare tutte le informazioni necessarie erano state coinvolte persino le madri delle due alunne cinesi e di una compagna italiana all’uscita da scuola. Nonostante ciò, la bambina cinese appena arrivata si era presentata alla gita senza pranzo al sacco e sua madre, non vedendola rientrare a casa alla solita ora, era andata a cercarla a scuola. Il malinteso aveva generato insomma non poco caos, vista la difficoltà di comunicare con i genitori oltre che con la bambina.
Riferendosi anche ad altri casi di CLB osservati nel corso della propria carriera, gli insegnanti hanno evidenziato spesso episodi spiacevoli, soprattutto nel caso in cui la
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mediazione avviene tra adulti. Un’insegnante riferisce di aver frequentemente incontrato bambini che dichiaravano di non essere capaci di tradurre, nonostante fossero bilingue. A suo avviso più che di scarse conoscenze linguistiche si trattava del fatto che non riuscissero a capire il significato del messaggio da veicolare. Un’altra invece spiega il frequente “Non so fare” (Intervista 3) dei bambini dicendo che molto probabilmente a volte non si sentono all’altezza, hanno paura di sbagliare o di assumersi la responsabilità di ciò che traducono. Emerge dalle parole di un’insegnante anche il problema di capire quale sia la lingua madre di alcuni alunni:
Bisogna anche capire che per noi africano è africano e cinese è cinese. […] Anche l’arabo, c’è l’arabo…con migliaia di declinazioni! Mi ricordo avevamo una bambina algerina o tunisina, tentavamo di farle fare da traduttrice a un bambino marocchino, non capiva niente.
(Intervista 3)
Un’altra ricorda di bambini che si vergognavano a svolgere attività di mediazione linguistica davanti ai compagni o che si rifiutavano categoricamente di tradurre. Anche in questo caso, le incomprensioni avevano luogo soprattutto nelle conversazioni mediate fra genitori e insegnanti. Durante la fase di osservazione si è per esempio assistito al diniego di un bambino di aiutare l’insegnante a comunicare con la mamma del bambino appena inserito, entrata in classe per cercare di capire cosa dovesse fare con le cedole dei libri di testo. In quel caso la situazione si è risolta con l’intervento dell’altro alunno interprete.
In un caso poi, il CLB viene definito come “pericoloso”:
Poi, naturalmente ti viene da utilizzare il cooperative learning perché hai bambini più grandi che hanno già raggiunto certe abilità linguistiche e naturalmente li usi come mediatori per gli altri, come traduttori per gli altri, ma questo è uno strumento, per molti versi pericoloso, ed è l'unico che abbiamo.
(Intervista 2)
Anche questa testimonianza fa riferimento in particolare alla mediazione di colloqui con i genitori, considerati come le situazioni più “antipatiche”, addirittura “umilianti” se interpretate da un membro esterno alla famiglia. Situazioni “spiacevolissime” sia per gli adulti, che non accettano di essere rappresentati da un bambino, che per i piccoli interpreti, i quali si trovano in difficoltà o rifiutati:
Insegnante: Guarda, le situazioni più, definire antipatiche sono quando devi usare questi bambini per tradurre gli adulti.[…] E questo è successo spesso, successo spesso che arrivavano dei genitori, gente di quaranta, cinquant'anni, e noi utilizzavamo i bambini per tradurre. E io ho visto chiaramente che questa non è una cosa molto accettata dagli adulti e non è accettata neanche dei bambini, quindi a una situazione spiacevolissima per tutti. Perché gli adulti si sentono in qualche modo presi in giro, dicono: “Ma come io vengo in un'istituzione importante e devo farmi dire le cose da un bambino, non è possibile una cosa del genere!” […] Bambini di questa scuola chiamati a fare da interprete per genitori che vengono da fuori, è una cosa umiliante, umiliante, forse è la parola giusta. Poi ci sono
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situazioni per esempio di bambine che non vogliono essere tradotte da bambini e viceversa, insomma. Specialmente con i cinesi questo vale molto, perché hanno una tendenza, sentono molto insomma le differenze di genere.
(Intervista 2)
In questo estratto si fa riferimento anche alla prospettiva di genere, bambini che non accettano di essere tradotti da bambine e viceversa. Un fattore che non era stato notato durante l’osservazione, poiché solo in un caso si aveva la presenza di una coppia mista, ma che ha comunque avuto modo di emergere più volte in sede di intervista, sia parlando del CLB che del rapporto straniero-insegnante, in riferimento a casi passati.
Tre degli intervistati hanno invece risposto di non ricordare episodi spiacevoli o situazioni negative legate al CLB, nemmeno parlando delle comunicazioni con i genitori. Anzi, una in particolare motiva la sua risposta tornando sull’importanza del supporto e della gratificazione dell’insegnante ai piccoli interpreti:
Ma, in realtà no perché, ti dico, io sono in questa scuola, questo è il sesto anno, nel ciclo precedente avevo dei bambini che traducevano per gli altri in maniera molto, come dire, favorevole, ecco. Di situazioni, proprio di bambini che non volevano tradurre, non…direi che non mi ci sono trovata, ecco. Quindi non so, se forse ho avuto la fortuna di capitare… forse è anche il modo in cui viene chiesto che stimola il bambino a fare una cosa nostra piuttosto che un'altra quindi. Indubbiamente sono sempre stati molto sostenuti nel momento in cui magari uscivano e aiutavano gli altri, noi ci fermavamo nell’attività didattica quindi non dovevano fare tutto di corsa, comunque tornare e dover recuperare chissà che cosa, abbiamo sempre avuto un occhio di attenzione per questo.
(Intervista 6)