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5. Analisi dei dati raccolti

5.2 La scuola primaria Diego Fabbri

5.2.6 L’educazione interculturale fra il dire e il fare

Volutamente la parola intercultura e tutti i suoi derivati sono mai stati utilizzata nelle domande poste agli intervistati, né per presentare i contenuti della ricerca ai partecipanti. A partire dagli studi di Tarozzi (2006a) di cui si è parlato nel capitolo 2.6 di questa tesi, si è voluto indagare quale fosse la percezione degli insegnanti a proposito dell’educazione interculturale evitando di ‘forzarli’ ad assumere una visione non propria. Sorprendentemente, il campo semantico dell’interculturalità è citata una sola volta all’interno delle interviste, mentre l’aggettivo multiculturale, riferito all’aula o al laboratorio di alfabetizzazione per stranieri, compare svariate volte. Nonostante ciò, sono comunque frequenti i riferimenti a progetti, atteggiamenti e pratiche che rientrano appieno nella prospettiva interculturale. Durante i colloqui inoltre gli insegnanti si sono riferiti, chi più chi meno, a volte con grande lucidità, altre volte in modo piuttosto confusionario, al rapporto fra i concetti di multiculturalità e di interculturalità, pur non utilizzando esplicitamente tali termini.

I principi dell’educazione interculturale si stagliano ad esempio nettamente nelle parole di due insegnanti. In un passaggio a cui si è fatto riferimento parlando del passato, il primo descrive molto chiaramente l’evoluzione dalla logica multiculturale a quella interculturale. Spiegando il perché della scomparsa della già citata aula della multicultura, afferma:

C'è anche un orientamento culturale, che va in direzione contraria. L’orientamento culturale, culturale eh, più che educativo e didattico, è quello di fondere, sciogliere quest'esperienze nelle singole classi e questa non è sempre una cosa positiva. Perché tu l’hai visto e stai guardando, difficilmente si hanno gli strumenti per risolvere, non per risolvere ma per accogliere nel modo migliore.

(Intervista 2)

Vi è poi un altro insegnante che, forte delle esperienze vissute in un altro istituto, esprime un giudizio molto chiaro su una serie di progetti, anche costosi, sviluppati in

151 passato grazie all’ausilio di personale esterno alla scuola, ma che non avevano contribuito in alcun modo a migliorare l’integrazione23

tra i bambini:

Insegnante: Ne abbiamo fatto uno che sembrava veramente il non plus ultra, invece per me, personalmente, visto da insegnante […] è stato deludente al massimo, questa cosa fatta fuori dalla classe. […] secondo me non ha aiutato niente, perché secondo me bisogna lavorare all'interno della classe, o lavori con tutti, compresi gli italiani, invece lì era solo una cosa per stranieri. […] Magari, anche lì ci hanno fatto vedere queste diapositive, capito, della cultura araba e tutto il resto. Ma cosa mi interessa se la fai vedere bambini arabi che sono lì?

Intervistatore: Certo.

Insegnante: Loro magari già la conoscono, dovrai un può estendere socializzare la cosa con i bambini italiani. Io quindi l'anno scorso un po' ripreso quest'esperienza gestita male, negativa e l’ho adattata alla realtà di classe.

(Intervista 7)

Da questa testimonianza si evince prima di tutto la difficoltà di reperire progetti appropriati allo sviluppo di una didattica interculturale, anche facendo ricorso a personale esterno e presumibilmente ‘qualificato’. Inoltre, si nota la capacità delle maestre e dei maestri di spuntarla nel quotidiano, grazie alla propria buona volontà e ad un forte spirito di intraprendenza. L’insegnante qui citata, ad esempio, stanca di progetti onerosi dal punto di vista economico e temporale, aveva inventato un proprio modo di fare integrazione, oltre che di sviluppare il programma, attraverso l’uso di favole tradizionali di tutto il mondo.

In un altro caso, si è assistito ad una vera e propria lezione di intercultura dal titolo ‘Che cosa significa sentirsi integrati’ inserita nell’ora di geografia. L’attività si è sviluppata coprendo una piccola parte di più lezioni, a partire dall’osservazione del planisfero e dall’individuazione di tutti i paesi di origine dei bambini della classe. L’insegnante, durante la lezione osservata, ha invitato gli alunni ad esprimere le proprie idee sul significato della parola ‘integrazione’ e a raccontare liberamente le proprie esperienze positive e negative di incontro con la diversità. I bambini sono stati sensibilizzati al fatto che si può comunicare anche senza le parole, con i gesti e con il corpo e far sentire a proprio agio l’altro, straniero o italiano che sia salutandolo, ascoltandolo con attenzione, rispettando e cercando di capire le sue abitudini, dimostrandogli interesse e offrendogli il proprio aiuto o piccoli doni.

23 La parola ‘integrazione’ è utilizzata sempre nella sua accezione positiva, non come sinonimo di

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Anche quello di provare a mettersi nei panni del prossimo è un concetto che ricorre spesso nelle parole degli insegnanti:

Noi abbiamo avuto un vecchio dirigente scolastico ci spiegò una cosa e disse, ed erano gli inizi di questo percorso, era più di 15 anni fa e ci disse questo, ci disse: “Vi arriva un bambino straniero, voi, di fronte a questo bambino, dovete avere questo atteggiamento, dovete pensare di essere dei genitori, con il vostro figlio, in un paese straniero, e fate a quel bambino straniero quello che avreste voluto facessero a vostro figlio”.

(Intervista 2)

L’intervistato qui citato prosegue dicendo che “C’erano allora, e ci sono tutt’oggi, colleghi che fanno fatica ad accettare tale situazione”. Un’altra maestra racconta la difficoltà a volte di riuscire a comprendere il punto di vista altrui:

Noi facciamo una grande fatica ad immedesimarsi, certe volte, c'è il proverbio, chi ha la pancia piena, come Antonietta, non hai il pane mangia le brioches. Certe volte non capisce. Quando uno raggiunge un certo benessere, non si immedesima di chi deve affrontare una realtà diversa, si deve adattare.

(Intervista 8)

Il nodo dell’intercultura emerge poi in relazione alla necessità di svolgere con i bambini stranieri un lavoro all’interno o fuori dalla classe. Sebbene alcuni abbiano espresso il desiderio di avere qualcuno che possa seguire i nuovi arrivati all’esterno dell’aula, nessuno ha dichiarato di volerli isolare completamente, nemmeno nel primo periodo.