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Il welfare è una grande conquista democratica. Gli strumenti di previdenza e assistenza sociale promuovono e rendono sostanziale il principio di eguaglianza perché assicurano che i diritti divengano beni fruibili. Rappresentano così il sostanziarsi di quelle libertà positive che, riconosciute come diritti del cittadino, trasformano libertà potenziali in garanzie. Per questo, è una contraddizione in termini il fatto che le prestazioni sociali siano ostaggio delle logiche particolaristiche del privilegio e del favore e che siano oggetto di scambi che riproducono disuguaglianze di potere. Esiste un profondo legame tra legalità, criterio democratico di regolazione della vita sociale e istituzionale fondato sul rispetto della legge e welfare, inteso come agente produttore di benessere e meccanismo istituzionale di promozione della solidarietà. Entrambi (legalità e welfare) sono strumenti volti a coniugare l’utile individuale e l’utile collettivo. I diritti all’uguaglianza sostanziale, i diritti a prestazioni, divengono elemento deresponsabilizzante se disgiunti dai principi di legalità e di uguaglianza formale cioè universalistica. Devono collocarsi dentro un sistema di regole statali poste a tutela di interessi generali perché, al di fuori di questa area, possono tramutarsi in favore accordato, pretesa perseguibile come merce, strumento volto al soddisfacimento di

66 interessi principalmente individuali e solo raramente collettivi. Affinché la legge dello stato si realizzi nella sua versione redistributiva nel modello democratico si presuppone l’affermazione di una cultura della legalità.

La legalità è alla base del rapporto tra cittadini e istituzioni e rappresenta lo spazio all’interno del quale acquisisce un significato più ampio il godimento di diritti sociali. Diversamente invece, come spiega Costabile nelle sue analisi sul tema costruite a partire da categorie weberiane (2009; 2012), nelle regioni meridionali esistono diversi spazi d’azione in cui la legalità risulta assai poco legittimata ed invece sono diffuse relazioni sociali tese a delegittimarla. Non è la differenziazione fra e la coesistenza di più fonti normative legittime a stupire. Infatti ovunque l'ordinamento legale convive con altri ordinamenti legittimi dell’agire, la legalità è uno dei fondamenti di legittimità esistenti nella modernità ma nello stesso tempo bisogna ricordare che è quello fondamentale. La questione che qui rileva attiene alla domanda su quale ordinamento sia ritenuto legittimo nell’ambito pubblico e istituzionale. La ricerca empirica che più avanti si presenterà rileva l’esistenza, nel Mezzogiorno ed attorno alla previdenza sociale agricola, di un modello diffuso di adesione alla norma non orientato alla credenza nella legalità ed al rispetto incondizionato della stessa, ma strutturato attorno a procedure interpretative volte ad omologare la razionalità della norma stessa con esigenze e interessi locali (o personali). Assai spesso, l’accesso al welfare nel sud d’Italia è stato improntato a "forme di legalità solo apparentemente legittime perché continuamente delegittimate da modelli di relazione sociale prevalenti che favoriscono comportamenti e credenze di altra natura" (Costabile, 2012: 58).

Il principio di legalità è alla base della sussistenza formale di un ordinamento legittimo razional-legale, ossia, fonda la sua validità normativa, misurabile nei termini dicotomici della presenza o assenza. In questo senso, la legalità, intesa come comportamento legale osservabile empiricamente, è l’agire conforme ed obbediente alla legge positiva.

67 Questa obbedienza può definirsi anche in maniera passiva o intermittente. La credenza nella legalità rappresenta un modello di agire sociale ed istituzionale in cui l'obbedienza formale alla norma coincide con l'adesione sostanziale al principio che pone la legge positiva dello stato come primaria fonte di legittimità e di obbligazioni. La credenza nella legalità è un fondamento di validità empirica ed effettiva di un ordinamento. Questo convinto aderire al valore della legge in sé è solo uno dei possibili modelli sociali di adesione al dettato della norma. Si definiscono, infatti, differenti processi di costruzione sociale della legalità. Il maggiore o minore diffondersi dell’obbedienza libera e convinta al modello razional-legale come modello prevalente e come l’unico chiamato ad orientare le azioni in determinati ambiti, può essere riconnesso a differenti fattori storici, economici, sociali e culturali. Ma il ‘volto’ che la legalità ha in una data società in un dato tempo dipende anche da come e quanto il valore del rispetto della legge si mostri utile e possieda una propria validità operativa. Solo laddove l'ordinamento giuridico è ritenuto valido perché creduto e perché utile fonte di regolazione sociale esso è pienamente obbedito. Il clientelismo politico ponendosi come efficace criterio di regolazione produce un indebolimento sostanziale della credenza nella legalità e frustra l’aspirazione della legge a porsi come primaria fonte di legittimità e di obbligazioni. L’accesso clientelare alle prestazioni di welfare contraddice il primato della legge rinforzando la validità di lealtà alegali o antilegali anche in un contesto formalmente regolato dal diritto. Questa contraddizione si rivela ancor di più quando le strategie clientelari si propongono e si mostrano concretamente quale strumento valido per accedere a risorse pubbliche.

Nel Mezzogiorno si è definito un vero e proprio sistema economico, politico e sociale basato sulla deformazione clientelare di alcuni meccanismi solidaristici e, proprio nel welfare, i gruppi clientelari hanno ricostruito buona parte del loro potere. Queste azioni manipolatorie situandosi al margine tra il legale affermato sul piano formale e ‘l’illegale

68 consentito’ hanno eroso i confini tra lecito ed illecito. Le utilizzazioni politico-clientelari delle risorse di welfare, nel già debole contesto del Mezzogiorno, hanno contribuito a produrre una forte discrasia tra validità normativa dell'ordinamento e validità empirica dello stesso. Il piegamento dei dispositivi di welfare a fini particolaristici, oltre a implicare le prevedibili nefaste conseguenze in termini di qualità dei servizi e dunque in termini di godimento sostanziale dei diritti sociali, ha generato pure esiti negativi ‘indiretti’. L’utilizzo improprio delle risorse di previdenza e assistenza sociale ha prodotto una delegittimazione dei princìpi democratici di solidarietà e uguaglianza rafforzando una cultura basata sul privilegio e sul disvalore in base al quale, agganciandosi a catene clientelari, è possibile beneficiare di prestazioni sociali dovute o non dovute. La pervasività del clientelismo e della cultura personalistica che lo sostiene ha contribuito a produrre una certa ambiguità nel modo di concepire la cosa pubblica. Il connubio tra welfare e clientelismo, scindendo il diritto al benessere dal principio di uguaglianza e producendo confusione tra area del diritto e area del favore, rappresenta un accostamento ossimorico.

Nonostante questo, l’utilizzazione impropria delle prestazioni di welfare, radicatasi in particolar modo nel Mezzogiorno, è stata sostanzialmente legittimata poiché apparentemente sostenibile a livello economico, tollerabile a livello sociale, utilizzabile per ottenerne consenso politico. Un sistema significativo a livello nazionale con esiti in termini di integrazione fra il centro e le periferie. Come si illustrerà nel seguito di questo lavoro, è dai primi anni ‘90 che, al mutare degli scenari economici e politici nazionali (ed internazionali) che avevano reso possibile sostenerlo nonostante i suoi elementi di contraddittorietà e di spreco, questo ‘modello di funzionamento’ è definitivamente imploso. Il fatto che lo sviluppo di un sistema di scambi politico elettorali e clientelari sia da mettere in rapporto con le attività di demercificazione e destratificazione dello stato (Esping Andersen, 1990) comporta che le dinamiche di questi

69 scambi mutino profondamente al ridursi delle capacità distributive pubbliche.

A questo punto sorgono alcune domande. Come cambia il welfare italiano, edificato e ampliato secondo logiche di opportunità politico elettorale, in epoca di scarsezza di risorse economiche e come reagisce alle sfide della ‘post-modernità’? Come mutano le relazioni clientelari che hanno rappresentato una modalità di distribuzione delle risorse ed un sistema di raccolta ed organizzazione del consenso, al mutare degli equilibri redistributivi e distributivi (istituzionali, economici e politici) in cui si inserivano? In che forma e all’interno di quali circuiti di scambio vengono utilizzate, oggi, le prestazioni di welfare, venuta meno, nell’epoca dell’‘austerity permanente’ e dell’individualismo nelle dinamiche di mediazione degli interessi, la legittimazione latente che quegli scambi avevano?

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Capitolo 3

Crisi e mutamenti dei sistemi di welfare e delle relazioni politico clientelari

3.1 La crisi dei sistemi di welfare a partire dagli anni ’90 e la