8. SALGO (nello spazio, fuori del tempo)
L’acqua il vento
La sanità delle prime cose — Il lavoro umano sull’elemento Liquido — la natura che conduce Strati di rocce su strati — il vento 5
Che scherza nella valle — ed ombra del vento La nuvola — il lontano ammonimento Del fiume nella valle —
E la rovina del contrafforte — la frana La vittoria dell’elemento — il vento 10
Che scherza nella valle.
Su la lunghissima valle che sale in scale La casetta di sasso sul faticoso verde: La bianca immagine dell’elemento. […]
………... Riposo ora per l’ultima volta nella solitudine della foresta. Dante la sua poesia di movimento, mi torna tutta in memoria. O pellegrino, o pellegrini che pensosi andate! Catrina, bizzarra figlia della montagna barbarica, della conca rocciosa dei venti, come è dolce il tuo pianto: come è dolce quando tu assistevi alla scena di dolore della
madre, della madre che aveva morto l’ultimo figlio. Una delle pie donne a lei dintorno, inginocchiata cercava 5
di consolarla: ma lei non voleva essere consolata, ma lei gettata a terra voleva piangere tutto il suo pianto. Figura del Ghirlandaio, ultima figlia della poesia toscana che fu, tu scesa allora dal tuo cavallo tu allora guardavi: tu che nella profluvie ondosa dei tuoi capelli salivi, salivi con la tua compagnia, come nelle favole d'antica poesia: e già dimentica dell'amor del poeta.
La seconda parte della sezione La Verna inizia con un componimento preceduto dalle parole «SALGO (nello spazio, fuori del tempo)» che ho scelto come titolo della mia tesi per l’importanza che riveste una citazione presente in questo paragrafo. Intanto, nel suo commento Fiorenza Ceragioli spiega questa parte così:
Salgo: è il titolo dei versi e le parole fra parentesi precisano l’emblematicità del pellegrinaggio
compiuto in un luogo determinato, nello spazio, ma fuori del tempo, cioè posto nella dimensione campaniana in cui sono abolite le consuete successioni cronologiche. Gli elementi del paesaggio percorso da Campana per salire alla Verna vengono ridisposti in segmenti ritmici […]. Egli li pone in diverso rapporto tra loro rispetto alla disposizione che avevano nella prosa del viaggio che precede questi versi. Tale nuovo rapporto è provocato dalla ridistribuzione che i vari elementi subiscono sempre nel passaggio da un testo di prosa ad uno di poesia.
Salgo (nello spazio, fuori del tempo) cioè in uno spazio che è fuori del tempo, quindi in quello stato di grazia
che è ripetuto in Dualismo […] felicità completa che aboliva il tempo e il mondo intero, cioè la dimensione della realtà terrena. (introCO p. 134, corsivi suoi)
In sostanza, l’ascesa della montagna fino a raggiungere la vetta e il santuario viene ripercorsa
in toto nel breve spazio di 14 versi – la lunghezza di un tradizionale sonetto – recuperando ogni
elemento naturale e umano incontrato lungo il cammino, donandogli nuova vita e, soprattutto, un nuovo ritmo melodico. Ciò che importa maggiormente, però, ai nostri scopi è il titolo che in un’unica riga dà il senso generale del componimento, della sezione La Verna e – oserei dire – di tutta la poetica campaniana: la salita, la scalata fisica si accompagna a un’ascesa morale e personale – che nell’opera parte dalla Notte e arriva fino a Genova – e la prima avviene nello «spazio» materiale della montagna della Falterona, la seconda segue al di «fuori del tempo», in una dimensione altra, creata dalla scrittura e sentita intimamente dal poeta che ha vissuto su di sé ognuna di queste esperienze. E la rilevanza di questo cammino viene ribadita alcune righe dopo quando Campana esplicita una volta per tutte il modello che segue: «Dante la sua poesia di movimento, mi torna tutta in memoria» (riga 2). Nel manoscritto Il più lungo giorno questa frase è diversa e spiega anche quella degli Orfici: «Riascolto Dante: o pellegrini che pensosi andate: il quinto canto. Tutta la sua poesia è poesia di movimento» (PLG p. 50). Nel ripercorrere la strada fatta per salire la Verna e, metaforicamente, per creare i Canti
Orfici Dino pensa a Dante Alighieri e alla «sua poesia di movimento» che non si riferisce soltanto
alla Commedia o a un componimento particolare, ma a tutta la sua opera. Infatti, nella prima versione dice che «tutta la sua poesia è poesia di movimento» e, a sostegno della sua affermazione, cita due passaggi, il capitolo XL della Vita Nuova in cui compare il sonetto Deh peregrini che pensosi andate – probabilmente per affinità con la sezione che sta scrivendo – e il famoso canto V dell’Inferno che gli è stato così presente fino ad ora.
Tuttavia, nella versione finale dei Canti c’è una differenza sia con il manoscritto sia con la poesia dantesca perché egli dice «O pellegrino, o pellegrini che pensosi andate!» (r. 3). In effetti, se risulta ancora più evidente rispetto al Più lungo giorno il richiamo al sonetto di Dante già citato, Campana ha deciso di eliminare la menzione del canto degli amanti infernali – forse avrebbe portato fuori tema in questo frangente dell’opera – e, soprattutto, di aggiungere un «O pellegrino» iniziale al singolare. Per quale motivo lo fa? Ritengo che Dino abbia deciso di far precedere la citazione dell’incipit dantesco posizionata dopo la virgola da un preciso riferimento prima di tutto a Dante – il «pellegrino» più famoso della letteratura italiana – e, poi, a se stesso e al suo solitario pellegrinaggio che sta raccontando in questa lunga sezione per dare un carattere più personale ad una frase che nella lezione originaria era totalmente dedicata ad un altro poeta.
Per concludere, questa parte presenta anche un certo lessico riconducibile all’Alighieri già riscontrato nei rilevamenti precedenti. Prima di tutto si noti l’uso del termine «memoria» (r. 3) anziché “mente” o “testa”: è lo stesso che utilizza Dante all’inizio della Vita Nuova – «In quella parte del libro de la mia memoria dinanzi a la quale poco si potrebbe leggere, si trova una rubrica la quale dice: “Incipit vita nova”» (VN I, 1) – per indicare proprio la “mente” in cui stanno “scritte” le vicende che lui racconterà nel suo «libello» (VN I, 1) giovanile dedicato a Beatrice. In secondo luogo tornano le parole «costa» per due volte, le «nere selve» a distanza dalla «massa oscura», «barbarico» e «barbarica» in tre occorrenze, «antico» sia al maschile sia al femminile e i due importanti verbi «varco» e «salivi» entrambi replicati due volte di seguito. La ripetizione serve non solo a sottolineare il concetto, ma anche a dare un senso di continuità nel tempo: ricordando il titolo iniziale, sappiamo che Campana si trova «fuori del tempo», o meglio in un tempo tutto suo, dettato dalla sua scrittura, che non coincide con quello dell’orologio – semmai è scandito dalla «campana» della «chiesetta» del santuario (par. 7) – bensì con una dimensione interiore a cui ha avuto accesso tramite l’esperienza mistica del pellegrinaggio. Insomma, “salire” e “varcare” sono due azioni correlate, la seconda successiva e dipendente dalla prima poiché solamente tramite la salita a piedi della montagna Dino ha potuto finalmente trovare quel varco – ricordiamo ancora una volta Montale – oltre lo spazio e il tempo, sulla via iniziatica dell’orfismo che dà il titolo alla sua opera.