3.1 Il codice penale dell’Italia unita
Come noto, fino al 1890 in Italia è in vigore il codice penale sabaudo del 1859, esteso a tutto il Regno con Legge 30 giugno 1861 n. 56192. In realtà, questa legge lascia ancora spazio ad alcune differenze tra ex Stati preunitari193, e solo qualche anno più tardi si tenta di fare un po’ di
ordine mediante il r.d. 26 novembre 1865 n. 2599, che apporta delle modifiche al codice in vigore, e con il codice di procedura penale, registrato alla Corte dei Conti il 27 novembre 1865 ed entrato in vigore il 1° gennaio 1866194. Già in questi anni si comincia, però, a pensare al progetto di un nuovo codice penale195.
Per i seguaci di Francesco Carrara, eminente studioso del diritto penale classico derivante dai princìpi illuministi, l’obiettivo della sanzione deve essere la tutela giuridica dell’ordine sociale, che vede in primo luogo la difesa dei diritti dei cittadini da coloro che li violano. Tradotto in termini tecnici, quest’approccio prevede il principio di stretta legalità, la certezza del diritto, l’irretroattività della legge, il principio della responsabilità penale, l’abolizione di pene non umanamente dignitose, la proporzionalità fra gravità del reato e qualità e quantità della pena, i diritti della cittadinanza e non dell’arbitrio sovrano. Reati e loro conseguenze sono stabiliti prima che avvengano, con i cittadini informati preventivamente sulle conseguenze delle loro azioni. La pena
192 Codice penale per gli Stati di S.M. il re di Sardegna, Torino, Stamperia Reale, 1859; Codice penale per gli Stati di
S.M. il Re di Sardegna: esteso alla Sicilia con decreto del Luogotenente generale de Re del 17 febbraio 1861 e modificato con la Legge del 30 giugno 1861 di n. 56, Stab. Tip. di F. Lao, Palermo, 1861; Codice penale per le provincie napoletane, Stab. Tip. di Giannini e C., Napoli, 1861.
193 Il riferimento è alla Toscana dove, nel 1786, il granduca Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena vara il nuovo codice penale, che abolisce la pena di morte, il delitto di lesa maestà, la tortura e la confisca dei beni, cioè i «quattro delitti infami». La Toscana verrà uniformata al codice penale post-unitario con L. 2 aprile 1865. La pena di morte è la questione più scottante, perchè i moderati toscani – al tempo decisivi al governo e in Parlamento – oppongono un netto rifiuto al suo ripristino, in contrasto con la volontà piemontese. Cfr. L. Violante, Delinquere, perdonare, punire in
Storia d’Italia. Annali 12, op. cit, p. XXXIII.
194 Codice penale 20 novembre 1859 colle modificazioni portate dal Decreto Reale 26 novembre 1865 con indice
analitico, Sonzogno, Milano-Firenze, 1865; Codice di procedura penale del Regno d’Italia: colla relazione del Ministro Guardasigilli fatta a S.M. in udienza del 26 novembre 1865, Cerutti e Derossi, Torino, 1866.
195 Tra i vari progetti, quello di Giovanni De Falco, guardasigilli nel 1865-66 e nel 1871-1873, che proponeva, già nel 1868, solo una parziale limitazione di libertà per i reati dettati da impeto momentaneo e per reati politici. Proposta che non sarà inclusa nel codice Zanardelli. Cfr. G. De Falco, Il progetto di Codice Penale, fasc. suppl. in «Rivista penale di dottrina, legislazione e giurisprudenza», III (1876-1877), n. 5.
deve avere, dunque, un significato «retributivo», con una condanna proporzionata alla gravità del reato, inflitta in tempi prestabiliti e rigorosamente rispettati, con efficacia preventiva ma anche intimidatoria. Altresì, deve essere garantita la presunzione d’innocenza, il diritto a manifestare il proprio pensiero e l’abolizione dei reati di opinione o di coscienza. Le tesi di Carrara, spesso interpretate come una reazione rigida alle proposte positiviste, sono in realtà l’esito di studi orientati a una concretezza invariabile e imparziale, conseguente al reato commesso196. Un garantismo, pertanto, che scaturisce dal rapporto fra regola ed eccezione, pur nel rispetto dei diversi livelli di legalità197.
Tale impostazione, utilitaristica e illuminista, è però affiancata, nel pensiero liberale italiano, da criteri di giustizia astratti ma declinati anche in funzione morale198. Le incriminazioni sono soprattutto funzionali agli interessi economici dominanti – resi immuni invece da provvedimenti penali nei loro confronti, rappresentando essi, “moralmente”, l’onesta produttività - e devono in realtà colpire chi, con i fatti o con le idee, attenti alla sicurezza dello Stato e all’assetto economico e sociale in atto. Non a caso i delitti contro la proprietà sono puniti con un rigore eccessivo, imparagonabile, in proporzione, a quelli contro la persona.
Il fenomeno più indicativo, che contraddistinguerà sempre la funzione dei provvedimenti di pubblica sicurezza, è l’utilizzo delle eventuali incoerenze fra «formulazione astratta delle fattispecie penali […] e […] applicazione della legge al caso concreto […] così come quelle fra formulazione garantistica dei reati e delle regole processuali con gli aspetti dell’esecuzione delle pene»199. Il risultato, caratteristico dell’evoluzione della politica penale italiana, è l’annullamento, di fatto, dei princìpi validi in un settore dell’ordinamento penale, mediante le esigenze di un altro settore dell’ordinamento, funzionali al potere costituito200.
Il Carrara supporta, con la cultura giuridica, l’affermazione della borghesia in Italia. Egli, però, si lascia suggestionare dalla moralità, all’interno del dibattito penale, che, sola, può garantire l’unico ordine giusto, cardine assoluto del diritto: quello divino. Per questo, viene ad
196 La fiducia dei “classici” sull’efficacia pratica delle nuove teorie positiviste è molto bassa. Cfr. Canosa, Colonnello, op. cit., p. 187; Grosso, op. cit., pp. 7-8.
197 La logica della «giustizia per i galantuomini», come in L. Lacchè, M. Stronati, Questione criminale, una questione
italiana in Id., (a cura di), op. cit., pp. 11-12.
198 Minimo etico, reintegrazione morale dell’ordine offeso, punizione per avere infranto le regole delle relazioni umane. Cfr. Grosso, op. cit., p. 9.
199 Quest’ultimo aspetto riguarda, nello specifico, l’ordinamento penitenziario. Cfr. ivi, p. 10.
200 Le misure amministrative di pubblica sicurezza, infatti, annullano i valori fondanti del codice penale; mentre i regolamenti penitenziari legittimano comportamenti in evidente antitesi con le categorie di punizione retributiva e di emenda, alla base del diritto classico.
assumere valenza centrale il concetto di «libero arbitrio», cioè la capacità di ogni uomo di intendere e volere e, pertanto, la sua totale responsabilità nella realizzazione del reato. Se egli decide di scegliere il “male”, deve sottoporsi poi a una pena retributiva di tipo giuridico, che maschera però anche quello morale. Tale diritto penale, astratto, indifferente a problematiche e richieste di una società in continua evoluzione, di natura divina, è immutabile e assoluto. La penalistica, così come tracciata da Carrara e dalla sua scuola, ha influenzato la concezione del diritto penale italiano fino a oggi201. Come già detto, però, tutto ciò è vanificato con la delega d’intervento alla polizia, nelle questioni riguardanti la pubblica sicurezza, affidando alle disposizioni amministrative ciò che non può essere sanzionato da un diritto penale garantista202.
Il positivismo criminologico, al contrario, è impostato sul richiamo alla realtà sociale, con derive deterministe di matrice antropologica-fisiologica. Esso non può ignorare totalmente le basi della scuola criminologica classica – nonostante che per Cesare Lombroso essa consista sostanzialmente in un esercizio retorico -, poiché un’impostazione positivistica rigida renderebbe la disciplina del diritto un fenomeno extra-giuridico, dipendente solo dalle scienze sociali, associate a metodi quantitativi e osservazioni cliniche203. Anche Lombroso deve rispondere alle esigenze della borghesia liberale, attraverso il controllo e la sanzione dei comportamenti inadeguati, e la loro definizione, per riconoscerli efficacemente. Al pari della scuola classica, però, basandosi su modelli – i «tipi» - la sua teoria è, paradossalmente, altrettanto astratta, non verificabile dal punto di vista scientifico204.
Quando il nuovo codice è alla fine della fase progettuale, i positivisti vi riconoscono norme valide e aggiornate, ma non adatte a un paese ancora arretrato come l’Italia, dove gli iter giudiziari sono lentissimi. Essi disapprovano particolarmente che, in caso di amnistia, il progetto preveda l’annullamento del reato, pulendo la fedina penale del reo, offendendo le vittime. Così come
201 Ivi, pp. 10-13.
202 Fra l’altro, seguendo un ortodosso garantismo liberale, verrebbe meno l’attenzione alla gestione tecnica del sistema punitivo, a fronte dell’assoluto primato della discussione filosofica dei suoi presupposti e delle sue soluzioni. Cfr. M. Sbriccoli, Caratteri originari e tratti permanenti del sistema penale italiano (1860-1990) in Storia d’Italia. Annali, vol. 14, Legge Diritto Giustizia, a cura di L. Violante, Einaudi, Torino, 1998, p. 494.
203 D. Melossi, Stato, controllo sociale, devianza, Mondadori, Milano, 2002, p. 86.
204 La medicina “deterministica” finisce per negare l’uguaglianza fra gli uomini, costruendo una rigida gerarchia fra loro. La sua tesi è incompatibile con il concetto liberale del «libero arbitrio», ma anche con quello di «diritto» assoluto, poiché la società “normale” ha il diritto di difendersi. Pur rifiutandone i presupposti e gli obiettivi, la scuola classica liberale, teme il positivismo. Infatti, le idee di un Lombroso, che non riconosce la validità del concetto di «libero arbitrio», avrebbero minacciato il sistema sociale e ideologico liberale, qualora fossero accettate dalla maggioranza dei professionisti del settore penale, legittimando interventi arbitrari, e talvolta scriteriati, da parte della polizia.
sono contrari alla cosiddetta «recidiva impropria» - adottata nei paesi più avanzati – per cui non è più prevista come aggravante, se il reato commesso in precedenza è avvenuto più di cinque anni prima205.
Va rilevato, nella visione lombrosiana, il cruciale rapporto tra criminalità e modernizzazione. L’obiettivo, in fondo, è quello di consolidare l’apparato statale, mediante l’applicazione scientifica, per gestire una società complessa. Poveri e ribelli devono essere separati, anche territorialmente, dai cittadini onesti; aree nazionali problematiche devono essere stigmatizzate rispetto a quelle moderne e produttive. Gli ambienti accademici sono poco disposti ad accettare le sue tesi e quest’atteggiamento porta Lombroso a considerare se stesso un ribelle, che non è accettato dalla classe dirigente. La conseguenza è che, sia nel mondo accademico sia in quello istituzionale, almeno secondo Villa, la presenza dei lombrosiani sarà sempre scarsa206.
L’opera di Lombroso richiama comunque grande attenzione, dal punto di vista culturale, fra i suoi contemporanei italiani. Innanzitutto perché dà una visibilità mai avuta alla professione dei medici e degli psichiatri. E, in secondo luogo, perché prova a definire “scientificamente” ciò che la società del tempo, caratterizzata da crisi, paura e insicurezza, teme maggiormente: il rifiuto di norme stabilite per l’andamento pacifico dell’ordine pubblico e sociale. I suoi studi enfatizzano la necessità di operare un controllo sociale mediante strumenti ritenuti validi dalla sperimentazione oggettiva e spiegabili secondo il funzionamento naturale delle società (umane, animali)207.
205 C. Lombroso, Sull’incremento del delitto in Italia e sui mezzi per arrestarlo, F.lli Bocca, Torino, 1879, pp. 135-139. 206 Villa, Il deviante, op. cit., p. 233-241.
207 Nel clima culturale tipicamente ottocentesco ed europeo, il criminale è considerato un “primitivo” (l’atavismo lombrosiano) e, contemporaneamente un “diverso”, con un comportamento socialmente non tollerabile. Tuttavia, la scuola di Lombroso non può essere considerata propriamente “positivista”, essendo descrittiva e non problematica, con risultati sul campo discutibili. Non è corretto neppure considerarla “darwinista”, perché il malato-criminale atavico può essere curato nella maggior parte dei casi, secondo un approccio medico più che strettamente biologico. Inoltre, Lombroso non considera solo le caratteristiche fisiologiche ma, pur in secondo piano, anche quelle psicologiche e culturali. Al materialismo, egli affianca un innatismo, molto diffuso nella medicina italiana, trattando entrambi gli approcci con metodo quantitativo, la sua grande novità. Il suo modo di concepire la professione medica è originale poiché un modello clinico, teoricamente, non è compatibile con quello matematico. Dobbiamo, perciò, tenere presente come egli riesca in questa contaminazione disciplinare, lavorando non su un soggetto sconosciuto ma “prodotto” dalla società, il criminale, e applicando alla sua dottrina strumenti innovativi e adatti per quella fase storica. La sua operazione consiste, principalmente, nell’elaborazione di una diagnostica diversa, anche se poco logica e priva di riscontri reali. Cfr. R. Villa, Scienza medica, op. cit., p. 1168. Per Braunstein, invece, Lombroso ha sempre preso le distanze da Charles Darwin, negandone qualsiasi influenza teorica sul proprio lavoro [op. cit., pp. 319-322]. Tuttavia, quest’ultima tesi non è totalmente sostenibile, come dimostra il volume del criminologo, scritto con Leonardo Bianchi,
Misdea e la nuova scuola penale, F.lli Bocca, Torino, 1884, in particolare p. 111: la scuola lombrosiana, «Darwiniana
fino al midollo», considera come un dogma la lotta per la sopravvivenza. Altro esempio è ricavato sulle prostitute, «sessualmente fredde, e ciò è per loro un vantaggio darwiniano» , funzionale a un lavoro sempre più intenso e pragmatico. Cfr. C. Lombroso, G. Ferrero, La donna delinquente, la prostituta e la donna normale, Roux & C., Torino, 1893, p. 542. Su alcune intuizioni in merito alla prostituzione, anticipanti le teorizzazioni di Lombroso, cfr. P. L. Baima Bollone, Dall'antropologia criminale alla criminologia, Giappichelli, Torino, 2003.
Tradizionalmente, per la storiografia sull'argomento, il 1880-1890 è considerato l’ultimo periodo, in Italia, nel quale il dibattito sulla metodologia positivista rimane vivace, soprattutto a causa dei lavori per il nuovo codice penale e la riforma dei regolamenti di pubblica sicurezza e del sistema penitenziario. Ai vari congressi penitenziari, o di antropologia criminale di questi anni, solo inizialmente Lombroso vive un discreto protagonismo, presentando anche la sua collezione di reperti criminologici. Già al II Congresso di Antropologia criminale svoltosi a Parigi nel 1889 e organizzato da Louis Herbette, tuttavia, non vi è cenno a nessun tipo di accondiscendenza verso la scuola lombrosiana, criticata duramente per metodo e obiettivi – che portano alla criminalizzazione dell’anatomia umana –, creando spaccature anche all’interno della scuola stessa e segnando la notevole diminuzione dei seguaci del medico veronese in Europa208.
Diversa è l’interpretazione di Mary Gibson, la quale sostiene una consistente presenza di allievi lombrosiani, tra fine Ottocento e primi del Novecento, che, pur non presenti in magistratura, lo sono nelle istituzioni burocratiche degli apparati polizieschi e carcerari, ma anche in ambito accademico, e ben oltre la morte del medico, avvenuta nel 1909209. Nella tesi della studiosa americana, l’antropologia criminale, evoluzione tutta italiana di concetti sviluppatisi altrove anni prima, non verrà del tutto soppiantata, neppure culturalmente, dagli studi sulla delinquenza della società di massa, che nasceranno in un momento di crisi storica, culturale e scientifica. La criminologia lombrosiana sarebbe stata, anzi, utilizzata strumentalmente dal potere politico per giustificare specifiche misure “amministrative” nel campo della penalità, in particolare il domicilio coatto, al quale Lombroso era esplicitamente contrario210.
208 Questo è il parere di Villa, Il deviante, op. cit., p. 244. I maggiori oppositori francesi di Lombroso sono il medico Alexandre Lacassagne, il sociologo Gabriel Tarde, gli antropologi Léonce Manouvrier e Paul Topinard. In realtà, anche se, probabilmente, con l’unica intenzione di creare un’attrazione per i visitatori, è esposta una seconda volta (dopo il Congresso penitenziario internazionale di Roma nel 1885), la raccolta lombrosiana, ulteriormente arricchita, di reperti criminologici. Cfr. Torinoscienza.it. La scuola francese, o «scuola di Lione», si oppone solo politicamente, secondo Gibson, alle teorie di quella positivista italiana, per scongiurare una frattura troppo netta con giuristi e magistratura. In realtà, la scuola francese è eclettica e accoglie sia l’approccio sociale sia quello biologico. Gli inglesi, dal canto loro, accettano solo l’idea lombrosiana della delinquenza femminile come malattia e degenerazione. Sulla medesima posizione sono gli statunitensi, anche se maggiormente propensi a confrontarsi con i metodi lombrosiani, tanto che a, fine secolo, nasce anche là una scuola antropologica criminale. Cfr. N. Rafter, Creating Born Criminals, Illinois Universiy Press, Urbana, 1997; M. Gibson, Nati per il crimine. Cesare Lombroso e le origini della criminologia
biologica, Bruno Mondadori, Milano, 2004, pp. 352-355 [tit. or. Born to Crime. Cesare Lombroso and the Origins of Biological Criminology, Praeger, Westport (CT), 2002].
209 Fino a fondare la base ideologica del codice penale fascista. Cfr. Gibson, Nati per il crimine, op. cit., pp. 180-181. 210 Non solo: la criminologia positivista, complessa, e perciò non classificabile entro nessuna ideologia politica precisa,
sarà compatibile con governi di orientamenti molto diversi, come quello fascista italiano; oppure, per certi aspetti, quello neo-liberista dell’ultimo ventennio del Novecento e del primo decennio dell’attuale secolo, come già evidenziato nel primo capitolo di questa ricerca. Cfr. ivi, pp. XXII-XXIII.
3.2 Il codice penale Zanardelli
E’ Carrara che influenza la stesura del codice penale di Giuseppe Zanardelli211, al quale
i classici potranno in seguito obiettare solo qualche difetto nell’organizzazione degli istituti penali, in alcune imprecisioni tecniche e nell’esagerata tutela d’interessi troppo esplicitamente borghesi (un esempio è il peggioramento delle condanne per furto)212.
Altri punti deboli sono la fattispecie di delitto di attentato politico, l’introduzione di quello di vilipendio, la possibilità di fattispecie anche per le manifestazioni di opposizione politica o di concertazione contro lo Stato, nonostante la garanzia di libertà nella manifestazione d’eventuale dissidenza, compreso lo sciopero. Per quanto concerne i reati politici, nel nuovo codice è istituita la parificazione tra reato tentato e consumato, così da salvaguardare la famiglia reale da minacce, e la pena di morte in caso di regicidio213. Stessa strategia della parificazione tra reato solo tentato e quello consumato, era stata stabilita per chi minaccia il governo e la stabilità sociale, con la pena ai lavori forzati a vita, mentre il solo progetto di cospirazione è condannato con lavori forzati a tempo214.
211 Approvato all’unanimità dalle due Camere il 30 giugno 1889, con entrata in vigore il 1° gennaio 1890.
212 Ad esempio, per un furto ordinario, la condanna può arrivare a tre anni (art. 402); se commesso a danno della collettività (uffici pubblici, archivi, cimiteri, ecc.) fino a quattro anni (art. 403); per il furto con «destrezza», fino a sei anni (art. 404); per furti di bestiame fino a otto anni (art. 404). Cfr. Codice penale del Regno d’Italia promulgato con R.
Decreto 30 giugno 1889, Unione Tipografica Editrice, Torino-Napoli, 1889, Libro II, Titolo X, Dei delitti contro la proprietà, capo I, Del furto. Per rapine, estorsioni e ricatti, ma soprattutto per le prime, la condanna può arrivare a 15
anni (artt. 406-411) e dopo avere scontato la condanna, segue un periodo di sorveglianza speciale di pubblica sicurezza (art, 412). Cfr. ivi, capo II, Della rapina, della estorsione e del ricatto. Se il delitto contro la proprietà e perpetrato contro familiari stretti, non vi è imputazione penale. Se il coniuge è separato oppure i familiari stretti non vivono con il reo, si procede solo con querela di parte e la pena viene diminuita di un terzo (art. 433). Cfr. ivi., capo VIII,
Disposizioni comuni ai capi precedenti.
213 L'idea della criminologia positivista è che l’imputabilità del reo politico derivi direttamente dal diritto, della maggioranza della popolazione, al mantenimento dell’organizzazione politica voluta. Il desiderio di un’attuazione troppo rapida dei cambiamenti sociali si scontra con l’inerzia della maggioranza, che reagisce attraverso la repressione istituzionale. La legge della maggioranza è una legge di natura, sulla quale poggia lo Stato e, per questo motivo, il delitto politico lede il diritto di tutta una nazione, che ancora non è pronta. Cfr. C. Lombroso, R. Laschi, Il delitto
politico e le rivoluzioni in rapporto al diritto, all’antropologia criminale e alla scienza di governo, F.lli Bocca, Torino,
1890, pp. 428-429.
214 Codice penale 20 novembre 1859, op. cit., Libro II, Dei crimini e dei loro delitti. E delle loro pene, Titolo I, Dei reati
contro la sicurezza interna ed esterna dello Stato, capo I, Dei reati contro la sicurezza interna dello Stato, artt. 156-
161. Con gli eventi riminesi di Villa Ruffi del 1874, si sosterrà ulteriormente l’importanza di configurare la flagranza, per eludere l’obbligo del mandato di cattura dell’autorità giudiziaria, dando mano libera alla polizia per arrestare subito i sovversivi. Questa disposizione è in contrapposizione con il diritto di riunione che lo Statuto garantisce ai cittadini, salvo che non si verifichino violenze o minacce. Cfr. G. Alessi, Un delitto impolitico? Lo Stato liberale e i suoi nemici:
Per il resto, è l’applicazione concreta dei loro valori liberali e, per l’Italia del tempo, un grande passo avanti verso una modernizzazione della legislazione. Il metodo deduttivo impostato in maniera logica, partendo dalle premesse generali, è totalmente opposto a quello induttivo positivista, focalizzato sulla personalità del criminale, più che sul reato commesso, il quale non agisce in base al libero arbitrio, ma è irresponsabile delle proprie azioni, e sanzionabile con metodi improntati agli aspetti sociali e individuali215.
Per la questione di genere, Zanardelli non sancisce differenze tra rei uomini e donne. Entrambi i generi sono in grado di esercitare il libero arbitrio e, pertanto, criteri probatori e gradi di punizione devono essere gli stessi. Tuttavia, una possibile attenuazione delle condanne alle donne può essere esercitata, a discrezione di giudici e dei funzionari penitenziari, perseverando perciò – come nel codice civile – nell’idea del mantenimento del potere maschile sulle donne216. Anche se per l’adulterio l’uomo rimane molto più tutelato della donna, questa è meno criminalizzata per infanticidio e aborto,