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La politica penitenziaria ottocentesca

1.1 Le due scuole statunitensi e la loro influenza in Europa

In tutti i paesi occidentali, nei primi decenni del XIX secolo, la funzione della segregazione carceraria, rispetto ai secoli precedenti, è mutata94. L’elemento sanzionatorio della pena, diversamente dall’età moderna, non consiste più in un trattamento brutale, dal punto di vista fisico - anche se, in realtà, tale parte rimarrà sempre presente, sia pur in forme meno appariscenti –, bensì in regole rigide, punitive, ma anche correzionali. Per conciliare questi due aspetti nascono, all’estero, modelli organizzativi diversi, che prendono spunto e hanno come riferimento due scuole statunitensi, le quali si fronteggiano sui temi dell’emenda e della deterrenza95. Esse sono il sistema filadelfiano (o

pensilvanico) e quello auburniano (dal carcere di Auburn, a New York), entrambe elaborate negli anni Venti del XIX secolo. Il primo sistema, poiché il criminale è concepito come un soggetto da redimere, prevede il solitary confinement, cioè la segregazione e l’isolamento continui, sia diurni sia notturni, ovviamente in celle singole, con la possibilità di svolgervi anche un'attività lavorativa. Per i filadelfiani, il cui modello perfetto di carcere è Cherry Hill a Philadelphia, un assoluto isolamento, poiché afflizione molto pesante, consente al reo – identificato solo secondo un numero di riconoscimento - di utilizzare il periodo detentivo per la riflessione che, sostenuta dalla preghiera, può stimolare una rinascita interiore e annullare le influenze “corruttive”, conseguenti alla frequentazione

94

Sul dibattito filosofico-politico e sulle sue applicazioni concrete, cfr. M. Foucault, Sorvegliare e punire: nascita

della prigione, Einaudi, Torino, 1976 [tit. or. Surveiller et punir. Naissance de la prison, Gallimard, Paris, 1975].

95 A. Capelli, La buona compagnia: utopia e realtà carceraria nell’Italia del Risorgimento, Franco Angeli, Milano, 1988, p. 8.

degli altri criminali96. Vantaggi pratici non secondari, di tale sistema, sono una sorveglianza più snella e minori spese della gestione. Solo in un secondo tempo i penitenziari filadelfiani accetteranno l'introduzione del lavoro, all'interno della singola cella, in modo da evitare i danni psicologi derivanti dalla solitudine completa, nella speranza che, pur di sottrarsi all'alienazione dell'isolamento, il detenuto sia interessato a lavorare molto e bene, realizzando anche introiti economici a vantaggio dell’amministrazione. Sono consentite solo le visite del cappellano e dei filantropi quaccheri, ma nessun contatto, neppure epistolare, con i familiari. Attraverso il personale processo di redenzione interiore, il condannato avrebbe un ruolo attivo nella propria penitenza, pur senza un'emancipazione dalla sua subalternità sociale. Tale impostazione rispondeva al concetto di «pena razionale», che contempla il tormento auto-punitivo nella coscienza del reo.

L’altro modello prevede il silent system e consiste nella separazione notturna in celle individuali mentre, durante il giorno, i detenuti convivono in grandi laboratori, in cui svolgono un lavoro comune, nel rispetto del silenzio assoluto. Il criminale, in tale ottica, è un «vizioso», da disciplinare con durezza, mediante lavoro e silenzio97. I seguaci del modello auburniano puntano sui guadagni che il penitenziario può ricavare dal lavoro gratuito dei condannati, che si aggiungono al risparmio nella costruzione delle strutture ospitanti, poiché le celle notturne non richiedono né molte attrezzature né grandi dimensioni, e permettono di sfruttare una superficie modesta, pur con maggiore densità di popolazione rispetto alle strutture filadelfiane. Nei laboratori comuni, però, essendo rigida la regola del silenzio, la sorveglianza richiesta è maggiore; per questo le prigioni devono essere dotate di numerosi spioncini, onde controllare che vi sia il rispetto delle regole da parte dei condannati, ma anche delle guardie, che potrebbero farsi corrompere e rendersi complici dei loro sorvegliati. Tale scelta penitenziaria è esplicitamente classista, e legge i rapporti sociali in chiave di contrapposizione violenta tra chi detiene il potere e chi lo subisce. Sembra, però, che essa abbia prodotto un numero minore di recidive, così come meno problemi fisici e psichici ai detenuti. Per questi motivi, negli Stati Uniti saranno più numerosi i penitenziari auburniani rispetto ai filadelfiani98. In entrambi i casi, comunque, vige il concetto di less egibility, cioè l’imposizione di condizioni di vita inferiori a qualsiasi altra condizione esterna, anche a quella dei sottoproletari più poveri.

96 Numerosi gli interventi degli esperti favorevoli a questo sistema. Si veda D. A. Röder, Sui sistemi penitenziari in «Rivista di Discipline Carcerarie in relazione con l’antropologia, col diritto penale, con la statistica, ecc.» (da ora in poi «RDC»), X (1880), pp. 281-303.

97 R. Villa, Il deviante e i suoi segni. Lombroso e la nascita dell’antropologia criminale, Franco Angeli, Milano, 1985, p. 47.

La disciplina tende con il tempo a essere sempre meno cruenta, ma sempre più repressiva, poiché il fine ultimo è quello di modificare tramite il pentimento, o dominare tramite la punizione, la personalità dei condannati. Il controllo è rigido su ogni aspetto della quotidianità, dall’igiene all’alimentazione, agli orari, alle relazioni interpersonali, fino ai comportamenti sessuali99.

Quest’ultimo problema è trattato con molta preoccupazione dagli addetti ai lavori. Se il sistema filadelfiano può incrementare il deplorato e temutissimo atto della masturbazione, la promiscuità auburniana può innescare relazioni omosessuali fra carcerati, e anche fra essi e le guardie; pertanto, il carcere deve essere dotato di sistemi per osservare di nascosto e numeroso personale di sorveglianza.

Un terzo esperimento, talmente breve da non dare inizio a nessuna scuola statunitense, avviene nella sezione femminile del carcere di Sing Sing (Ossinig – Stato di New York), con l’arrivo di una nuova, giovane direttrice, Eliza Farnham. Ispirandosi ai concetti della frenologia100, organizza un sistema riabilitativo che consiste nel disarmo delle guardie, nelle attività collettive, nell’insegnamento di varie materie - come storia, geografia, astronomia, aritmetica, fisiologia e igiene personale -, nell’ascolto della musica, in un ambiente pieno di fiori nel quale sono allestite molte feste, nella vita sociale. Le sue motivazioni sono che, al contrario dei pregiudizi e degli stereotipi, le criminali siano pienamente recuperabili. Dopo poco è licenziata e il suo utopistico progetto non sarà più suggerito da nessuno101.

Inizialmente, pur nella consapevolezza dei danni che il metodo filadelfiano rappresenta per i condannati, in Europa esso è sostenuto con forza nei dibattiti teorici, soprattutto perché si avvicina all’illusione di una pena deterrente ma non cruenta, con l’opportunità di cambiare vita mediante un libero processo di autentico pentimento del criminale102. Rimane però una presa di posizione solo teorica, mentre nella pratica si affermano modelli variegati. Il più importante fra questi è quello del penitenziario di Pentonville, aperto a Londra nel 1842 e diretto, ufficialmente, con sistema

99 Ivi., pp. 140-141.

100 Fondata da Franz Joseph Gall, secondo cui la criminalità è causata dallo sbilanciamento patologico di alcune facoltà cerebrali, come la sessualità, la maternità, la combattività, la distruttività. La frenologia si fonda, dunque, sulla localizzazione cerebrale di emozioni e sentimenti, che crea relazioni fra psiche e soma, specie e individuo. È un approccio psicologistico, ma anche diagnostico, delle attitudini criminali, che però non indaga sulle cause, limitandosi a fornire solo contributi descrittivi sulla relazione fra mente e corpo. La sua sconfitta è già palese dagli anni Quaranta. Tra le principali opere, di Gall, scritte con il suo collaboratore, Johann Gaspar Spurzheim, Anatomie et phisiologie du

système nerveux en général, et du cerveau en particulier. Avec des observation sur la possibilité de reconnaitre plusieurs disposition intellectuelles et morales de l’homme et des animaux par la configuration de leurs tête, F.

Schoell, Paris, 1810; Des disposition innées de l’âme et de l’esprit,du matérialisme, du fatalisme et de la liberté morale

avec des réflexions sur l’éducation et sur la législation criminelle, F. Schoell, Paris, 1811.

101 Villa, op. cit., p, 60. 102 Capelli, op. cit., p. 121.

filadelfiano. Qui il detenuto trascorre i primi diciotto mesi in assoluta solitudine, senza neppure le visite del cappellano e dei volontari delle associazioni filantropiche, e ciò causa frequenti disturbi mentali, anche molto gravi. Durante l’ora d’aria, i condannati sono molto sacrificati: camminano in fila indiana, con una maschera sul volto che impedisce eventuali riconoscimenti fra loro e relazioni interpersonali che possano alleviare la pena anche attraverso banali dialoghi103. In un secondo momento, il condannato può lavorare, durante il giorno, insieme con gli altri. Questo sistema è denominato «misto» o «inglese». Si afferma anche un sistema graduale «irlandese», o «progressivo», diviso in quattro fasi: inizialmente, una reclusione rigorosa, poi un periodo di lavoro diurno in comune e in seguito, in caso di buona condotta, il trasferimento in uno stabilimento “intermedio”, con lavori all’aperto nelle colonie agricole o industriali a disciplina attenuata e, infine, la libertà condizionale. Il concetto ruota pertanto attorno all’idea di un trattamento a severità decrescente per chi dimostra di essersi pentito.

1.2 Il contesto italiano

I maggiori dibattiti sul problema carcerario, esplosi in tutta Europa negli anni Trenta e Quaranta del XIX secolo, trovano spazio in anche in Italia, ma nel Regno unitario, nonostante le intense discussioni teoriche, non si concretizzerà una loro organica attuazione pratica. A parte qualche riforma in Toscana, in generale, nelle carceri italiane preunitarie permane una situazione di disagio, con strutture e modi di funzionamento ancorate a modelli arcaici d’internamento104 . Pur cambiando il

presupposto filosofico delle forme di carcerazione, continuano a essere utilizzate le antiche strutture e il vissuto quotidiano della vita carceraria è il medesimo del periodo preunitario ottocentesco: gli edifici versano in condizioni assai malsane; donne e minori, in molti casi, sono reclusi insieme agli uomini, in una promiscuità gravida di conseguenze di ogni genere; tutti i condannati si devono adattare ai livelli minimi di sopravvivenza.

In Italia, la Chiesa cattolica condanna la reclusione continua e il dibattito si caratterizza come molto filosofico ma, rispetto alle concretizzazioni nei paesi da cui esso era scaturito, in molti

103 G. Adinolfi, Storia di Regina Coeli e delle carceri romane, Bonsignori, Roma, 1998, p. 54. Molti detenuti, infatti, dopo la scarcerazione, sono affetti da crisi di angoscia, ansia e pianto, recepiscono i rumori in maniera alterata e soffrono di frequenti incubi. Cfr. M. Ignatieff, Le origini del sistema penitenziario: sistema carcerario e rivoluzione industriale

inglese 1750-1850, Mondadori, Milano, 1982, pp. 11-12 [tit. or. A Just Measure of Pain. The Penitentiary in Industrial Revolution 1759-1850, MacMillan, London 1978].

104 R. Canosa, I. Colonnello, Storia del carcere in Italia dalla fine del Cinquecento all’Unità, Sapere 2000, Roma, 1984, p. 183.

casi è dotato di minor rigidità e, talvolta, venato anche da buon senso105. Innanzitutto, nella prima metà dell’Ottocento, le strutture detentive sono concepite per ovviare al problema più assillante per gli addetti al carcere e per i governi: quello delle evasioni. Per questo, sono scelti edifici che mal si adattano a far scontare pene diverse dalla reclusione afflittiva, senza considerare gli effetti negativi sulla salute dei reclusi e la necessità di aria e luce; così come permane l’assunzione di guardie carcerarie educate al sospetto e alla durezza di comportamento, accompagnate da cani di grossa taglia addestrati alla ferocia.

Il piemontese Carlo Ilarione Petitti di Roreto è fra i primi che hanno conoscenza diretta, attraverso le visite, dei penitenziari europei. Dopo avere verificato il funzionamento delle carceri di Gand e di Ginevra, si fa fautore del sistema auburniano, più economico per l’adeguamento delle strutture nel regno sabaudo, per la possibilità – mediante il lavoro dei condannati – di ammortizzare le spese fino a ricavare profitti, ma anche per l’imposizione di una disciplina giornaliera, quella dell’attività lavorativa, e per la gestione dei rapporti interni collettivi. Quest’impostazione avrebbe dovuto portare a una vera «rieducazione correttiva»106. Egli individua come modello più vicino a quelli europei moderni - fra gli Stati pre-unitari italiani -, il carcere di S. Michele a Roma, cominciando nel frattempo a ipotizzare, come migliore in assoluto, un «sistema misto», quello che avrà maggior successo in Italia a livello teorico: un assoluto isolamento per gli individui in attesa di processo nelle carceri giudiziarie o per i condannati a pene inferiori a due anni, ma con il modello auburniano per le condanne superiori. Auspica pertanto ciò che la collettività chiede da qualche tempo, cioè un controllo più rigido e intimidatorio sui fenomeni di devianza ma, allo stesso tempo, è anche convinto che il lavoro obbligatorio svolto in carcere serva a insegnare ai condannati un mestiere

105 Ad esempio, quest’approccio è auspicato dal cardinale Carlo Luigi Morichini. L’on. Agostino Plutino aveva riferito in Parlamento, nel 1875, come il sistema filadelfiano fosse deleterio dal punto di vista psicologico, con l’on. Giuseppe Mussi sulla stessa linea [G. Mussi, Relazione sul Bilancio dell’Interno in «RDC», IX (1879), p. 515]. Giuseppe Canevelli, invece, condurrà alcune indagini sull’isolamento cellulare, nel decennio 1890-99, concludendo che, nonostante l’alta valenza intimidatoria, esso provoca gravi conseguenze per la salute, fisica e psichica, conducendo spesso al suicidio o all’alienazione mentale, anche nel caso dei minori [Sulla condotta tenuta, dopo la liberazione, dai minorenni usciti da

riformatori governativi e privati nell’anno decorso tra il 1° gennaio e il 31 maggio 1898 in «RDC», XXV (1900), p. 267].

Carlo Cattaneo è, invece, un convinto sostenitore del sistema filadelfiano, che ritiene repressivo ma non cruento, in grado di modificare positivamente la personalità criminale e di evitare contatti fra condannati e imputati, che talvolta entrano da innocenti nella «suprema scola di malvagità», per uscirne irrimediabilmente compromessi (Delle carceri in Alcuni scritti, Borroni e Scotti, Milano, 1846, p. 48]. Un altro filadelfiano è Luigi Fornasini (Della riforma delle carceri voluta dalla

morale politica e dalla igiene, tip. F. Speranza, Brescia, 1852). Organi, pur non ufficiali, delle le due scuole sono, le

filadelfiane «Il Politecnico», «Annali universali di statistica», «Annali universali di medicina», «Rivista europea», la milanese «Gazzetta privilegiata», i «Commentarii» dell’ateneo bresciano, gli «Annali di giurisprudenza» di Firenze; da parte auburniana, il «Messaggere torinese», il «Giornale delle scienze mediche» sempre di Torino, il «Progresso», gli «Annali civili del Regno delle Due Sicilie», stampato a Napoli. Gli intellettuali italiani, di entrambi gli orientamenti, son o d’accordo solo sul concetto di «less eligibility» e sull’eliminazione della promiscuità fra sessi, età diverse, diverse gravità del reato.

106 C. I. Petitti di Roreto, Della condizione attuale delle carceri e dei mezzi per migliorarla, Pomba, Torino, 1840, 145- 146.

realmente spendibile a libertà acquisita. A questo proposito, propone l’istituzione di una sorta di “cassa di risparmio” per i loro bisogni, giacché ritiene giusto che essi non debbano lavorare del tutto gratuitamente. È altresì contrario a sanzioni fisiche come le percosse, limitando la punizione, per le infrazioni più gravi, a un periodo d’isolamento, eventualmente aggravato da digiuno, oscurità e, come extrema ratio, anche l’apposizione di ferri e catene107. Le proposte di Petitti non sono inedite, ma già ampliamente discusse negli altri paesi europei. Il suo merito è avere fornito un trattato esaustivo e ben articolato sul problema della riforma penitenziaria, proponendo anche le soluzioni tecniche per attuarla108. La sua posizione, in ogni caso, è paternalistica e moralistica, rivelando frequenti tratti autoritari109.

Dietro alle varie posizioni, ammantate d’ideologie e valori spirituali, si nasconde il vero obiettivo della borghesia e delle classi dirigenti, cioè l’imposizione, alle «classi pericolose», di disciplina e obbedienza. Il grande numero di proletari senza lavoro rende il carcere come un parcheggio che li esclude dalla società e, lungi dal tentare un loro reinserimento nella vita civile, li annienta fisicamente e psicologicamente mediante azioni di «terrorismo ideologico»110. Una delle maggiori difficoltà del nuovo Regno si rivela, come per altre decisioni, l’eterogeneità di esperienze degli Stati preunitari, il gap fra quelli più avanzati e quelli meno, la tradizionale arretratezza delle istituzioni del paese nel suo complesso. Per quanto riguarda la situazione carceraria italiana, vi è un grosso scarto tra la realtà delle strutture esistenti e le utopie dei riformatori, conservatori o progressisti, divergenti sulle soluzioni da adottare, ma uniti dalla consapevolezza del generale disastro della situazione penitenziaria italiana111.

1.3 Nuovi paradigmi scientifici e proposte di riforma

L’Italia unificata adotta i primi regolamenti carcerari nel 1862 e, già l’anno successivo, delinea una prima proposta di riforma organica del sistema penitenziario, da parte di una commissione governativa, con un progetto articolato attorno ai seguenti punti cardine: 1) soppressione dei bagni

107 Ivi, pp. 149.

108 Capelli, op. cit., pp. 157-158.

109 G. Neppi Modona, Carcere e società civile, in Storia d’Italia, vol. V, I documenti, tomo 2, Einaudi, Torino, 1973, p. 1910.

110 D. Melossi, M. Pavarini, Carcere e fabbrica. Alle origini del sistema penitenziario (XVI-XIX secolo), Il Mulino, Bologna, 1977, p. 139.

penali marittimi e loro trasferimento in aree recintate, con il divieto di qualsiasi contatto con i lavoratori esterni, e la gestione dei bagni da parte di un’unica, specifica amministrazione (come previsto dall’art. 16 del codice penale sardo, adottato in tutto il Regno)112; 2) strutture diverse,

secondo le condanne da scontare (ergastoli, lavori forzati a tempo, reclusione, relegazione, carcere) e secondo il sesso; 3) permanenza nel carcere giudiziario anche dei condannati a pene di massimo un anno e di chi non può pagare le multe, oltre a locali separati per i condannati agli arresti in materia civile e commerciale e il trasferimento in case di correzione dei minori condannati a custodia e in case di emendazione dei condannati a ricovero; 4) segregazione continua nei bagni penali, nella reclusione, nella relegazione e carcere senza attività per le pene entro i quattordici anni, ma con passeggi all’aperto, comunicazioni con i membri delle commissioni di sorveglianza, degli impiegati e degli addetti allo stabilimento, con i congiunti e i visitatori ufficiosi, oltre alla possibilità di letture e corrispondenza; 5) il lavoro deve essere obbligatorio, ma non per i rei politici e i condannati alla relegazione, con il mantenimento di una piccola quota dello stipendio ai condannati che lavorano, da restituire loro al momento della libertà; 6) divieto d’isolamento per gli ultra-settantenni, i condannati alla custodia, gli ammalati, gli invalidi, gli alienati mentali, anche solo lievemente; 7) libertà condizionale, nell’ultima fase della condanna, per i meritevoli e istituzione di commissioni di sorveglianza degli stabilimenti penali, di società visitatrici e di patronato; 8) riduzione della durata delle pene scontate mediante isolamento, in proporzione alla loro gravità113.

Inizialmente, in Italia, sembra avere maggiori consensi la soluzione filadefiana, almeno dal punto di vista teorico. Il progetto di riorganizzazione delle carceri è sistematizzato nella Legge 28 gennaio 1864, che stabilisce, per ogni Prefettura, un carcere centrale nei singoli capoluoghi, e altri distrettuali nei vari Comuni, per gli imputati in attesa di giudizio, nove penitenziari e ventuno ergastoli con lavori forzati114. Tale programma, però, imponendo anche l’adeguamento degli istituti di pena al modello cellulare, ha un grosso ostacolo nell’utilizzo di edifici inadatti al sistema cellulare d’isolamento115. L’impegno dello Stato, inoltre, si rivolgerebbe principalmente agli stabilimenti

112 Il codice penale italiano mantiene l’impianto sabaudo fino al codice Zanardelli del 1889. Tuttavia, esso subisce alcune modifiche con l’unificazione amministrativa italiana, nel 1865. Cfr. Leggi e decreti per l’unificazione amministrativa

del Regno d’Italia con aggiunta delle modificazioni in esse introdotte dopo la loro pubblicazione, Stamperia

governativa, Napoli, 1868.

113 La differenza fra i vari tipi di pena è spiegata nelle pagine successive. 114 Canosa, Colonnello, op. cit., p. 184.

115 J. A. Davis, Legge e ordine. Autorità e conflitti nell’Italia dell’800, Franco Angeli, Milano, p. 242 [Conflict and

penali, piuttosto che alle carceri giudiziarie, che comunque rimarranno sempre piuttosto trascurate e private di gran parte dei finanziamenti previsti per gli adeguamenti116.

Subito dopo la presa di Roma è pubblicato un censimento sulla situazione delle carceri italiane. Esse sono costituite da 37 stabilimenti penitenziari o penali - le cosiddette «case di forza», quelle di reclusione, di relegazione, di correzione, le colonie agricole, gli ergastoli, le case per malati psichiatrici, le «case» per le donne -, 40 riformatori per minori, 24 bagni penali, 252 carceri giudiziarie117. Nel 1871, i carcerati ospiti delle strutture italiane sono 76.066, di cui il 61% rinchiuso nelle carceri giudiziarie, nelle quali oltre il 60% è in attesa di giudizio. Queste statistiche rilevano, però, i reclusi alla fine dell’anno e ciò nasconde il reale numero degli individui transitanti o rinchiusi per periodi minori a dodici mesi nei giudiziari, i quali sono assai più numerosi del dato riportato118.

Uno dei maggiori esperti di politica carceraria, anche se non sempre coerente fra prese di posizione e concretizzazione effettiva delle proprie proposte, è Martino Beltrani-Scalia, direttore generale delle Carceri nel periodo 1879-1885, poi nel 1889-1891 e infine nel 1896-1898119. Numerosi

sono i suoi interventi attraverso saggi, pubblicati spesso nella «Rivista di discipline carcerarie», di cui è direttore, nata nel 1871 come continuazione dell’«Effemeride carceraria», e della quale purtroppo si ha una sospensione tra il 1891 e il 1897. Beltrani-Scalia, anni prima del nuovo Regolamento