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3. L'evoluzione normativa italiana

3.1 Codice Zanardelli VS Codice Rocco

Il primo codice penale unitario, il codice Zanardelli del 1889, collocava i reati sessuali (artt. 331-344) nel Libro II, cap. I e II del titolo VIII, dei “delitti contro il buon costume e l'ordine delle famiglie”. Il titolo veniva suddiviso in sette capi: nel primo dettavano le norme contro la violenza carnale, atti di libidine violenti, corruzione di minorenni, incesto, atti osceni in luogo pubblico, distribuzione/esposizione/messa in vendita di scritture, disegni o altri oggetti osceni mentre negli altri venivano contemplati vari delitti (ratto, induzione o costrizione alla prostituzione, adulterio e bigamia).

Fondamentalmente il delitto di violenza sessuale veniva quindi sdoppiato in due fattispecie: la violenza carnale (art. 331) e gli atti di libidine violenti (art. 333). Del primo delitto si rende responsabile “chiunque con violenza e minaccia avesse costretto

una persona dell'uno o dell'altro sesso a congiunzione carnale”.

Del secondo delitto, invece, viene imputato “chi con violenza e

dell'altro sesso atti di libidine non diretti a commettere il delitto di violenza carnale”.

Abbiamo quindi una una visione del corpo femminile priva di unità come dimostra la distinzione fra atti di libidine e violenza carnale.

Tale schema resta pressoché invariato anche nel Codice Rocco del 1930. La violenza carnale viene collocata nel Libro II al titolo IX dei “delitti contro la moralità pubblica e il buon costume” e, in particolar modo, nel capo I vengono disciplinati i delitti di violenza carnale (art. 519) e gli atti di libidine violenti (art. 521).

Secondo l'art. 519 risponde di violenza carnale “chiunque,

con violenza o minaccia, costringe taluno a congiunzione carnale” mentre l'art. 521 punisce “chiunque, usando mezzi o valendosi delle condizioni indicate nei due articoli precedenti, commette su taluno atti di libidine diversi dalla congiunzione carnale” o “costringe o induce taluno a commettere gli atti di libidine su se stesso, sulla persona del colpevole o su altri”.

Anche qui si può osservare la forte discrepanza dell'istituto non ancora ipotizzabile come unica fattispecie di reato.

Negli altri reati qualificati come delitti contro la libertà sessuale (ratto a fine di libidine o di matrimonio, seduzione con promessa di matrimonio), il Codice Rocco mantiene una visione patriarcale continuando ad affermare una «scissione fra corpo e mente di donna, giacché il corpo della donna era ipotizzato come proprietà di un uomo, padre, marito, ed era concepito come oggetto di scambio tra uomini. Infatti la donna aveva statuariamente come destinazione un uomo, cioè, il matrimonio; lo dimostra il fatto che la pena per il ratto a fine di libidine era aggravata in caso di donna coniugata. Inoltre il ratto a fine di libidine era più gravemente punito di quello a fine di matrimonio: la presa di possesso su una donna ha delle regole e chi le rispetta deve pur essere premiato (27)».

3.2 “De Bello Fallico”: meglio la legge attuale che

una cattiva nuova legge?

Susan Brownmiller(28), femminista americana, diceva che lo

stupro è un atto di guerra degli uomini contro le donne un Bello

Fallico, una guerra sul territorio della sessualità. La legge, quella

che c'era del Codice Rocco e quella nuova, è uno strumento per tenere sotto controllo la bellicosa sessualità maschile.

Il 23 maggio 1995, XII legislatura, settantaquattro deputate presentano la proposta di legge “Norme contro la violenza sessuale”. Trecentoventotto deputati aggiungono le loro firme, cinque deputate non firmano la proposta.

Il 14 febbraio 1996 il Senato approva le “Norme contro la violenza sessuale”, legge numero 66, una legge promossa e fortemente voluta dai movimenti femminili, dalle donne parlamentari, dalle donne italiane che in quegli anni continuavano a chiedere «l'approvazione di una legge che mutasse la collocazione sistematica del reato di violenza; unificasse il delitto di violenza carnale con il delitto di atti di libidine violenti; prevedesse un

regime di procedibilità coerente e con la libertà di ciascuna e con la tutela dei soggetti più deboli ed esposti; contenesse norme processuali che congiungessero le esigenze di accertamento della verità e quella di tutela di esigenze di riservatezza(29)», una legge

che, come si legge nella relazione di accompagnamento, «trova ragione nell'assunzione di responsabilità che, da elette, abbiamo ritenuto di dover assumere nei confronti della maggioranza delle donne di questo Paese(30)».

Fra i punti salienti della legge 15 febbraio 1996 numero 66 troviamo il trasferimento delle norme che regolano e puniscono la violenza carnale dai Delitti contro la moralità pubblica e il buon costume ai Delitti contro la persona. All'interno del Libro II, Titolo XII, Capo III, Sezione II, l'articolo 609 bis c .p. sancisce:

“chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali: 1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto; 2) traendo in inganno la

29 Virgilio, op. cit., 164. 30 Fonte: www.parlamento.it

persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona. Nei casi di minor gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi”.

Innanzitutto quindi l'iniziativa di riforma si è espressa nel riconoscimento che i reati di violenza sessuale dovessero essere considerati come reati contro la persona, per sottolineare che non è più la moralità pubblica e quindi un bene di natura collettiva ad essere tutelato da questa norma, ma un bene individuale che è appunto la libertà sessuale. Si va così a ribaltare quella che era la tradizione giuridica presente al momento della codificazione penale italiana del 1930, che si esprimeva nell'idea che gli interessi che scaturivano dalla libertà sessuale non fossero interessi meritevoli di tutela di per sé, ma piuttosto che dovessero essere collegati a dei valori superiori dai quali esse traevano, di conseguenza, consistenza(31).

Tale spostamento ha sicuramente favorito l'abbandono di quella visione paternalistica che impediva pienamente la tutela della donna in quanto persona.

Un altro dato significativo è stato raggiunto con l'unificazione,

in un'unica fattispecie, della violenza carnale e degli atti di libidine violenti, distinzione prevista dal Codice Rocco prima della riforma, che adesso troviamo all'interno dell'unica figura di “atti sessuali”.

Questo comporterebbe e mirerebbe soprattutto ad evitare, alla parte offesa, le insidiose indagini mediche volte ad individuare, molto spesso, la esatta fattispecie incriminatrice da adottare, gettando nella più generica categoria di atti sessuali qualsivoglia condotta libidinosa.

Si vuole in sostanza dare una maggiore tutela alla vittima che si troverebbe a subire come una doppia umiliazione nonché una devastante interferenza nel proprio privato causata dalle indagini e dai magistrati.

Spinge tuttavia in senso contrario la previsione dell'accertamento anti-Aids che è obbligatorio in tutti i casi in cui le modalità del fatto possono prospettare un rischio di trasmissione della patologia, e dunque obbliga il giudice ad una accurata indagine sulle stesse modalità del fatto(32). Mi riferisco al tanto

discusso articolo 16 della legge in esame che prevede che “l'imputato per i delitti di cui agli articoli 660-bis, secondo comma,

609-bis, 609-ter, 609-octies del codice penale è sottoposto, con le forme della perizia, ad accertamenti per l'individuazione di patologie sessualmente trasmissibili, qualora le modalità del fatto possano prospettare un rischio di trasmissione delle patologie medesime”. Senza entrare troppo all'interno dei dibattiti che sono

stati animati sulla fattispecie in questione, l'imposizione, da parte del giudice, di accertamenti intesi a documentare l'avvenuta trasmissione di patologie sessualmente trasmissibile è parsa ai più(33) un provvedimento che contrasta con la salda tradizione in

tema di consenso dell'avente diritto. Ma oltre a porre problemi legati a tematiche quali la difesa dell'autonomia individuale non reggerebbe nemmeno l'idea di intendere la norma come finalizzata alla sola tutela della vittima nel momento in cui quest'ultima risulterebbe rassicurata dall'idea di non aver contratto possibili infezioni. Questo perché, se si considera il tempo di latenza tra l'infezione e la sieroconversione, non si può ipotizzare che una riduzione del trauma della vittima venga soddisfatto da un

33 Cfr. D. Demartino, Problematiche giuridiche in ordine all'accertamento dell'infezione da

HIV: il consenso del paziente in Giornlt AIDS 1991, 2, 4 ; V. Boroni: il test per

l'accertamento dell'infezione da HIV tra consenso ed imposizione, in Medicina e diritto, a cura di M. Barni e A. Santosuosso , Milano 1995, 202. V. anche B. Magliona,

l'accertamento dell'infezione da HIV per l'imputato di violenza sessuale, in Dir. pen. Proc. 1996, 514-517.

accertamento immediato, nei primi mesi subito dopo il fatto(34), e

per lo stesso motivo risulterebbero inutili se analoghi accertamenti venissero disposti sulla vittima stessa. Probabilmente l'unica finalità attribuibile alla norma è quella di tutelare un interesse della vittima, che potrebbe voler ricostruire la propria eventuale malattia, per avere, in altre parole, la consapevolezza di essersi procurata l'infezione in occasione della violenza o altrimenti.

Inoltre, considerando che la pena comminata per la violenza sessuale è molto elevata, risulta spesso necessario per il giudice distinguere e cercare di graduare in qualche modo le ipotesi più gravi di congiunzione carnale dai meri comportamenti libidinosi per i quali, tra l'altro, è prevista una diminuzione di pena. Tutto questo comporta inevitabilmente il fatto di dover rivolgere alla vittima domande specifiche e invasive sulle dinamiche dei fatti facendo venir meno quella che, apparentemente, era l'iniziale intenzione della riforma.

Detto ciò, il dato forse ancor più rilevante risiede nel fatto che la nuova legge non si distacca minimamente dal Codice Rocco nella parte che riguarda la costrizione con violenza e minaccia.

Proprio questo aspetto rappresenta, probabilmente, l'incontro tra la libertà sessuale e la moralità pubblica come era precedentemente disciplinata. L'art. 609 bis ha mantenuto fondamentalmente la scelta, della vecchia normativa, di basare la fattispecie incriminata proprio su quegli elementi che per primi andavano abbattuti, lasciando così sopravvivere il tradizionale “onere di resistenza(35)”,

laddove avrebbe dovuto invece tutelare la libertà sessuale indipendentemente da qualsiasi coartazione a favore della mancanza di consenso.

Quest'ultima direzione porrebbe finalmente le basi per superare quella concezione di donna incapace di autodeterminarsi dando esclusivamente alla vittima la facoltà di nominare come violento l'atto non voluto.

Bisogna inoltre considerare che, se non sussistono particolari problematiche nel valutare come violenta e criminosa una condotta posta in essere da un estraneo, sicuramente qualche nota di ambiguità potrebbe presentare e, di fatto, presenta la violenza esercitata da soggetti legati da vincoli di conoscenza, così come il sempre più frequente caso della violenza da parte del coniuge o

partner. In questi casi, infatti, la rilevanza del mero dissenso potrebbe eliminare in gran parte il problema di sindacare le dinamiche interpersonali che spesso portano ad erronee valutazioni. Ma ad ogni modo la violenza a sfondo sessuale fa parte di un più ancora generico contenitore che ricomprende qualsiasi forma di violenza esercitata sulla donna, sia essa un mera estranea o una compagna consolidata. E se la violenza sessuale emerge, il più delle volte, in rapporti occasionali ed estranei, la violenza di genere perpetrata in tutte le sue forme si fa strada proprio all'interno del focolaio domestico.

La violenza domestica comprende varie forme: violenza fisica, psicologica, sessuale, economica spesso diversamente combinate ed associate tra di loro; esiste inoltre una violenza assistita: quella subita dai figli che assistono ai maltrattamenti agiti sulla madre.

Il clima di violenza nella coppia si sviluppa nel corso del tempo, in modo graduale, attraverso litigi che pian piano diventano sempre più frequenti e pericolosi. Non si tratta di reazioni impulsive e tanto meno occasionali, sono tutte azioni che si inseriscono nello scenario quotidiano con continuità e “coerenza”.

Ed è proprio all'interno di questo scenario che si innesca la figura del molestatore, spesso un partner o un ex partner, divenuto un problema radicato e in molti Paesi ampiamente conosciuto. Lo

stalking, che da sempre colpisce nell'80% dei casi soggetti

femminili e che pertanto entra pienamente nel concetto di violenza di genere, è stato finalmente regolamentato in Italia anche se con parecchio ritardo rispetto al resto dell'Europa, quasi a voler mettere in luce il ritardo culturale che in materia di tutela della donna ci appartiene.

3.3 Introduzione ai reati di Maltrattamento in

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