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5. Gli uomini abusanti e le loro partner

5.3 Italia: se non ora quando?

Il crescente allarmismo in tema di femminicidio ha costretto le Istituzioni ad approvare nuove misure legislative, come abbiamo visto, al fine di promuovere la sicurezza della società e la protezione dei singoli contro le persone ritenute pericolose. Si tratta, tuttavia, di provvedimenti che per evitare l'alto rischio di recidiva che, in casi delinquenziali come questi, è sempre dietro l'angolo, necessitano della realizzazione di progetti trattamentali per suddetti soggetti.

In molti paesi, come detto, è stata scelta la soluzione del trattamento giudiziariamente imposto oltre che volontario, sia all'interno delle carceri che in situazioni extra-giudiziarie.

Il problema che si pone in scelte del genere, risiede probabilmente nel controbilanciare l'esigenza di un'istanza di controllo sociale con con il rispetto dell'autonomia di scelta dell'individuo.

quello di modificare il comportamento di un individuo, possono sorgere divergenze volte a giustificare o meno l'intervento dello stato nella sfera di autodeterminazione di ognuno.

Il nostro sistema giuridico non prevede, al momento, un trattamento obbligatorio per gli autori di violenza contro le donne, ma , questo non vuol dire di certo che la mancanza di interventi strutturali possano essere tollerati ancora per molto, anche perché la maggior presenza all'interno delle strutture carcerarie di autori di violenza sessuale, domestica, e di genere più in generale, ci pone davanti alla necessità di attuare al più presto interventi di prevenzione, sensibilizzazione e formazione presso gli operatori e di iniziare ad ipotizzare percorsi trattamentali che nascono nel contesto intramurario ma capaci di proseguire successivamente sul territorio.

Riprendendo le principali esperienze degli altri paesi, Isabella Merzagora Betsos(84), così come scrive nel suo libro

“Uomini violenti. I partner abusanti e il loro trattamento”, nel 2008 si è impegnata, in questo senso, assieme ai criminologi dell'Istituto

84 Professore di Criminologia presso la facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università degli

studi di Milano. I suoi interessi di ricerca riguardano prevalentemente la psicopatologia forense, la violenza in famiglia e l'omicidio.

de Medicina Legale dell'Univesità degli studi di Milano.

Sono stati proposti due programmi d'intervento, uno destinato a soggetti in libertà e un altro carcerario.

Il primo, quello in libertà, si chiama Intervento Partner, ed è frutto della collaborazione fra l'insegnamento di Criminologia della facoltà di Medicina dell'Università degli Studi di Milano e il Soccorso Violenza Domestica della clinica Mangiagalli della stessa città.

Il SVD ha iniziato la sua attività nel 2007 e si tratta, fondamentalmente di una prima accoglienza psicosociale alla quale può far seguito una consulenza legale e una presa a carico a breve termine. Il SVD è stato collocato all'interno del Pronto Soccorso proprio perché quest'ultimo risulta essere uno dei primi luoghi in accede la vittima di violenza che difficilmente si recano alla polizia, consultori e servizi sociali o quanto meno non subito.

Questa struttura si avvale di assistenti sociali e psicologhe che hanno effettuato corsi specifici per raggiungere un'adeguata preparazione in materia di violenza di genere e domestica.

Naturalmente nel caso di rischi elevati si attivano immediatamente altri organismi come forze dell'ordine, magistrati di turno, centri anti-violenza e anche in ore notturne.

Il vantaggio di collaborare con questa struttura all'interno di un programma di trattamento degli autori violenti risiede nel fatto che molti esperti in materia sostengono che i programmi di trattamento per i partner violenti devono mantenere rapporti con le agenzie di aiuto per le vittime, e soprattutto rimanere in contatto con le forze di polizia, la magistratura e gli avvocati impegnati nel campo della violenza domestica, i servizi sociali e sanitari (85).

L'intenzione di coloro che partecipano a Intervento Partner è proprio quello di creare una fitta rete di collaborazione con la magistratura, soprattutto quella di sorveglianza, in quanto è ben più difficile che gli uomini violenti cerchino aiuto di loro iniziativa.

Progetto Non-Violenti è il nome del progetto idealizzato

all'interno delle mura carcerarie che, ovviamente, non può essere identico a quello rivolto ai soggetti in libertà.

Gli elementi comuni ad entrambi i progetti riguardano

soprattutto la criminogenesi, individuata in due fattori principali che risultano essere tra l'altro quelli attorno ai quali ruoterà tutto il trattamento:

la cultura della discriminazione e dell'ineguaglianza

di genere;

Gli antecedenti precoci del ciclo dell'abuso e delle

patologie dell'attaccamento.

È importante che sin dall'inizio del trattamento venga chiarito assieme al soggetto cosa si intende per abuso ma , ancora più importante, verificare quale sia la sua visione dei rapporti e dei ruoli di genere e se egli ritiene che la violenza sia un modo accettabile di gestione dei conflitti.

Per valutare ciò si dovrà, ovviamente, conoscere la biografia dell'autore abusante per capire il contesto socio- culturale e per comprendere fino a che punto l'identità sia modellata sullo stereotipo che obbliga il maschio a comportarsi da “Capo” (86).

I programmi dovranno seguire le linee guida e gli standard minimi descritti in letteratura, come è stato spiegato

precedentemente nel paragrafo 5.1, in cui si parla dell'associazione

RESPECT.

Un altro elemento fondamentale, che questa volta riguarda la criminodinamica, risiede nello smantellamento delle tecniche di neutralizzazione. La responsabilizzazione dell'autore è importante nel trattamento dei partner violenti per far loro comprendere, denunciare ed abbandonare gli atteggiamenti di minimizzazione, negazione e colpevolizzazione della vittima.

Anche in questo caso, il trattamento di gruppo è privilegiato, il quale, tra l'altro, consente di venire incontro ad esigenze di risparmio di tempo degli operatori all'interno dell'istituto carcerario. La durata del trattamento, sempre per quanto concerne quello carcerario, potrebbe scontrarsi con diverse esigenze dell'amministrazione penitenziaria (per esempio il trasferimento), ma, poiché si tratta di correggere atteggiamenti sottoculturali sedimentati da decenni, è raccomandata una certa durata, così come previsto nelle linee guida europee.

trattamento criminologico non può essere, dentro e fuori le mura carcerarie, improvvisato ma occorre, piuttosto, una competenza, non solo psicologica, ottenuta attraverso corsi specifici.

Chi conduce il colloquio criminologico, infatti, non deve essere solo un esperto delle scienze del comportamento ma deve specificatamente avere una preparazione in questo campo. Questo perché il colloquio proposto è diverso da quello psicologico o psichiatrico, in quanto ha spesso scopi differenti, richiede competenze specifiche, pone l'operatore in un ruolo differente da quello del terapeuta e dovrebbe creare nel soggetto in esame aspettative diverse.

Colui che compie indagini in ambito criminologico deve, infatti, preoccuparsi del soggetto che sta esaminando senza dimenticare che ha anche un committente, il giudice o l'amministrazione penitenziaria, e che l'esigenza di difesa sociale è lo scopo primario del suo lavoro.

Avere competenza in ambito criminologico significa anche essere in grado di formulare previsioni circa il futuro comportamento dei soggetti trattati, ovvero circa la loro

pericolosità, anche perché operare in ambito istituzionale obbliga sia ad informare chi ha conferito il mandato che a mettere in guardia le potenziali vittime.

In Italia, per quanto concerne la situazione detentiva, il trattamento sarebbe anche previsto; si tratta solo di elaborare programmi specifici così come si è inteso fare con queste proposte.

D'altronde, il solo intervento carcerario, senza un ulteriore trattamento che miri a rieducare il condannato, rischia di lasciare il soggetto pressoché immutato se non ulteriormente peggiorato. La letteratura scientifica straniera indica non solo che buona parte delle vittime torna a vivere con il partner violento anche dopo l'intervento penale, ma che i violenti agiscono l'aggressività anche nei confronti di nuove partner(87).

Per i programmi in libertà, invece, concordano tutti nel fatto che quelli a base volontaria, in cui i soggetti obiettivamente non ricevono alcun vantaggio sul piano giuridico e tanto meno un obbligo coercitivo, vedano un numero misero di partecipanti, e che in molti Paesi la legge prevede invece che questi soggetti

partecipino ai programmi di trattamento su imposizione del Tribunale oppure come misura alternativa alla detenzione.

L'intervento del sistema giudiziario potrebbe essere preso in considerazione, quanto meno da un punto di vista generalpreventivo, perché andrebbe a sottolineare il fatto che l'abuso è criminale, il che potrebbe avere un impatto non irrilevante all'interno di una cultura che conserva residui di discriminazione di genere.

Conclusioni

È difficile ricomporre una realtà che si presenta estremamente frammentata agli occhi chi tenta di descriverla. Nonostante ciò credo sia ora di fare un passo avanti, cercare di smontare una realtà precostituita, lottare contro una battaglia a noi vicina nel tempo e nello spazio.

Un'attenta analisi è doverosa in un epoca in cui l'affermazione dei diritti umani pone in discussione il potere dello Stato di disporre della vita, della libertà, della proprietà delle proprie e dei propri cittadini. Quando l'esercizio della della sovranità statale assume i caratteri di << lesa umanità>> è lecito che gli organismi sopranazionali si attivino a tutelare quegli individui che non vedono riconosciuti i propri diritti.

È difficile oltremodo trovare una soluzione standard dato che in ogni situazione predomina una componente rispetto ad un'altra, e che i possibili piani di intervento vanno dosati e contestualizzati.

Tutto questo non può in ogni caso ammettere atteggiamenti superficiali e non curanti laddove invece un intervento si rende

necessario.

Come popolo abbiamo iniziato a gettare le basi per un lungo percorso di cambiamenti ma non basta. È necessario fare degli sforzi ulteriori per documentare, in primo luogo, le dimensioni reali della violenza contro le donne e denunciare le sofferenze che essa provoca a livello sociale. È necessario educare ad una coscienza di genere e sviluppare una politica su un tema di interesse mondiale come questo. Non da ultimo è indispensabile che gli stati creino le condizioni economiche, ambientali, legislative, sociali per consentire alle proprie cittadine di vivere un'esistenza serena e di godere pienamente dei propri diritti.

In assenza di una seria e collettiva presa posizione circa il fondamento culturale della violenza maschile sulle donne e circa la responsabilità istituzionale di intervenire in maniera adeguata in materia, l'applicazione di singole disposizioni, nazionali ed europee, non inciderà realmente sulla vita ed il futuro delle donne.

Le misure di sensibilizzazione e prevenzione nonché, in alcuni casi di protezione delle vittime, sono ancora deboli e difficilmente attuabili anche a causa dei mancati finanziamenti.

Sembra che il Governo scelga sempre di convenire a soluzioni che mirano a colpire l'atto femminicida senza né dare priorità ad un intervento organico che incida sull'ineguale distribuzione del potere nelle relazioni tra uomo e donna, né ad offrire immediata tutela alla donna vittima di violenza.

Attuare un approccio integrato significa attuare una campagna ampia di prevenzione e educazione, rendere concreti gli strumenti di tutela, evitare che si verifichino ingiustizie nel momento dell'applicazione della legge, ma anche <<incoraggiare la partecipazione attiva degli uomini nelle azioni volte a contrastare la violenza sulle donne e riconoscere che lo Stato ha l'obbligo di esercitare la dovuta diligenza nel prevenire, investigare, e punire gli atti di violenza, sia che siano esercitati dallo Stato sia che siano perpetrati da privati cittadini, e di provvedere alla protezione delle vittime(88)>>.

Bisogna agire sin da subito, prima che l'entusiasmo iniziale e l'allarme che si è venuto a creare in questi ultimi mesi vengano ancora una volta abbandonati nel dimenticatoio. L'auspicio per il

88 Council of Europe , Reccomandation 5/2002 of the Commettee of Minister to member

futuro tocca tanto il nostro legislatore affinché provveda concretamente tramite azioni di prevenzione, di protezione per le vittime e di risocializzazione per i colpevoli, quanto tutti noi, come comunità, nel prenderci l'impegno di non chiudere ancora gli occhi dinnanzi ingiustizie che non possono essere più tollerate.

«La sfida […] sta nel riconoscere che sradicare la violenza contro le donne è complicato, difficile, e impone di affrontare alcune delle credenze più profonde della nostra società; che è un progetto a lungo termine, che necessita di risorse importanti e su lungo periodo; che richiede impegno e passione per continuare, anche quando i risultati sembrano vaghi e difficili da dimostrare; e che non dobbiamo tradire la fiducia dei quei milioni di donne torturate in mille modi solo perché sono nate donne(89)».

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