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Misure in materia di prevenzione e contrasto alla violenza d

4. L'attuazione della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la

4.1 Misure in materia di prevenzione e contrasto alla violenza d

agosto 2013 numero 93.

In risposta alle raccomandazioni provenienti dalle Nazioni Unite nel 2011 e nel 2012( Relatrice Speciale dell'ONU contro la violenza sulle donne) e a due anni esatti dalle raccomandazioni del Comitato Cedaw, che evidenziavano l'incremento dei femminicidi invitando gli Stati ad assicurare protezione adeguata alle donne che subivano violenza da parte di partner o ex partner, il Governo a luglio 2013 avrebbe dovuto presentare un rapporto contenente le misure da adottare al fine di contrastare il fenomeno.

A luglio il Governo Italiano non ha presentato il rapporto richiesto dal Comitato intervenendo invece con il decreto legge n. 93 del il 14 agosto 2013 “Disposizioni urgenti in materia di

di protezione civile e di commissariamento delle province”,pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 16 agosto 2013 e

convertito, con modificazioni, in legge 15 ottobre 2013 n. 119. Il Comitato Cedaw chiedeva di adottare delle misure strutturali che fossero capaci anche di tenere conto della particolare posizione delle donne in situazioni più vulnerabili, con cui assicurare che le donne vittime di violenza ricevessero immediata protezione ma non solo con l'allontanamento dell'aggressore dall'abitazione ma anche con la garanzia di poter stare in rifugi sicuri che ovviamente richiedono un finanziamento adeguato su tutto il territorio nazionale.

Si raccomandava che le vittime avessero accesso al gratuito patrocinio, alla assistenza psico-sociale, e di strutturare inoltre un sistema di raccolta dati e il coinvolgimento della società civile in campagne di sensibilizzazione con fini preventivi.

Il femminicidio, anche se preso in considerazione solo di recente per via del susseguirsi incalzante di numerose notizie di cronaca, non è di certo un fenomeno di oggi. La violenza maschile sulle donne ha un carattere strutturale e non emergenziale e di fatti

proprio su questo aspetto si sono pronunciati in più dichiarazioni i nostri Parlamentari.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri, Enrico Letta, in una conferenza ha dichiarato di aver mantenuto la promessa circa un intervento duro a contrasto di tutto ciò che va sotto il nome di femminicidio e che il fulcro del decreto fosse quello di dare un segno fortissimo di cambiamento radicale sul tema.

La Presidente della Camera, Laura Boldrini, evidenziava che quando di parla di femminicidio si dovrebbe evitare il concetto di emergenza e «più aumentano i casi, più si dovrebbe ragionare in

termini di problema strutturale e quindi culturale »50).

Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, dichiarava: «come

presidente ho già assicurato il massimo il massimo impegno affinché venga costituita la commissione parlamentare, concordemente richiesta da tutte le forze politiche, al fine di studiare il fenomeno del femminicidio per delineare analisi, interpretazioni e adeguate soluzioni.(...) Un passo deciso in questa direzione direzione può essere compiuto con un adeguamento del nostro ordinamento giuridico ai più innovativi strumenti di tutela

dei diritti delle donne, dobbiamo investire nella prevenzione e nella protezione delle vittime, dobbiamo prevedere misure di sostegno medico, psicologico, e legale delle vittime e azioni istituzionali di prevenzione nel settore educativo e dell'informazione(...) se è indifferibile l'approvazione di ogni norma necessaria, occorre nel contempo acquisire la consapevolezza che la violenza contro le donne è socialmente, prima ancora che penalmente, inaccettabile

51)».

Un tale approccio iniziale lasciava immaginare un programma che fosse incentrato sulla definizione di azioni strutturali e sul loro coordinamento di prevenzione e contrasto alla violenza di genere.

Ma in realtà sembra trattarsi dell'ennesimo pacchetto sicurezza dove lo scopo, ancora una volta, non è tanto quello di introdurre misure repressive per tutelare la donna o di eliminare gli ostacoli che rendono difficile, alle donne vittime di violenza, l'accesso alla giustizia e alla loro tutela ma piuttosto la sicurezza collettiva. Questo per lo meno lo si evince dal testo stesso del decreto che, nel secondo capoverso,sancisce che “il susseguirsi di eventi di

gravissima efferatezza in danno di donne e il conseguente allarme

sociale che ne è derivato rendono necessari interventi urgenti volti ad inasprire, per finalità dissuasive, il trattamento punitivo di tali fatti, introducendo, in determinati casi misure di prevenzione finalizzate alla anticipata tutela delle donne e di ogni vittima di violenza domestica”.

Ma in realtà lo Stato, mediante la ratifica della Convenzione di Istanbul, si è obbligato non di adottare misure di pubblica sicurezza in difesa dei soggetti più deboli ed esposti ma bensì di realizzare le misure che sono necessarie a promuovere e garantire il diritto delle donne a vivere una vita che sia libera dalla violenza, si è impegnato a tutelare concretamente le vittime che in questo specifico caso sono rappresentate da tutte le donne.

Sembrerebbe quindi, che l'inadeguatezza di questo decreto sia rappresentato proprio dalla sua Ratio Legis nel momento stesso in cui gli obiettivi che si pone non prevengono efficacemente il femminicidio non ponendo la giusta attenzione sulle sue vittime da un lato e, mancando una visione di principi che regolino la relazione della donna col sistema di giustizia penale.

presentare al Parlamento, un approccio diverso al tema invece di confermare l'idea malsana di trattare la violenza maschile sulle donne in termine di emergenza e di farne susseguire le ennesime misure “urgenti” di contrasto per placare l'allarme sociale che ne deriva.

Come se non bastasse, in un contesto come il nostro, invece di volgere l'attenzione verso la ricerca di concrete soluzioni politico- criminali si sceglie ancora una volta di mettere in atto semplicistici interventi tra l'altro di tipo esclusivamente sanzionatorio.

Per l'ennesima volta il diritto penale – inteso come unico antidoto per attenuare possibili tensioni – risulta caricato di compiti che vanno oltre la sua portata e viene utilizzato per far fronte a questioni che richiederebbero, piuttosto, soluzioni strutturali e di lungo termine.

La violenza sulle donne merita la giusta attenzione che tutto il mondo sembra pronto a riconoscerle ma un provvedimento come questo, probabilmente dettato dalla fretta, non prevede nulla affinché il problema possa essere rimosso all'origine.

4.2. Esame delle nuove norme di diritto sostanziale.

Il capo I del decreto legge n. 93/2013 è stato intitolato “ prevenzione e contrasto della violenza di genere”, ma in realtà il termine “violenza di genere” , per la prima volta utilizzato a livello normativo nazionale, non viene definito. Parimenti la definizione di

“violenza domestica”, apparentemente coerente con la stessa data

dall'art. 3 della Convenzione di Istanbul, in realtà introduce un requisito che è assente nella suddetto articolo, ovvero, quello della non episodicità degli atti. Se già a livello meramente esplicativo il legislatore avesse avuto come intento quello di dare attuazione alla Convenzione avrebbe dovuto recepire esattamente le definizioni di violenza in esse contenute.

Venendo alle modiche apportate al nostro codice penale vediamo che l'articolo 1 del decreto introduce la previsione di nuove aggravanti in materia di maltrattamenti, violenza sessuale e atti persecutori.

Al I comma troviamo la modifica che riguarda il delitto di maltrattamenti, un delitto già ampiamente modificato dalla legge n.

172/2012 di ratifica della Convenzione di Lanzarote(52), come

spiegato in precedenza.

La modifica riguarda l'aggravante speciale presente al secondo comma dell'art. 572 c. p. (reato di maltrattamenti in famiglia) prevista in origine per il caso che il fatto sia commesso in danno di persona minore di anni quattordici estesa col presente decreto al caso in cui il fatto sia previsto “ in presenza di minore degli anni diciotto”. Quest'aggravante rispecchia quella prevista dalla Convenzione di Istanbul che, all'art. 46, lettera D, esorta gli Stati membri a prevedere come aggravante la commissione del fatto su un bambino o in presenza di un bambino(53).

Il decreto, tuttavia, apportava suddetta modifica esclusivamente al delitto di maltrattamenti e, per questo motivo, non è mancata qualche perplessità in ordine alla mancata estensione dell'aggravante al delitto di atti persecutori(54).

52 Convenzione del Consiglio d'Europa sulla protezione dei bambini contro l'abuso e lo

sfruttamento sessuale. In riferimento al reato di maltrattamenti in famiglia e rispetto alla precedente formulazione estende la fattispecie al caso di convivenza, prevede che la commissione del fatto in danno di bambino infra quattordicenne sia un'aggravante di reato ed innalza le pene previste.

53 Si tratta del fenomeno della c.d. Violenza assistita. La Suprema Corte ha sostenuto che lo

stato di umiliazione e di sofferenza del soggetto passivo “può derivare anche da un clima generalmente instaurato all'interno di una comunità in conseguenza di atti di

sopraffazione indistintamente e variamente commessi a carico delle persone sottoposte al potere dei soggetti attivi e a prescindere dall'entità numerica degli episodi vessatori”.( così Cass. V^ N. 2318/2010)

54 Relazione III/01/2013 del 22 agosto 2013 dell'Ufficio del Massimario presso la Corte di

Perplessità queste di cui il legislatore si è fatto carico tanto da sopprimere, con la legge di conversione, il secondo comma dell'articolo 572 c. p., optando invece per la previsione di una nuova aggravante comune inserita nell'inedito n. 11 quinquies dell'articolo 61 c. p.: “l'avere, nei delitti non colposi contro la vita e l'incolumità individuale, contro la libertà personale nonché nel delitto di cui all'articolo 572 c. p., commesso il fatto in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza”.

In questo modo, in primo luogo, si è esteso l'ambito di applicazione delle speciali aggravanti, previste per i maltrattamenti, a tutti i casi di delitti non colposi contro la vita, l'incolumità e la libertà personale, e di conseguenza a tutti i casi di violenza; in secondo luogo è stata introdotta una nuova aggravante comune che consiste in quella dello stato di gravidanza della vittima del reato; infine è stata ampliata l'estensione di quella originariamente prevista dal secondo comma dell'articolo 572 c. p., ovvero in caso di reato commesso in danno di minore infraquattordicenne,

analoga aggravante con riguardo al reato di atti persecutori, che presenta ugualmente natura abituale e la cui consumazione può dunque obbligare ( e l'esperienza insegna che di fatto spesso obbliga) minori ad assistere a comportamenti parimenti pericolosi per il loro corretto sviluppo psicologico”.

attribuendo effetto aggravante al fatto commesso in danno del minore di anni diciotto includendo, giustamente, quella fascia di soggetti, da 14 a 18 anni, che prima – con riferimento ai maltrattamenti – veniva esclusa dalla previsione sanzionatoria, oltre ad aver risolto le problematiche che, la previsione di questa aggravante, comportava.

Venendo a quelle che possono essere le possibili interferenze con le altre disposizioni del codice penale, innanzi tutto si ricorda di come la consumazione di un delitto contro la persona ai danni di un minore già integra l'aggravante prevista dal n. 11 ter dello stesso articolo 61 qualora il fatto sia commesso all'interno o nelle adiacenze di istituti di istruzione o di formazione(55) introdotto dalla

legge n. 94 del 2009. In questo caso, qualora ricorra la condizione prevista dal n. 11 ter, abbastanza specifica, non troverà applicazione il successivo n. 11 quinquies, “essendo abbastanza evidente il

55 Relazione n. III/09/09 del 27 luglio 2009: “ si tratta di una aggravante comune, che

comporta dunque un aumento fino ad un terzo della pena prevista per il reato cui accede. Le ragioni dell'intervento normativo sono state solo fugacemente evocate nel corso dei lavori parlamentari, dove si è evidenziato l'allarme sociale destato dalla consumazione di crimini in ambiente scolastico. La valutazione compiuta dal legislatore sembra dunque quella di una riconosciuta maggiore vulnerabilità del minore mentre si trova in ambiente scolastico lato sensu inteso (…) Ad ogni buon conto è chiaro che l'obiettivo di tutela che il legislatore si è prefisso è comunque quello di tutelare il minore nel momento in cui frequenta l'istituto scolastico. Non è dunque fondamentale nella ricostruzione

dell'aggravante la collocazione fisica dell'edificio scolastico, quanto la sua vocazione a favorire la concentrazione dei minori, ivi affluiti per fruire del servizio istruzione. È allora possibile sostenere che l'aggravante sussista quando il reato viene commesso in un luogo adiacente all'istituto scolastico nel quale il minore si è venuto a trovare esclusivamente in ragione della frequentazione dello stesso”.

rapporto di specialità intercorrente tra le due fattispecie aggravanti”(56).

Sempre in tema di specialità non sembra esserci concorso né tra la nuova aggravante comune e quelle previste dall'articolo 609 ter c. p., comma primo, numeri 1 e 5 ( quest'ultimo modificato dalla legge in esame che sostituisce la parole sedici con diciotto) e comma secondo per il reato di violenza sessuale e dall'articolo 609 quater c. p., comma secondo, per quello di atti sessuali con minorenni, presentando, entrambe le fattispecie, elementi specializzanti, né con il terzo comma dell'articolo 612 bis c. p., il quale prevede anche un'aggravante speciale se la vittima è un minore, ma essendo gli atti persecutori un reato contro la libertà morale e non contro la libertà personale, non rientra di conseguenza nell'ambito di applicazione della nuova fattispecie.

Infine in tutti i casi in cui la condotta ai danni di un minorenne fosse già prevista come elemento costitutivo del fatto tipico di uno dei reati compresi all'interno dell'elenco dell'articolo 61 n. 11 quinquies, sarebbe da escludere un'eventuale contestazione della nuova aggravante in quanto verrebbe assorbita nella, già prevista,

norma incriminatrice.

Per quanto riguarda il delitto di violenza sessuale l'articolo 1, comma 1-ter, in sede di conversione, ha sostituito il numero 5 dell'articolo 609 ter, comma 1, con la seguente disposizione: “ nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni diciotto della quale il colpevole sia l'ascendente, il genitore, anche adottivo, il tutore”. Anche in questo caso quindi è stata innalzata la soglia di età prevista per il minore, da sedici a diciotto, nei casi di atti sessuali posti in essere da determinati soggetti.

Sempre all'articolo 609 ter dopo il numero 5 bis sono stati aggiunti i seguenti numeri: 5 ter “ nei confronti di donna in stato di gravidanza” e 5 quater “nei confronti di persona della quale il colpevole sia il coniuge, anche separato o divorziato, ovvero colui che alla stessa persona è o è stato legato da relazione affettiva, anche senza convivenza”.

Leggendo a caldo l'impostazione di queste due aggravanti appare direi giustificato un aumento di pena quando le vittime si trovino in stato di gravidanza oppure quando il reato sia perpetrato nei confronti di mogli, compagne, fidanzate, e questo per via del

particolare vincolo di fiducia che le lega ai loro aggressori che rende un fatto nettamente più grave. Questa particolare attenzione però, potrebbe risultare quasi discriminatoria nei confronti di altre categorie di donne, non vedendo come l'omicidio o più in generale la violenza attuata su donne nubili o comunque non legate affettivamente a qualcuno e su donne non madri possa essere minimamente considerato un fatto meno grave.

In secondo luogo è stato fatto notare(57) come l'introduzione

della circostanza prevista al numero 5 ter risulti inutile se si considera che l'articolo 61 c. p. prevede al n. 5 l'aggravante che è stata definita della minorata difesa.

In effetti non è difficile sostenere che una donna incinta si trovi in una condizione di particolare debolezza al punto da risultare richiamata all'interno della minorata difesa. Gli stessi giudici di legittimità si sono espressi sulla scia che l'aggravante in questione sussiste anche in presenza di «condizioni utili a facilitare

il compimento dell'azione criminosa(58)», oppure quando la difesa

57 Elio lo Monte, “REPETITA ( NON ) IUVAT: una riflessione a “caldo” sulle disposizioni

penali di cui al recente d.l. n. 93/2013, con. In l. n. 119/2013, in tema di “femminicidio”. Www.penalecontemporaneo.it

58 Cfr. Cass. Pen. Sez. V, 23 febbraio 2005, n. 14995, in CED Cass. 231359 ( fattispecie

non sia del tutto impossibile «ma semplicemente ostacolata(59)»,

per condizioni «di tempo o di luogo, ovvero perché si tratta di

persona debole o incapace di difendersi per deficienze psichiche o fisiche(60)».

In ultimo la locuzione “relazione affettiva”, che compare anche nella fattispecie degli atti persecutori e dall'articolo 3 in tema di violenza domestica, non viene minimamente specificata.

Dalla disposizione emerge che l'aggravante opera non solo nei confronti del coniuge, anche separato o divorziato, ma nei confronti di qualunque persona che risulti, in qualunque modo, legata “affettivamente” alla vittima. Ci troviamo dunque all'interno di un qualsiasi ipotetico rapporto che la vittima abbia instaurato lungo il corso della sua vita.

Il termine “affettività” viene usato in ambito psicologico per indicare un insieme di sentimenti e di emozioni di un individuo oltre al carattere assunto da un particolare stato psichico.

59 Cfr. Cass. Pen. Sez. I, 29 ottobre 1981, in Giustizia penale, 1982, p. 471 ss., ( ipotesi di

furto commesso in un'abitazione, sita in campagna, in ore notturne, approfittando dell'assenza dei proprietari andati in vacanza); cfr. Cass. Pen. Sez. I, 7 gennaio 1988, in Rivista penale, 1989, p. 727 ss. ( rapina consumata in ore notturne in danno di un gestore di distributore di carburante che dormiva solo nel chiosco); Cass. Pen. Sez. II, 22 marzo 1986, in Rivista penale, 1987, p. 484 ( rapina consumata in aperta campagna e in ora notturna; Cass. Pen. Sez. I, 18 marzo 1993, in Giustizia penale, 1995, p. 211 ss. ( vittima colta di sorpresa nell'abitacolo di un'autovettura ferma).

L'indeterminatezza della norma, comportando il fatto che spetta al giudice verificare la sussistenza di una relazione affettiva tra due persone, operazione tra l'altro non molto semplice o quanto meno poco oggettiva al punto da poter essere utilizzata in un processo, comporta anche la totale discrezionalità dello stesso giudice sulla sussunzione del caso realmente verificatosi, con tutte le conseguenze che una scelta errata può causare.

L'ultima modifica viene disposta dal terzo comma dell'articolo 1 della medesima legge e riguarda l'articolo 612 bis c. p., in tema di atti persecutori, il cui secondo comma viene così riformato: “La pena viene aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici”.

In primo luogo, quindi, il legislatore ha sostituito il termine “legalmente” con la congiunzione “anche” di modo che, adesso, risulta ampliata l'applicazione dell'aggravante in esame non essendo più richiesto uno specifico atto di separazione o divorzio. Lasciando la norma immutata e, quindi, prevedendo l'aumento della pena solo nei confronti del coniuge legalmente separato o

divorziato si rischiava una immotivata discriminazione, per esempio, nei confronti del coniuge separato solo di fatto.

In realtà la locuzione “o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona” poteva tranquillamente comprendere la situazione del coniuge non separato o divorziato legalmente quindi, da questo punto di vista, potrebbe risultare irrilevante la modifica apportata.

Fatto sta che anche in questo caso troviamo una norma che mira a regolare i rapporti esistente tra la vittima e l'autore del reato e lo fa anche con riferimento all'inciso “è o è stata legata da

relazione affettiva”, innovazione questa che va accolta

positivamente se consideriamo che la versione originaria della fattispecie in tema di atti persecutori prevedeva una differente sanzione tra l'altro ingiustificata.

La locuzione “legata da relazione affettiva” compariva sia nel primo che al secondo comma dell'articolo 612 bis c. p..Come anticipato, la differenza risiedeva, in sostanza, nell'uso temporale delle due formule, prevista al presente nel primo comma e al passato nel secondo comma. Nel primo caso, quindi, la relazione

non era ancora iniziata mentre nel secondo caso era addirittura già terminata, il che non comporta particolari problematiche se non fosse per il fatto che non si capisce come il semplice atto di separazione o divorzio possa determinare un regime sanzionatorio più grave o comunque diverso nonostante l'identicità dei fatti.

Come già riportato, troviamo l'estensione dell'aggravante anche nell'ipotesi in cui il fatto sia commesso tramite l'utilizzo di

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