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1.2 La risonanza magnetica come tecnica di diagnostica biomedica

1.2.3 Codifica spaziale

L’obiettivo della MRI è di determinare la densità protonica di un campione a partire dal segnale che è funzione del tempo. Il primo passo è quello di connettere la precessione degli spin alla loro posizione, e per farlo è necessario diversificare il segnale generato nei diversi punti all’interno del campione: viene effettuata una codifica spaziale. L’idea alla base è quella di fare in modo che il campo magnetico statico sia leggermente diverso tra un punto e l’altro del campione, in modo che le frequenze di Larmor di tali punti siano anch’esse differenti. A tal scopo, si introduce il vettore G costituito da tre

gradienti di campo magnetico (Gx, Gy, Gz) lungo le tre direzioni ortogonali

(questi sono prodotti dalle bobine di gradiente descritte nel Paragrafo 1.2.1). Ciascun gradiente corrisponde ad un campo magnetico la cui intensità varia linearmente lungo una direzione, ed ognuno di essi va a modificare il campo magnetico statico B0.

Il vettore G viene solitamente espresso in mT/m ed è definito come: G(t) = ∇Bg(r) = ∂Bg ∂x xˆ+ ∂Bg ∂y yˆ+ ∂Bg ∂z zˆ = Gx(t)ˆx+ Gy(t)ˆy+ Gz(t)ˆz (1.67) dove la dipendenza di G dal tempo indica che il gradiente potrebbe subire delle modifiche durante l’esperimento MRI.

Il campo magnetico totale viene modificato dalla presenza del gradiente: B(t) = B0+ G(t) · r = B0+ (Gxx+ Gyy+ Gzz) (1.68)

e, di conseguenza, la frequenza di precessione degli spin diventa funzione della posizione:

ω(r, t) = γ(B0+ G(t) · r) = ω0+ ωG(r, t) = ω0+ γ(Gxx+ Gyy+ Gzz) (1.69)

L’introduzione del gradiente permette, quindi, di stabilire una relazione tra la posizione degli spin all’interno del campione e la loro frequenza di precessione [20].

La fase accumulata al tempo t a causa dell’applicazione del gradiente è: φG(r, t) = − Z t 0 ωG(r, t)dt0 = −γr Z t 0 G(t0)dt0 (1.70) È utile, a questo punto, introdurre la frequenza spaziale k(t) definita da:

k(t) = γ 2π

Z t

0

G(t0)dt0 (1.71) anch’essa scomponibile in tre componenti:

           kx(t) = γ Rt 0Gx(t 0)dt0 ky(t) = γ Rt 0 Gy(t 0)dt0 kz(t) = γ Rt 0Gz(t 0)dt0 (1.72)

Allora, l’Equazione (1.66) può essere riscritta considerando Ω = ω0 (cioè

δω = 0) e un singolo impulso RF in presenza dei tre gradienti di campo magnetico s(t) = Z ρ(r)eiφG(r,t)d3r= Z ρ(r)e−iγr·R0tG(t 0)dt0 d3r = Z ρ(r)e−i2πk(t)·rd3r (1.73)

che diventa: s(k) = Z ρ(r)e−i2πk(t)·rd3r = Z Z Z

ρ(x, y, z)e−i2π(kxx+kyy+kzz)dxdydz

= FT {ρ(x, y, z)}

(1.74)

chiamata equazione per l’imaging 3D, che non è altro che la trasformata di Fourier (FT ) della densità protonica. Conoscendo il segnale s(k) per ogni kè possibile ottenere la densità protonica tramite la trasformata di Fourier inversa del segnale [20]:

ρ(r) = Z

s(k)ei2πk(t)·rd3r (1.75) Pertanto, con un buon numero di misure sm(k)nel dominio delle frequenze,

riusciamo a calcolare la FT inversa, ˜ρ(r), che rappresenta una buona stima per la vera densità protonica ρ(r).

La codifica spaziale diventa, quindi, di fondamentale importanza. In que- sto stesso paragrafo vengono analizzati i tre gradienti Gx, Gy e Gzche vengono

fatti variare in maniera indipendente per poter ottenere una localizzazione spaziale e, di conseguenza, l’immagine del campione.

Viene innanzitutto applicato un gradiente di selezione della fetta (Slice Selection Gradient, GSS) per selezionare il volume anatomico di interesse; su questo stesso volume la posizione di ogni singolo punto viene codificata verticalmente ed orizzontalmente applicando, rispettivamente, un gradiente di codifica di fase (Phase Encoding Gradient, GPE) e un gradiente di codifica di frequenza (Frequency Encoding Gradient, GFE).

Gradiente di selezione della fetta

Definiamo l’asse di selezione della fetta come la direzione perpendicolare al piano della slice di interesse. Scegliendo l’asse ˆz otterremo delle slice sul piano assiale del corpo, scegliendo l’asse ˆy saranno coronali, e scegliendo l’asse ˆ

xotterremo delle slice sul piano sagittale. Per convenzione si fa riferimento all’asse ˆz.

Grazie alla presenza del gradiente Gz, la frequenza di precessione degli

spin varia linearmente lungo ˆz:

ω(z) = ω0+ γGzz (1.76)

(con ω(0) = ω0).

Se ora applichiamo un impulso RF su tutto il volume, soltanto gli spin in risonanza con la frequenza dell’impulso verranno eccitati (condizione di

risonanza), pertanto c’è un intervallo di frequenze che può generare una magnetizzazione trasversale in una slice ortogonale all’asse ˆz il cui spessore si estende da z0− ∆z2 a z0 +∆z2 , e tale intervallo di frequenze definisce la

larghezza di banda dell’impulso RF [20]: BWRF ≡ ∆ω = (γGzz0+ γGz ∆z 2 ) − (γGzz0− γGz ∆z 2 ) = γGz∆z (1.77)

dove ∆z è lo spessore della fetta. Questo risulta determinato dalla larghezza di banda dell’impulso a radiofrequenza, e dall’intensità del gradiente lungo il campione. Pertanto, per un determinato valore di Gz, una larghezza di

banda molto stretta ecciterà una slice molto sottile, mentre una larghezza di banda molto larga ne ecciterà una più spessa. Viceversa, per una determinata larghezza di banda dell’impulso RF, lo spessore della fetta è determinato dalla pendenza del gradiente (vedi Figura 1.8).

Figura 1.8: Frequenza di precessione nel sistema del laboratorio in funzione della posizione lungo l’assez di selezione della fetta. La larghezza di bandaˆ ∆f ≡ BWRF è tale che la slice di spessore∆z è eccitata in maniera

simmetrica [20].

Il gradiente di selezione della fetta induce una perdita di fase degli spin lungo la sua direzione; il segnale può essere recuperato applicando un gradiente di rifasamento, ossia un gradiente avente polarità opposta rispetto al gradiente che ha eccitato la slice e avente metà della sua area.

Gradiente di codifica di frequenza

Una volta selezionata la slice di interesse, bisogna codificare le informazioni spaziali sul piano x–y. Viene, quindi, applicato un gradiente di codifica di

frequenza (definito anche gradiente di lettura) lungo la direzione ˆx, il quale modifica la frequenza di precessione lungo tale direzione durante il tempo in cui viene applicato. In questo modo lungo la direzione verticale gli spin avranno la stessa frequenza di Larmor, mentre lungo la direzione orizzontale ogni spin precederà ad una frequenza diversa a seconda del punto in cui si trova.

Solitamente, in un esame MRI il gradiente di codifica di frequenza viene applicato una prima volta nell’intervallo di tempo (t1, t2)tramite un gradiente

costante negativo, −Gx, e poi viene applicato un secondo gradiente, Gx,

nell’intervallo di tempo (t3, t4). La fase accumulata durante l’applicazione

del primo gradiente è:

φGx(x, t) = +γGxx(t − t1) per t1 < t < t2 (1.78)

e durante il secondo:

φGx(x, t) = +γGxx(t2− t1) − γGxx(t − t3) per t3< t < t4 (1.79)

Non c’è perdita di fase quando il gradiente è spento. Invertendo la polarità del gradiente, al tempo t = t3+ t2− t1 la fase si annulla e viene generato un

segnale di eco. Se l’intervallo (t3, t4) è lungo il doppio rispetto all’intervallo

(t1, t2), il segnale di eco si avrà al tempo t = t4−t2 3 = T E (chiamato tempo

di eco); T E corrisponde a quel tempo durante l’applicazione del secondo gradiente in cui l’area del lobo del gradiente corrisponde all’area del lobo del primo gradiente (vedi Figura 1.9).

Durante il tempo di campionamento Ts, si possono ottenere diversi punti

lungo l’asse kx campionando a diversi intervalli di tempo. Questo produce

una rappresentazione di s(k) come un set di punti campionati lungo una linea continua. Il riempimento del k–spazio inizia a kx = 0 e poi si muove

verso sinistra con l’applicazione del gradiente negativo; durante l’applicazione del gradiente positivo, invece, la direzione di riempimento viene invertita andando verso valori positivi di kx (vedi Figura 1.10).

Gradiente di codifica di fase

L’ultimo step per localizzare spazialmente gli spin avviene tramite il gradiente di codifica di frequenza Gy applicato lungo ˆy per un certo intervallo di

tempo. L’idea alla base è quella di creare una variazione lineare della fase della magnetizzazione, e questo si ottiene applicando un gradiente mentre la magnetizzazione è sul piano trasversale. Il gradiente così applicato modifica la frequenza di precessione degli spin inducendo una perdita di fase, che rimane anche quando il gradiente viene spento. Dopo l’applicazione del gradiente, quindi, gli spin torneranno ad avere la stessa frequenza di precessione ma saranno sfasati tra loro.

Figura 1.9: Sequenza di un esame MRI. Al tempo t= 0 viene applicato un impulso RF; il GFE viene acceso con un lobo negativo −Gx nell’intervallo di

tempo(t1, t2), e con un lobo positivo Gxnell’intervallo di tempo(t3, t4)

che dura il doppio rispetto al primo. Al tempo t= T E si forma un segnale di eco grazie al rifasamento degli spin. Il segnale è campionato nell’intervallo di tempo(t3, t4).

Figura 1.10: Campionamento di kxdurante l’applicazione del gradiente di codifica

di frequenza. Il riempimento lungo questo asse inizia da kx= 0; l’ap-

plicazione del gradiente di defasamento nell’intervallo(t1, t2) sposta

la posizione verso sinistra e determina il punto di partenza del cam- pionamento, sebbene durante questo intervallo non vengano acquisiti dati. Quando viene acceso il gradiente di rifasamento, la direzione di riempimento del k–spazio viene invertita e i dati sono campionati ad intervalli regolari tra t3 e t4[20].

Se il gradiente Gy viene tenuto acceso per un tempo τy, la fase accumulata

in questo intervallo di tempo sarà:

φGy(y, t) = −γGyyτy (1.80)

Ad ogni ciclo, il gradiente di codifica di fase viene aumentato di una quantità ∆Gy; il set di valori assunti dal gradiente dopo ogni incremento

viene rappresentato da una griglia con una freccia che indica la direzione dell’incremento, ossia la direzione della codifica di fase (vedi Figura 1.11).

Figura 1.11: Struttura per il gradiente di codifica di fase [20].

k–spazio

La matrice 2D che contiene i valori delle frequenze spaziali è chiamata k–spazio. Uno dei metodi standard per il riempimento del k–spazio bidimensionale consiste in una serie di linee parallele campionate (vedi Figura 1.12).

Figura 1.12: Riempimento del k–spazio in 2D in cui ogni punto rappresenta un campionamento. Le linee che collegano i punti sono lungo la direzione di codifica di frequenza, e i campionamenti vengono effettuati durante l’intervallo di lettura. Inoltre ciascuna linea ha la stessa codifica di fase. Le frecce indicano l’ordine cronologico in cui vengono acquisiti i dati [20].

Ogni set di punti lungo una linea kx rappresenta i dati codificati in

frequenza, mentre ogni set di punti lungo una linea ky rappresenta i dati

codificati in fase.

Il riempimento del k–spazio inizia nel punto (kx = 0, ky = 0), dove gli

spin sono in fase tra loro (grazie al gradiente di rifasamento applicato durante la fase di selezione della fetta). Per poterci spostare verso il punto in basso a sinistra (kmin

x , kminy ) sono necessari due gradienti negativi lungo ˆx e ˆy.

Successivamente, viene applicato il gradiente di lettura tramite il quale si campiona la prima linea del k–spazio; alla fine della prima linea, applicando un gradiente Gy positivo, ci spostiamo di una riga lungo ky. Per riportarci

verso la parte sinistra del k–spazio è necessario applicare nuovamente un gradiente di lettura (questa volta negativo) della stessa durata del primo. Ripetendo questi passaggi variando ogni volta la polarità di Gx, riusciamo a

riempire tutto il piano fino al punto (kmax

x , kmaxy ).

La distanza verticale tra le linee che compongono il k–spazio è determinata da ∆Gy:

∆ky =

γ

2π∆Gyτy (1.81) mentre lo spazio tra due punti lungo le linee orizzontali dipende dall’intervallo di tempo ∆t che intercorre tra il campionamento di un punto e il successivo:

∆kx=

γ

2πGx∆t (1.82)

Il k–spazio risulta, così, formato da Ny linee orizzontali (ossia il numero di

codifiche di fase effettuate) in cui vengono campionati Nx punti. Questa ma-

trice 2D rappresenta le frequenze spaziali di una determinata slice posizionata in z0. Se, però, vogliamo rappresentare un oggetto tridimensionale, occorre

selezionare una nuova fetta cambiando, ad esempio, la larghezza di banda dell’impulso RF: in questo modo vengono eccitati spin aventi una diversa coordinata lungo ˆz rispetto a quelli eccitati precedentemente. A questo punto un nuovo k–spazio può essere riempito con lo stesso criterio visto sopra. In questo modo, siamo in grado di ottenere immagini 2D multi–slice.

3D imaging

In MRI vengono spesso utilizzate sequenze di acquisizione 3D per ottenere informazioni su tutto il volume da rappresentare. La sequenza 3D più semplice utilizza di base lo schema già visto nel caso bidimensionale e a questo aggiunge un’ulteriore codifica di fase lungo la direzione di selezione della fetta (vedi Figura 1.13) [20].