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Metodo dei contorni attivi

2.5 Tecniche basate su modelli deformabili

2.5.1 Metodo dei contorni attivi

Una delle tecniche più utilizzate è quella dei contorni attivi (active contours) presentata da Kass et al. [33]. Questo è un metodo molto diverso dalla semplice ricerca dei punti di edge seguita da un processo che unisce tali punti: infatti con i metodi basati su misure di discontinuità (vedi Paragrafo 2.2), dove per ogni punto del contorno di partenza disegnato dall’utente si va alla ricerca della discontinuità più vicina, si perde l’informazione riguardo al legame fra i punti del contorno; come minimo a punti vicini del contorno iniziale corrispondono punti vicini del contorno finale, inoltre quest’ultimo, almeno per la maggior parte delle strutture anatomiche, non presenta variazioni brusche in termini di curvatura. L’introduzione di vincoli di questo tipo permette di regolarizzare la procedura di localizzazione del contorno.

In tal senso, un contorno attivo è un insieme di punti che ha lo scopo di circondare l’oggetto di interesse. In maniera intuitiva possiamo pensare ai contorni attivi come ad un palloncino posizionato sull’immagine in modo da racchiudere la struttura che vogliamo estrarre; facendo uscire l’aria dal palloncino, questo diventa sempre più piccolo finché si adatterà perfettamente all’oggetto [49].

Il termine “attivo” si riferisce alla continua ricerca del minimo di un funzio- nale energia opportunamente formulato, e, dal momento che il movimento del contorno alla ricerca del minimo del funzionale ricorda quello di un serpente, il metodo dei contorni attivi viene chiamato snakes (letteralmente serpenti) dallo stesso Kass. Lo snake può essere schematizzato da una spline sotto l’influenza di forze interne ed esterne: le forze interne hanno lo scopo di imporre alla spline un certo grado di levigatezza (sono legate all’elasticità e alla curvatura del contorno), le forze dell’immagine, esterne, spingono la spline verso le principali caratteristiche dell’immagine (come i punti di edge trovati con il gradiente), mentre i vincoli esterni portano il contorno vicino all’oggetto da estrarre (può essere effettuato manualmente dall’utente, in maniera automatica o tramite processi di alto livello) [33].

Lo snake è un contorno espresso in maniera parametrica sul piano del- l’immagine (x, y) ∈ <2, pertanto la posizione dello snake è definita da

v(s) = (x(s), y(s)), dove x e y sono le coordinate del contorno e s ∈ [0, 1]. Allora il funzionale energia si può scrivere come:

Esnake = Z 1

0

Eint(v(s)) + Eimage(v(s)) + Econ(v(s)) ds (2.12) dove Eint rappresenta l’energia interna della spline legata alla curvatura,

Eimage dà origine alle forze dell’immagine che attraggono la spline verso le caratteristiche di basso livello, ed Econ rappresenta le forze esterne legate

alle informazioni di alto livello. Il metodo dei contorni attivi, quindi, fa evolvere la spline minimizzando Esnake: il nuovo contorno avrà una minore

energia rispetto a quello di partenza e una migliore corrispondenza con le caratteristiche dell’immagine.

Passiamo, ora, ad analizzare nel dettaglio i termini principali del funzio- nale, ossia Eint ed Eimage.

L’energia interna è definita dalla somma pesata delle derivate del primo e del secondo ordine del contorno:

Eint= α(s) dv(s) ds 2 + β(s) d2v(s) ds2 2 (2.13) dove la derivata prima dv(s)/ds è legata all’elasticità della curva e rappresenta la tendenza dello snake a mantenere la sua forma, mentre la derivata seconda d2v(s)/ds2 è legata alla rigidità della curva e rappresenta la tendenza dello

snake ad opporsi alle modifiche della sua curvatura. I pesi α(s) e β(s) controllano, rispettivamente, il contributo all’energia elastica dovuto alla spaziatura tra i punti del contorno e il contributo all’energia di curvatura dovuto alla variazione dei punti appartenenti al contorno. Piccoli valori di α implicano che la spaziatura tra i punti può variare anche in maniera considerevole, mentre valori più alti implicano che il contorno tende ad avere punti equispaziati. Piccoli valori di β, invece, permettono al contorno di formare spigoli, mentre alti valori permettono di ottenere un contorno più levigato. La scelta di questi parametri consente, quindi, di controllare a nostro piacimento la forma dello snake.

L’energia esterna attrae il contorno verso le caratteristiche di basso livello come la luminosità o i punti di edge. Nella formulazione originale proposta da Kass l’energia esterna è costituita dalla somma pesata di tre termini:

Eimage = wlineEline+ wedgeEedge+ wtermEterm (2.14) dove Eline, Eedgeed Etermrappresentano i contributi all’energia dell’immagine

dati, rispettivamente, dalle linee, dai punti di edge e dalle estremità. Il contri- buto dovuto alle linee è legato all’intensità dell’immagine in un determinato punto, cioè Eline= f (x, y); in base al segno di wline il contorno può essere at-

di edge si ottiene semplicemente calcolando il gradiente dell’immagine con uno qualsiasi degli operatori citati nel Paragrafo 2.2: con Eedge= −

∇f (x, y) 2

lo snake è attratto verso il contorno che ha i valori del gradiente più alti. Infine, l’energia legata alle estremità di linee e spigoli riguarda la curvatura del contorno calcolata in base alle intensità dell’immagine (diversa dalla curvatura intrinseca dello snake); questa funzione, insieme a Eline, viene

utilizzata raramente, prediligendo l’uso della sola Eedge.

In generale, quindi, la scelta dei parametri del funzionale sarà un com- promesso tra il passaggio dello snake per i punti di edge e la minimizzazione dell’energia interna del contorno (in modo da non deformarlo troppo).

Il metodo dei contorni attivi può essere utilizzato anche per estrarre oggetti in movimento: quando lo snake trova le caratteristiche principali dell’immagine, si ancora ad esse; se a quel punto le caratteristiche iniziano a muoversi lentamente, il contorno attivo andrà semplicemente a ricercare lo stesso minimo del funzionale. Se, invece, il movimento dell’oggetto fosse troppo veloce, il contorno potrebbe cadere su un minimo diverso.

La grande versatilità di questo algoritmo è anche uno dei suoi punti deboli: lo snake è potenzialmente in grado di seguire qualsiasi tipo di contorno, ma questa ricerca deve necessariamente essere guidata da un utente esperto che gestisca in modo ottimale la molteplicità di parametri liberi che l’algoritmo offre, indirizzando lo snake verso le caratteristiche desiderate.

Capitolo 3

Studio delle cartilagini del

ginocchio

C’è un crescente interesse per l’imaging in–vivo del sistema muscoloscheletrico, in particolare per la visualizzazione delle cartilagini articolari. L’MRI, infatti, permette una visualizzazione precisa delle articolazioni ed è la modalità di diagnostica per immagini più promettente per individuarne i cambiamenti strutturali. Nello specifico, si pone grande attenzione ai problemi derivanti dall’artrosi, malattia cronica e degenerativa delle articolazioni caratterizzata da un deterioramento delle cartilagini (che perdono spessore e integrità) e delle ossa adiacenti, in particolare quelle del ginocchio e delle anche.

L’individuazione e la valutazione del danno e della perdita di tessuto della cartilagine articolare sono fattori importanti per la diagnosi, la classificazione e il successivo trattamento dell’artrosi. In particolare, la quantificazione dei volumi e degli spessori delle cartilagini può essere considerato uno dei biomarcatori dell’artrosi, pertanto diversi studi mirano ad ottenere misure di volume che siano riproducibili e accurate. Queste misure presuppongono una segmentazione della cartilagine articolare, un lavoro la cui accuratezza influenza significativamente l’errore e la precisione dei risultati.

La segmentazione delle cartilagini, inoltre, permette uno studio sulle im- magini del ginocchio ottenute con sequenze pesate in T2 o in T2∗. Questo tipo

di immagini indaga le modificazioni nel contenuto di acqua libera all’interno delle cartilagini (un aumento di idratazione del tessuto cartilagineo è spesso legato al deterioramento della cartilagine stessa), e quindi fornisce un ulterio- re aiuto nell’individuazione della malattia. La corretta segmentazione della cartilagine articolare ricopre un ruolo fondamentale nella misura della distri- buzione spaziale del T2 (T2∗) e, di conseguenza, nella quantificazione dei danni

al tessuto cartilagineo che si riscontrano anche in assenza di cambiamenti morfologici.

Il lavoro da me personalmente svolto riguardo allo studio delle cartilagini articolari ha riguardato la realizzazione di un algoritmo di segmentazione

semi–automatico originale per l’estrazione delle tre cartilagini del ginocchio, tramite il quale è stato possibile ottenere delle misure del volume delle cartilagini di soggetti sani e soggetti affetti da artrosi.

In questo capitolo, dopo una breve descrizione anatomica del ginocchio e una panoramica sullo stato dell’arte, vengono innanzitutto mostrate le prove di segmentazione effettuate con il software ITK–SNAP e, in seguito, viene presentato il metodo di segmentazione semi–automatico di cui vengono mostrati i risultati.

3.1

Anatomia del ginocchio

L’articolazione del ginocchio unisce lo scheletro della coscia a quello della gamba e contribuisce al mantenimento della posizione eretta e alla deam- bulazione. Nel suo insieme viene considerata come un’articolazione avente le seguenti caratteristiche: superfici articolari ossee rivestite di cartilagine articolare e spazio libero tra i capi articolari (cavità articolare) dove risiede il liquido sinoviale (fluido che ha il compito di lubrificare i capi articolari e nutrire la cartilagine).

Le ossa che concorrono alla formazione dell’articolazione sono il femore, la tibia e la rotula. L’epifisi distale del femore è costituita da due condili (mediale e laterale) rivestiti di cartilagine articolare; anteriormente i due condili formano una gola (la troclea femorale) che ha il compito di accogliere la rotula durante i movimenti del ginocchio. La superficie articolare della rotula è costituita da una faccetta mediale e una laterale rivestite di cartilagine articolare che si articolano con la troclea femorale (vedi Figura 3.1). L’epifisi prossimale della tibia (piatto tibiale) è divisa in due emipiatti rivestiti di cartilagine articolare che si articolano con i condili femorali (vedi Figura 3.2).

La cartilagine articolare è, quindi, un tessuto che ricopre la superficie delle ossa coinvolte nelle articolazioni. Il suo ruolo è quello di sostenere e distribuire il carico consentendo un movimento senza attrito ed evitando l’erosione delle superfici articolari [59]. È composta da condrociti (cellule) e matrice cartilaginea, la quale a sua volta è composta principalmente da acqua, collagene (proteina del tessuto connettivo) e proteoglicani (macromolecole che attraggono l’acqua mantenendola nel tessuto). L’acqua all’interno della cartilagine è distribuita in maniera disomogenea, localizzandosi soprattutto a livello superficiale, e il movimento dell’articolazione permette il costante passaggio dell’acqua dentro e fuori dalla matrice.

Inoltre la cartilagine consta di diversi strati, ognuno con caratteristiche architetturali specifiche. Ad esempio lo strato superficiale è caratterizzato da condrociti e fibrille di collagene orientati parallelamente alla superficie articolare per rendere il tessuto resistente allo sfregamento provocato dal movimento dell’articolazione, mentre nelle zone più profonde questi stessi

Figura 3.1: Anatomia del ginocchio.

Figura 3.2: Visualizzazione delle cartilagini articolari di un soggetto sano acquisite mediante UHF MRI e segmentate manualmente. In verde la cartilagine femorale, in rosso la cartilagine rotulea e in blu la cartilagine dei due emipiatti tibiali.

elementi sono orientati in maniera perpendicolare alla superficie, e questo permette di resistere alle forze che gravano sull’articolazione [63].