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1.3 Sequenze MRI e contrasto

1.3.4 Contrasto

Il contrasto è la differenza in termini di colore e luminosità di un oggetto che lo rende distinguibile rispetto ad altri oggetti presenti nella stessa scena. Nell’ambito della diagnostica per immagini, saper distinguere i diversi tessuti è di fondamentale importanza.

Come abbiamo visto, il segnale MRI dipende da moltissimi parametri sia legati al tipo di tessuto che propri della modalità di acquisizione, pertanto il modo più semplice per distinguere due tessuti diversi è analizzare la differenza tra i loro segnali. Se A e B sono due tessuti diversi, si definisce contrasto la differenza

CAB ≡ SA− SB (1.106)

dove SA e SB sono i segnali dei voxel dei tessuti A e B rispettivamente [20].

Se siamo interessati al contrasto relativo tra due tessuti, introduciamo il rapporto CAB/SA (o CAB/SB) tale che:

CAB SA = SA− SB SA , CAB SB = SA− SB SB (1.107)

Nella MRI, i meccanismi più semplici di generazione del contrasto sono basati sulla densità di spin e sulle differenze in termini di T1 e T2 tra diversi

tessuti; in questo modo riusciamo ad ottenere tre diversi tipi di contrasto: contrasto pesato in densità protonica (DP–w), contrasto pesato in T1 (T1–w)

e contrasto pesato in T2 (T2–w). Per ottenere differenti contrasti, TE e TR

vengono scelti in maniera opportuna per ridurre gli effetti di T1 (o di T2).

Una conoscenza a priori delle proprietà dei tessuti in esame è, per ovvie ragioni, molto importante.

La risonanza magnetica, quindi, consente l’utilizzo di diverse grandezze per rappresentare le immagini, ampliando le possibilità di contrasto con cui rappresentare le regioni anatomiche indagate e, dunque, aumentando l’efficacia diagnostica.

Contrasto dipendente dal tempo di rilassamento T1

Il tempo di rilassamento T1 di un tessuto è strettamente collegato al modo in

cui i protoni sono in grado di scambiare energia con l’ambiente circostante. Consideriamo due tessuti diversi, A e B, ognuno dei quali caratterizzato da un proprio tempo di rilassamento T1.

Figura 1.22: Curve di recupero per la magnetizzazione longitudinale per due diversi tessuti A e B. Scegliendo due diversi TR è possibile ottenere due diversi contrasti.

Dalla Figura 1.22 si vede che per il tessuto B il tempo necessario per raggiungere la condizione di equilibrio è maggiore di quello del tessuto A, cioè T1B > T1A. Se consideriamo due diversi tempi di ripetizione, TR1 e TR2, con

TR1 < TR2, è chiaro che TR1 permette di ottenere un contrasto migliore,

dal momento che le due curve di crescita della magnetizzazione longitudinale sono più distanti tra loro e, di conseguenza, il segnale è molto diverso: il tessuto che ha un T1 più basso (tessuto A) avrà un segnale maggiore (tessuto

iperintenso, il cui livello di grigio tende al bianco) rispetto a quello del tessuto B (ipointenso, il cui livello di grigio tende verso al nero). Quindi utilizzando

brevi TR, i due tessuti si potranno distinguere ed otterremo un contrasto pesato in T1; di contro, se il TR è troppo lungo, l’effetto del T1 viene ridotto

e non c’è alcun contrasto tra i due tessuti.

Contrasto dipendente dal tempo di rilassamento T2

Il tempo di rilassamento T2 è determinato da come avviene il defasamento

degli spin: se il defasamento è veloce il T2 sarà breve, se il defasamento

è più lento il T2 sarà maggiore. Consideriamo i tessuti A e B, ciascuno

caratterizzato da un proprio tempo di rilassamento T2.

Figura 1.23: Decadimento della magnetizzazione trasversale di due tessuti diversi A e B. Scegliendo due diversi TE è possibile ottenere due diversi contrasti.

Dalla Figura 1.23 si vede che il segnale proveniente dal tessuto A impiega più tempo per decadere rispetto al segnale di B, cioè T2A > T2B. Se consi-

deriamo due diversi tempi di eco, TE1 e TE2, con TE1 <TE2, è chiaro che

TE2 permette di ottenere un contrasto migliore tra i due tessuti. Questo

significa che con TE molto brevi, l’effetto del T2 viene ridotto, mentre per TE

più lunghi riusciamo a distinguere tra i due tessuti ottenendo un contrasto pesato in T2.

Contrasto dipendente dalla densità protonica

La densità protonica è una delle caratteristiche dei tessuti più dirette che possono essere visualizzate tramite MRI. Infatti, la magnetizzazione è prodot- ta dai protoni, e un tessuto con un’alta concentrazione di nuclei di idrogeno può raggiungere alti livelli di magnetizzazione e, quindi, segnali molto alti. Pertanto i tessuti con una maggiore densità di protoni risulteranno più chiari (iperintensi) rispetto agli altri.

Per poter ottenere un contrasto dipendente principalmente dalla DP bisogna minimizzare la dipendenza da T1 e T2∗. Se consideriamo i due

della magnetizzazione longitudinale è differente: scegliendo un TR lungo le differenze di intensità dell’immagine rifletteranno le differenze in DP. Di contro, un TR breve impedisce di ottenere un contrasto pesato in DP perché se le curve di rilassamento non arrivano al plateau non possiamo avere informazioni sulla densità degli spin dei tessuti.

Parametri di acquisizione e contrasto

Consideriamo le curve di rilassamento e di decadimento per tre diversi tessuti aventi differenti valori di T1, T2 e DP (vedi Figura 1.24).

Figura 1.24: Curve di rilassamento e di decadimento per tre diversi tessuti.

Allora la scelta dei parametri di acquisizione, TR e TE, determina il tipo di contrasto che possiamo ottenere [20]:

• T1–w: (TE  T2(A; B) TR ≤ T1(A; B) • T2–w: (TE ≥ T2(A; B) TR  T1(A; B) • DP–w: (TE  T2(A; B) TR  T1(A; B)

Queste scelte valgono per le sequenze SE e GRE con l’unica differenza che per la prima ci riferiamo al tempo di rilassamento T2, mentre per la seconda

al T∗

2 (perché, come abbiamo visto, nelle GRE non è presente l’impulso di

rifocalizzazione). Un altro modo per generare un contrasto T1 è l’utilizzo

di una sequenza IR: il contrasto dipende dai parametri TR e TI, inoltre questo tipo di sequenza permette di eliminare il segnale proveniente da un determinato tessuto scegliendo adeguatamente il valore di TI.

Capitolo 2

Tecniche di segmentazione di

immagini digitali

Nella fase preliminare di questo lavoro di tesi, mi sono occupata di ap- profondire la letteratura relativa ai metodi di segmentazione di immagini digitali.

Un’immagine digitale è costituita da un insieme di misure nello spazio discreto bidimensionale (2D) o tridimensionale (3D). Nelle immagini biomedi- che queste misure, identificate come le intensità dei singoli elementi spaziali che formano le immagini, possono rappresentare diverse grandezze, come ad esempio l’assorbimento della radiazione per tecniche di diagnostica che utilizzano i raggi X o l’ampiezza del segnale a radiofrequenza in MRI.

Nel caso 2D l’immagine è definita da una funzione discreta f(x, y), dove x e y rappresentano le coordinate spaziali e l’ampiezza di f rappresenta l’intensità dell’immagine nel punto (x, y). Pertanto, un’immagine digitale 2D è composta da un numero finito di elementi, i pixel (picture element), ognuno dei quali è localizzato in un certo punto (x, y) ed è caratterizzato da un determinato valore di intensità. Nel caso 3D, invece, le immagini sono costituite dai voxel.

Per poter elaborare e gestire un’immagine digitale è, inoltre, necessario che l’informazione contenuta nei pixel sia espressa in numeri interi, a loro volta espressi mediante i bit; il numero di bit riservati ad ogni pixel specifica la profondità di colore dell’immagine, ossia la capacità di distinguere tra varie sfumature di colore. Utilizzando un numero di bit pari a m, l’intervallo di valori di intensità che è possibile rappresentare sarà [0, 2m− 1]. Per m = 8 in

un’immagine a livelli di grigio, i valori di intensità possono variare tra 0 e 255che rappresentano, rispettivamente, il nero e il bianco.

L’obiettivo dell’elaborazione digitale è quello di descrivere il contenuto di un’immagine tramite modelli matematici e implementazioni informatiche, cercando, per quanto possibile, di rispettare i principi del sistema visivo umano superandone i limiti. A tal scopo, l’informazione contenuta in un’immagine

viene elaborata secondo tre livelli di astrazione (basso, medio e alto livello) seguendo un approccio di tipo bottom-up: i processi di basso livello sono caratterizzati da operazioni di pre–processing come la riduzione del rumore e l’aumento del contrasto per migliorare la qualità dell’immagine, i processi di medio livello includono compiti come la segmentazione e la classificazione dei singoli oggetti, mentre i processi di alto livello si occupano del riconoscimento degli oggetti tramite la comprensione delle caratteristiche individuate nei moduli precedenti, mettendo quindi in atto le funzioni cognitive umane [18].

In questo capitolo vengono presi in considerazione i processi di medio livello che coinvolgono la segmentazione delle immagini digitali. Nello specifi- co, vengono presentate alcune delle tecniche di segmentazione più usate in letteratura.

2.1

Descrizione generale

La segmentazione è il processo attraverso il quale è possibile classificare i pixel dell’immagine che hanno caratteristiche simili. Il raggruppamento dei pixel in regioni si basa su un criterio di omogeneità che li distingue gli uni dagli altri [21]; pertanto, ogni pixel in una regione è simile agli altri pixel nella stessa regione secondo un criterio come colore, intensità o texture, mentre regioni adiacenti sono differenti rispetto a questi stessi criteri di suddivisione. I principi di similarità e prossimità sono motivati dalla considerazione che regioni omogenee derivano da pixel vicini e con simili valori di intensità.

La segmentazione può essere manuale, semi–automatica o automatica e l’obiettivo è quello di estrarre (e successivamente riconoscere) gli oggetti che compongono l’immagine.

L’area di applicazione della segmentazione di immagini digitali si estende dal controllo qualità a livello industriale alla medicina, passando da applica- zioni militari ed esplorazioni in ambito geofisico ed astrofisico. In particolare, nello studio di immagini biomediche la segmentazione è usata per estrarre specifici organi, strutture vascolari, tipi di tessuto diversi o lesioni, e la sua accuratezza influisce fortemente sulle successive procedure di analisi, come le misurazioni dei volumi e degli spessori, la diagnosi, lo studio di strutture anatomiche e la pianificazione del trattamento.

Da un punto di vista formale, se R è l’intera regione spaziale occupata dall’immagine, allora il processo di segmentazione può essere visto come la suddivisione di R in n sottoregioni R1, R2, . . . , Rn tali che:

• Sn

i=1Ri= R, cioè la segmentazione deve essere completa, e ogni pixel

• Ri è un insieme connesso con i = 1, 2, . . . , n, cioè i pixel appartenenti

ad una regione devono essere connessi;1

• Ri∩ Rj = ∅ ∀i, j t.c. i 6= j, cioè le regioni devono essere disgiunte;

• Q(Ri) = TRUE per i = 1, 2, . . . , n, cioè i pixel appartenenti ad una

certa regione devono soddisfare un certo predicato Q;

• Q(Ri∪ Rj) =FALSE per ogni coppia di regioni adiacenti Ri, Rj, cioè

due regioni adiacenti devono essere diverse nel senso del predicato Q dove Q(Ri)è un predicato di omogeneità definito sulle regioni [18, 51]. Se si

rimuove il vincolo sui pixel connessi, allora l’individuazione delle regioni Ri

non è altro che una classificazione dei pixel (pixel classification) e le stesse regioni vengono chiamate classi. Nelle immagini biomediche la classificazione dei pixel è un approccio preferibile alla segmentazione, soprattutto quando bisogna identificare uno stesso tipo di tessuto che però appartiene a regioni sconnesse [53].

Sono moltissime le tecniche di segmentazione presenti in letteratura, tuttavia nessuna di queste è adeguata per tutti i tipi di immagine e, allo stesso tempo, non tutti i metodi sono ugualmente validi su un’immagine in particolare. Pertanto, la scelta di quale tecnica applicare su un’immagine risulta spesso molto complessa.

In generale, le tecniche di segmentazione per immagini a livelli di grigio si dividono in misure di discontinuità e misure di similarità [12, 18]. Gli approcci basati sulle discontinuità sono chiamati boundary–based, mentre quelli basati sulla similarità sono chiamati region–based. In particolare, i primi sono fondati sull’idea che nei confini tra due regioni adiacenti si osservano bruschi cambiamenti nelle intensità dei livelli di grigio, e i secondi, invece, mirano ad isolare zone dell’immagine che risultano omogenee secondo un certo numero di caratteristiche. Inoltre, tra gli altri approcci molto usati in ambito biomedico troviamo il metodo a soglia (thresholding), che segmenta le immagini creando una divisione binaria delle intensità dell’immagine, e i metodi model–based, che, utilizzando anche le informazioni provenienti da misure di discontinuità e/o di similarità, regolarizzano la procedura di localizzazione del contorno.