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MRI per lo studio delle cartilagini articolari

Generalmente, per campi statici da 1.5 T, molti tessuti dell’apparato musco- loscheletrico (cartilagini, muscoli, ossa, tendini, legamenti,. . . ) mostrano un SNR molto basso, peggiorato anche dai FOV spesso molto piccoli. Ricordia- mo, infatti, che il segnale MRI cresce con B2

0 (Equazione (1.90)), mentre il

rumore, in prima approssimazione, può essere considerato proporzionale a B0; di conseguenza, il rapporto segnale–rumore sarà SNR ∝ B02/B0 = B0,

ossia proporzionale al campo magnetico statico. Inoltre, con FOV molto piccoli, sebbene la risoluzione spaziale risulti migliore, il SNR diminuisce perché diminuiscono le dimensioni del voxel e, quindi, il numero di protoni che contribuiscono al segnale proveniente dal singolo voxel.

I recenti progressi nel progettare bobine a radiofrequenza, nell’implemen- tare nuove sequenze di acquisizione e nell’aumentare il campo statico B0

(garantendone l’omogeneità) hanno contribuito alla grande diffusione degli scanner a 3 T per studi clinici. Inoltre l’aumento del fenomeno del chemical shifttra le frequenze di Larmor di acqua e grasso ha significativamente influen- zato la qualità delle immagini acquisite a 7 T in ambito di ricerca. L’artefatto da chemical shift crea problemi seri per il riconoscimento dei tessuti del sistema muscoloscheletrico se nella struttura di interesse sono presenti sia protoni legati alle molecole d’acqua, che protoni legati alle molecole di grasso. Tuttavia l’artefatto può essere ridotto attuando una saturazione del grasso1

(che funziona molto meglio a 7 T [48]) oppure aumentando la larghezza di banda dell’impulso a radiofrequenza andando però a discapito del SNR [56].

Oltre a una migliore saturazione del grasso, l’UHF MRI permette anche di ridurre gli effetti di volume parziale nell’interfaccia tra due diversi tessuti grazie alla migliore risoluzione spaziale e, conseguentemente, ad una minore grandezza dei voxel2 [20]; questo consente di estrarre quantità morfologiche,

come volume e spessore delle cartilagini, con una maggiore accuratezza rispetto a quanto si riesce a fare con scanner clinici.

1

Prima di far partire una sequenza standard, al sistema viene inviato un impulso RF centrato sulla frequenza di risonanza della componente da sopprimere (quella del grasso in questo caso). Questo impulso, definito di “saturazione”, azzera la magnetizzazione longitudinale della componente che si desidera eliminare; a questo segue un gradiente di defasamento che annulla anche la magnetizzazione trasversale. In questo modo, la sequenza che segue non rivelerà nessun segnale proveniente da tale componente.

2

L’artefatto da volume parziale si verifica quando il segnale proveniente da un singolo voxel è dato dalla media pesata dei segnali di diversi tessuti. Consideriamo un voxel in cui sono contenute le frazioni fA e fB rispettivamente dei due tessuti A e B; allora il segnale

proveniente da tale voxel sarà S = fASA+ fBSB. Il metodo principale per eliminare gli

effetti di volume parziale è quello di utilizzare voxel più piccoli, che portano ad una migliore risoluzione spaziale.

La cartilagine (come abbiamo visto nel Paragrafo 3.1) consta di diversi strati, ognuno dei quali ha un diverso contenuto in termini di acqua e proteine e una diversa orientazione delle fibrille di collagene, pertanto le immagini acquisite con MRI spesso mostrano segnali variabili la cui causa non è da imputare soltanto agli artefatti già citati, ma anche a questi cambiamenti naturali all’interno del tessuto. Per far fronte a queste difficoltà è possibile, ad oggi, utilizzare una grande varietà di sequenze e la più usata per la misura dei volumi della cartilagine articolare è la 3D fat suppressed spoiled gradient recall echo (3D FS SPGR, descritta nel Paragrafo 4.1), che garantisce una buona risoluzione spaziale, un buon CNR e un buon SNR. In questa sequenza l’interfaccia osso–cartilagine è ben delineata e l’artefatto da chemical shift è ridotto, tuttavia l’interfaccia cartilagine–liquido sinoviale non è altrettanto ben definita. Sono numerosi gli studi che utilizzano questo tipo di sequenza sia con immagini acquisite a 1.5 e 3 T [10, 13, 16, 19, 44] che con scansioni a 7 T [39].

Altri studi utilizzano una sequenza 3D fast low angle shot (3D FLASH, molto simili alla SPGR) con e senza saturazione del grasso [50, 56] oppure la fast imaging employing steady state acquisition – constructive interference (FIESTA–C) [17, 36, 39], sequenza che, a 7 T, ha un SNR più alto rispetto alla SPGR ma ha anche una minore eliminazione del grasso [38] (Figura 3.3).

(a) (b)

Figura 3.3: Immagini MRI del ginocchio acquisite a 7 T con sequenze 3D FS SPGR (a) e FIESTA–C (b).

Tutte queste sequenze permettono di effettuare misure quantitative della cartilagine articolare tramite la segmentazione della stessa. Negli studi clinici vengono solitamente usati approcci manuali o semi–automatici; questi chiara- mente richiedono tempo e personale esperto che interagisca con l’algoritmo slice–by–slice (poiché bisogna inizializzare, correggere e approvare la segmen- tazione). Considerando che i metodi manuali possono produrre differenze nei

risultati ottenuti da più utenti (soprattutto laddove tessuti di simile intensità sono a contatto tra loro o sono presenti artefatti MRI), si ha la necessità di ridurre al minimo l’interazione umana nel processo di segmentazione creando algoritmi semi–automatici o completamente automatici.

Grau et al. [19] hanno proposto un metodo automatico per la segmenta- zione delle cartilagini del ginocchio usando un approccio di tipo watershed (descritto nel Paragrafo 2.3.3). Questa procedura presenta alcuni problemi: le tre cartilagini vengono trattate come un’unica struttura, non c’è alcuna separazione tra cartilagine e liquido sinoviale e nessuno studio sulla precisione test–retest. Fripp et al. [16], invece, hanno descritto un sistema di segmenta- zione automatica basato sulla deformazione di un modello statistico usando il metodo dell’active shape modeling (ASM)3 con una conoscenza a priori delle

articolazioni. Infine Dodin et al. [13] propongono un metodo completamente automatico che faccia fronte ai problemi riscontrati da [19] e [16]: Dodin segmenta innanzitutto le tre ossa principali del ginocchio (femore, tibia e rotula) per meglio identificare l’interfaccia osso–cartilagine; le superfici così ottenute sono identificate come regioni in cui potrebbe essere presente la cartilagine, quindi quest’ultima viene individuata scegliendo quei voxel (vicini a tali superfici) che hanno caratteristiche di texture omogenee.

L’algoritmo di segmentazione presentato in questo lavoro di tesi è semi– automatico e si basa sul metodo dei contorni attivi (usato anche da Cohen et al. [10] per ottenere informazioni sullo spessore e la curvatura delle cartilagini). Questo tipo di algoritmo risulta semplice e intuitivo e, pertanto, fruibile da diverse tipologie di utenti, inoltre l’analisi completa delle tre cartilagini del ginocchio non è troppo dispendiosa in termini di tempo (circa 2 ore per ciascun soggetto analizzato, vedi Paragrafo 3.6.6). L’accuratezza del metodo è stata poi valutata tramite un confronto con una segmentazione manuale eseguita da un radiologo esperto, mentre la precisione è stata valutata osservando gli errori su misure di volume ripetute.

La scelta di sviluppare un metodo semi–automatico è dettata dalle note- voli difficoltà che si presentano nel progettare un algoritmo completamente automatico, il quale necessita di ampie conoscenze nei diversi ambiti coinvolti (fisica, medicina, informatica,. . . ). Ciò nonostante, il metodo fornisce risultati promettenti e consente di ridurre notevolmente i tempi di analisi rispetto ad una segmentazione manuale.

3.2.1 Mappe del T2 e del T2∗

Si deve tenere presente che le acquisizioni MRI per il sistema muscoloschele- trico si dividono tra quelle che studiano la morfologia e quelle che studiano la composizione delle cartilagini. In questo paragrafo viene quindi descritta

3L’ASM fa parte di una categoria di metodi che utilizzano la conoscenza della forma e

dei livelli di grigio dell’oggetto da segmentare per “allenare” l’algoritmo al riconoscimento di tali strutture.

brevemente la tecnica della mappatura del T2 (o del T2∗) per lo studio della

composizione delle cartilagini.

Nelle prime fasi dell’artrosi, prima della riduzione del volume, avvengono alterazioni della composizione biochimica della cartilagine: la concentrazione dei proteoglicani diminuisce e la struttura delle fibrille di collagene si altera, diventando più permeabile all’acqua. Con l’aumento del contenuto di acqua libera si assiste ad un aumento dei tempi di rilassamento T2 (T2∗) con un

conseguente aumento di segnale nelle immagini pesate in T2 (T2∗) [35, 67].

Misurando la distribuzione spaziale del tempo di rilassamento T2 (T2∗) su

tutta la cartilagine articolare, si possono individuare le aree di aumento o diminuzione del contenuto di acqua libera correlate ai danni della cartilagine. In questo modo, allora, riusciamo a quantificare il livello di degenerazione della cartilagine ancor prima che siano evidenti cambiamenti morfologici.

Figura 3.4: Esempio di mappa del T2 per la cartilagine rotulea acquisita a7 T sul

piano assiale [48].

Ecco, quindi, che la segmentazione delle cartilagini articolari acquista maggiore importanza: non ci permette soltanto di ottenere informazioni sui volumi, ma ci viene in aiuto anche nell’analisi della composizione biochimica. Se le immagini T2(T2∗) vengono co–registrate4alle immagini pesate in T1usate

per la segmentazione della cartilagine, è possibile utilizzare le informazioni sulla posizione della cartilagine così trovata per definire una ROI (Region Of

4Per co–registrazione di immagini si intende l’operazione attraverso la quale si sovrap-

pone automaticamente un’immagine ad un’altra usata come riferimento. In generale, le due immagini da sovrapporre si riferiscono alla stessa scena (ad esempio stesso distretto anatomico nelle immagini biomedicali) acquisita in istanti di tempo differenti oppure con sensori e modalità differenti. L’obiettivo di una co–registrazione è, quindi, quello di determinare la trasformazione spaziale che permette di trasformare i punti di un’immagine nei punti corrispondenti dell’altra immagine.

Interest) che ci permetta di calcolare la distribuzione spaziale del T2 (T2∗) su tutta la cartilagine in esame (vedi Figura 3.4).