• Non ci sono risultati.

Tecniche di segmentazione applicate a immagini biomediche

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Tecniche di segmentazione applicate a immagini biomediche"

Copied!
173
0
0

Testo completo

(1)

Universit`

a degli Studi di Pisa

Dipartimento di Fisica “E. Fermi” Corso di Laurea Magistrale in Fisica

Tesi di Laurea Magistrale

TECNICHE DI SEGMENTAZIONE

APPLICATE A IMMAGINI BIOMEDICHE

Candidato:

Daniela Marfisi

Relatore:

(2)
(3)

Indice

Introduzione 7

1 Risonanza Magnetica 11

1.1 Principi fisici . . . 11

1.1.1 Spin e momento magnetico . . . 11

1.1.2 Equazione del moto: approccio classico . . . 12

1.1.3 Approccio quantistico . . . 13

1.1.4 Sistema di riferimento rotante . . . 15

1.1.5 Interazione con il campo a radiofrequenza . . . 16

1.1.6 Magnetizzazione . . . 18

1.1.7 Tempi di rilassamento . . . 20

1.1.8 Equazione di Bloch . . . 22

1.2 La risonanza magnetica come tecnica di diagnostica biomedica 24 1.2.1 Scanner per risonanza magnetica . . . 24

1.2.2 Rilevamento del segnale . . . 26

1.2.3 Codifica spaziale . . . 29

1.2.4 Parametri MRI . . . 36

1.2.5 Risonanza magnetica a campo ultra–alto . . . 41

1.3 Sequenze MRI e contrasto . . . 42

1.3.1 Sequenza a eco di gradiente . . . 43

1.3.2 Sequenza a eco di spin . . . 46

1.3.3 Sequenza Inversion recovery . . . 49

1.3.4 Contrasto . . . 51

2 Tecniche di segmentazione di immagini digitali 55 2.1 Descrizione generale . . . 56

2.2 Tecniche basate sulle discontinuità . . . 57

2.2.1 Il gradiente dell’immagine . . . 58

2.2.2 Ricerca degli zero–crossing . . . 59

2.3 Tecniche basate su misure di similarità . . . 61

2.3.1 Region growing . . . 61

2.3.2 Divisione e fusione delle regioni: metodo split and merge 62 2.3.3 Trasformata watershed . . . 63

(4)

2.4 Metodo a soglia (thresholding) . . . 64

2.5 Tecniche basate su modelli deformabili . . . 65

2.5.1 Metodo dei contorni attivi . . . 65

3 Studio delle cartilagini del ginocchio 68 3.1 Anatomia del ginocchio . . . 69

3.2 MRI per lo studio delle cartilagini articolari . . . 71

3.2.1 Mappe del T2 e del T2∗ . . . 73

3.3 Materiali e metodi . . . 75

3.3.1 Sequenza 3D FIESTA–C . . . 76

3.4 Prime prove di segmentazione con il software ITK-SNAP . . . 77

3.4.1 Come lavora ITK-SNAP . . . 78

3.4.2 Risultati ottenuti con ITK-SNAP . . . 79

3.5 Descrizione dell’algoritmo di segmentazione . . . 82

3.5.1 Fase di pre–processing . . . 83 3.5.2 La funzione activecontour . . . 84 3.5.3 Fase di segmentazione . . . 86 3.5.4 Fase di post–processing . . . 92 3.6 Risultati . . . 94 3.6.1 Parametri di valutazione . . . 95 3.6.2 Algoritmo STAPLE . . . 97

3.6.3 Confronto con una segmentazione manuale . . . 98

3.6.4 Stima dei volumi . . . 105

3.6.5 Analisi qualitativa . . . 108

3.6.6 Tempi di esecuzione . . . 112

3.6.7 Confronto qualitativo con altre tecniche di segmentazione113 4 Studio delle sottostrutture ippocampali 114 4.1 Descrizione delle sequenze di acquisizione . . . 116

4.2 FreeSurfer . . . 118

4.3 Automatic Segmentation of Hippocampus Subfields (ASHS) . 120 4.4 Analisi di immagini MRI a campo ultra–alto . . . 121

4.4.1 Utilizzo del software ASHS . . . 121

4.4.2 Utilizzo del software FreeSurfer . . . 123

4.5 Analisi con immagini T2 a 7 T e T1 a 3 T . . . 123

4.5.1 Utilizzo del software ASHS . . . 123

4.5.2 Utilizzo del software FreeSurfer . . . 124

4.6 Cosiderazioni . . . 125

Conclusioni 130 A Funzioni MATLAB per il pre–processing 132 A.1 Funzione openFiles.m . . . 132

(5)

B Funzioni MATLAB per la segmentazione delle cartilagini 134 B.1 Funzione segFemorale.m . . . 134 B.2 Funzione segTibiale.m . . . 142 B.3 Funzione segRotulea.m . . . 151 C Funzioni MATLAB per il post–processing 158 C.1 Funzione volumi.m . . . 158 C.2 Funzione staple_all.m . . . 161 C.3 Funzione staple_allTibiale.m . . . 163

Bibliografia 167

(6)

Elenco degli Acronimi

AD Alzheimer’s Disease

ASHS Automatic Segmentation of Hippocampus Subfields ASM Active Shape Modeling

bSSFP balanced STeady state Free Precession CA Corno d’Ammone

CNR Contrast to Noise Ratio DG Dentate Gyrus

DICOM Digital Imaging and COmmunications in Medicine DP Densità Protonica

DSC Dice Similarity Coefficient FA Flip Angle

fem forza elettromotrice FID Free Induction Decay

FIESTA Fast Imaging Employing STeady state Acquisition

FIESTA–C Fast Imaging Employing STeady state Acquisition – Construc-tive interference

FLASH Fast Low Angle Shot FN False Negative

FOV Field Of View FP False Positive

(7)

FSPGR Fast SPoiled Gradient Recalled echo GFE Frequency Encoding Gradient

GPE Phase Encoding Gradient GRE Gradient Recalled Echo

GSS Gradiente di selezione della slice IR Inversion Recovery

LoG Laplaciano di Gaussiana MRI Magnetic Resonance Imaging

NifTI Neuroimaging informatics Technology Initiative NMR Risonanza Magnetica Nucleare

RF RadioFrequenza ROI Region Of Interest RS Risoluzione Spaziale SAR Specific Absorption Rate SE Spin Echo

SNR Signal to Noise Ratio

SPGR SPoiled Gradient Recalled echo

STAPLE Simultaneous Truth And Performance Level Estimation TE Tempo di Eco

TI Tempo di Inversione TN True Negative TP True Positive

TR Tempo di Ripetizione TSE Turbo Spin Echo UHF Ultra High Field

(8)

Introduzione

Nel presente lavoro di tesi sono state analizzate e sviluppate alcune tecniche di segmentazione di immagini digitali, che sono state poi applicate ad immagini biomediche ottenute mediante risonanza magnetica.

Negli ultimi anni si è reso necessario l’utilizzo di algoritmi per elaborare ed analizzare le moltissime immagini provenienti da diverse tecniche di diagnosti-ca. In particolare, l’implementazione di algoritmi per il riconoscimento delle strutture anatomiche e di altre regioni di interesse ricopre un ruolo importan-te nell’assisimportan-tere ed automatizzare alcuni dei compiti svolti dai radiologi. Si parla, quindi, di algoritmi per la segmentazione di immagini, i quali vengono utilizzati in molte applicazioni biomediche quali la quantificazione dei volumi e degli spessori delle strutture di interesse, la diagnosi, la localizzazione delle patologie e lo studio di strutture anatomiche.

In generale, la segmentazione rientra nell’ambito dell’elaborazione digitale delle immagini ed è il processo per cui l’immagine di partenza viene suddivisa in diverse regioni significative, i cui pixel (Picture Element) hanno una o più caratteristiche in comune (ad esempio colore, intensità, texture, ecc.).

Sono moltissimi i metodi di segmentazione di immagini biomediche pre-senti in letteratura, e la scelta di quale metodo applicare risulta spesso molto complessa dal momento che nessuno di essi è adeguato per tutti i tipi di immagine e, allo stesso tempo, non tutti i metodi sono ugualmente validi su una stessa immagine.

Numerosi studi sulla segmentazione di immagini biomediche fanno riferi-mento ad immagini di risonanza magnetica (Magnetic Resonance Imaging, MRI), una delle tecniche di diagnostica più utilizzate in campo medico, la quale consente di produrre immagini ad alta definizione dell’interno del corpo umano in maniera non invasiva e senza l’utilizzo di radiazioni ionizzanti. Gli scanner per MRI utilizzati attualmente in ambito clinico generano campi magnetici statici da 1.5 e 3 T, ma a partire dai primi anni del 2000 sono disponibili, per scopi di ricerca, anche scanner con campo magnetico statico B0 ≥ 7 T; per campi di questo tipo si parla di risonanza magnetica a campo

ultra-alto (Ultra High Field, UHF).

L’interesse per l’UHF MRI cresce anno dopo anno grazie soprattutto ai miglioramenti in termini di rapporto segnale–rumore (Signal to Noise Ratio, SNR), rapporto contrasto–rumore (Contrast to Noise Ratio, CNR) e

(9)

risoluzione spaziale che, insieme, permettono di identificare dettagli anatomici indistinguibili con i normali scanner per uso clinico. Inoltre, il notevole incremento del SNR non solo permette di ridurre i tempi di acquisizione mantenendo invariata la qualità delle immagini, ma apre anche le porte allo studio di nuclei diversi dall’idrogeno, come il sodio (23Na, molto utile nella diagnosi precoce dei danni al tessuto delle cartilagini) e il fosforo (31P, utile in spettroscopia per l’analisi del metabolismo energetico dei tessuti).

La risonanza magnetica a campo ultra–alto presenta, però, anche alcuni svantaggi, tra cui troviamo la maggiore disomogeneità del campo magnetico B1 (che inficia in particolar modo le immagini del cervello ottenute con bobine

di volume), le alterazioni dei tempi di rilassamento dei tessuti (che rendono necessaria una regolazione dei tempi di ripetizione, TR, e dei tempi di eco, TE), l’aumento del fenomeno dello spostamento chimico (chemical shift) tra acqua e grasso, l’aumento del tasso di assorbimento specifico (Specific Absorption Rate, SAR) e la mancanza in commercio di bobine a radiofrequenza adeguate (che devono quindi essere progettate e costruite da fisici ed ingegneri qualificati).

Il lavoro di tesi è stato svolto nell’ambito di una collaborazione tra diversi enti, tra cui il Dipartimento di Fisica dell’Università di Pisa, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), l’Azienda Ospedaliero–Universitaria Pisana (AOUP) e la fondazione IMAGO 7 di Calambrone (PI), primo centro di ricerca italiano per risonanza magnetica a campo ultra-alto anche per studi in–vivo sull’uomo. Grazie a questa collaborazione è stato possibile effettuare due diversi studi sulla segmentazione di immagini di risonanza magnetica a campo ultra–alto. In particolare, una prima parte del lavoro riguarda l’analisi di immagini UHF MRI del ginocchio, mentre la seconda parte del lavoro riguarda l’analisi di immagini UHF MRI del cervello.

Entrando nello specifico di questo lavoro di tesi, nel Capitolo 1 troviamo un excursus sui principi di base della risonanza magnetica e un approfondimento sull’UHF MRI, mentre nel Capitolo 2 vengono analizzate nel dettaglio le diverse tecniche di segmentazione delle immagini.

Nel Capitolo 3 viene presentato lo studio relativo alla segmentazione delle cartilagini del ginocchio. Infatti, l’UHF MRI applicata al ginocchio offre notevoli miglioramenti nella visualizzazione delle patologie della cartilagine e nella segmentazione della stessa, pertanto buona parte di questo lavoro di tesi è centrata sullo sviluppo di una procedura di segmentazione semi– automatica delle tre cartilagini del ginocchio (femorale, tibiale e rotulea). Per quanto riguarda i risultati, la segmentazione mediante il metodo semi– automatico ha permesso di effettuare analisi volumetriche delle cartilagini di soggetti sani e di soggetti affetti da artrosi (malattia articolare conseguente ad un deterioramento della cartilagine). È stato effettuato un confronto con una segmentazione manuale delle tre cartilagini effettuata da un radiologo esperto, mediante la quale è stato possibile stimare l’accuratezza dei risultati ottenuti con il metodo semi–automatico, e lo stesso radiologo ha effettuato

(10)

una valutazione qualitativa di tutte le segmentazioni. Per la valutazione dei risultati sono stati inoltre utilizzati il coefficiente di similarità Dice (Dice similarity coefficient, DSC), la sensibilità (frazione dei pixel correttamente identificati come appartenenti all’oggetto da segmentare) e la specificità (frazione dei pixel correttamente identificati come appartenenti allo sfondo).

Di grande interesse nell’ambito dell’UHF MRI è anche l’analisi delle immagini del cervello. L’alta risoluzione che si ottiene con scanner a 7 T ha permesso di individuare anche le sottostrutture dell’ippocampo, aprendo così la strada verso diverse applicazioni cliniche nello studio delle malattie neurodegenerative. Nel Capitolo 4 vengono, quindi, analizzate ed applicate alle immagini UHF MRI disponibili diverse tecniche di segmentazione delle sottostrutture ippocampali utilizzando due software dedicati (FreeSurfer e ASHS). Per questo studio non sono stati ottenuti dei risultati quantitativi poiché le immagini disponibili non soddisfano adeguatamente le richieste dei software utilizzati. Sulla base delle analisi effettuate sono stati quindi identificati i parametri di acquisizione da utilizzare per eventuali sviluppi futuri.

Infine, nelle conclusioni si analizzano i problemi riscontrati negli studi effettuati, le possibile soluzioni e gli sviluppi futuri in entrambi gli ambiti di ricerca.

(11)
(12)

Capitolo 1

Risonanza Magnetica

Una delle tecniche di diagnostica più utilizzate in campo medico è la risonanza magnetica, che consente di produrre immagini dell’interno del corpo umano in maniera non invasiva e senza l’utilizzo di radiazioni ionizzanti. È basata sui principi della risonanza magnetica nucleare (NMR) applicati ad immagini radiologiche: l’aggettivo “magnetica” si riferisca all’uso di diversi campi magnetici, mentre il termine “risonanza” si riferisce alla necessità di uguagliare la frequenza di un campo magnetico oscillante con la frequenza di precessione dei nuclei in una molecola di tessuto.

La MRI è basata sull’interazione dello spin del nucleo con un campo magnetico esterno B0, e il nucleo prevalentemente usato è l’idrogeno, 11H, la

cui interazione con il campo magnetico esterno si manifesta con un moto di precessione dello spin del protone lungo la direzione di B0.

In questo capitolo vengono, quindi, descritti i principi fisici alla base del fenomeno di risonanza magnetica nucleare, per poi passare alla descrizio-ne dell’hardware descrizio-necessario alla formaziodescrizio-ne dell’immagidescrizio-ne e alle principali sequenze di acquisizione utilizzate.

1.1

Principi fisici

1.1.1 Spin e momento magnetico

Possiamo pensare allo spin del protone come ad una carica elettrica che ruota intorno al proprio asse di rotazione; così facendo, il protone genera un campo magnetico di dipolo a cui è associato un momento magnetico µ. La relazione tra il momento magnetico ed il momento angolare è definita da

µ= γI (1.1)

dove la costante di proporzionalità γ è chiamata rapporto giromagnetico, e per il protone vale 2.675 × 108rad/s/T (solitamente si preferisce utilizzare

γ

(13)

Nella Tabella 1.1 vengono riportati i valori di γ per alcuni nuclei diversi dall’idrogeno che hanno µ 6= 0 (in particolare quei nuclei che hanno un numero dispari di nucleoni). Si osserva come il rapporto giromagnetico per questi nuclei sia più basso rispetto a quello dell’idrogeno il che, insieme alla minore abbondanza di tali nuclei all’interno del corpo umano, porta ad una maggiore difficoltà nel visualizzarli con le tecniche MRI.

Tabella 1.1: Lista di nuclei con i rispettivi valori di spin, rapporto giromagnetico e abbondanza all’interno del corpo umano [20].

Nuclei Spin (}) γ 2π (Mhz/T) Abbondanza 1 1H 1/2 42.58 88 M 23 11N a 3/2 11.27 80 mM 31 15P 1/2 17.25 75 mM

1.1.2 Equazione del moto: approccio classico

Dalla teoria dell’elettromagnetismo classico sappiamo che un momento ma-gnetico immerso in un campo mama-gnetico esterno B0 tenderà ad allinearsi con

quest’ultimo [61]. Il sistema, quindi, risente di un momento meccanico

τ = µ × B0 (1.2)

il quale implica che il momento angolare del nucleo varia nel tempo come dI

dt = τ (1.3)

Allora, dalla relazione (1.1) tra il momento magnetico e lo spin del nucleo è possibile ricavare l’equazione del moto per µ:

dt = γµ × B0 (1.4) che descrive un moto di rotazione e precessione rispetto all’asse del campo magnetico esterno dove il modulo di µ è costante ma la sua direzione varia (vedi Figura 1.1).

Se dφ è l’angolo sotteso da dµ, e ϑ è l’angolo tra µ e B0, otteniamo

|dµ| = µ sin ϑ|dφ| (1.5) |dµ| = γµB0sin ϑdt (1.6)

(14)

Figura 1.1: Precessione dello spin del protone intorno al campo magnetico [20].

ω0= |

dt| = γB0 (1.7)

ω0 = −γB0 (1.8)

che corrisponde alla frequenza di precessione di Larmor per il campo stati-co B0 [20].

1.1.3 Approccio quantistico

Fino a qui abbiamo utilizzato un approccio classico per descrivere la risposta dello spin nucleare immerso in un campo magnetico, ma dal momento che nella visione classica non è presente il concetto di spin, è necessario introdurre una trattazione quantistica in cui i livelli energetici e il momento angolare sono discretizzati.

Dai principi di fisica nucleare sappiamo che ogni nucleone possiede un momento angolare totale

i= l ⊕ s (1.9)

dove l è il momento angolare orbitale e s è il momento angolare intrinseco (spin). La somma diretta implica che i possibili valori per il momento angolare totale sono |l−s| ≤ i ≤ |l+s|. Dal principio di indeterminazione di Heisenberg sappiamo che è possibile conoscere con certezza solo una delle componenti di i e per convenzione si sceglie la componente lungo ˆz. Scrivendo iz come

multiplo di } ≡ h/2π (dove h è la costante di Planck) si ottiene

iz = lz+ sz= }(ml+ ms) = }mi (1.10)

(15)

           mi = −i, −i + 1, . . . , i − 1, i ml= −l, −l + 1, . . . , l − 1, l ms= ±12

Poiché ml assume solo valori interi, segue che mi assume, per i nucleoni, solo

valori semi–interi [37].

Secondo il modello a shell del nucleo, i nucleoni riempiono i livelli energe-tici secondo il principio di esclusione di Pauli, in modo da ottenere dei livelli energetici pieni e alcuni nucleoni di valenza che determinano le proprietà del nucleo stesso. A ciascun nucleo è, quindi, assegnato un unico momento angolare totale I definito allo stesso modo di i (Eq. (1.9)) e al quale con-tribuiscono i momenti angolari orbitali e intrinseci dei nucleoni spaiati. Il nucleo, allora, può essere visto come una singola particella dotata di spin.

Torniamo, quindi, al comportamento di uno spin in un campo magnetico esterno. Tale comportamento è spiegato dall’effetto Zeeman: in presenza di un campo magnetico esterno, i livelli energetici del nucleo si dividono e la conseguente differenza di energia fra tali livelli è funzione del campo magnetico. Se B0 è applicato lungo ˆz, allora l’energia del nucleo dotato di

momento magnetico µ è:

E= −µ · B0 = −µzB0z = −γSzB0z = −γ}msB0z (1.11)

Per un nucleo con spin 1/2 (come il nucleo di idrogeno) Sz può assumere

solo due valori: ms= +12 (spin parallelo al campo magnetico) o ms = −12

(spin anti–parallelo al campo magnetico). In Figura 1.2 è, quindi, mostrata la scissione dei livelli energetici per nuclei con spin 1/2.

Figura 1.2: Livelli energetici dovuti all’effetto Zeeman per nuclei con spin 1/2 e rapporto giromagnetico positivo. Lo spin è parallelo al campo magnetico esterno nello stato con energia più bassa. La linea ondulata rappresenta la transizione dal livello energetico più alto a quello più basso tramite l’emissione di un fotone [20].

Le energie dei due livelli energetici non degeneri sono E↑= −

1

2γ}B0 E↓ = 1

(16)

e la quantità di energia emessa o assorbita dal sistema a seguito di una transizione tra i livelli energetici (rispettivamente, dal livello più alto al più basso o viceversa) è descritta dalla seguente relazione [20]:

∆E = E↓− E↑ = γ}B0= }ω0 (1.13)

dove ω0 = γB0, che in questo caso rappresenta la frequenza del fotone che

viene emesso o assorbito durante la transizione, non è altro che la frequenza di precessione di Larmor trovata tramite l’approccio classico (Eq. (1.7)).

1.1.4 Sistema di riferimento rotante

Viene ora presentata l’equazione del moto (Eq. (1.4)) in un nuovo sistema di riferimento molto utile nella descrizione dei processi coinvolti nel fenomeno della risonanza magnetica.

Supponiamo di osservare il momento magnetico di un nucleo da un sistema di riferimento che ruota alla frequenza di precessione di Larmor. Rispetto al sistema di riferimento del laboratorio, tale sistema ruota intorno all’asse ˆz con il campo magnetico costante diretto lungo la direzione positiva di ˆz.

Sia Ω la velocità angolare con cui ruota il nuovo sistema di riferimento rispetto al laboratorio, allora la direzione di questo vettore è l’asse intorno al quale ruota il sistema di riferimento rotante (vedi Figura 1.3).

Figura 1.3: Sistema di riferimento rotante (x0, y0, z0) con velocità angolare Ω rispetto

al sistema di riferimento del laboratorio (x, y, z) [20].

L’equazione del moto per il vettore µ, considerando il sistema rotante in cui il momento magnetico ha componenti (µx0, µy0, µz0), è data da:

dµ dt = dµ dt 0 + Ω × µ (1.14) dove dµ dt 0 ≡ dµx0 dt xˆ 0+dµy0 dt yˆ 0+dµz0 dt ˆz 0 (1.15)

(17)

Da un confronto tra le Equazioni (1.4) e (1.14) si ottiene [20]: dµ dt 0 = γµ ×B0+ Ω γ  (1.16) L’equazione del moto nel sistema del laboratorio è ancora valida nel sistema di riferimento rotante se si sostituisce B0 con un campo magnetico efficace

Bef f tale che

Bef f = B0+

γ (1.17)

Questo campo efficace è dato, quindi, dalla sovrapposizione del campo ma-gnetico statico B0= B0zˆe di un campo magnetico fittizio di modulo |Ω|/γ

che ha la stessa direzione di Ω. Quindi il momento magnetico, nel siste-ma di riferimento rotante, precede intorno a Bef f. È chiaro che scegliendo

Ω= −γB0zˆ= ω0 l’Equazione (1.16) diventa

dµ dt

0

= 0 (1.18)

con µ costante nel sistema di riferimento rotante.

1.1.5 Interazione con il campo a radiofrequenza

La risonanza magnetica nucleare è basata sull’assorbimento di energia prove-niente da un’onda elettromagnetica e sulla successiva emissione di un segnale rilevabile proveniente dal campione. Come abbiamo visto nel Paragrafo 1.1.3, per eccitare il sistema costituito dal nucleo di idrogeno, quest’ultimo deve assorbire un fotone di energia }ω0 (Eq. (1.13)). Questa rappresenta la

condi-zione di risonanza. La Tabella 1.2 riporta le frequenze di Larmor per ottenere la condizione di risonanza nel caso dell’idrogeno per diversi valori del campo magnetico statico B0.

Tabella 1.2: Frequenze di Larmor del nucleo di idrogeno per diverse intensità del campo magnetico B0. B0 (T) ν0 (MHz) 1.5 63,87 3 127,74 7 298,06 11 468,38

Il protone, quindi, precede ad una frequenza che rientra nell’intervallo delle radiofrequenze, pertanto è necessario un impulso a radiofrequenza (RF) per eccitare il sistema.

(18)

Per descrivere l’impulso RF è necessario introdurre un campo magnetico B1 oscillante con frequenza ω. Il campo RF più efficace per la NMR è un

campo magnetico con polarizzazione circolare sinistra in cui si sovrappongono due campi RF (con la stessa ampiezza e la stessa frequenza) polarizzati linearmente ma perpendicolari tra loro e sfasati di 90◦:

Bcir1 = B1(ˆxcos ωt − ˆysin ωt) (1.19)

L’uso del sistema di riferimento rotante ci permette di semplificare l’Equazio-ne (1.19) (infatti ˆx0 = ˆxcos ωt − ˆysin ωt):

Bcir1 = B1xˆ0 (1.20)

che rappresenta un campo magnetico a riposo nel sistema di riferimento rotante.

Se il sistema di riferimento (x0, y0, z0) ruota in senso orario intorno all’asse

ˆ

zdel sistema del laboratorio con velocità angolare ω pari alla frequenza di oscillazione del campo RF, allora Ω = −ωˆz e l’equazione del moto (1.16), tenendo in considerazione anche il campo RF, diventa:

dµ dt

0

= µ × [ˆz0(ω0− ω) + ˆx0ω1] = γµ × Bef f (1.21)

dove ω0 = γB0 è la frequenza di Larmor, ω è la frequenza del campo RF nel

sistema di riferimento del laboratorio e ω1= γB1 è la frequenza di precessione

degli spin sotto l’azione del campo magnetico B1. Il campo magnetico efficace,

che tiene conto anche della presenza del campo RF, è quindi dato da: Bef f =

[ˆz0(ω0− ω) + ˆx0ω1]

γ (1.22)

e l’equazione del moto (1.21) indica che nel sistema di riferimento rotante lo spin precede intorno all’asse definito da Bef f.

Nel caso in cui la frequenza di oscillazione del campo RF, ω, combacia con la frequenza di Larmor ω0, l’Equazione (1.21) viene semplificata nel modo

seguente:

dµ dt

0

= ω1µ ×xˆ0 per ω = ω0 (1.23)

che descrive un moto di precessione intorno all’asse ˆx0 con frequenza ω 1. In

questo caso è soddisfatta la condizione di risonanza e il campo magnetico B1

permette un completo ribaltamento dello spin rispetto all’asse ˆx0.

Flip angle

Un campo magnetico B1 applicato in condizione di risonanza per un periodo

di tempo finito viene chiamato impulso a radiofrequenza. Se il campo RF, B1 = B1xˆ0, viene acceso per un intervallo di tempo τ per poi essere spento

(19)

immediatamente dopo, lo spin del nucleo ruota intorno all’asse ˆx0 di un angolo

(chiamato flip angle) [20]

ϑ= γB1τ (1.24)

Ad esempio per ottenere un flip angle di 90◦ (impulso a π/2) per un impulso

della durata di 1 ms, è necessario un campo B1 di intensità pari a 5, 9 µT nel

caso dei protoni. In condizioni di risonanza, quindi, anche un debole campo RF permette di far ruotare lo spin sul piano trasversale (x0, y0). Variando

l’intensità di B1o la durata dell’impulso RF, è possibile ottenere una rotazione

del momento magnetico ad angoli differenti.

In Figura 1.4 vengono mostrate le traiettorie degli spin in condizioni di risonanza sia nel sistema di riferimento rotante che in quello del laboratorio. Nel sistema rotante il momento magnetico viene semplicemente ruotato sul piano perpendicolare alla direzione del campo statico B0, mentre nel sistema

del laboratorio il moto segue una traiettoria a spirale.

Figura 1.4: Ribaltamento del momento magnetico con ϑ= π/2 in condizioni di risonanza nel sistema di riferimento rotante (a) e in quello del laboratorio (b) [20].

1.1.6 Magnetizzazione

Fino ad ora abbiamo considerato l’equazione del moto per un solo momento di dipolo magnetico; introduciamo, quindi, un campione costituito da un numero N di spin non interagenti tra loro immersi in un campo magnetico esterno. Sappiamo che una particella dotata di spin 1/2 può assumere solo due configurazioni (parallela o anti–parallela al campo magnetico applicato), pertanto la popolazione di N spin sarà divisa in un numero N↑ di spin

paralleli al campo e un numero N↓ di spin anti–paralleli. Assumiamo che

ogni spin sia in contatto termico con tutti gli altri spin e con il reticolo (tutti a temperatura T ) e che le popolazioni dei due livelli energetici siano definite dalla distribuzione di Boltzmann tale che [1]

N↑

N↓

= ekB T∆E = eγ}B0kB T (1.25)

dove ∆E è la differenza tra i livelli energetici definita in (1.13) e kB è la

(20)

C’è, quindi, una differenza di popolazione tra i due livelli energetici: lo stato ad energia minore è leggermente favorito, per cui ci sarà un maggior numero di spin allineati parallelamente al campo magnetico rispetto a quelli anti–paralleli. Per T ' 300 K, nel caso dei protoni ∆E

kBT '6, 6 × 10

−6B 0, per

cui, sviluppando l’Equazione (1.25), si ottiene: N↑

N↓

≈ 1 + ∆E kBT

+ · · · ≈ 1 + 6, 6 × 10−6B0 (1.26)

Il campo esterno crea, quindi, una polarizzazione nel campione proporzionale alla differenza di energia tra i due livelli e, di conseguenza, proporzionale all’intensità di B0. Tale polarizzazione, dovuta all’eccesso di spin allineati

lungo la direzione del campo magnetico esterno, crea una magnetizzazione macroscopica definita come [20]

M0 = 1 V N X i=1 µ (1.27)

ossia come la media dei momenti magnetici delle N particelle contenute nel volume V . Tale volume deve garantire che al suo interno il campo magnetico sia omogeneo e, allo stesso tempo, deve essere grande abbastanza da contenere un numero elevato di protoni. Poiché sono solo due i livelli energetici coinvolti, la magnetizzazione all’equilibrio termico sarà data dalla media degli N momenti magnetici distribuiti su tutti i possibili stati:

M0 = 1 V(N↑− N↓)µ = 1 V(N↑− N↓)γ } 2 (1.28)

e, con le dovute sostituzioni, otteniamo il valore della magnetizzazione all’equilibrio: M0 = 1 V N 2 ∆E kBT γ} 2 = N V γ2}2 4kBT B0 = ρ γ2}2 4kBT B0 (1.29)

che risulta essere proporzionale all’intensità di B0. Nei prossimi paragrafi

vedremo che la magnetizzazione è proporzionale al segnale disponibile per la formazione dell’immagine MRI, per cui con campi maggiori il segnale disponibile aumenta, ed è per questo che negli ultimi anni vengono costruiti magneti in grado di raggiungere campi con B0 ≥ 7 T.

Da un punto di vista macroscopico, data l’Equazione (1.27) siamo ora in grado di scrivere l’equazione del moto per un sistema di N spin non interagenti tra loro:

dM

dt = γM × B0 (1.30) È molto più conveniente analizzare la magnetizzazione e le relative equa-zioni differenziali in termini delle sue componenti, parallela e perpendicolare,

(21)

definite rispetto alla direzione del campo magnetico esterno. Introduciamo, quindi, la magnetizzazione longitudinale, Mk, e trasversale, M⊥, definite

come:   Mk = Mzzˆ M⊥= Mxxˆ+ Myyˆ (1.31) dalle quali ricaviamo le equazioni del moto

   dMk dt = 0 dM⊥ dt = γM⊥× B0 (1.32) valide per un sistema di protoni non interagenti tra loro.

1.1.7 Tempi di rilassamento

L’Equazione (1.32) considera un sistema di protoni non interagenti tra loro, ma questi protoni sono, in realtà, molto vicini e, pertanto, tenderanno ad interagire. C’è un continuo scambio di energia tra i protoni e l’ambiente circostante, e gli spin possono influenzarsi a vicenda introducendo delle variazioni locali del campo magnetico esterno che vanno poi a modificare la frequenza di precessione degli spin stessi portando ad una loro perdita di fase [20]

Sono due le interazioni che dobbiamo considerare: interazioni spin–reticolo (scambi di energia tra gli spin e l’ambiente circostante) e le interazioni

spin–spin (scambi di energia tra gli spin).

Interazione spin–reticolo: tempo di rilssamento T1

Quando l’impulso RF viene spento, i momenti magnetici tenderanno ad allinearsi nuovamente con il campo magnetico statico attraverso scambi di energia con l’ambiente. Questo significa che l’equazione del moto per la componente longitudinale della magnetizzazione deve essere modificata nel modo seguente: dMz dt = 1 T1 (M0− Mz) (1.33)

dove T1 è il tempo di rilassamento longitudinale (o tempo di rilassamento

spin–reticolo). È definito come il tempo necessario affinché gli spin cedano all’ambiente l’energia assorbita dall’impulso RF in modo da poter tornare nella condizione di equilibrio. Dopo un tempo t = T1 il vettore magnetizzazione

sarà tornato al 63% del suo valore iniziale M0. T1 varia tra le decine e le

migliaia di millisecondi per i tessuti del corpo umano per un determinato valore di B0.

(22)

La soluzione dell’Equazione (1.33) mostra che la magnetizzazione torna alla condizione di equilibrio termico tramite una crescita esponenziale. Sce-gliendo t0 = 0 come istante iniziale (cioè quando l’impulso RF viene spento)

si ha: Mz(t) = Mz(0)e −t T1 + M0(1 − e− t T1) (1.34)

dove Mz(0) è il valore di Mz all’istante di tempo t0.

Figura 1.5: Crescita della componente longitudinale del vettore magnetizzazione dal valore iniziale Mz(0) al valore di equilibrio M0.

Interazione spin–spin: tempo di rilassamento T2

Gli spin all’interno del campione risentono di campi magnetici locali dati da una combinazione del campo magnetico statico esterno e dei campi generati dagli spin vicini. Dal momento che le variazioni dei campi magnetici locali portano a differenti frequenze di precessione, gli spin tenderanno a non essere più in fase tra loro riducendo, così, il vettore magnetizzazione netto.

L’equazione del moto per la magnetizzazione trasversale deve, quindi, essere modificata: dM⊥ dt = γM⊥× B0− 1 T2 M⊥ (1.35)

dove T2 è il tempo di rilassamento trasversale (o tempo di rilassamento spin–

spin) e rappresenta l’intervallo di tempo necessario affinché gli spin accumulino una differenza di fase tale ta annullare la magnetizzazione trasversale.

Il termine addizionale (rispetto alla seconda Equazione (1.32)) porta ad un decadimento esponenziale del valore iniziale di M⊥. Questo può essere

visto più facilmente considerando la stessa equazione del moto nel sistema di riferimento rotante: dM dt 0 = − 1 T2 M⊥ (1.36)

la cui soluzione, scegliendo t0 = 0come istante iniziale (cioè quando l’impulso

RF viene spento), è

M⊥ = M⊥(0)e − t

(23)

che descrive come diminuisce la magnetizzazione trasversale sia nel sistema di riferimento rotante che in quello del laboratorio. In particolare, dopo un tempo t = T2 la magnetizzazione trasversale si è ridotta del 37% rispetto al

suo valore iniziale.

Figura 1.6: Perdita della magnetizzazione trasversale a causa dell’interazione spin– spin.

Nella pratica, c’è un’ulteriore perdita di fase per la magnetizzazione intro-dotta dalle disomogeneità del campo magnetico statico. Questa si manifesta in una diminuzione del valore iniziale di M⊥ che può essere caratterizzato

da un nuovo tempo di rilassamento T0

2. Allora possiamo definire una nuova

costante di decadimento per la magnetizzazione trasversale: 1 T2∗ = 1 T2 + 1 T20 (1.38)

che tiene conto sia della costante di decadimento dovuta alle interazioni spin– spin che della costante di decadimento dovuta alle disomogeneità del campo statico. Nei paragrafi che seguono vedremo come la perdita di magnetizzazione trasversale a causa di T0

2 sia, in realtà, recuperabile con l’aggiunta di un

nuovo impulso RF che faccia tornare in fase gli spin. Le perdite dovute a T2, invece, non sono recuperabili perché sono legate a variazioni casuali dei

campi magnetici locali, spesso anche dipendenti dal tempo.

1.1.8 Equazione di Bloch

Combinando le Equazioni (1.35) e (1.33) si ottiene un’unica equazione del moto per il vettore magnetizzazione [20]

dM dt = γM × B0+ 1 T1 (M0− Mz)ˆz − 1 T2 M⊥ (1.39)

(24)

conosciuta come equazione di Bloch, in cui i termini di rilassamento descrivono il ritorno all’equilibrio ma solo nel caso in cui il campo statico esterno sia diretto lungo ˆz. Considerando, quindi, B0 = B0zˆ, il prodotto vettoriale

all’interno dell’equazione di Bloch ci permette di scomporre quest’ultima in tre componenti:            dMx dt = ω0My− Mx T2 dMy dt = −ω0Mx− My T2 dMz dt = (M0−Mz) T1 (1.40)

con ω=γB0. Il sistema può essere risolto tramite un cambio di variabili che

ci permette di trovarne la soluzione:              Mx(t) = e − t T2(Mx(0) cos ω0t+ My(0) sin ω0t) My(t) = e − t T2(My(0) cos ω0t − Mx(0) sin ω0t) Mz(t) = Mz(0)e − t T1 + M0(1 − e− t T1) (1.41)

La soluzione all’equilibrio si trova considerando il limite per t → ∞:    Mx(∞) = My(∞) = 0 Mz(∞) = M0 (1.42) I termini sinusoidali all’interno dell’Equazione (1.41) corrispondono al moto di precessione già discusso, mentre il termine di smorzamento deriva dagli effetti di rilassamento trasversale. Mentre la componente longitudinale torna verso il valore all’equilibrio, la componente trasversale ruota in senso orario ed il suo valore diminuisce (vedi Figura 1.7) [20].

Figura 1.7: Traiettoria del vettore magnetizzazione in cui vengono mostrate, insie-me, la crescita della componente longitudinale e il decadimento della componente trasversale [20].

(25)

1.2

La risonanza magnetica come tecnica di

diagno-stica biomedica

In questo paragrafo l’attenzione è rivolta ai magneti e alle bobine necessarie per produrre i campi magnetici coinvolti nel fenomeno della risonanza ma-gnetica, inoltre vengono esposti i principi fisici per il rilevamento del segnale proveniente dal campione e i parametri delle immagini ottenute tramite MRI.

1.2.1 Scanner per risonanza magnetica

I componenti fondamentali di uno scanner per risonanza magnetica sono: magnete principale, bobine di gradiente, bobine RF di trasmissione e ricezione, console di elaborazione dati. Tutti questi componenti vengono descritti brevemente nelle prossime sezioni.

Magnete principale

Il magnete principale ha lo scopo di creare una magnetizzazione del campione facendo allineare la popolazione di spin con il campo magnetico. Esistono essenzialmente tre tipi di magneti che creano un campo statico: magneti resistivi, permanenti e superconduttivi. Questi ultimi sono i più utilizzati, specialmente per campi elevati, e sono costituiti da una serie di bobine che vengono rese superconduttive tramite un raffreddamento con elio liquido (in una bobina così realizzata la circolazione della corrente non è ostacolata dalla resistenza elettrica). La necessità di mantenere il sistema ad una bassa temperatura costante impone di costruire un ulteriore contenitore che sfrutta l’azoto liquido. Con i magneti superconduttori è possibile raggiungere valori elevati di intensità del campo come 7 o 11 T attualmente utilizzati in ambito di ricerca.

Le principali caratteristiche che devono essere soddisfatte da un magnete usato in MRI sono: omogeneità, stabilità nel tempo, efficacia dei costi, minimizzazione dei campi generati fuori dallo scanner e comfort del paziente. Bobine di gradiente

Questo tipo di bobine viene usato per ottenere una codifica spaziale delle posizioni degli spin: facendo variare linearmente il valore del campo statico, le frequenze di precessione degli spin cambiano in funzione della posizione in cui si trovano. La variazione del campo magnetico va ad aggiungersi al campo magnetico generato dal magnete principale ed è prodotta da coppie di bobine collocate in ciascuna direzione.

Le principali caratteristiche che devono essere soddisfatte da una bobina di gradiente sono: bassa induttanza, minima resistenza e buona uniformità.

(26)

Bobine RF

Le bobine a radiofrequenza utilizzate in MRI hanno due scopi: eccitare la magnetizzazione (bobine di trasmissione) e ricevere il segnale proveniente dagli spin eccitati (bobine di ricezione). È possibile utilizzare una singola bobina che esegua entrambi i compiti, ma solitamente vengono usate bobine separate perché ci sono diverse caratteristiche da soddisfare nei due casi per ottenere le migliori immagini possibili. Come abbiamo visto nel Paragrafo 1.1.5, una caratteristica importante delle bobine RF (sia in trasmissione che in ricezione) è la quadratura: questo termine implica che la bobina riesce a generare o rilevare il campo magnetico polarizzato circolarmente B1 = B1xˆ0, che ha, nel

sistema di riferimento del laboratorio, le due componenti ˆx e ˆy.

Per quanto riguarda le bobine di trasmissione, le caratteristiche principali da soddisfare sono l’omogeneità della risposta della magnetizzazione e la minimizzazione del tempo necessario per ribaltare gli spin. Ricordando l’Equazione (1.24) che definisce il flip angle in funzione del campo RF, è facile osservare che il tempo necessario per ribaltare la magnetizzazione di un certo angolo ϑ è inversamente proporzionale a B1.

Per le bobine di ricezione, invece, sono due le principali proprietà che devono essere soddisfatte: migliorare il rapporto segnale–rumore (SNR) ottenuto con la bobina e assicurare una risposta uniforme su tutto il volume che deve essere rappresentato.

Sono numerosissimi i modelli di bobine RF utilizzati in MRI, ognuno dei quali avente caratteristiche e usi particolari. Tra i vari modelli citiamo le bobine a sella, le bobine birdcage (le più utilizzate in MRI), le bobine di superficie (utilizzate se l’oggetto che si vuole osservare è vicino alla superficie del corpo) e le bobine phased array.

Per concludere il discorso sulle bobine a radiofrequenza è importante osservare che l’energia RF può essere depositata come calore all’interno del corpo. Spostandoci verso campi magnetici sempre maggiori (aumentando in questo modo anche la frequenza di Larmor), l’aumento di energia depositata nel corpo diventa un problema di sicurezza del paziente. Ogni governo ha le proprie linee guida in merito ai limiti accettabili per il tasso di assorbimento specifico (Specific Absorption Rate, SAR) dell’energia depositata, e tali linee guida tengono in considerazione che il corpo umano può tollerare solo pochi watt per kg di tessuto prima che la temperatura del corpo cominci a salire. Console di elaborazione dati

Una console di controllo è posta fuori dalla stanza in cui è presente lo scanner. La console permette di iniziare e terminare l’esame MRI; tramite un software dedicato, l’utente può scegliere i parametri di acquisizione e la sequenza da utilizzare.

(27)

1.2.2 Rilevamento del segnale

In questo paragrafo viene descritto il rilevamento di un segnale misurabile proveniente dagli spin dell’idrogeno presenti nell’oggetto da rappresentare. Vengono utilizzate le leggi dell’induzione elettromagnetica secondo le quali il campo magnetico totale variabile nel tempo (che deriva dalla somma di tutti i campi generati dagli spin che precedono) induce una forza elettromotrice (fem) in una qualsiasi bobina RF orientata opportunamente per rilevare i

cambiamenti del flusso.

Induzione elettromagnetica

La fem indotta in una bobina da un cambiamento del flusso del campo magnetico può essere calcolata tramite la legge di Faraday [20]:

f em= −dΦ(B)

dt (1.43)

dove Φ è il flusso attraverso la bobina Φ(B) =

Z

S

B · dS (1.44)

Quest’ultima equazione può essere riscritta in termini più utili per la MRI. Introducendo la densità di corrente J (il cui modulo rappresenta la carica per unità di tempo e per unità di area), allora la magnetizzazione del campione è associata a J:

JM(r, t) = ∇ × M(r, t) (1.45)

Inoltre, il flusso del campo magnetico può essere espresso in termini del potenziale vettore alla posizione r derivante da una sorgente posta in r0:

A(r) = µ0 4π Z d3r0 J(r 0) |r − r0| = µ0 4π Z d3r0∇ × M(r) |r − r0| (1.46)

il quale è associato al campo magnetico B tramite la relazione

B= ∇ × A (1.47)

Il flusso del campo magnetico può quindi essere riscritto come: Φ(B) = Z S B · dS= Z S (∇ × A) · dS = I dl · A (1.48) Combinando (1.46) e (1.48) si ottiene Φ(B) = I dl ·µ0 4π Z d3r0∇ 0× M(r0) |r − r0|  = µ0 4π Z d3r0M(r0) ·h∇0× I dl |r − r0| i (1.49)

(28)

e il rotore dell’integrale di linea nell’Equazione (1.49) può essere definito come Breceive, campo magnetico per unità di corrente che sarebbe prodotto dalla bobina nel punto r0:

Breceive(r0) = B(r 0) I = ∇ 0×µ0 4π I dl |r − r0|  (1.50) Il flusso, quindi, può essere nuovamente riscritto come:

Φ(B) = Z

campione

d3rBreceive(r0) · M(r, t) (1.51) dove la dipendenza della magnetizzazione dal tempo è stata resa evidente. Infine, la fem indotta nella bobina è data da:

f em= −d dt

Z

campione

d3rM(r, t) · Breceive(r) (1.52) Dall’Equazione (1.51) è evidente che il flusso del campo magnetico dipende da Breceive, ossia dal campo magnetico per unità di corrente prodotto dalla

bobina di ricezione in tutti quei punti in cui la magnetizzazione è diversa da zero. Questo è un esempio del principio di reciprocità: il flusso dovuto alla magnetizzazione che passa attraverso la bobina di ricezione può essere trovato calcolando, invece, il flusso che dovrebbe provenire dalla bobina di ricezione, per unità di corrente, e che passa attraverso la magnetizzazione. Infine, la dipendenza della fem dal campo RF B1è implicita nella dipendenza

dalla magnetizzazione M. Il segnale

Il segnale in un esperimento MRI proviene dal rilevamento della fem. Si assume che il campione è immerso in un campo magnetico statico e uniforme B0zˆ e che è stato eccitato da un impulso RF grazie al quale, ad un certo

tempo t, sono presenti le due componenti trasversali della magnetizzazione, Mxe My, oltre alla già presente magnetizzazione longitudinale, Mz. Il segnale

che viene misurato è proporzionale alla fem di Equazione (1.52) e può essere scritto in termini delle tre componenti della magnetizzazione [20]:

S ∝ −d dt Z d3rBreceivex (r)Mx(r, t) + Breceivey (r)My(r, t)  (1.53) dove il contributo della magnetizzazione longitudinale è stato trascurato.

Le componenti trasversali della magnetizzazione possono essere scritte in notazione complessa:

M+(t) = Mx(t) + iMy(t) (1.54)

(29)

dM+(t) dt = M+(t)(−iω0− 1 T2 ) (1.55) con soluzione M+(r, t) = M+(r, 0)e − t T2(r)e−iω0t= M ⊥(r, 0)e − t T2(r)e−iω0t+iφ0 (1.56)

Per campi statici dell’ordine del T e per i protoni, la frequenza di Larmor ω0 è almeno quattro ordini di grandezza superiore rispetto ai tipici valori

di 1/T1 e 1/T2, per cui la derivata dei termini e−t/T1 ed e−t/T2 può essere

trascurata rispetto alla derivata del termine e−iω0t. Con tale approssimazione,

l’Equazione (1.53) può essere riscritta nel modo seguente: S ∝ ω0 Z e− t T2(r) h

Breceivex (r)<iM+(r, 0)e−iω0t



+ Breceivey (r)=iM+(r, 0)e−iω0t

i d3r (1.57) =⇒ S ∝ ω0 Z e− t T2(r)M(r, 0) h Breceivex (r) sin(ω0t − φ0(r)) + Breceivey (r) cos(ω0t − φ0(r)) i d3r (1.58) Questa espressione può essere ulteriormente semplificata scrivendo Breceive

come

Breceivex ≡ B⊥cos ϑB Breceivey ≡ B⊥sin ϑB (1.59)

ed il segnale: S ∝ ω0 Z e− t T2(r)M(r, 0)B(r) sin(ω0t+ ϑB(r) − φ0(r))d3r (1.60)

dove possiamo osservare che sono le rapide oscillazioni della magnetizzazione trasversale a generare un segnale nella bobina di ricezione.

Nella pratica, le oscillazioni alla frequenza ω0vengono rimosse

demodulan-do il segnale, che equivale ad osservare il segnale da un sistema di riferimento rotante con velocità angolare Ω = ω0+ δω. Il segnale demodulato è, quindi,

privo delle rapide oscillazioni di Larmor ed oscilla alla frequenza di offset δω (con δωt = ϑB(r) − φ(r, 0) ). Pertanto: s(t) ∝ ω0 Z e− t T2(r)M(r, 0)B(r)ei((Ω−ω0)t+φ(r,0)−ϑB(r))d3r (1.61)

L’Equazione (1.60) ci dice che il segnale MRI è una funzione oscillante che decade con una costante di tempo T∗

2 1 a causa della perdita di fase degli

spin. Questo viene chiamato segnale di Free Induction Decay (FID):

1

Nel caso di disomogeneità del campo magnetico esterno bisogna effettuare la sostituzione T2→ T2∗

(30)

FID ∝ e−T ∗t

2 sin ω0t (1.62)

che non è altro che un’oscillazione smorzata.

Nel rappresentare il corpo umano tramite le tecniche MRI, però, siamo interessati alla distribuzione degli spin piuttosto che alla magnetizzazione vera e propria. Se assumiamo un impulso iniziale a π/2, la magnetizzazione trasversale al tempo t = 0 può essere espressa in termini della densità di protoni ρ0 (numero di protoni per unità di volume) tenendo in considerazione

l’Equazione (1.29) [20]:

M⊥(r, 0) = M0(r) = ρ0(r)

γ2}2 4kBT

B0 (1.63)

Se assumiamo che le bobine di trasmissione e ricezione siano sufficiente-mente uniformi (in questo modo la fase iniziale della magnetizzazione, φ0, la

fase legata a Breceive, ϑ

B, e l’ampiezza del campo di ricezione, B⊥, sono tutti

indipendenti dalla posizione), possiamo introdurre una costante Λ che include il fattore di guadagno del sistema elettronico per la ricezione del segnale e tutti i fattori indipendenti dalla posizione. Allora, trascurando gli effetti di rilassamento, il segnale demodulato è dato da:

s(t) = ω0ΛB⊥

Z

M⊥(r, 0)ei(Ωt+φ(r,t))d3r (1.64)

dove φ è la fase accumulata. Sostituendo (1.63) in (1.64) ed introducendo la densità protonica ρ(r) ≡ ω0ΛB⊥M0(r) = ω0ΛB⊥ρ0(r) γ2}2 4kBT B0 (1.65) il segnale diventa: s(t) = Z ρ(r)ei(Ωt+φ(r,t)d3r (1.66)

La densità protonica rappresenta la quantità che vogliamo determinare a partire dal segnale di risonanza magnetica.

1.2.3 Codifica spaziale

L’obiettivo della MRI è di determinare la densità protonica di un campione a partire dal segnale che è funzione del tempo. Il primo passo è quello di connettere la precessione degli spin alla loro posizione, e per farlo è necessario diversificare il segnale generato nei diversi punti all’interno del campione: viene effettuata una codifica spaziale. L’idea alla base è quella di fare in modo che il campo magnetico statico sia leggermente diverso tra un punto e l’altro del campione, in modo che le frequenze di Larmor di tali punti siano anch’esse differenti. A tal scopo, si introduce il vettore G costituito da tre

(31)

gradienti di campo magnetico (Gx, Gy, Gz) lungo le tre direzioni ortogonali

(questi sono prodotti dalle bobine di gradiente descritte nel Paragrafo 1.2.1). Ciascun gradiente corrisponde ad un campo magnetico la cui intensità varia linearmente lungo una direzione, ed ognuno di essi va a modificare il campo magnetico statico B0.

Il vettore G viene solitamente espresso in mT/m ed è definito come: G(t) = ∇Bg(r) = ∂Bg ∂x xˆ+ ∂Bg ∂y yˆ+ ∂Bg ∂z zˆ = Gx(t)ˆx+ Gy(t)ˆy+ Gz(t)ˆz (1.67) dove la dipendenza di G dal tempo indica che il gradiente potrebbe subire delle modifiche durante l’esperimento MRI.

Il campo magnetico totale viene modificato dalla presenza del gradiente: B(t) = B0+ G(t) · r = B0+ (Gxx+ Gyy+ Gzz) (1.68)

e, di conseguenza, la frequenza di precessione degli spin diventa funzione della posizione:

ω(r, t) = γ(B0+ G(t) · r) = ω0+ ωG(r, t) = ω0+ γ(Gxx+ Gyy+ Gzz) (1.69)

L’introduzione del gradiente permette, quindi, di stabilire una relazione tra la posizione degli spin all’interno del campione e la loro frequenza di precessione [20].

La fase accumulata al tempo t a causa dell’applicazione del gradiente è: φG(r, t) = − Z t 0 ωG(r, t)dt0 = −γr Z t 0 G(t0)dt0 (1.70) È utile, a questo punto, introdurre la frequenza spaziale k(t) definita da:

k(t) = γ 2π

Z t

0

G(t0)dt0 (1.71) anch’essa scomponibile in tre componenti:

           kx(t) = γ Rt 0Gx(t 0)dt0 ky(t) = γ Rt 0 Gy(t 0)dt0 kz(t) = γ Rt 0Gz(t 0)dt0 (1.72)

Allora, l’Equazione (1.66) può essere riscritta considerando Ω = ω0 (cioè

δω = 0) e un singolo impulso RF in presenza dei tre gradienti di campo magnetico s(t) = Z ρ(r)eiφG(r,t)d3r= Z ρ(r)e−iγr·R0tG(t 0)dt0 d3r = Z ρ(r)e−i2πk(t)·rd3r (1.73)

(32)

che diventa: s(k) = Z ρ(r)e−i2πk(t)·rd3r = Z Z Z

ρ(x, y, z)e−i2π(kxx+kyy+kzz)dxdydz

= FT {ρ(x, y, z)}

(1.74)

chiamata equazione per l’imaging 3D, che non è altro che la trasformata di Fourier (FT ) della densità protonica. Conoscendo il segnale s(k) per ogni kè possibile ottenere la densità protonica tramite la trasformata di Fourier inversa del segnale [20]:

ρ(r) = Z

s(k)ei2πk(t)·rd3r (1.75) Pertanto, con un buon numero di misure sm(k)nel dominio delle frequenze,

riusciamo a calcolare la FT inversa, ˜ρ(r), che rappresenta una buona stima per la vera densità protonica ρ(r).

La codifica spaziale diventa, quindi, di fondamentale importanza. In que-sto stesso paragrafo vengono analizzati i tre gradienti Gx, Gy e Gzche vengono

fatti variare in maniera indipendente per poter ottenere una localizzazione spaziale e, di conseguenza, l’immagine del campione.

Viene innanzitutto applicato un gradiente di selezione della fetta (Slice Selection Gradient, GSS) per selezionare il volume anatomico di interesse; su questo stesso volume la posizione di ogni singolo punto viene codificata verticalmente ed orizzontalmente applicando, rispettivamente, un gradiente di codifica di fase (Phase Encoding Gradient, GPE) e un gradiente di codifica di frequenza (Frequency Encoding Gradient, GFE).

Gradiente di selezione della fetta

Definiamo l’asse di selezione della fetta come la direzione perpendicolare al piano della slice di interesse. Scegliendo l’asse ˆz otterremo delle slice sul piano assiale del corpo, scegliendo l’asse ˆy saranno coronali, e scegliendo l’asse ˆ

xotterremo delle slice sul piano sagittale. Per convenzione si fa riferimento all’asse ˆz.

Grazie alla presenza del gradiente Gz, la frequenza di precessione degli

spin varia linearmente lungo ˆz:

ω(z) = ω0+ γGzz (1.76)

(con ω(0) = ω0).

Se ora applichiamo un impulso RF su tutto il volume, soltanto gli spin in risonanza con la frequenza dell’impulso verranno eccitati (condizione di

(33)

risonanza), pertanto c’è un intervallo di frequenze che può generare una magnetizzazione trasversale in una slice ortogonale all’asse ˆz il cui spessore si estende da z0− ∆z2 a z0 +∆z2 , e tale intervallo di frequenze definisce la

larghezza di banda dell’impulso RF [20]: BWRF ≡ ∆ω = (γGzz0+ γGz ∆z 2 ) − (γGzz0− γGz ∆z 2 ) = γGz∆z (1.77)

dove ∆z è lo spessore della fetta. Questo risulta determinato dalla larghezza di banda dell’impulso a radiofrequenza, e dall’intensità del gradiente lungo il campione. Pertanto, per un determinato valore di Gz, una larghezza di

banda molto stretta ecciterà una slice molto sottile, mentre una larghezza di banda molto larga ne ecciterà una più spessa. Viceversa, per una determinata larghezza di banda dell’impulso RF, lo spessore della fetta è determinato dalla pendenza del gradiente (vedi Figura 1.8).

Figura 1.8: Frequenza di precessione nel sistema del laboratorio in funzione della posizione lungo l’assez di selezione della fetta. La larghezza di bandaˆ ∆f ≡ BWRF è tale che la slice di spessore∆z è eccitata in maniera

simmetrica [20].

Il gradiente di selezione della fetta induce una perdita di fase degli spin lungo la sua direzione; il segnale può essere recuperato applicando un gradiente di rifasamento, ossia un gradiente avente polarità opposta rispetto al gradiente che ha eccitato la slice e avente metà della sua area.

Gradiente di codifica di frequenza

Una volta selezionata la slice di interesse, bisogna codificare le informazioni spaziali sul piano x–y. Viene, quindi, applicato un gradiente di codifica di

(34)

frequenza (definito anche gradiente di lettura) lungo la direzione ˆx, il quale modifica la frequenza di precessione lungo tale direzione durante il tempo in cui viene applicato. In questo modo lungo la direzione verticale gli spin avranno la stessa frequenza di Larmor, mentre lungo la direzione orizzontale ogni spin precederà ad una frequenza diversa a seconda del punto in cui si trova.

Solitamente, in un esame MRI il gradiente di codifica di frequenza viene applicato una prima volta nell’intervallo di tempo (t1, t2)tramite un gradiente

costante negativo, −Gx, e poi viene applicato un secondo gradiente, Gx,

nell’intervallo di tempo (t3, t4). La fase accumulata durante l’applicazione

del primo gradiente è:

φGx(x, t) = +γGxx(t − t1) per t1 < t < t2 (1.78)

e durante il secondo:

φGx(x, t) = +γGxx(t2− t1) − γGxx(t − t3) per t3< t < t4 (1.79)

Non c’è perdita di fase quando il gradiente è spento. Invertendo la polarità del gradiente, al tempo t = t3+ t2− t1 la fase si annulla e viene generato un

segnale di eco. Se l’intervallo (t3, t4) è lungo il doppio rispetto all’intervallo

(t1, t2), il segnale di eco si avrà al tempo t = t4−t2 3 = T E (chiamato tempo

di eco); T E corrisponde a quel tempo durante l’applicazione del secondo gradiente in cui l’area del lobo del gradiente corrisponde all’area del lobo del primo gradiente (vedi Figura 1.9).

Durante il tempo di campionamento Ts, si possono ottenere diversi punti

lungo l’asse kx campionando a diversi intervalli di tempo. Questo produce

una rappresentazione di s(k) come un set di punti campionati lungo una linea continua. Il riempimento del k–spazio inizia a kx = 0 e poi si muove

verso sinistra con l’applicazione del gradiente negativo; durante l’applicazione del gradiente positivo, invece, la direzione di riempimento viene invertita andando verso valori positivi di kx (vedi Figura 1.10).

Gradiente di codifica di fase

L’ultimo step per localizzare spazialmente gli spin avviene tramite il gradiente di codifica di frequenza Gy applicato lungo ˆy per un certo intervallo di

tempo. L’idea alla base è quella di creare una variazione lineare della fase della magnetizzazione, e questo si ottiene applicando un gradiente mentre la magnetizzazione è sul piano trasversale. Il gradiente così applicato modifica la frequenza di precessione degli spin inducendo una perdita di fase, che rimane anche quando il gradiente viene spento. Dopo l’applicazione del gradiente, quindi, gli spin torneranno ad avere la stessa frequenza di precessione ma saranno sfasati tra loro.

(35)

Figura 1.9: Sequenza di un esame MRI. Al tempo t= 0 viene applicato un impulso RF; il GFE viene acceso con un lobo negativo −Gx nell’intervallo di

tempo(t1, t2), e con un lobo positivo Gxnell’intervallo di tempo(t3, t4)

che dura il doppio rispetto al primo. Al tempo t= T E si forma un segnale di eco grazie al rifasamento degli spin. Il segnale è campionato nell’intervallo di tempo(t3, t4).

Figura 1.10: Campionamento di kxdurante l’applicazione del gradiente di codifica

di frequenza. Il riempimento lungo questo asse inizia da kx= 0;

l’ap-plicazione del gradiente di defasamento nell’intervallo(t1, t2) sposta

la posizione verso sinistra e determina il punto di partenza del cam-pionamento, sebbene durante questo intervallo non vengano acquisiti dati. Quando viene acceso il gradiente di rifasamento, la direzione di riempimento del k–spazio viene invertita e i dati sono campionati ad intervalli regolari tra t3 e t4[20].

(36)

Se il gradiente Gy viene tenuto acceso per un tempo τy, la fase accumulata

in questo intervallo di tempo sarà:

φGy(y, t) = −γGyyτy (1.80)

Ad ogni ciclo, il gradiente di codifica di fase viene aumentato di una quantità ∆Gy; il set di valori assunti dal gradiente dopo ogni incremento

viene rappresentato da una griglia con una freccia che indica la direzione dell’incremento, ossia la direzione della codifica di fase (vedi Figura 1.11).

Figura 1.11: Struttura per il gradiente di codifica di fase [20].

k–spazio

La matrice 2D che contiene i valori delle frequenze spaziali è chiamata k–spazio. Uno dei metodi standard per il riempimento del k–spazio bidimensionale consiste in una serie di linee parallele campionate (vedi Figura 1.12).

Figura 1.12: Riempimento del k–spazio in 2D in cui ogni punto rappresenta un campionamento. Le linee che collegano i punti sono lungo la direzione di codifica di frequenza, e i campionamenti vengono effettuati durante l’intervallo di lettura. Inoltre ciascuna linea ha la stessa codifica di fase. Le frecce indicano l’ordine cronologico in cui vengono acquisiti i dati [20].

(37)

Ogni set di punti lungo una linea kx rappresenta i dati codificati in

frequenza, mentre ogni set di punti lungo una linea ky rappresenta i dati

codificati in fase.

Il riempimento del k–spazio inizia nel punto (kx = 0, ky = 0), dove gli

spin sono in fase tra loro (grazie al gradiente di rifasamento applicato durante la fase di selezione della fetta). Per poterci spostare verso il punto in basso a sinistra (kmin

x , kminy ) sono necessari due gradienti negativi lungo ˆx e ˆy.

Successivamente, viene applicato il gradiente di lettura tramite il quale si campiona la prima linea del k–spazio; alla fine della prima linea, applicando un gradiente Gy positivo, ci spostiamo di una riga lungo ky. Per riportarci

verso la parte sinistra del k–spazio è necessario applicare nuovamente un gradiente di lettura (questa volta negativo) della stessa durata del primo. Ripetendo questi passaggi variando ogni volta la polarità di Gx, riusciamo a

riempire tutto il piano fino al punto (kmax

x , kmaxy ).

La distanza verticale tra le linee che compongono il k–spazio è determinata da ∆Gy:

∆ky =

γ

2π∆Gyτy (1.81) mentre lo spazio tra due punti lungo le linee orizzontali dipende dall’intervallo di tempo ∆t che intercorre tra il campionamento di un punto e il successivo:

∆kx=

γ

2πGx∆t (1.82)

Il k–spazio risulta, così, formato da Ny linee orizzontali (ossia il numero di

codifiche di fase effettuate) in cui vengono campionati Nx punti. Questa

ma-trice 2D rappresenta le frequenze spaziali di una determinata slice posizionata in z0. Se, però, vogliamo rappresentare un oggetto tridimensionale, occorre

selezionare una nuova fetta cambiando, ad esempio, la larghezza di banda dell’impulso RF: in questo modo vengono eccitati spin aventi una diversa coordinata lungo ˆz rispetto a quelli eccitati precedentemente. A questo punto un nuovo k–spazio può essere riempito con lo stesso criterio visto sopra. In questo modo, siamo in grado di ottenere immagini 2D multi–slice.

3D imaging

In MRI vengono spesso utilizzate sequenze di acquisizione 3D per ottenere informazioni su tutto il volume da rappresentare. La sequenza 3D più semplice utilizza di base lo schema già visto nel caso bidimensionale e a questo aggiunge un’ulteriore codifica di fase lungo la direzione di selezione della fetta (vedi Figura 1.13) [20].

1.2.4 Parametri MRI

In questo paragrafo vengono discusse le principali caratteristiche delle im-magini MRI. Il segnale MRI è un segnale analogico che necessita di essere

(38)

Figura 1.13: Sequenza di acquisizione 3D dove lungo le due direzioni ortogonali alla direzione di lettura vengono effettuate codifiche di fase [20].

rilevato, campionato e digitalizzato. A tal scopo, il criterio di Nyquist è di fondamentale importanza per minimizzare gli errori che potrebbero portare alla presenza di artefatti all’interno dell’immagine. Infine, il risultato di un esame MRI è una matrice 3D di immagini digitali tomografiche.

Risoluzione spaziale

Il voxel (Volumetric Picture Element) è il più piccolo elemento di volume in un’immagine ed il suo valore rappresenta un singolo campione all’interno di una griglia tridimensionale equispaziata.

Le dimensioni del voxel determinano la risoluzione spaziale: l’altezza del voxel coincide con lo spessore della slice, mentre la parte frontale del voxel è il pixel, la cui lunghezza e larghezza definiscono la dimensione della matrice (vedi Figura 1.14).

Più piccola è la grandezza del voxel e migliore sarà la risoluzione spaziale (ossia il più piccolo dettaglio distinguibile in un’immagine).

La dimensione della parte del corpo in esame è stabilita dall’operatore e l’area della zona da rappresentare è chiamata campo di vista (Field of View, FOV), le cui dimensioni sono definite dal numero di pixel lungo ˆx e lungo ˆy e dalle loro dimensioni:

(39)

Figura 1.14: Singola slice da un’acquisizione MRI.

dove la dimensione dei pixel è determinata dallo spazio tra due punti del k–spazio:    dim pixelx= ∆k2πxNx = 1 γGx∆tNx dim pixely = ∆k2πyNy = 1 γ∆GyτyNy (1.84) cioè dipende dall’intensità del gradiente e dall’intervallo di tempo in cui questo viene applicato. Se il prodotto tra questi due termini aumenta, allora la risoluzione spaziale migliora (allo stesso tempo diminuisce la risoluzione temporale e cresce l’energia depositata nel corpo).

La risoluzione spaziale può, quindi, essere definita in funzione del FOV: RS = # di pixelFOV = FOVx

Nx

FOVy

Ny (1.85)

che rappresenta la risoluzione spaziale nel piano. Se consideriamo anche lo spessore della slice ∆z, la risoluzione spaziale diventa semplicemente:

RS = FOVx Nx FOVy Ny ∆z (1.86) Tempo di acquisizione

Il tempo di acquisizione è il tempo necessario per il campionamento del k–spazio per tutto il volume da rappresentare. Se t = T R è il tempo di ripetizione, ossia il tempo che intercorre tra un impulso RF e il successivo (necessario per riempire una linea del k–spazio), allora il tempo di acquisizione

è dato da:

Tacq= T R × Ny (1.87)

Qualora si voglia migliorare il rapporto segnale–rumore (Signal to Noise Ratio, SNR), è possibile ripetere più volte ogni step di codifica di fase. In questo modo otteniamo più di un’acquisizione per ciascuna immagine, e queste vengono poi mediate per eliminare in parte il rumore e migliorare, così,

(40)

il SNR. Introducendo il numero di volte in cui la sequenza viene ripetuta, NEX (Number of Excitation), il tempo di acquisizione viene ridefinito come: Tacq= T R × Ny×NEX (1.88)

Osserviamo che il tempo di acquisizione è indipendente dal numero di slice; questo perché una stessa riga del k–spazio può essere acquisita in uno stesso intervallo di tempo TR: diminuendo TR diminuisce anche il numero di slice che è possibile ottenere.

Infine, per un’acquisizione 3D, il tempo di acquisizione deve tener conto anche del numero di codifiche di fase lungo ˆz, pertanto:

Tacq= T R × Ny× Nz×NEX (1.89)

Rapporto segnale–rumore

Nell’ambito della diagnostica per immagini, il termine “segnale” si riferisce all’intensità del voxel. In ogni acquisizione MRI c’è una certa quantità di segnale disponibile che è legata al segnale misurato dalla bobina di ricezione e che dipende dalle caratteristiche del tessuto e dal tipo di sequenza utilizzata. Inoltre, tutte le misure sono caratterizzate da rumore che deriva da fluttuazioni casuali della corrente che influenzano i conduttori presenti che, nel nostro caso, sono rappresentati dalle bobine di ricezione e dai tessuti del corpo del paziente che conducono elettricità.

In una immagine ottenuta tramite risonanza magnetica, ogni singolo voxel contiene una parte di segnale e una parte di rumore casuale; per capire quanto la presenza del rumore influenzi la misura, si introduce il concetto di rapporto segnale–rumore, di fondamentale importanza in MRI: immagini con un basso SNR risultano sfocate rendendo impossibile identificare i vari tessuti, rischiando, così, di perdere i dettagli più fini o quelli con basso contrasto.

Il segnale S(r) proveniente dal voxel è la densità protonica ρ(r) nell’ele-mento di volume ∆x∆y∆z in una certa posizione r dell’immagine ricostruita. Nel caso dei protoni, questo segnale può essere espresso come:

S(r) ∝ ρ0ω0 γ2}2 4kBT B0B⊥(r)∆x∆y∆z = ρ0 γ3}2 4kBT B02B⊥(r)Vvoxel (1.90)

per cui il segnale del singolo voxel è direttamente proporzionale al suo volume, a ρ0B⊥ e a B02. Inoltre, è inversamente proporzionale alla temperatura del

campione.

Le fluttuazioni termiche vengono definite rumore bianco perché si com-portano allo stesso modo per tutte le frequenze all’interno della larghezza di banda del sistema di rivelamento. Il rumore bianco viene tipicamente

(41)

descritto da una distribuzione gaussiana la cui deviazione standard, nel caso delle fluttuazioni termiche, è data da [20]:

σT =p4kBT × R × BW (1.91)

dove R è la resistenza efficace (data dalla somma delle resistenze della bobina, delle componenti elettroniche e del corpo del paziente) e BW è la larghezza di banda del sistema di rivelamento:

BWriv =

1

∆t= γGxLx (1.92) con ∆t l’intervallo di campionamento e Lx=FOVx.

Poiché il segnale dell’immagine è legato alla trasformata di Fourier, pos-siamo sfruttare un’importante proprietà per il rumore nel dominio delle immagini: la deviazione standard misurata in un qualsiasi voxel dell’imma-gine è sempre più piccola della deviazione standard del segnale misurato, cioè

σ0 =

σm

pNxNy

(1.93) Il SNR è, quindi, definito dal rapporto tra il segnale del singolo voxel e la deviazione standard del rumore. Ripetendo l’intera acquisizione Nacq volte e

calcolando la media dei segnali ottenuti in ogni acquisizione, aumentiamo il SNR; in particolare se ogni acquisizione è indipendente l’una dall’altra, allora il SNR migliora di una quantità pNacq. Pertanto:

SNR/voxel ∝ pNacq ρ0γ 3 }2 4kBTB 2 0B⊥(r)VvoxelpNxNy √ 4kBT × R × BWriv (1.94) Se ora consideriamo solo i parametri di acquisizione (ossia tutti quei parametri variabili che possono essere scelti per ogni esame MRI), il rapporto segnale–rumore può essere scritto come:

SNR/voxel ∝ pNacq

∆x∆y∆zpNxNy

BWriv

= ∆x∆y∆zpNxNyNacq∆t

(1.95) e dalla definizione del tempo di campionamento Ts= Nx∆t:

SNR/voxel ∝ ∆x∆y∆zpNyNacqTs (1.96)

Da quest’ultima relazione risulta evidente che l’utente può aumentare il SNR scegliendo opportuni valori per il numero di voxel, il numero di acquisizioni o le dimensioni del voxel. In particolare, si osserva come il SNR sia proporzionale al volume del voxel: aumentando il volume aumenta anche il rapporto segnale–rumore perché è maggiore il numero di protoni visualizzati

Riferimenti

Documenti correlati

- (7) Numero aziende con vitigni per altri v1ni - (8) Numero aziende con vitigni per uva da tavola - (9) Numero aziende con bovini - ( 1 O) Numero aziende con suini - ( 11)

Lavori agricoli - tutti i lavori che contribuiscono al conseguimento della produzione agricola, fo'restale e zootecnica, ad eccezione dei lavori domestici (pulizia della casa

Lavori agricoli - tutti i lavori che contribuiscono al conseguimento della produzione agricola, forestale e zootecnica, ad eccezione dei lavori domestici (pulizia della casa

Per indicazione geografica si intende la specificazione della zona di produ- zione in cui ricadono le superfici a vite, la quale può essere costituita da una o p.iù

Lavori agricoli - tutti i lavori che contribuiscono al conseguimento della produzione agricola, forestale e zootecnica, ad eccezione dei lavori domestici (pulizia della

Per indicazione geografica si intende la specificazione della zona di produ- zione in cui ricadono le superfici a vite, la quale può essere costituita da una o più unità

Lavori agricoli - tutti i lavori che contribuiscono al conseguimento della produzione agricola, forestale e zootecnica, ad eccezione dei lavori domestici (pulizia della casa

Superficie agricola utilizzata (SAU) - insieme dei terreni investiti a seminativi, orti familiari, prati permanenti e pascoli, coltivazioni legnose agrarie e castagneti da