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Il colpo di mano, il gioco delle diplomazie La genesi dell’impresa

3.4 “Castelnuovo venirà sotto l’ombra della illustrissima Signoria nostra”: la controversa questione tra i Gavardi e i Tarsia per il possesso di Castelnuovo

3.5.2 Il colpo di mano, il gioco delle diplomazie La genesi dell’impresa

Beltrame Sacchia fu la pedina utilizzata da Venezia per portare a compimento la presa della fortezza di Marano, dopo anni di tentativi andati a vuoto. Che ci fosse la Repubblica dietro questa ben architettata impresa è ora un dato certo e incontrovertibile, suffragato da nume-rose prove e indizi, anche se all’epoca il governo lagunare si dimostrò inizialmente estraneo ai fatti, per mantenere rapporti di ‘buon vicinato’ con l’arciduca Ferdinando. La trama che sta dietro alla presa di Marano è fittamente intrecciata e vede come principali protagonisti la Re-pubblica e i francesi, nelle figure rispettivamente degli aderenti al ‘partito filofrancese’ da una parte e dell’ambasciatore francese a Venezia Guillaume de Pellicier, vescovo di Montpellier, dall’altra.

La genesi dell’impresa è rintracciabile nella nomina del Sacchia a cavaliere nobile, conces-sagli dal re di Francia Francesco I nel marzo del 1541455. Beltrame (1507-1550) era figlio del mercante udinese Lorenzo Sacchia, uno degli uomini d’affari più facoltosi del capoluogo friu-lano, nonché uno dei rappresentanti politici della clientela popolare e filosavorgnana udinese di inizio Cinquecento456. La carriera mercantile di Beltrame fu in continua ascesa, favorita sia dai contatti del padre sia dalle sue capacità imprenditoriali: negli anni riuscì a incrementare il giro d’affari della famiglia prima importando olio e granaglie dall’Istria e dalla Carniola, poi as-sumendo gli appalti dei dazi del vino e del sale nella Patria e, infine, occupandosi del trasporto di ingenti quantità di grano a Venezia dall’Ungheria (1540-41). La sua smisurata ambizione personale, unita al desiderio di conquistarsi un posto più elevato in società, per scrollarsi di

453

ASV, Capi Consiglio dei Dieci, Dispacci degli ambasciatori, b. 12, 9 febbraio 1540.

454 Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, Germania (1506-1554) cit., pp. 386-387.

455

G. Cogo, Beltrame Sachia e la sottomissione di Marano cit., pp. 32-33.

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L. e G. Amaseo, Diarii udinesi cit., p. 26. Lorenzo Sacchia era considerato dai suoi contemporanei uno dei dieci uomini più influenti di Udine (“quando talhora si nominavano otto, overo diece di questa città, il detto messer Lorenzo era nominato fra quelli”). Per ogni ulteriore approfondimento sulle vicende familiari dei Sacchia padre e figlio mi permetto di rimandare a E. Della Mea, Beltrame Sacchia e la riconquista di Marano (1542-1550), tesi di laurea specialistica cit.

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dosso i limiti impostigli dalla sua condizione di popolano udinese, lo spinsero ad assumere at-teggiamenti e stili di vita ben al di sopra delle sue possibilità. La sorella Elisabetta, sposata al nobile udinese Girardo del Gorgo, dirà di lui:

“E’ cosa notoria che il quondam messer Beltrame mio fratello era persona liberalissima et splendidissima, et superba, cossi non fosse egli stato, et secondo la condition sua vestiva egli, et la moglie honoratamente, ma non vi so dir che cavalcature tenisse, ma li piaceva ben ban-chettar, et certo spendeva assai, et li sapeva molto bono il giocare alle carte ma non so che quantita di danari giocasse, et questo so, perché nostro padre si lamentava assai di questo, et per un tempo frequentò purassai il gioco, (…). E’ vero che tal volta si corrociavano insieme il quondam mio padre, et messer Beltrame mio fratello, et la causa di tal corrocio era, perché mio fratello si gonfiava troppo, et a mio padre dispiaceva tal sua alterezza, et gonfiarsi”457.

Il matrimonio con la nobile udinese Camilla Uccellis Savorgnan gli aveva permesso di entra-re a far parte della cerchia delle personalità nobiliari più in vista della città; tra le sue fentra-requen- frequen-tazioni abituali, infatti, c’erano Odorigo Fontanabona, Giovanni di Mels, i conti Della Torre, Giovanbattista di Colloredo, Dario Arcoloniano, i Savorgnan, i Bertola, i Valentinis. Questo, gli permise anche di stringere utili contatti con gli ambienti politici veneziani. Da qui probabil-mente ebbe origine l’idea di mettersi al servizio del governo lagunare organizzando la ricon-quista della fortezza maranese. L’ipotesi regge, dal momento che lo stesso Sacchia dirà nel 1545 al bailo di Costantinopoli che “la cosa di Marano l’ho fatta non per farli despiacer, anzi io me offersi per inanti di far per voi quel che ho fatto per il Re”458. Questo significa che il Sacchia aveva esposto la sua idea a Venezia ben prima di ricorrere alla corte del re di Francia e che, in ogni caso, a Venezia non era del tutto estranea alla faccenda come poi volle far credere. In un documento del 12 gennaio 1542, infatti, alcuni giorni dopo il colpo di mano, il Senato ordinò al luogotenente di rintracciare il Sacchia per suggerirgli di “tenir questo loco nelle mani sue ad instantia nostra, et volendo noi che questa pratica passi secretissima, acciò che se habbi bona causa de mandar uno ad esso Beltrame senza dar suspitione ad alcuno”. L’intento era di fargli sapere che, se avesse tenuto Marano a nome e per conto di Venezia, l’avrebbero nominato conte concedendogli una provvigione di 1.000 ducati annui459.

In realtà però la collaborazione non andò in porto e il Sacchia preferì recarsi in Francia, probabilmente su consiglio dell’ambasciatore francese a Venezia Guillaume de Pellicier, che nella città lagunare era molto conosciuto e poteva contare, come vedremo, su amicizie in-fluenti. Questa teoria è corroborata dalle parole che lo stesso Sacchia rivolge al Pellicier in una missiva del 29 aprile 1542 in cui, lamentandosi della pessima situazione in cui versava la for-tezza maranese e delle “ignominie et dispiaceri” che gli causavano i suoi stessi compagni d’impresa, egli scrive che già nell’agosto del 1541 gli aveva esposto la sua intenzione di con-quistare Marano:

“solum questo voglio dir a vostra Signoria reverendissima che io mi penso di esser pur quello che scrisse questo agosto prossimo passato a vostra Signoria reverendissima in dirli, ch’io 457 Ibid., p. 89. 458 Ibid., p. 97. 459 Ibidem.

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leva prender Marano. Io son pur quello, che tante volte confabulò questa cosa con vostra Si-gnoria reverendissima, io son pur quello, che venni in la camera di vostra SiSi-gnoria reveren-dissima. a dispiegar le insegne con li gigli d’oro all’ultimo di decembre de 1541, io son pur quello che promisi a vostra Signoria reverendissima pocco, et attesi assai, io son pur quello che non conosce nel mondo uno, che habbia maggior fede di me in voler metter la vita per sua maestà”460.

Secondo quanto recitava il diploma di cavaliere che il Sacchia aveva ricevuto nel marzo del 1541 da Francesco I (grazie anche alle raccomandazioni del Pellicier), infatti, era previsto che “in riconoscenza di ciò, serà pronto <il Sacchia> per l’avenire a farci qualche buono e notabile servitio, come noi habbiamo inteso che egli ne ha voluntà di farlo”: che fosse qui già espressa, anche se in forma embrionale, l’idea del colpo di mano su Marano?

Alcuni mesi dopo, Guillaume de Pellicier scriveva al Sacchia per avvertirlo in merito a “qual-che buona resolution di sua maestà christianissima sopra il negotio nostro”: an“qual-che se non det-to esplicitamente, quesdet-to ‘negotio’ riguardava Marano, subidet-to dopo, infatti, l’ambasciadet-tore nominava “i signori Strozzi” che “ne faranno buonissimo ufficio, si perché per se stessi l’hanno a cuore, si perché si deono reputar honor et favor non poco l’haver occasion di poter tener un tanto, et tal proposito con sua maestà christianissima”461. Sarà proprio Pietro Strozzi, l’influente fuoruscito fiorentino, in seguito all’estromissione del Sacchia al governo del fortez-za pochi mesi dopo la sua conquista, a gestire e tenere Marano a nome del re di Francia.

Ma torniamo all’ipotesi iniziale: la collaborazione segreta tra la Repubblica e la Francia nel-la faccenda di Marano. Giuseppe Gullino nelnel-la sua monografia dedicata a Marco Foscari so-stiene che il politico veneziano fosse coinvolto nel tempestivo recupero della fortezza friulana, in virtù della sua amicizia con il Pellicier e della sua appartenenza al gruppo ‘filofrancese’ ve-neziano che, negli anni dell’alleanza antiturca con il papa e Carlo V, propugnava una riconcilia-zione della Serenissima con gli ottomani462. Dal 1539 il diplomatico francese, infatti, si applicò con successo all’attuazione dei piani politici del suo sovrano volti a ostacolare la politica di Carlo V in Italia, a staccare Venezia dalla Lega che aveva concluso con il papa e l’imperatore, a riconciliarla con la Sublime Porta ottomana, alleata della Francia, e a spingerla a unirsi alla Francia stessa. Il Pellicier a tal fine si servì di una rete spionistica, i cui agenti si reclutavano nella nobiltà veneziana e tra gli stessi alti funzionari delle magistrature venete. Questo com-plotto, per cui venne istituito dal Consiglio dei Dieci un processo nel 1542, vedeva coinvolti i patrizi veneziani Ermolao Dolfin, Francesco Giustinian, Bernardo Cappello, Giorgio Querini, Marco Foscari, Francesco Valier, Federigo Grimaldi, Mafeo Lion, un Francesco Beltrame e il procuratore di S. Marco Vincenzo Grimani. Il principale accusato fu Agostino Abbondio, inter-mediario fra il Pellicier e Costantino e Nicolò Cavazza, rispettivamente segretario del Consiglio dei Dieci e segretario del Senato, e imputato di averli corrotti con denaro, inducendoli a rivela-re ai rapprivela-resentanti del rivela-re di Francia le deliberazioni segrivela-rete della Repubblica, soprattutto ri-guardo ai rapporti con l’impero ottomano. Questo affaire si concluse con il richiamo del

460 ASV, PSCC, b. 144, f. 18r, 29 aprile 1542. Questo documento è presentato integralmente in Appendice.

461

Ibid., f. 14v, 8 novembre 1541. Questo documento è presentato integralmente in Appendice.

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G. Gullino, Marco Foscari (1477-1551). L'attività politica e diplomatica tra Venezia, Roma e Firenze, Milano 2000, con relativa bibliografia.

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cier e la condanna alla forca dell’Abbondio, di Nicolò Cavazza e del Valier, che vennero giusti-ziati il 22 settembre 1542463.

Fu proprio per combattere queste trame spionistiche, che favorivano la fuga di notizie sulle più segrete deliberazioni e negoziazioni della Repubblica, e in particolare per impedire all’ambasciatore francese di venire a conoscenza dello sviluppo delle trattative di Venezia con gli ottomani e di usarne a vantaggio della Francia, che furono istituiti gli Inquisitori di Stato nel 1539464. L’avvio del processo a distanza di due, tre anni dall’inizio dello scandalo, però, è sin-tomatico del clima politico internazionale che si era venuto creando nel 1542. In quel periodo, infatti, “gli aderenti al ‘partito filofrancese’ stavano approfittando di una congiuntura politica assai delicata per Carlo V”: il 2 gennaio Marano, fino a quel momento imperiale, veniva con-quistata da Beltrame Sacchia, l’imperatore riparava in Spagna dopo aver subìto ad Algeri una pesante sconfitta che avrebbe poi indotto Francesco I a riprendere le ostilità, il 29 giugno papa Paolo III indiceva il Concilio tridentino. Marano, come abbiamo detto, nel progetto complessi-vo delle fortificazioni sulle quali doveva poggiare la futura difesa militare dello Stato, era stata indicata dal della Rovere come uno dei baluardi della Venezia marittima. Appare più che plau-sibile quindi un coinvolgimento del Foscari nel tempestivo colpo di mano: “nella prima metà del ’42, nei mesi cruciali dell’operazione, era savio del Consiglio; in Friuli poteva contare sull’appoggio del patriarca di Aquileia, che pure su Marano rivendicava antichi diritti; i fioren-tini Strozzi li conosceva bene (…); quanto ai francesi, da sempre erano i suoi interlocutori privi-legiati”465. Oltre a ciò, in una relazione sincrona sulla presa di Marano, si legge che “Beltrame Sachia (…) huomo astutissimo et pratichevole et conosciuto in tutti questi luochi, fattone un coloquio in Venetia, in contrada di San Zuane Novo in casa d’un nobile venetiano”, qui si ac-cinse ad organizzare i dettagli dell’impresa con i suoi fedeli capitani466. Che fosse proprio la ca-sa del Foscari? Non è da escludere.

L’impresa, i suoi protagonisti e le prime reazioni

Sulle gesta compiute dal Sacchia in quel fatidico mattino del 2 gennaio 1542 molto è stato scritto, soprattutto nelle cronache del tempo467. Mi limiterò a dire che fu lui stesso a scegliere i tempi e i modi dell’azione, compiuta di sorpresa, con due barche cariche di grano, in cui egli, novello Ulisse, aveva fatto nascondere una sessantina di uomini armati. Una volta giunto in prossimità della fortezza, al Sacchia, “coperto d’una peliza lunga con la spada sotto et un bro-chiero di ferro”, venne chiesto

463

Cfr. la voce Abbondio Agostino, in DBI, vol. I, Roma 1960, p. 42.

464 In generale sull’argomento, cfr. P. Preto, I servizi segreti di Venezia, Milano 1994 e il più recente studio di S. Lonardi, Informazione, spionaggio e segreto di stato a Venezia nella prima età moderna, in “Bollettino della So-cietà Letteraria”, Verona 2012, pp. 143-156.

465

Cit. da G. Gullino, Marco Foscari cit., p. 138.

466 ASV, PSCC, b. 218. In questa busta si conserva il manoscritto autografo inedito (11 cc. non numerate in 4° di foglio piccolo) dal titolo “Relatione dela presa di Marano 1542” scritta da Durastante Leoncino da Ontognano, presentato in Appendice in E. Della Mea, Beltrame Sacchia e la riconquista di Marano (1542-1550), tesi di laurea specialistica cit., pp. 198-208.

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Oltre alla succitata ‘Relatione’ di Durastante Leoncino da Ontognano, segnalo anche il volume di M. Guazzo,

Historie di tutti i fatti degni di memoria nel mondo successi del 1524 fino a l’anno 1549, Venezia 1569, pp.

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“quello portava in esse barche, disse ‘Io ho un poco di formento. Io veleva andar a Venetia con esso, ma m’dato il vento contrario et per esser poco, voglio sbarcarlo qui per comodita et beneficio della terra’, li fu ordinato a certe barchette che ivi erano che li facesse largo adciò meglio si accostassero alla porta. Smontato il Sacchia in terra visto il comodo, disse con hori-bil voce ‘Fuora formento’. Caziò mano alla spada, gettato la peliza, gittato le stuore in aqua, li soldati saltati fora, pigliar la porta ferendo et amazando quanti trovava per strada, dove li poveri maranesi fugiva a scondersi como conigli, abenchè pochi homini si trovorno che erano a peschare nelle palude di Marrano, et altrove onde in pocho d’hora presero la terra et il Ca-pitano Herman Gruennoffer nel palazo et lo posero in pregione, et serato la porta di terra et di mare cridando ‘Marcho, Marcho, Franza, Franza, Turcho, Turcho’”468.

Ciò che qui interessa, però, è capire quanti e soprattutto chi furono coloro che aiutarono il Sacchia nella pianificazione e nell’attuazione dell’impresa. Da un documento inedito ritrovato nel fondo dei Provveditori sopraintendenti alla Camera dei Confini possiamo ora avere un quadro d’insieme più chiaro. Il documento in questione è un proclama emanato dal capitano di Gradisca Nicolò Della Torre il 12 settembre 1542 in cui venivano citati in giudizio, a causa di “imputationi et inditii existenti contra di loro”, tutti coloro (133 nomi) che erano accusati di “haver commesso rebellion et crimine della cesarea maestà in haver robbato et coadiuvato de robbar Marano al sacratissimo re de Romani signor nostro clementissimo, et haver coadiuvato mantener ditto Marano, et dannizar li loci della sacra regia maestà et portar presenti, vittua-glie et altre robbe alli detti derobbatori, havendo con loro comertio et conversatione contra le lezze divine et humane, et i boni costumi del bon vivere”469.

Questo folto gruppo di persone era composto per la maggior parte: da abitanti di Udine o comunque originari del capoluogo friulano (73), di Pirano (11), di Capodistria (9), di Marano (4), di Codroipo (9), di Grado (2) e di “diversi luoghi del dominio veneto” (25). Tutti quelli che in qualche misura avevano partecipato alla “derobatione” di Marano erano di diversa estra-zione sociale. Tra loro si contavano alcune figure nobiliari, diversi mercanti, notai, ma anche artigiani (“brenar”,”sartor”, “scudelar”, “barbier”, “mulinaro”), osti, pescatori. In questa lunga lista di nomi, però, emergono delle figure significative che molto ci dicono sulla fitta rete di re-lazioni che il Sacchia era riuscito a intessere e che poneva in connessione tra loro i territori del confine orientale oggetto dello studio (Friuli e Istria). Tra tutti spicca il nome di Tristano Savor-gnan, esponente di un ramo collaterale dei Savorgnan del Monte470, giovane promettente che aveva cominciato la sua carriera militare al servizio degli arciducali. Alvise Mocenigo,

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Cit. da Durastante Leoncino da Ontognano, “Relatione dela presa di Marano 1542”, in Appendice a E. Della Mea, Beltrame Sacchia e la riconquista di Marano (1542-1550), tesi di laurea specialistica cit., p. 201.

469 ASV, PSCC, b. 144, ff. 2v-6r, 12 settembre 1542. Questo documento è presentato integralmente in Appendice. Della sentenza arciducale di condanna sono state ritrovate altre due copie, datate 14 ottobre 1542, conservate in ASV, PSCC, bb. 136 e 144.

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I Savorgnan del Monte erano imparentati con Francesco Della Torre e con gli Hofer, i signori pignoratizi di Duino, parenti peraltro di Nicolò Della Torre; su questi argomenti cfr. S. Cavazza, I della Torre a Duino, in Dottor

Serafico. La memoria di Rainer Maria Rilke e l’archivio del castello di Duino, Trieste 1999, pp. 58-66. Per la

vicen-da dell’archivio cfr. P. Dorsi, L’Archivio della Torre e Tasso: note preliminari e iniziative di valorizzazione, in “Ras-segna degli Archivi di Stato”, LVIII, 1998, pp. 33-45 e Idem, L’Archivio del castello di Duino: una fonte per la storia

del territorio, in “Quaderni Giuliani di Storia”, 2 (2002), pp. 285-292. Sulla parentela fra Tristano Savorgnan e i

ni-poti di Antonio Savorgnan, cfr. L. Casella, I Savorgnan. La famiglia e le opportunità di potere, Roma 2003, pp. 134-135, tav. 3.

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sciatore presso l’imperatore, nella sua relazione del 1548 scrisse che “questo signor Tristano è così valoroso giovine et di tanta speranza”.

Fu proprio il Savorgnan, negli anni centrali del Cinquecento, a dare nuovo impulso alla faida tra i discendenti degli Strumieri (Colloredo e Della Torre) e degli Zamberlani (Savorgnan), scontro che si sovrappose all’impennata della tensione sul confine a seguito della conquista veneziana di Marano. L’evento culminante del riacutizzarsi della faida nobiliare fu la plateale uccisione di Giambattista Colloredo e di suo cognato Alvise Della Torre avvenuta nel 1549 in Canal Grande a Venezia. La loro gondola, infatti, venne abbordata dai sicari capitanati da Tri-stano Savorgnan che uccisero, oltre ai due Strumieri, anche Giacomo Zorzi canonico di Cividale e due servitori, ferendo un figlio di Giambattista Colloredo. Tristano venne condannato dalla Repubblica al bando perpetuo con pena capitale, lui e i suoi discendenti vennero privati del titolo di nobiltà e il suo palazzo udinese venne raso al suolo. Questo non impedì un’ulteriore dilatazione degli scontri e degli omicidi di clan471. La guerra in atto tra nobili friulani, però, non era solo la lunga coda del Carnevale del 1511, “è sbagliato pensare il Friuli della metà del Cin-quecento come un piccolo microcosmo autonomo, un campo di battaglia precisamente deli-mitato dove di volta in volta i principali contendenti scelgono con chi appoggiarsi in base alle loro convenienze. Bastano poche mosse per collegare quanto accade in Friuli a interessi molto più vasti”472. I Savorgnan, infatti, considerati da Carlo V “afficionados” alla Francia, potevano di certo inserirsi nel quadro più ampio delle dinamiche politiche italiane per sostenere gli inte-ressi del sovrano francese contro le mire espansionistiche dell’imperatore sul suolo italiano. In Friuli i Savorgnan erano avversati dai Della Torre e dai Colloredo, che erano invece “muy im-periales”473.

Ecco quindi l’importanza della figura di Tristano Savorgnan: egli, oltre ad essere stato ban-dito per l’omocidio in Canal Grande, era anche reo di aver abbandonato il campo imperiale schierandosi con i Francesi. Lui e i suoi satelliti, infatti, nel 1542 avevano partecipato alla presa di Marano. Inoltre, dopo il 1549, era fuggito transitando per lo stato estense, senza essere fermato (nonostante la sua presenza fosse stata notificata), aveva cercato rifugio presso Carlo Gonzaga, marchese di Gazzuolo, suo protettore, e si pensava potesse macchinare qualche al-tra sortita ai danni degli arciducali in Friuli (forse su Gradisca?)474. Gradisca negli anni seguenti diventò, infatti, il collettore di ogni sospetto contro i Savorgnan del Monte. Il segretario dell’ambasciata imperiale a Venezia Domingo de Gaztelu, che temeva per Gradisca, fece pres-sioni su Nicolò Della Torre affinchè nel 1550 scacciasse dalla fortezza tutti i banditi veneti che,

471 Sulle vicende, cfr. E. Muir, Mad Blood Stirring. Vendetta and Factions in Friuli during the Renaissance, The John Hopkins University Press, Baltimora-London 1993; L. Casella, I Savorgnan cit.;F. Bianco, 1511. La “crudel

zo-bia grassa”. Rivolte contadine e faide nobiliari in Friuli tra ‘400 e ‘500, Gorizia 2010.

472

Cit. da A. Conzato, Dai castelli alle corti cit., p. 34.

473 Ibid., p. 36.

474

Il Sacchia, nel 1549, in una lettera indirizzata al nipote, scriverà di aver promesso al nuovo re di Francia, Enrico