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Il ruolo dei ministri arciducali e degli ambasciatori veneti: la difficoltà di raggiungere un fragile equilibrio

3.2 “Li confini di continuo vengono restrati ed intaccati da regi”: un quadro generale delle usurpazioni e controversie

3.3 Il ruolo dei ministri arciducali e degli ambasciatori veneti: la difficoltà di raggiungere un fragile equilibrio

Due anni dopo, Giovanni Priuli individuò due zone del territorio monfalconese nelle quali la Repubblica “è grandemente oppressa da arciducali”: 1) ai confini con il fiume Timavo, lungo il Carso “che per avanti fu della famiglia Scarlicchia et poi transferito in Franco dal Borgo pur da Monfalcone, il quale lo vende alli signori conti Dalla Torre per pagare grosso debito che egli haveva con questo dominio per occasione di datii di sale et hora da detti signori conti posse-duto senza ricognitione alcuna del nostro principe”; 2) al confine con il fiume Isonzo (“confine nottabile tra lei et arciducali”). Gli arciducali “vanno di giorno in giorno occupando nuovi luo-chi con molta insolenza, alla quale se con savio consiglio non fia proveduto, senza dubbio da quella parte non lasceranno a questa serenissima Repubblica palmo di terra sopra i monti”. Queste appropriazioni hanno permesso loro di avere via libera per trasportare “molte merci in su e in giù senza pagare datio alcuno, ma quello che più importa hanno grandissima commodi-tà di servire a molti loro luochi di sale, ch’è per quella via portato da loro in che parte gli piace assai facilmente”355.

3.3 Il ruolo dei ministri arciducali e degli ambasciatori veneti: la difficoltà di

raggiungere un fragile equilibrio

La precarietà e l’incertezza politica lungo il confine veneto-asburgico in Friuli ed Istria e nei rapporti tra il governo lagunare e gli arciducali si palesava anche nella condotta tenuta dai consiglieri e ministri, soprattutto spagnoli, che Ferdinando d’Asburgo aveva portato con sé a Vienna dalla Spagna nel 1522. Questi, definiti dall’ambasciatore veneto Marino Giustinian “parte poverissimi, parte insaziabili”, erano stati investiti da Ferdinando di feudi e castelli nella

354

ASV, PSCC, b. 141, 30 marzo 1597.

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Carniola e vicino ai confini con Venezia e “mai restano di sollecitar quanto possono alla guer-ra, che non può loro tornare di nessun danno, ma di molta utilità”356, inducendo il re dei Ro-mani ad assumere un atteggiamento ostile nei confronti della Repubblica. Dal canto loro, gli ambasciatori veneziani si dimostrarono sempre convinti della necessità di pacifiche relazioni con la casa d’Asburgo, confermando anche nelle missive giornaliere che “si farà sempre ogni cosa per vicinar bene”357; il pensiero di questi patrizi veneti una volta “terminate tutte le diffe-renze delli confini, e restituito il suo ad ognuno” era sempre volto al ripristino della pace (“si viverà quietamente in pace”)358.

La presenza di aristocratici spagnoli alla corte viennese359 non fu un fenomeno effimero; almeno fino alla prima metà del XVI secolo il loro numero aumentò sensibilmente. Dal 1525 al 1543 furono in molti a lasciare la Spagna per soggiornare alla corte del fratello dell’imperatore Carlo V. Tra questi c’erano anche membri delle più importanti famiglie aristocratiche iberiche, i Lasco de Castilla, i Guzman, i Serna, i Salamanca e i Castillejo, che trovarono al servizio di Ferdinando la possibilità di ricoprire rilevanti incarichi, sia a corte che nelle missioni diplomati-che. Gli ambasciatori veneti, però, segnalavano la mancanza, alla corte di Vienna, di uomini di qualità. Lorenzo Contarini nel 1548 scriveva che “in questo, mi pare che la corte del re Ferdi-nando sia poverissima”. Inoltre, secondo lui uno dei motivi per cui FerdiFerdi-nando non era di “buon animo verso questo illustrissimo dominio” era dovuto alla provenienza dei suoi ministri, “i quali sono tedeschi o spagnuoli, e l’una e l’altra di queste nazioni odia la nazione italiana, e fra questa la Serenità vostra maggiormente”360. Tra questi, Martin de Guzman ricopriva la ca-rica di Gran Ciambellano, Pedro Lasco de Castilla era “cavallerizzo maggiore di sua maestà”361, Gabriel de Salamanca faceva parte del Consiglio segreto, Luis de Tovar e Bernardin de Manesis si occuparono a più riprese di incarichi diplomatici. Oltre a ciò, fino al 1550, Ferdinando con-tribuì a rafforzare l’integrazione in Austria dei suoi consiglieri spagnoli donando loro alcune proprietà e castelli tra Bassa Austria e Carniola e concedendo alle loro famiglie di acquisire, conservare e trasmettere agli eredi i diritti consuetudinari su questi beni362. Questo permise al

356

Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, Germania (1506-1554) cit., p. 385.

357 ASV, Archivi propri ambasciatori, Germania, b. 1, 11 maggio 1544.

358

Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, Germania (1506-1554) cit., p. 439.

359

Sull’argomento v. C. F. Laferl, Die Kultur der Spanier in Österreich unter Ferdinand I. 1522-1564, Böhlau, Wien 1997.

360

Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, Germania (1506-1554) cit., pp. 787, 798.

361

Ibid., p. 788.

362 “Martin de Arandia hatte zunächst in der Teinfaltstraße in Wien ein Haus, später in der Schenkenstraße; Mel-chor de Argüello erhielt 1544 von Ferdinand in Laxenburg einen sogenannten Edelmannshof, den allem Anschein nach seine Witwe nach seinem Tod (1556/57) erbte; Alfonso de Gamiz hatte Besitzungen in Götzendorf und Scharndorf (Niederösterreich); Alonso de Holguin besaß ein Haus in Wien, in dem offensichtlich auch Alonso de Clavijo (vielleicht als Mieter?) wohnte; Juan de Hoyos erwarb Schloß und Herrschaft Stixenstein im südlichen Niederösterreich; Pedro Lasco de Castilla war Herr über die Schlösser und Güter Bistriz (?), Sachsenburg (Žam-berk, Slowenien?) und Haßberg/Hašperk (Slowenien), und Bernardin de Meneses über Adelsberg/Postojna (Slo-wenien) Schwarzeneck/Švorcenek (Slo(Slo-wenien) und später uber Laxenburg und Haßberg/Hašperk; Alonso de Mercado bewohnte nach Pedro de Rada den Falkenhof in Himberg und war auch Herr über Uttendorf; Gabriel de Salamanca erbaute sich als Stammsitz das wunderbare Renaissanceschloß Porcia in Kärntnen; Diego de Serava gründete in Wien ein Spital, da ser bis zu seinem Tod leitete; Alfonso de Serna erhielt die Pflegschaft des Schlos-ses Podsreda/Hörberg (Slowenien); Luis de Tovar wurde Herr über Enzesfeld (Niederösterreich) und Juan de Ser-na wurde zum Pfleger von (Kaiser-) Ebersdorf erSer-nannt”, in C. F. Laferl, Die Kultur der Spanier in Österreich cit., p. 91.

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futuro imperatore di creare una solida elìte aristocratico-cortigiana spagnola a Vienna, nonché di consolidare il legame con il ramo principale della famiglia Asburgo, ulteriormente rafforzato poi attraverso il matrimonio del figlio Massimiliano (l’imperatore Massimiliano II, 1564-1576) con la cugina Maria, figlia maggiore di Carlo V. Nel 1554, infatti, la corte di Ferdinando contava circa 550 persone, di cui probabilmente 26 provenivano dalla Spagna (4.7% del totale), mentre la corte del figlio Massimiliano, sempre nello stesso anno, benchè relativamente più ‘modesta’ (325 persone), contava ben 24 spagnoli (7.4%)363.

Uno dei grossi problemi di fondo, però, che rischiò spesso di minare le relazioni tra Venezia e Vienna, venne ben evidenziato dall’ambasciatore Marino Cavalli nella sua relazione del 1543: l’incapacità del re dei Romani di porre un freno alle angherie dei suoi consiglieri, che tengono “la protezion delli altri inferiori ministri, iscusano e difendono in ogni caso sì le azioni loro” e, cosa ancor più grave, “travagliano così a piacer loro il cervello del loro padrone”. Se-condo il Cavalli, la Repubblica avrebbe dovuto trovare un modo più efficace per porre fine a questi contrasti, anche ricorrendo ad azioni di forza (vim vi repellere) pur di provvedere “all’indennità delli sudditi”. La debolezza dimostrata dall’Asburgo nell’arginare la prepotenza degli uomini spagnoli a lui vicini emerge in più casi e in tempi diversi; in questo paragrafo ver-ranno prese in esame alcune delle principali figure di ministri arciducali che compirono di atti di prepotenza e soprusi ai danni dei sudditi veneti in quei territori contesi tra Friuli e Istria.

Una di queste figure è il già citato Bernardin de Manesis, capitano di Postojna, definito dai contemporanei “potentissimo baron di sua Maestà”364 poiché godeva di molta stima presso Ferdinando d’Asburgo, che affermava fosse un “huomo da bene et molto pacifico, allevato in-sieme con lei et nato nel medesimo anno”365. Il Manesis fu un caso emblematico, in quanto le violenze e le soperchierie da lui perpetrate ai danni della famiglia dei Gavardi in Istria furono la causa scatenante la controversa questione del possesso di Castelnuovo sul Carso, che viene discusso in dettaglio nel paragrafo successivo366.

Motivo generale di attrito tra veneti e arciducali continuava ad essere l’irrisolta questione riguardante il rinnovato rifiuto veneziano di corrispondere a Ferdinando i 25.000 ducati annui che gli spettavano in virtù dei capitoli della pace di Bologna. Cosa che indusse l’arciduca ad as-sumere atteggiamenti prevaricatori verso i sudditi veneti che avevano giurisdizioni nei suoi domini, in particolare nelle zone dell’aquileiese. Solo nel 1552, come riferiva l’ambasciatore Michele Surian, “il serenissimo re ha restituito alla comunità di Aquilegia tutte le ragioni, delle quali ella già alquanti anni era stata spogliata dalli ministri della maestà sua et fra l’altre della gastaldia di Aiel, che era il principal membro di quella comunità et già fu donata da sua mae-stà al Castellum secretario suo, che è a Venetia”367.

I sentimenti dell’Asburgo nei confronti di Venezia erano spesso discordanti e poco coerenti: se da un lato “il serenissimo re si mostra affectionato a quella excellentissima Repubblica”, dall’altro si lasciava facilmente influenzare dalle opinioni e dalle iniziative dei suoi funzionari

363

I dati sono tratti da C. F. Laferl, Die Kultur der Spanier in Österreich cit., p. 123.

364 ASV, PSCC, b. 234.

365

ASV, Archivi propri ambasciatori, Germania, b. 1, 11 maggio 1544.

366

Per ulteriori approfondimenti si rimanda al paragrafo successivo.

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(“la inclination sua verso questa Repubblica non sia così buona come si mostra nelle parole”). Sempre il Surian, agente veneziano a Vienna dal 1552 al 1554, ribadiva che “questi ministri di soa maestà et massime quelli che sono più principali hanno fatto spesse volte de cattivi officii per il mal animo loro”, tra questi egli citava don Diego Lasco, agente spagnolo di Ferdinando a Roma, che nel 1553 aveva impedito l’arrivo a Vienna di monsignor Dolphino come nunzio pa-pale, perché a suo dire era “nativo veneziano”. Il Lasco, parente del gentiluomo Pedro Lasco, aveva agito di sua spontanea volontà, senza aver ricevuto alcun ordine da Ferdinando, tanto che questo, “intesa la cosa per lettere del preditto Don Diego, si è risentita di lui perché ha dimostrato diffidentia de Venetiani così apertamente”368. Secondo il Surian, queste divergen-ze avevano avuto inizio “dalle cose di Marano” e si erano via via acuite negli anni, anche a causa dalle “negligentia et infideltà dei ministri et del suo <di Ferdinando> troppo rispetto et paura”.

In questo senso, un altro caso emblematico è rappresentato dalla figura di Juan de Hoyos369. Nato a Burgos, in Spagna, nel 1506, Juan era figlio del barone di San Martin Juan Bautista de Hoyos e di Ines de Salamanca che “non era di così antica nobiltà, ma portava un nome che aveva già incusso paura in tutti gli stati austriaci: essa era sorella di quel Gabriel Sa-lamanca che, stato semplice segretario dell’arciduca, era poi divenuto uno degli uomini più potenti e più rapaci del suo tempo”370. All’età di 14 anni si trasferì da Valladolid in Germania, al seguito della corte di Carlo V, per poi passare (assieme al fratello Antonio) al servizio di Fer-dinando e raggiungerlo nel 1525 in Austria. Da quel momento, la carriera dell’Hoyos fu inarre-stabile. Attorno al 1545 venne investito della carica di barone di Stixenstein (Ternitz – Austria Inferiore) e fatto proprietario del castello e della relativa giurisdizione; grazie all’influenza del-lo zio materno, riuscì ad ottenere molti incarichi di liveldel-lo presso l’arciduca: prima come Ciam-bellano, poi come Maresciallo d’artiglieria, dal 1542 fu inserito nel Consiglio reale di guerra, come responsabile dell’amministrazione militare della monarchia asburgica, e nel 1545 rice-vette la carica di capitano di Trieste, il fratello Antonio, invece, venne nominato vescovo di Gurk.

Juan de Hoyos mantenne la carica di capitano di Trieste, non senza difficoltà (come vedre-mo), dal 1546 al 1557. Gli spagnoli a Trieste non furono mai ben visti, “anzi <di loro> qualcuno dirà più tardi che per danaro sarebbero stati capaci anche di mandare in rovina l’Austria”371 e le motivazioni erano molteplici. In primo luogo, questi usavano i banditi veneziani come fonte

368

ASV, Capi Consiglio dei Dieci, Dispacci degli ambasciatori, Germania, b. 13, f. 48, 12 ottobre 1553.

369

Cfr. H. F. von Ehrenkrook (Hrsg.), Genealogisches Handbuch des Adels, Starke, Band 39, 2006, S. 111; C. von Wurzbach, Hoyos, Johann Baptist I. Freiherr, in Biographisches Lexikon des Kaiserthums Österreich, 9. Teil, Kaiser-lich-königliche Hof- und Staatsdruckerei, Wien 1863, p. 349. Quella degli Hoyos è una delle poche, forse l’unica famiglia di origine spagnola che annovera dei discendenti austriaci nel XX secolo; tra tutti ricordiamo il conte Ale-xander von Hoyos (1876-1937), politico austriaco, nominato nel 1912 Capo di Gabinetto del Ministero degli Affari Esteri dell’Impero Austro-Ungarico. A capo di un gruppo di giovani diplomatici (chiamati “Giovani Ribelli”) favo-revoli ad una politica estera austriaca più aggressiva, nel 1914 l’Hoyos fu al centro delle decisioni prese dal Mini-stero a seguito dell’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo e divenne uno dei più autorevoli di-plomatici a schierarsi a favore della guerra durante la crisi di luglio.

370

Cit. da A. Tamaro, Assolutismo e municipalismo a Trieste. Il governo del capitano Hoyos (1546-1558), in “Ar-cheografo Triestino”, XLVI (1933), pp. 1-386 (p. 6).

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lucrosa di guadagno: nonostante i rettori triestini fossero restii a conceder loro asilo politico e preferissero cacciarli, proprio per evitare noie con la Repubblica, gli spagnoli invece li faceva-no rimanere in città sotto la loro protezione (previo esborso di un onere pecuniario). In se-condo luogo, negli anni centrali del XVI secolo, l’Hoyos si circondò di una vera e propria ‘con-grega’ di connazionali, a cui affidò importanti incarichi in seno al Consiglio, causando non po-chi malumori tra i cittadini triestini:

“Martin de Hoyos, suo parente, il vescovo <Antonio de Castillejo, inquisitore, raccomandato a Ferdinando dallo zio Cristobal Castillejo, segretario presso la corte viennese>, il castellano Pietro Diaz di Navarra, un Olgino de Tolos, Cristoforo Fernandez, segretario, Castilegio de Ca-stilegio <Castillejo>, fratello del vescovo, un Biscaino, suo famulo, ed altri soldati e servitori. I cittadini li avevano fra le corna e li guardavano di traverso. Un muro di bronzo stava fra il ca-rattere dei triestini e quello dei numerosi hidalgos o señores, che tutti più o meno si stimava-no investiti di autorità direttamente dal sovrastimava-no. E la mentalità rimaneva anche più lontana. L’Hoyos, il Castilegio e gli altri vedevano forse nei borghesi che insorgevano contro di loro una specie peggiorata di quei comuneros, che avevano odiati e facilmente anche combattuti in Spagna. Non c’era possibilità di mutua comprensione fra i gentiluomini del Consiglio, nutri-ti esclusivamente di spirito municipalisnutri-tico e stretnutri-ti intorno alle ‘loro’ leggi, e gli Spagnoli, che allora combattevano per il principio d’autorità logorato dall’umanesimo e ritenevano che le leggi non fossero se non una concessione del Re”372.

Ciò che più spaventava i triestini, però, era il disegno del capitano Hoyos e del vescovo Ca-stillejo di abrogare gli Statuti della città. A tal fine, l’Hoyos si adoperò per far pressioni sulla corte di Ferdinando e sui Commissari regi (Francesco Della Torre, capitano di Gorizia, Nicolò Della Torre, capitano di Gradisca, Bernardin de Manesis e il vicedomino del Cragno), mandati a Trieste nel 1548 per “informarse delli statuti et ordeni de essa città” e controllare se negli stessi Statuti ci fossero affermazioni di principio contrarie al diritto sovrano provocanti i conti-nui conflitti di prestigio e di autorità con il capitano. Ferdinando, però, “a cui ripugnavano spesso i modi violenti”, non pensava a una soppressione completa degli Statuti cittadini, quanto piuttosto a una loro riforma generale, volta a rafforzare la sua autorità e quella del suo rappresentante spagnolo, in linea con la sua politica di abolizione dei particolarismi regionali e dei privilegi degli stati provinciali a beneficio del potere centrale. Questo non fece altro che inasprire i rapporti tra l’Hoyos e i cittadini di Trieste.

In ogni caso, questa riforma, dopo quasi un anno di consultazioni, venne portata a compi-mento nel novembre del 1550. Ferdinando inviò al Consiglio triestino in cui affermava che “il nuovo statuto voleva essere un compendio del vecchio solo per eliminare talune contraddi-zioni, per tagliare le superfluità e per dare la necessaria chiarezza ai paragrafi già oscuri (…) il Re riservava a sé e ai suoi successori il diritto di cambiare ancora gli statuti, in totum aut in uno vel in pluribus articulis, e imponeva tanto alle autorità regie quanto alle comunali di atte-nersi rigorosamente alle nuove leggi”373. Ferdinando, però, non rivelava che, in realtà, la revi-sione operata sugli statuti aveva come scopo quello di affermare la sua sovranità assoluta sul Comune e di riflesso elevare l’autorità dell’Hoyos ed estenderne in ogni senso la competenza.

372

Ibid., pp. 56-57.

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Questo nuovo istituto gli permise, infatti, anche l’arbitrio sulle decisioni, ponendolo al di sopra delle autorità cittadine, non vincolato alle leggi, esonerato dal prestar giuramento al Consiglio.

“Questa mutazione (…) rappresentava le nuove idee, un assolutismo non ancora compiuto, non ancora integrale. Non si abolivano del tutto le leggi antiche, ma si trasformavano le loro fondamenta, imponendo ai ‘sudditi’ nuovi obblighi. Si esprimeva così il nuovo concetto di so-vranità opposto sia all’individuo sia all’unità particolare soggetta, mentre lo Stato prendeva sempre più carattere e potenza, contro le tradizioni, contro le vecchie autonomie”

L’Asburgo agiva principalmente sotto l’influenza di Juan de Hoyos che, personalità molto ambiziosa, aveva preteso un enorme potere su Trieste; secondo i Commissari regi, infatti, che dovevano far fronte alle querele dei triestini che chiedevano la revisioni di alcuni punti degli Statuti riformati (soprattutto quelli riguardanti l’arbitrio assoluto concesso al capitano), “il mantenimento del prestigio della maestà regia richiedeva i più estesi poteri in mano al suo rappresentante”374.

Nel 1551 la situazione in città peggiorò drasticamente. L’Hoyos intervenne incautamente in una questione che pregiudicò la discussione del problema sulla libera navigazione in Adriatico che da decenni contrapponeva la Repubblica agli imperiali. Egli, contattato dall’ambasciatore cesareo a Venezia don Diego de Mendoza affinchè provvedesse alla cattura di un certo Gaspa-re Veronese (detto Tolentino) rifugiatosi a Isola (Izola), mandò i suoi uomini in Istria che, vio-lando ogni diritto, lo ferirono e rapirono portandolo a Trieste. Venezia reagì prontamente a questo colpo di mano, giudicato una palese violazione della giurisdizione veneta e dei diritti della Repubblica sul Golfo di Trieste, richiedendo la liberazione del Veronese. Vistosi opporre un netto rifiuto, il governo lagunare ricorse all’imperatore Carlo V che negò di aver ordinato l’arresto in territorio veneto e ingiunse che il prigioniero fosse riportato a Isola. L’insuccesso patito dall’Hoyos causò un deciso inasprimento del malcontento a Trieste nei suoi confronti. In una missiva dello stesso anno, una fonte veneziana riferisce che “l’Hoyos si rimuoverà dalla sua prima impresa (…) già sii pentito di esser entrato in questo ballo”375. Oltre al problema della navigazione in Adriatico risollevato da questo episodio, la vita economica della città era stata fortemente compromessa: 1) Duino operava contrabbandi di grano e vino, Mathias Ho-fer, infatti, violava i privilegi triestini permettendo alle navi contrabbandiere di attraccare presso il porto di S. Giovanni per scaricare vino, 2) sul Carso a Senožeče (Senosecchia) si era formato un mercato regolare dove cranzi e veneti vendevano i cereali a prezzi favorevoli sen-za dover scendere a Trieste. Questo causò, a lungo andare, una carensen-za cronica di grano in cit-tà; oltre a questo, i pochi mercanti che frequentavano il porto “erano angariati e truffati dal ricevitore generale, Gian Maria Baseggio, coperto, forse non disinteressatamente, dagli spa-gnoli”376. A questo proposito, nel 1555 il capitano di Trieste scrisse al vicecapitano di Duino af-finchè si trattasse con “Erasmo Saurer, come contrascriptor regio (…) insieme con uno delli

374

Ibid., p. 80.

375

ASTS, Archivio Della Torre e Tasso, Archivio antico, b. 179.4, 18 settembre 1551.

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gnori iudici et dui altri cittadini de questa città (…) delli formenti che si portano fora del paise de sua maestà”377.

Nuove sciagure arrivarono tra 1556 e 1557 a deteriorare ulteriormente il sistema commer-ciale triestino: venne emanato un divieto d’esportazione di ferro, piombo e altri metalli, si in-tensificarono le angherie veneziane nel Golfo ai danni degli arciducali, come conseguenza del-la mancata rappresaglia austriaca contro le piraterie degli Uscocchi che si facevano via via più frequenti ai danni delle imbarcazioni venete. Juan de Hoyos si dimostrò incapace di porre