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1494-1535: dalla guerra aperta a un tentativo di pacificazione

2.2 Scenari di guerra tra Friuli e Istria dopo Agnadello

“Havendo havuto lettere dal orator nostro residente appresso la sanctità del Pontifice et ce-sarea maiestà de 23 del instante che ne significhano la stipulation et conclusion per clemen-tia et benignità del nostro signor Dio de una bona et sincera pace tra la sanctità del summo pontifice, cesarea et catholica magestà, serenissimo re Ferdinando fratello de sua imperial magestà, Signoria nostra et illustrissimo signor duca de Millano. Ve ne habiamo voluto dar adviso aciò participar possiate de una cusì bona et ioconda nova insieme con quelli magnifici et fidelissimi gentilhomini et cittadini nostri. Per altre nostre vi daremo particular ordine de quelle demonstration publice et in segno de alegrezza doverano esser fatte da voi con quel modo vi parerà a proposito et conveniente”164.

Alla fine di dicembre 1529, a Venezia si programmarono per l’inizio dell’anno nuovo “segni de leticia, solemne processione con far sonar campane et far far luminarie per tre giorni iuxto il solito”, per festeggiare l’avvenimento, con l’indicazione che “cusì si facia far il medesimo per ogni locho nostro principal”165. Per la Repubblica, però, le condizioni di pace stabilite a Bolo-gna nel 1529-30 comportarono la restituzione dei porti pugliesi, delle terre di RomaBolo-gna, l’impegno a rinunciare a ogni ambizione espansionistica ai danni del duca di Milano e del duca di Ferrara e l’esborso di una somma di denaro all’imperatore. E questo ridimensionamento era permanente: non c’era da sperare seriamente in opportunità derivanti dalla contesa fran-co-asburgica che proseguì fuori Italia, fra l’Europa settentrionale e il Mediterraneo.

2.2 Scenari di guerra tra Friuli e Istria dopo Agnadello

2.2.1 Il Friuli

Fra l’aprile e il luglio del 1509, dopo la tragica rotta subìta ad Agnadello, solo il Trevigiano e il Friuli fra i territori della Terraferma restarono sostanzialmente sotto controllo veneziano, propiziando la parziale ripresa militare della Serenissima, che si concretizzò nella riconquista di Padova a metà luglio. In questo frangente, la Patria era solo un fronte secondario, anche se era inevitabile che, allentato il controllo veneziano, i territori friulani sguarniti diventassero bersaglio secondario delle ambizioni di Massimiliano d’Asburgo. Nel momento del massimo sforzo offensivo, infatti, tra il luglio e l’agosto dello stesso anno, forze imperiali, rinviando l’azione contro Padova, cercarono di conquistare le principali piazzeforti del Friuli. Ma il qua-dro delle comunicazioni assieme a elementi di forza delle difese veneziane resero difficile l’impresa agli imperiali: il dominio navale incontrastato dei veneziani sull’Adriatico escludeva l’eventuale supporto via mare agli attacchi, mentre il loro possesso di Marano complicava l’ipotesi di aggressione da sudest. L’esiguità e la precarietà delle vie di comunicazione che col-legavano i domini asburgici al Friuli infatti costrinsero una parte delle forze imperiali ad assali-re la assali-regione da nord, attraverso il Canal del Ferro: a inizio luglio l’Imperatoassali-re, impegnato

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ASV, Luogotenente Patria Friuli, b. 277, ducale del 26 dicembre 1529 al luogotenente Marco Antonio Contari-ni.

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la riconquista di Belluno e Feltre, inviò in Friuli un esercito al comando del duca Enrico di Brunswick.166.

L’esperienza di Gemona, comunità vicina al confine settentrionale della Chiusa, si dimostra una sorgente interessante di informazioni su come vennero affrontati i preparativi per l’imminente conflitto. Nel giugno del 1509 le notizie che giungevano da Tolmezzo non erano confortanti: mentre l’esercito imperiale era in procinto di partire per il Friuli, si approntavano opere per fortificare mura e porte, si preparavano i cannoni per la difesa. In luglio, occorren-do ulteriore denaro per le necessità belliche, si istituì un prestito, a cui aderirono 18 cittadini, e l’imposizione di una nuova colta. Due uomini vennero mandati a Udine per cercare polvere di zolfo per le bombarde e poi a Venezia, per richiedere due falconetti e “alias artelarias lon-gius fulminantes a montibus nostris”. Seguirono due diversi proclami in cui si stabilì che non si dovesse procedere al sequestro dei beni di coloro che si rifugiavano a Gemona a causa degli eventi bellici (23 agosto), e inoltre che in queste occorrenze della guerra nessuno potesse portare fuori dalla cittadina i suoi beni per trasferirli in altro luogo, pena l’esilio per 10 anni (26 agosto). Alla fine di agosto, à8i venzonesi comunicarono che gli imperiali avevano supera-to il passo montano di Raccolana, informando della necessità di mandare soldati a bloccare la discesa dei nemici167.

L’azione degli imperiali si dipanò su due fronti, perché essi sfruttarono comunque la via d’accesso dal goriziano. Mentre il grosso delle forze impiegate, guidato dal conte Cristoforo Frangipane e da Marco Sittich di Hohenemps, entrava nella Patria da sudest, occupando age-volmente Trivignano e la roccaforte di Monfalcone, il contingente più ridotto di truppe guida-te dal duca di Brunswick prendeva la via del Canal del Ferro e l’8 luglio attaccava la forguida-tezza veneziana della Chiusa, strategica per Venezia e passaggio obbligato per chi entrava in Friuli transitando lungo la stretta gola del Fella, in cui si riscuoteva la redditizia muda (dazio doga-nale sulle merci in entrata). Una descrizione del 1553 elogia la fortezza (“Il sito la fa assai forte per quello la è perché è sopra la strada maestra che viene de Allemagna, a Venzone, per la quale transitano tutte le mercantie che vengono et vano in Allemagna et Patria, et dicono chiamarsi la strada Imperiale quale è streta ma lj vano lj cari”168), e infatti qui le truppe impe-riali, nonostante la piazzaforte disponesse di un modesto presidio coadiuvato solo da quaran-ta archibugieri di Venzone, furono costrette a retrocedere dopo quattro giorni di assedio e a raggiungere il resto dell’esercito a Gorizia, per tentare da lì l’occupazione della Patria169.

Nel frattempo, la resistenza iniziale di Monfalcone e quella meglio riuscita della Chiusa avevano permesso alla Repubblica di organizzare le proprie forze e di mandare rinforzi a dife-sa degli obbiettivi più sensibili: Udine e Cividale. Tra fine luglio e inizio agosto gli uomini del duca di Brunswick tentarono invano di espugnare prima Udine, presidiata da fanti e “stradiot-ti” veneziani e dalle milizie rurali radunate da Antonio Savorgnan, e poi Cividale, la cui difesa

166 Cfr. P. Paschini, Storia del Friuli cit., pp. 774-777; P. S. Leicht, La difesa del Friuli nel 1509, in «Memorie Stori-che Forogiuliesi», V, 1909, pp. 97-126 e P. S. Leicht, Aneddoti sul Friuli al tempo della lega di Cambray, in «Me-morie Storiche Forogiuliesi», V, 1909, pp. 183-184.

167 ACG, Deliberazioni Consiliari, b. 136, ff. 43v-65v.

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Relazioni dei rettori veneti in Terraferma Patria del Friuli cit., p. 38.

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L’eroica difesa della Chiusa viene ricordata nella “Canzone in laude dei Venzonesi”, riportata in appendice all’articolo di P. S. Leicht, La difesa del Friuli nel 1509 cit., pp. 115-117.

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fu diretta dal Provveditore Federico Contarini170. Una parte non irrilevante del merito per la difesa della Patria deve essere attribuita alla capacità di Antonio Savorgnan, capitano delle cernide dal 1500 e capace di mobilitare migliaia di seguaci, fra contadini e popolani di Udine, che costituirono una fondamentale integrazione per le esigue forze professionali di cui Vene-zia poteva disporre in quel momento in Friuli.

Gli ultimi fatti d’arme degni di nota nel 1509 furono anche gli unici successi della campa-gna di Massimiliano contro la Patria del Friuli, entrambi riguardanti l’estrema fascia orientale: in agosto caddero in mano austriaca le chiuse di Plezzo, in settembre capitolò la rocca di Tol-mino, entrambi fondamentali avamposti per controllare il flusso di merci nella valle dell’Isonzo fino a Gorizia. Nel 1510, poi, per effetto del rovesciamento di alleanze, la Repub-blica impegnò il proprio esercito in lunghe e complesse operazioni nel Ferrarese e nell’Emilia, lasciando ancora una volta sguarnito il Friuli. Qui mantenne solo i presidi delle fortezze di Gradisca e Marano, affidandosi alle cernide dei Savorgnan per contenere le saltuarie incursio-ni e i saccheggi degli austriaci, come racconta Luigi da Porto che fu egli stesso coinvolto negli scontri:

“(…) mentre che l’imperatore Massimiliano col campo suo l’anno passato era sotto Padova, calarono in questo Friuli genti della Magna; il che intendendo i Viniziani, mandarono in Udine 400 cavalli di stradiotti, e Francesco Boiavacca con 100 cavalli balestrieri e Camillo Malfatto con 300 fanti e Matteo dal borgo con altrettanti e Alvise Dalle Navi con 200, e fecero fare l’adunanza del paese, e le taglie. Fornirono anche Gradisca di buona somma di genti, e in Ci-vidale mandarono alcuni fanti; (…).

Venuta dunque per la via di Gorizia in Friuli assai gente tedesca e croata a’ danni de’ Viniziani sotto il governo di Franchefort, passarono verso Udine e mostrarono di voler battagliarlo; ma stando que’ della terra con i soldati che vi erano, fermi sul difendersi, non vi posero altrimen-ti l’araltrimen-tiglieria, e considerata la grandezza della città e la vigoria del popolo, passarono più su contra i monti, e vi presero molti castelli, e assediarono messer Girolamo Savorgnano alcuni pochi dì nel suo Osoppo.

Di poi tornarono queste genti addietro contro Cividale, sott’al quale si posero ad osteggiare, come terra meno provvista e a loro più comoda, e più facile a prendere, e presa a mantene-re. (…) per le spie sapendosi in Udine ch’erano <i nemici> per darne un’altra <battaglia>, par-ve a messer Giampaolo <Gradenigo, il luogotenente> ed al generale provpar-veditore della Pa-tria, d’uscire verso Cividale con tutte le genti a cavallo che si potessero adunare d’ogni quali-tà.

Onde nel dì, che si doveva dar la battaglia, uscì fuori con i soldati, da’ quali non volle mai con-siglio alcuno, con tre pezzi d’artiglieria; ed avendo già per lo addietro fatto intendere per tut-ta la patria, che ciascuno che avesse cavalcatura, se non fosse nemico di San Marco, dovesse essere in tal giorno, in tal punto, per uscir seco, si vedeva in questa turba, che usciva d’Udine con que’ pochi soldati, i più strani soggetti del mondo. Perciocchè non erano solamente quelli della terra, ma di tutta la Patria; vecchi uomini inermissimi, i quali piuttosto pareva che an-dassero verso un loro reggimento che contra i nemici; anzi pur ad uccellare, o ad altro diletto. I fanti erano con cappelli di paglia, che dal sole li difendessero; e tanti senz’arme, e in giubbe-rello. (…)

Dopo questo, non sono state fatte qui cose degne d’essere scritte; perciocchè s’usano guer-reggiando alcune villanie piuttosto da sdegnose quistioni, che da reali guerre; come sono

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dere le case del paese, tagliare in alcun luogo le vigne; ed anche i nostri sono stati astretti dalla cruda usanza de’ nemici a ciò fare”171.

In questo frangente, però, in Friuli le autorità veneziane dovettero affrontare l’acuirsi della lotta tra le fazioni, in un crescendo continuo di microconflittualità che sfocerà nella strage del giovedì grasso 1511 a Udine172. Si tratta di un avvenimento notissimo, su cui la presente anali-si non anali-si sofferma se non per sottolineare i forti collegamenti fra le vicende interne friulane di quei mesi e il piano militare. Esse infatti determinarono il collasso del sistema difensivo vene-ziano nella Patria, che venne quasi interamente occupata dagli imperiali, a parte Osoppo e Marano. In poco tempo, le truppe dell’Imperatore poterono conquistare Pordenone, Cividale e soprattutto Gradisca: quest’ultima fortezza di enorme importanza strategica, che i veneziani non riusciranno più a recuperare.

A Gemona in quella fase arrivavano continuamente notizie riservate dalle terre imperiali, trasmesse dagli osti tedeschi stabilitisi in città che fungevano da spie e informatori privilegiati per le autorità veneziane in Friuli. Tra agosto e settembre 1511 la comunità venne prima in-formata che a Villach era stato intercettato il conte Cristoforo di Croazia, proveniente dalla corte imperiale, con una lettera di pace perpetua da consegnare al suo cancelliere, poi che il cancelliere del Consiglio aveva udito un certo Riga, mercante tedesco, riferire che il capitano di Lubiana avrebbe fatto fare una ricognizione a una schiera di 70 cavalieri armati diretti verso Trento. Dal castellano della Chiusa venne successivamente richiesto un presidio di stipendiati perché aveva sentito che a Villach si sarebbero radunati uomini e si sarebbero fatti preparati-vi di preparati-viaggio (“coadunatio personarum et preparatio preparati-viatici”) in direzione del passo della Chiu-sa.

Il 19 settembre 1511, nella seduta del Consiglio minore, il capitano Alessandro Gradenigo, preso atto che la maggior parte della Patria era stata assoggettata a Massimiliano d’Asburgo, in particolare “i luoghi circostanti fino a S. Daniele e, a quanto si dice, lungo parecchi percorsi anche fino a Udine”, “mosso dall’amore per la salvezza di questo popolo”, decise che “non si deve aspettare che si scateni la ferocia bellica dei nemici e soprattutto dei mercenari disposti ad ogni malvagità, ma venga presa la decisione di sottomettersi alla suddetta regale maestà, affinchè questa città non subisca il saccheggio, la strage e la distruzione”, considerando che

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Luigi Da Porto, Lettere storiche cit., pp. 182-187, lettera del 20 aprile 1510.

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Della vasta letteratura storica sulla rivolta del giovedì grasso 1511 ci limitiamo a segnalare, F. Bianco, 1511. La

crudel zobia grassa cit., E. Muir, Mad Blood Stirring. Vendetta and Factions in Friuli during the Renaissance, The

John Hopkins University Press, Baltimora-London 1993 e P. S. Leicht, Un movimento agrario nel ‘500 cit., e i rife-rimenti in G. Trebbi, Il Friuli dal 1420 al 1797 cit., pp. 99-107 e A. Conzato, Dai castelli alle corti cit., pp. 16-23. La rivolta si propagò anche alle campagne, investendo i contadi della zona collinare e pedemontana a nord di Udine; anche Gemona si vide coinvolta, con saccheggi e ruberie nelle case della nobiltà, come riporta il proclama del luogotenente: “Essendo neli proximi zorni intervenuti li incendi, rapine et occision a tuti notissime in questa Pa-tria contra mente et intentione dela illustrissima Signoria (…) sia stato propria autoritate et pro presumptione rusticale. (…) per lo presente proclama se fa saper et notifica a ciascheduno così terreno come forestiero che non sia algun tanto temerario ne presumptuoso che sotto pena de la forcha ardischa in la terra di Gemona ne il altro logo di quella iurisditione ne de tutta questa Patria commetter alguna rapina et violentia de sorte veruna si in le persone come in le robe de citadini merchadante compatriotta over forastiero ne incendio in villa over casa al-guna, ma lassino ognun cum le persone et facultà stiano quiete et vivano in pace come è la mente de la illustris-sima Signoria. Et oltra la pena predicta corporale ognun che contrafarà a questo saluberrimo ordine perderà li beni soi li quali li saranno confiscadi. (…) Udine, 3 marzo 1511”, in ACG, Deliberazioni Consiliari, b. 138, f. 28v.

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non aveva i mezzi sufficienti per “sustentarsi e difendersi, perché le mura della Terra sono state assai danneggiate dal terremoto”.

E così accadde, quando il 21 settembre, presenti in seguito a convocazione il massaro, i provveditori e i consiglieri, oltre che tutti i capi di casa e di famiglia della Terra di Gemona, venne letta la patente dei commissari dell’imperatore in cui si chiedeva la dedizione e l’obbedienza, con la conservazione del luogo, delle persone e dei beni, nonché dell’imperiale libertà. In caso contrario si minacciava la distruzione (“eradicationem”) e una ‘rovina straordi-naria’ come esempio per gli altri; per corroborare la scelta della dedizione, venne data pubbli-ca lettura della lettera del popolo udinese, in cui si comunipubbli-cava che “quel popolo si è sotto-messo e arreso al regio governo ed è molto contento di tale dedizione”. In seguito, con alzata di mano, venne approvato l’asservimento della comunità.

Il giorno seguente alcuni componenti del Consiglio, “ritornati dal campo del felice esercito imperiale durante l’assedio di Gradisca”, riferirono che “offrimmo e prestammo obbedienza agli eccellentissimi signori capitano Giorgio Leithinstayner, reverendissimo signor (…) vescovo Labacense e signor Antonio di Valle di Pordenone, commissari nel campo imperiale”. Gli Asburgo chiedevano in cambio il pagamento di una ‘multa’ non inferiore ai 2.000 ducati per il riscatto di tutti i beni e suppellettili dell’intera giurisdizione e delle ville soggette, beni che sa-rebbero altrimenti stati assegnati ai soldati imperiali a titolo di regalìa:

“Abbiamo ascoltato Giovanni di Montegnacco, Giorgio de Franceschinis, Giovanni de Brugnis, Francesco pascottino massaro del Comune e Baldassare Danilutto, come sindaci e procurato-ri del Comune di Gemona, i quali adducevano la ragione della povertà degli abitanti del loro distretto e dei loro sudditi, la sterilità del territorio e la rovina causata di recente dal terremo-to, e in conclusione la mancanza di denaro per pagare la multa, qui sotto descritta, per il ri-scatto della rappresaglia e della distruzione che compirebbero i soldati del vittorioso esercito imperiale. Ascoltate e considerate molte osservazioni, soprattutto perché a noi risulta che ri-sieda costì un certo Andrea oste, esaltato come danaroso, come il più ricco di detta Terra, il quale giustamente può essere obbligato a versare o a prestare <al Comune> la maggior parte della somma della multa, che ci deve essere portata dal vostro massaro. In seguito, in un tempo più opportuno, il Comune <potrà recuperare e restituire la somma> mediante una tassazione generale da imporre tanto nella Terra e nel territorio di Gemona, quanto nelle vil-le di Artegna, Treppo Grande con Zeglianutto, soggette a Gemona. (…) Stabilite queste condi-zioni, abbiamo accolto in dedizione i procuratori e coloro che essi rappresentavano nel nome dell’imperatore e li consideriamo e reputiamo sudditi dell’imperatore, comandando e ingiun-gendo a tutti e ai singoli soldati dell’imperatore e agli altri (…) di non molestarli in alcun mo-do o disturbarli nelle loro persone o beni, ma di trattarli come buoni e fedeli sudditi imperiali, pena l’indignazione del Sacro <potere> dell’imperatore, mentre è in atto l’assedio di Gradi-sca. Il giorno 25 settembre 1511”173.

L’atteggiamento della popolazione a favore degli imperiali, in ogni caso, non era così com-patto come i documenti fanno pensare. Il 5 ottobre, infatti, il Consiglio decise che bisognava emanare un proclama contro “alcuni temerari e bestiali” che vanno dicendo ‘Marco’ e altre parole che compromettono la dignità della Comunità (“aliquos temerarios et bestiales

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rantes Marcum et alia verba derogatoria dignitati Comunitatis”)174: bisognava procedere con-tro di loro come ribelli all’imperiale maestà.

L’atto di dedizione della Comunità gemonese rimase, in ogni caso, un atto aleatorio, in li-nea con la precarietà di questi tempi di guerra. Quando, dopo meno di due mesi, lo slancio degli imperiali perdette vigore, Venezia infatti mosse rapidamente alla riconquista del Friuli, recuperando le posizioni perdute. Il conflitto in regione ebbe una battuta d’arresto il 6 aprile 1512, quando fra gli Asburgo e la Serenissima venne stipulata una tregua di dieci mesi. Vene-zia, però, minacciata di perdere i suoi domini di Terraferma, così strenuamente difesi, a van-taggio dell’Imperatore, che era deciso a riprendere le ostilità dopo la breve tregua, cambiò fronte per l’ennesima volta, alleandosi con la Francia il 23 marzo 1513.

Eloquente, e quanto mai profetico delle implicazioni anche per i Friuli dell’alleanza france-se, il dispaccio del 26 marzo 1512, mandato dal luogotenente di Udine Andrea Trevisan al Consiglio dei Dieci:

“(…) Esendo stato do o tre volte in rasonamento cum lo Illustrissimo Capitano de le fantarie de acordo et pace, el me ha dicte queste parole in substantia: ‘Sappiate Magnifico Locote-nente che io cognosco la natura del pontificar meglio forsi che homo l’habi praticato, che è di tal natura: che per far uno carato de ben a lui, doneria via el nostro stato, ne questo dico per che li voglio mal, per che ho causa de non amarlo, ma per che cussi è la verità, li Spagnoli ve tenirano in zanze, como vedete hano facto, ne di loro me fideria molto, squizari mai in Italia fea bone operation, ma solo trazerano li danari e senza fructo alcun, como sempre hano fac-to in Italia. Io ve dico, parlandovi liberamente che il miglior partifac-to forsi haresti da Franzosi,