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COMMENTO ALLA TRADUZIONE

Prestiamo adesso attenzione al testo dal punto di vista traduttivo, riflettendo sulle difficoltà incontrate nel corso del lavoro. Karta Rodiny non è un’opera linguisticamente complessa: i problemi che sono emersi, infatti, riguardano soprattutto le differenze che intercorrono tra il bagaglio della lingua di partenza e di quella di arrivo.

A questo proposito, bisogna considerare che, per essere fedeli sia all’autore che al lettore, il traduttore deve fare i conti con la presenza di un linguaggio simbolico, spesso culturalmente connotato, la cui resa nella lingua di arrivo potrebbe richiedere alcuni adattamenti84.

Tradurre senza alcun adattamento alcune tipologie espressive tipiche di un linguaggio idiomatico [...] sia esso personale dell’autore o proprio della lingua/cultura – potrebbe produrre enunciati che, pur sostanzialmente corretti dal punto di vista grammaticale, risultano del tutto inadeguati a rendere il carattere dell’espressione originale85

.

Come ci ricorda Umberto Eco, «una traduzione non riguarda solo un passaggio tra due lingue, ma tra due culture, o due enciclopedie86». Nel caso di Karta Rodiny, spesso è stato necessario adattare il testo russo alle esigenze della lingua italiana e non sempre mi è stato possibile trovare una soluzione adeguata. Dove non ho saputo trovare un corrispondente che si adattasse alle esigenze della nostra lingua, ho scelto di aggiungere una nota

84 Cfr. P. FAINI, Tradurre. Dalla teoria alla pratica, Carocci Editore, Roma, 2004, p. 91. 85

Ibidem.

86

a piè di pagina per colmare il gap culturale del lettore senza creare così un effetto di straniamento.

Vediamo adesso nello specifico alcuni esempi. In uno dei capitoli sulla guerra in Cecenia, Byt Vojny, Vajl’ ci descrive l’effetto devastante delle bombe su Nazran’ affermando che «бомбы и гусеницы превращают в кашу любое твердое покрытие87

». Paragona, dunque, le macerie della città distrutta alla kaša, un piatto molto conosciuto nella cucina russa, molto simile al porridge inglese. Nel linguaggio figurato, kaša ha assunto anche il significato di poltiglia, confusione, pasticcio. Si dice, ad esempio, “у меня каша в голове” quando si vuole esprimere il proprio stato di confusione. Tradurre l’espressione lasciandola inalterata non sarebbe stato possibile: inserire improvvisamente un elemento così estraneo alla cultura di arrivo avrebbe soltanto distratto il lettore, allontanandolo dal significato originale dell’enunciato. Per citare ancora Eco:

[...] il lettore sente la stranezza quando la scelta del traduttore appare incomprensibile, come se si trattasse di un errore, e sente invece l’estraneo quando si trova di fronte a un modo poco familiare di presentargli qualcosa che potrebbe riconoscere, ma che ha l’impressione di vedere veramente per la prima volta88.

Per mantenere la metafora alimentare, ho deciso di sostituire kaša con “polpette”: «bombe e caterpillar riducono in polpette anche l’intonaco più resistente». In questo modo il campo semantico della figura è lo stessoe il lettore italiano riesce a percepire con immediata chiarezza l’immagine che Vajl’ voleva trasmettere.

87

P. VAJL’, Karta Rodiny, cit., p. 312.

Tuttavia, come ho già accennato, non sempre mi è stato possibile trovare una soluzione adeguata e in alcune occasioni sono dovuta ricorrere all’ausilio delle note. Nel capitolo in cui l’autore ci parla della sua visita al museo di Stalin in Georgia, ad esempio, dopo aver parlato delle barzellette e degli aneddoti di Stalin, passa a descrivere quelli di Chruščѐv.

Per due punti, in particolare, ho ritenuto necessario aggiungere un’appendice esplicativa. Nel primo, dopo aver descritto un’accesa conversazione tra questi e la regina d’Inghilterra, Vajl’ osserva che a una di quelle arguzie avrebbero riso anche quelli che tenevano il cucchiaio nascosto nel gambale. Tale riferimento può apparire totalmente estraneo anche ad un lettore mediamente colto della nostra cultura, che, per poter decifrare questa affermazione, dovrebbe sapere che una simile usanza era diffusa tra la gente del popolo e tra i soldati. Tutti, dunque, sarebbero stati in grado di comprenderla. Il secondo punto, invece, riguarda una parte di una massima russa che l’autore riporta per bocca di Chruščѐv e che per intero recita: «Акуля, что шьешь не оттуля? – Ничего, маменька, еще пороть буду». Il senso di questo motto è, in sostanza, fare il doppio del lavoro per compiere un’azione che richiederebbe la metà degli sforzi, la cui particolarità risiede anche nel fatto che in russo, la parte iniziale della frase sia in rima. Non riuscendo a trovare un corrispondente italiano che svolgesse entrambe le funzioni (rispettare solo una o l’altra mi sembrava altrettanto insoddisfacente), ho deciso di tradurre rispettando il senso della battuta, ma, a rigor di chiarezza, ho aggiunto in nota le dovute spiegazioni.

In uno dei capitoli sulle isole Solovki, Buchta Blagopolučija, Vajl’ adotta un altro procedimento che potremmo definire straniante per il lettore:

inserisce una citazione colta tratta dall’opera di Gogol’ “Il revisore”. Quando in un testo si fanno riferimenti espliciti ad altre opere letterarie, se il lettore è ingenuo, segue ugualmente lo svolgersi del discorso senza individuare il richiamo e percepisce la narrazione come nuova e inaspettata; se, invece, si tratta di un lettore colto e competente, questi individua il rinvio e lo sente come una citazione maliziosa89. «In questi casi i teorici del post-moderno parlano di ironia ipertestuale, suscitando qualche obiezione presso i cultori di retorica, perché propriamente si ha ironia quando maliziosamente si dice il contrario di quello che il destinatario crede o sa essere il vero90».

Dal punto di vista traduttivo, quindi, si presenta il problema di come trattare tale citazione erudita che, in questo caso, non è trasparente per la cultura del traduttore. Bisogna, dunque, tradurre la frase letteralmente senza inquadrarla nel contesto a cui appartiene o spiegarla in nota per far sì che venga compresa anche da chi è estraneo alla scena letteraria russa? Dal momento che la frase di Gogol’ appare totalmente al di fuori del discorso di Vajl’, che in questo modo compie un notevole salto di registro, ho deciso di specificare in nota la provenienza di un simile enunciato, anche perché il filo logico del racconto viene improvvisamente interrotto.

Per tradurre Karta Rodiny, dunque, il fattore principale di cui bisogna tenere conto è quello delle differenze storico-culturali tra la lingua di partenza e quella di arrivo. Le parole di Vajl’ sono intrise di particolari e di riferimenti al bagaglio culturale russo che spesso l’autore dà per scontati, come se non avesse contemplato la possibilità stessa che la sua opera potesse, un giorno, essere letta in un’altra lingua. Bisogna, invece, tener

89

Cfr. U. ECO, Dire quasi la stessa cosa, cit., p. 213.

90

presente che la traduzione non è soltanto una mera trasposizione di un significato contenuto in un gruppo di segni linguistici in un altro attraverso l’uso sapiente del dizionario e della grammatica: implica anche criteri extralinguistici91.

La lingua quindi è il cuore nel corpo della cultura e dalla interazione di questi due elementi deriva un flusso continuo di energia vitale. Per la stessa ragione per cui il chirurgo, operando sul cuore, non può trascurare il corpo, un traduttore che tratti il testo isolandolo dalla cultura, agisce a suo rischio e pericolo92.

91

S. BASSNETT, La traduzione. Teorie e pratica, Bompiani, Milano, 1993, p. 27.

BIBLIOGRAFIA

Edizione dell’opera:

P. VAJL’, Karta Rodiny, KoLibri, Moskva, 2008.

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www.openspace.ru www.rg.ru http://rian.ru www.svobodanews.ru http://web.peacelink.it/cecenia/dossier.html

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