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Una voce dalla Russia: Anna Politkovskaja

5 LA QUESTIONE CECENA

5.2 Una voce dalla Russia: Anna Politkovskaja

“- Ma no, un russo non vivrà mai rispettando la legge! - E perché? -Perché la legge lo annoia. La legge è morta.”

Dal film “12”, di Nikita Michalkov.

Anna Politkovskaja viene uccisa a Mosca il 7 ottobre del 2006 da quattro colpi di arma da fuoco e il suo corpo senza vita viene ritrovato tra i sacchetti della sua ultima spesa al supermercato.

Anna inizia la sua carriera nel 1982 nella redazione dell’ “Izvestija”, dal 1994 al 1999 lavora come cronista alla “Obščaja Gazeta” e collabora con radio e televisioni libere. Nel 1998 si reca per la prima volta in Cecenia per intervistare Aslan Maschadov che, all’epoca, era stato appena eletto presidente. Dal 1999 fino alla sua morte lavora per la “Novaja Gazeta”, un periodico bisettimanale indipendente che ha pubblicato numerose inchieste di denuncia su casi di corruzione dell’esercito e sulla condizione dei civili ceceni.

Sin dall’inizio del suo incarico con la “Novaja Gazeta” si reca spesso in Cecenia, solo negli ultimi mesi del 1999 una quarantina di volte. Odiata dalle autorità locali e dal governo russo, ostacolata dai militari, si intrufola nelle case della gente, ascolta le loro storie e le racconta, affinché gli orrori di cui è testimone non passino inosservati. Ascolta le madri disperate che hanno perso i propri figli in guerra, le denunce di ingiustizie commesse in territorio russo e ceceno dalle forze dell’ordine, riferisce gli immeritati licenziamenti dei cittadini russi di origini cecene residenti a Mosca e colpevoli solo di avere un sangue diverso.

Si impegna in prima persona per consegnare gli aiuti umanitari e fornire un supporto nelle azioni legali: fondamentale fu la sua mediazione con i terroristi durante il sequestro di più di ottocento ostaggi al Teatro Dubrovka avvenuto nell’ottobre del 2002, dove cercò soprattutto di far liberare gli spettatori più piccoli. «Bambini? Qui non ci sono bambini. – si sentì rispondere da uno dei sequestratori – Nei rastrellamenti prendete i nostri bambini quando hanno dodici anni, e noi qui ci terremo i vostri»60. A Beslan invece, quando i terroristi nel settembre del 2004 fecero irruzione in una scuola elementare e sequestrarono più di 1200 persone, Anna non arrivò mai. La avvelenarono nell’aereo, mentre era in viaggio verso la cittadina dell’Ossezia del Nord, servendole un tè che la fece stare male e che la costrinse a tornare indietro per essere ricoverata in ospedale. Ma lei non si arrese, anzi, il fatto che avessero tentato di metterla a tacere, secondo il figlio, la convinse ancora di più di essere nel giusto e che continuare a lottare fosse una necessità.

Le prime minacce risalgono al 2001, dopo la pubblicazione di un articolo sulla sorte del ceceno Zelimchan Murdalov, arrestato all’inizio dello stesso anno dagli OMON e sparito senza lasciare traccia. Viene picchiata, umiliata e subisce la messinscena di una condanna a morte, ma nonostante questo non smette di dar voce a chi subiva violenze e veniva violentato nei propri diritti. Grazie alla sua testimonianza, tutto il mondo è venuto a conoscenza dei soprusi e delle crudeltà che la Cecenia ha sofferto negli ultimi decenni, fatto che ha scatenato le ire e le antipatie di chi stava al potere.

Non è possibile – urla la mia coscienza – che le autorità si ostinino in

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maniera così imbecille ad opprimere quelli che vivono qui. Perché continuare a perseguitare abitanti che hanno già sopportato fardelli disumani per il solo fatto di essere rimasti in questa orribile città? Perché far sentire loro ogni giorno, anzi ogni minuto, che non sono altro che feccia umana, feccia animale?61.

Il suo è un attacco diretto alle autorità. Ecco perché, il 10 ottobre del 2006, ai funerali di Anna erano in tanti, ma dei rappresentanti del governo non c’era traccia. Putin, in visita a Dresda, stava stringendo la mano al cancelliere Merkel, ma ci tenne a sottolineare il fatto che la Politkovskaja «aveva un’influenza minima sulla vita politica russa”, e che “il suo assassinio reca più danno alla Russia e alla Cecenia che qualunque dei suoi articoli»62.

Anna era un personaggio scomodo, e come tale è stata eliminata. È stata eliminata per le storie a cui dava voce, perché il suo unico obiettivo era raccontare ciò che vedeva, mettere insieme i fatti e analizzarli. Raccontare storie, perché migliaia di voci non rimanessero inascoltate.

Come quella di Zaurbek Junusovič Talchigov nato a Šali, in Cecenia, ma residente a San Pietroburgo, condannato a otto anni e mezzo di reclusione per aver discusso al telefono, nei giorni del Dubrovka, sulle condizioni per la liberazione degli ostaggi stranieri con due dei sequestratori, chiamando da una linea concessagli da Aslachanov, assistente di Putin. Il tribunale lo ha incolpato di aver ispirato i terroristi a persistere nei loro crimini. Talchigov, che si è sempre dichiarato innocente, percosso e umiliato, viene trasferito dal regime carcerario stretto a quello duro per aver violato il diritto di intrattenere conversazioni dopo le ventuno: poco importa

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A. POLITKOVSKAJA, Cecenia, il disonore russo, Fandango, Roma, 2003.

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se stesse soltanto pregando. Dopo aver scritto a Strasburgo, si è rivolto alla redazione della “Novaja Gazeta”, chiedendo un incontro con un corrispondente del giornale. Pochi giorni dopo, alcuni funzionari della direzione del servizio federale lo hanno minacciato affinché ritirasse la sua richiesta, cosa che il detenuto si è rifiutato di fare. E così, a sera, gli sono state somministrate delle pillole che Talchigov ha preso senza sospettare nulla e il mattino seguente, quando si è svegliato, il suo colorito e i suoi occhi erano gialli. Era itterizia, malattia che gli ha fatto guadagnare un lungo periodo di quarantena e nessuna intervista.

Il ceceno Abubakar Bakriev, invece, aveva svolto, fino all’ottobre del 2002, una modesta mansione tecnica presso la Prima Banca Repubblicana. Dopo l’attentato al Dubrovka, però, è stato costretto dal direttore a rassegnare le dimissioni. E non solo: per non fare insospettire nessuno la lettera in cui “volontariamente” si autosospendeva dal servizio doveva essere retrodatata ad una qualsiasi data prima dell’attentato.

Novye Aldy è un villaggio alla periferia di Groznyj che, dall’inizio di dicembre del 1999, è stato sottoposto a continui bombardamenti aerei nonostante sul suo territorio non ci fossero postazioni di guerriglia. Gli attacchi si sono susseguiti fino al febbraio del 2000, quando alcune decine di abitanti hanno deciso di avvicinarsi sventolando bandiera bianca alla fanteria per chiedere il cessate il fuoco, concesso dal comandante. La gente, che si era rifugiata negli scantinati, rientra nelle proprie case, ma qualche giorno dopo hanno inizio i rastrellamenti. I militari arrivati da sud avevano saccheggiato le case senza uccidere nessuno, quelli arrivati da nord, invece, avevano rapinato e ucciso. Prima di aprire il fuoco si facevano consegnare soldi e gioielli dai malcapitati. Gli abitanti del villaggio non hanno seppellito subito i loro morti, sperando nell’intervento della procura che non

è mai arrivato. A marzo, l’assistente del presidente Putin ha dichiarato: «Gli elementi riguardanti la complicità delle forze militari nei fatti di Novye Aldy non si possono comprovare»63.

E noi cosa facciamo? – scrive Anna – Restiamo in silenzio. Convinti che riversare su un intero popolo la responsabilità di crimini commessi da alcuni suoi rappresentanti sia in fondo una cosa del tutto normale. Cosa vogliamo dai ceceni? Che continuino a far parte della Federazione russa? E cosa dovrebbero fare quelli che vivono in mezzo a noi? [...] Cosa consigliate loro? Di nascere di nuovo?64

5.3 Giulietto Chiesa: la Cecenia con gli occhi di un

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