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La commissione De Mita Iott

3 Il progetto Elia

4. La commissione De Mita Iott

Nel 1992 venne istituita una seconda Commissione bicamerale per le riforme istituzionali, frutto di due atti monocamerali di Camera dei Deputati e Senato della Repubblica aventi contenuto analogo, inizialmente presieduta da Ciriaco De Mita (DC) e, successivamente, da Nilde Iotti (PdS), da qui la Commissione è poi stata conosciuta come Bicamerale De Mita-Iotti. Nel luglio del 1992, infatti, i Presidenti della Camera dei Deputati (Napolitano) e del Senato della Repubblica (Spadolini) decisero di avviare reciproche consultazioni che portarono all’istituzione della Commissione bicamerale, attorno alla quale si concentrò un largo consenso fra le forze politiche rappresentate in Parlamento e che fu incaricata di analizzare le ipotesi di riforma costituzionale concernenti la parte seconda della Costituzione, nonché tutti i disegni di legge in materia elettorale sottoposti all’attenzione delle Camere nel corso della XI legislatura, per poi giungere alla redazione e stesura di un elaborato finale di organica riforma delle suddette disposizioni costituzionali. La Commissione si insediò nel settembre del 1992 presieduta dall'Onorevole De Mita, sostituito nel marzo dell’anno successivo dall’Onorevole Iotti: essa era composta da 30 deputati e da 30 senatori nominati, rispettivamente, dal Presidente della Camera e dal Presidente del Senato su designazione dei gruppi parlamentari, in modo tale da rispecchiare complessivamente la proporzione tra i gruppi presenti in Parlamento ; era inoltre articolata in quattro Comitati, uno per la forma dello Stato e per i problemi delle autonomie, uno per la forma di Governo e la struttura del Parlamento, il terzo per i problemi delle garanzie costituzionali e il quarto per la revisione delle leggi elettorali per gli organi costituzionali108.

108 G. LUPONE, Le riforma costituzionali dai comitati Ritz - Bonifacio - 1982 alla bicamerale

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Questa Commissione aveva un grave problema, ossia era priva di poteri referenti, ciò significa che poteva soltanto formulare progetti, in una sorta di funzione istruttoria, propositiva e i documenti così formulati, per essere trasformati in legge, dovevano necessariamente seguire l'iter ordinario iniziando, cioè, dal necessario passaggio attraverso le Commissioni permanenti. Con la legge costituzionale del 6 agosto 1993 n. 1, la Commissione ottenne finalmente i tanto attesi poteri referenti.

Tra le tematiche affrontate dalla Commissione, nei 13 mesi precedenti al conferimento dei poteri referenti, fu centrale la questione del bicameralismo. Quattro furono le proposte attorno alle quali ruotò la discussione, anche se all’interno del discorso relativo alla revisione del bicameralismo entrava a pieno titolo anche una quinta ipotesi, rappresentata dalla proposta monocamerale109.

La prima proposta prevedeva di attribuire ad una delle due Camere la competenza in materia di questioni che si potrebbero definire sinteticamente "regionali"; alla stessa Camera sarebbe stata attribuita anche la competenza in materia di impegni derivanti dall’adesione alla Comunità europea.

La seconda proposta, invece, corrispondeva in qualche modo al cosiddetto bicameralismo processuale. Si trattava insomma dell’ipotesi che riproduceva il lavoro della maggioranza del Senato nella precedente Legislatura: essa potrebbe quindi essere definita in sintesi come "l’ipotesi Elia".

Vi è poi la terza ipotesi, la quale intendeva attribuire ad una Camera la prevalente competenza nell’esercizio della funzione legislativa, e all’altra la competenza in materia di controllo sul Governo e sulla Pubblica Amministrazione.

109 Cfr. l'intervento dell'onorevole Boato , in Atti della commissione parlamentare per le riforme

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La quarta ipotesi, infine, riproduceva sostanzialmente la proposta della Lega Nord di una "Camera dei diritti", eletta con metodo proporzionale e con la funzione di legiferare in materia di diritti soggettivi, e di una "Assemblea Nazionale", eletta su base regionale con la funzione di controllare il Governo, di concedergli la fiducia e di elaborare la legislazione di principio concorrente con quella regionale.

Per quanto concerne quella che potrebbe essere considerata come la quinta ipotesi, ossia quella relativa al monocameralismo (sostenuta ancora una volta dalla Sinistra, e in particolare dal partito di Rifondazione comunista e dall’onorevole Rodotà), venne proposto un Parlamento formato da un’unica Camera composta da 400 deputati110. Per la soppressione di una Camera si orientò anche il Movimento Sociale MS-destra nazionale, che richiedeva la trasformazione del Parlamento bicamerale in Assemblea nazionale, composta in parte dai rappresentanti dei partiti politici ed in parte dai rappresentanti delle competenze, eletti a suffragio universale diretto, per realizzare la partecipazione delle categorie del lavoro e della produzione111.

Fin da subito la Commissione fu propensa per la conservazione di una struttura parlamentare bicamerale, con entrambe le Camere elette direttamente dal popolo, ed aventi pari dignità politica ed istituzionale. Diversamente, però, dall'ipotesi avanzata dal Senato nella legislatura precedente, che operò su di un piano esclusivamente procedurale, l'orientamento fu per assumere anche una forma di bicameralismo differenziato. Ampio consenso riscontrò,da parte dei commissari, anche la proposta di ridurre il numero dei componenti dell’uno e dell’altro ramo del Parlamento. Il dibattito e i vari emendamenti confluirono poi in una serie di principi direttivi che la Commissione, al termine della discussione dei rapporti presentati

110 Cfr. l’intervento dell’onorevole Ersilia Salvato, in Atti della Commissione parlamentare per le

riforme istituzionali, seduta di lunedì 30 novembre 1992.

111 F. RESCIGNO, Disfunzioni e prospettive di riforma del bicameralismo italiano: la camera delle

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dai comitati, dettò per il proseguimento dei lavori. Tali indirizzi si manifestarono nella conferma della categoria delle leggi necessariamente bicamerali in materie di preminente rilievo costituzionale, nell’attribuzione a una delle Camere della legislazione di principio nelle materie di competenza delle Regioni e delle funzioni legislative di adeguamento dell’ordinamento nazionale agli impegni derivanti dall’adesione alle Comunità europee, nel mantenimento (a determinate condizioni) della possibilità per ciascuna Camera di richiedere di intervenire sui progetti di legge approvati dall’altra e, infine, nella sostanziale riduzione del numero dei parlamentari.

L'11 gennaio 1994 la Commissione parlamentare per le riforme istituzionali presentò infine il suo progetto costituzionale di revisione della parte seconda della Costituzione, il quale fu accompagnato dalle relazioni conclusive del Presidente della Commissione, l’onorevole Nilde Iotti, con la relazione sulla forma di Stato del deputato Silvano Labriola e con la relazione sulla forma di governo del deputato Franco Bassanini. Il testo prevedeva: un'ampia riforma del rapporto Stato- Regioni; nuove regole in materia di formazione del governo con la creazione della nuova figura del primo ministro, eletto a maggioranza assoluta del Parlamento, e l'accentuazione del ruolo di guida dell'esecutivo; la cosiddetta sfiducia costruttiva; nuove regole in materia di bilanci, decretazione d'urgenza, delegificazione e potere regolamentare del governo, organizzazione della pubblica amministrazione; la durata quadriennale della legislatura e l'ampliamento del potere d'inchiesta delle Camere.

Il progetto si presentava sicuramente in maniera organica ma non compiuto, in quanto lasciava fuori alcuni nodi essenziali, e ,in particolare, tutte le ipotesi di composizione mista del Senato, per metà eletto a suffragio universale e diretto, per metà costituito dai presidenti delle giunte regionali e in caso di grandi regioni anche dai consiglieri di maggioranza e di minoranza eletti dal consiglio regionale. Era

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dunque un progetto valido ma necessitava di essere completato attraverso una coerente revisione della struttura, dell'organizzazione e dei principi regolatori dell'attività del Parlamento. Su tale revisione ha inciso negativamente, più che l'anticipata conclusione dei lavori della commissione, l'impossibilità di trovare un compromesso tra le diverse proposte espresse nel corso dei lavori della stessa. La grande maggioranza della Commissione infatti, pur concordando sulla riduzione a 4 anni della legislatura (l'unica innovazione approvata in materia), su una consistente riduzione del numero dei parlamentari e sull'inadeguatezza del modello bicamerale paritario adottato dal vigente testo costituzionale, dopo aver respinto la soluzione monocamerale, non ha raggiunto alcuna intesa sulla riforma del bicameralismo nel senso della differenziazione della struttura, dei ruoli e dei compiti delle due Camere. Era invece proprio in questo ambito di riforma che avrebbe dovuto inserirsi la trasformazione di un ramo del Parlamento in Camera delle Regioni e delle autonomie, da affiancarsi alla Camera eletta a suffragio universale diretto.

In conclusione tale progetto, che, come si è appena detto, conteneva sì delle novità ma risultava comunque incompleto, non riuscì ad essere esaminato dalle due Camere a causa della fine anticipata della legislatura112.

112 L’anticipata conclusione della XI Legislatura fu dovuta non solo alla grave crisi che stava

colpendo i partiti politici a seguito dello scandalo di Mani pulite, ma anche al referendum abrogativo del 1993 avente ad oggetto la legge elettorale del Senato, e alla conseguente approvazione di una nuova legge elettorale nello stesso anno (cosiddetta "legge Mattarellum") che riprendeva il risultato referendario trasformando il sistema elettorale da proporzionale a maggioritario.

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