La capacità del legislatore europeo di intervenire per armonizzare le
legislazioni penali degli Stati membri, al di là degli spazi di cooperazione
intergovernativa originariamente consentiti dal terzo pilastro
381, ha trovato una
380 PALIERO C.E.-VIGANÒ F. (a cura di), Europa e diritto penale, Giuffrè, 2013, p. 53: «Un sistema penale che voglia mantenere relativo il valore della pena deve essere concepito come un circuito in cui le incriminazioni entrano ma possono anche uscire (il legislatore deve avere la possibilità in ogni momento di rimettere in discussione le sue decisioni). Invece, la posizione di obblighi comunitari di tutela penale non è in grado di garantire questo flusso di entrate ed uscite. La penalizzazione indiretta a prima vista non pone dei problemi di compatibilità con la riserva di legge poiché l’introduzione di norme penali è filtrata dall’atto legislativo nazionale. Tuttavia resta aperto un problema centrale: quello di un eventuale inadempimento sopravvenuto. Cosa accade infatti se il Parlamento nazionale, una volta che avesse soddisfatto la domanda di penalizzazione richiesta dalla Comunità, desiderasse ritornare sui suoi passi perché ritenesse che gli interessi in gioco possano essere protetti in maniera adeguata con uno strumento extrapenale? Questa depenalizzazione violerebbe irrimediabilmente l’obbligo comunitario di tutela penale. D’altra parte, negare al Parlamento nazionale la possibilità di depenalizzare viola una componente essenziale del principio costituzionale di riserva di legge che, ponendosi a garanzia del valore relativo della pena, deve garantire la possibilità di rimettere in discussione le opzioni di penalizzazione. Insomma, l’opzione di depenalizzazione sarebbe al tempo stesso costituzionalmente garantita e frontalmente in contrasto con il diritto dell’Unione. La Corte Costituzionale innesca il meccanismo dei controlimiti. Al di là del pericolo di innescare il meccanismo dei controlimiti, il punto fondamentale tuttavia risiede nelle ricadute politico- criminali di questa debolezza giuridica. […] La consapevolezza dei possibili corto circuiti che tale depenalizzazione potrebbe innescare rappresenterebbe un ulteriore disincentivo alle istanze di depenalizzazione».
381 A fronte della incessante (logicamente prevedibile e invitabile) emersione di nuovi fondamentali interessi della costruzione europea necessitanti la più ampia tutela, la tensione del progetto europeo verso la risposta penale si pone in effetti come naturale; risposta che, in quanto assicurata, per la summenzionata assenza di una diretta competenza penale dell’ente sovrannazionale, dagli Stati membri, pone la diversa (ma anch’essa inevitabile) questione di una profonda armonizzazione delle risposte penali a livello nazionale, perseguita per l’appunto
152
copertura giuridica all’interno del Trattato di Lisbona
382che all’art. 83 TFUE
attribuisce una specifica competenza penale all’Unione europea. Il Trattato del
2007 parla esplicitamente di diritto penale e sono ipotizzabili veri e propri
obblighi di tutela penale a carico dei singoli Stati membri, confermando
l’impostazione emersa dalla sentenza del 2005 sui reati ambientali.
Tale riconoscimento in favore delle istituzioni europee trova la sua ragion
d’essere nella acquisita consapevolezza che la libera circolazione
intracomunitaria possa favorire l’allargamento degli ambiti di operatività della
delinquenza organizzata e, corrispondentemente, possa compromettere la
protezione dei cittadini dell’Unione, di cui peraltro si vogliono tutelare i diritti
fondamentali. In breve, la finalità perseguita è quella di valorizzare la
realizzazione nell’ambito dell’Unione di un vero “spazio di libertà, sicurezza e
giustizia” senza frontiere interne, nel quale sia realmente assicurata oltre che la
libera circolazione delle persone, un elevato livello di sicurezza, attraverso
misure di prevenzione e di lotta contro i fenomeni di criminalità sopra detti,
attraverso la cooperazione e la coordinazione delle forze di polizia ma,
soprattutto, attraverso il ravvicinamento delle legislazioni penali negli ambiti di
interesse così come definiti dall’art. 82 e dal successivo art. 83 TFUE
383.
attraverso l’adozione di strumenti miranti al ravvicinamento degli ordinamenti nazionali, innanzitutto nel contesto normativo ed istituzionale del terzo pilastro in cui un’apposita tipologia di atti – le decisioni-quadro – è stata introdotta per perseguire tale obiettivo. È pertanto in tale luogo normativo – il terzo pilastro – che l’Unione è stata di fatto chiamata ad esprimere una propria politica criminale, con esiti in verità spesso deludenti in termini di razionalità e coerenza complessiva delle iniziative intraprese che rendono difficile leggere nelle stesse l’attuazione di una vera e propria strategia (e quindi di una “politica” in senso stretto). Sugli effetti delle decisioni quadro sul diritto penale processuale e sostanziale, v. per tutti EPIDENDIO T.E., Diritto
comunitario e diritto penale interno. Guida alla prassi giurisprudenziale, Giuffrè, Milano, 2007, p. 363
ss.
382 Quanto alle competenze rispetto agli Stati, il Trattato di Lisbona persegue l’obiettivo di ampliare le competenze dell’Unione europea. Una volta confermati i principi dell’attribuzione specifica limitata delle competenze (art. 5 par. 1 per. 2 e par. 2 per. 1 TUEL Lisbona), nonché i principi di sussidiarietà e di proporzionalità, il Trattato conferisce ulteriori competenze all’UE, estendendone alcune già esistenti e rendendo sovranazionali alcune materie in precedenza oggetto di competenze intergovernative.
383 Attraverso le previsioni contenute all’art. 83 TFUE viene consacrata la legittimità della configurazione di obblighi di armonizzazione penale di matrice europea, delineando così una esplicita competenza penale dell’Unione. In questo senso, BERNARDI A., Europeizzazione del
diritto penale e progetto di Costituzione europea, in Dir. proc. pen., 2004, p. 5 ss.; PICOTTI L., Diritto
penale comunitario e Costituzione europea, in CANESTRARI S.-FOFFANI L. (a cura di), Il diritto penale
nella prospettiva europea. Quali politiche criminali per quale Europa?, Giuffrè, Milano, 2005, p. 346;
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Con particolare riferimento a tale ultima disposizione, in capo all’Unione
sono previste, rispettivamente al primo e al secondo paragrafo, una competenza
penale indiretta
384autonoma ed una competenza penale indiretta accessoria. Nel
dettaglio, al primo paragrafo è stabilito che gli organi europei sono legittimati,
con direttive, a «stabilire norme minime
385relative alla definizione dei reati e
delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente grave che presentano una
dimensione transnazionale» e che sono esplicitamente elencate nel testo
normativo
386. In altri termini, viene attribuita una competenza ratione materiae,
anche se – è bene precisare – la competenza penale non è limitata alle fattispecie
contenute nella suddetta elencazione, poiché la gravità degli illeciti sul piano
transnazionale consente al Consiglio, deliberando all’unanimità, e previa
approvazione del Parlamento europeo, di adottare una decisione che individui
altre sfere di criminalità
387.
penali nazionali tra diritto comunitario e diritto dell’Unione europea, in GRASSO G.-SICURELLA R.,
Lezioni di diritto penale europeo, Giuffrè, Milano, 2007, p. 384 s.
384 Resta fermo che la competenza in materia penale è soltanto di tipo indiretto, poiché, alla stregua dell’art. 83 par. 1, anche laddove si tratti di intervenire in “sfere di criminalità particolarmente grave che presentano una dimensione transnazionale”, il Parlamento europeo e il Consiglio deliberano secondo la procedura legislativa ordinaria mediante direttive, che necessitano, dunque, di una legiferazione successiva da parte degli Stati. Certo è che la discrezionalità del legislatore viene ad essere delimitata e circoscritta con riguardo sia ai beni giuridici da tutelare, sia alle tecniche di tale tutela, sia alle scelte sanzionatorie. Ad ogni modo, è utile sottolineare che la competenza penale indiretta prevede, alla luce del Trattato di Lisbona, un triplice livello di partecipazione dell’istituzione parlamentare. Nella fase c.d. ascendente del processo legislativo vi è una partecipazione dei Parlamenti nazionali, in particolare con riguardo al rispetto del principio di sussidiarietà. Inoltre, nella procedura legislativa ordinaria prevista dal Trattato di Lisbona il Parlamento europeo non possiede solo un potere di veto, ma rappresenta un colegislatore in posizione pariordinata rispetto al Consiglio. Infine, vi è la fase successiva, costituita dall’intervento dei Parlamenti nazionali, in mancanza del quale le norme incriminatrici non vengono ad esistenza. Su tale questione, v. per tutti BERNARDI A., All’indomani di Lisbona:
note sul principio europeo di legalità penale, in Quad. Cost., 1/2009, p. 34 ss. Pertanto, secondo DE
VERO G., Limiti di vincolatività in ambito penale degli obblighi comunitari di tutela. Relazione al
convegno “Per un rilancio del progetto europeo: esigenze di tutela degli interessi comunitari e nuove strategie di integrazione penale in attesa della Costituzione per l’Europa”, Catania, 24-26 maggio 2007,
pubblicato in internet alla pagina www.lexunict.it/10yearsconference/contents, sotto questo profilo è possibile concludere che, con riguardo alla competenza penale indiretta qui considerata, il problema del deficit democratico deve ritenersi superato.
385 Quanto al significato della espressione «norme minime» cui ha riguardo la disposizione in esame, si ritiene possa farsi riferimento alla individuazione dei tratti fondamentali del comportamento di rilevanza penale e alla tipologia di sanzione.
386 Tali sfere di criminalità sono: terrorismo, tratta degli esseri umani e sfruttamento sessuale delle donne e dei minori, traffico illecito di stupefacenti, traffico illecito di armi, riciclaggio di denaro, corruzione, contraffazione di mezzi di pagamento, criminalità informatica e criminalità organizzata.
387 Afferma GRASSO G., Dopo il Trattato di Lisbona: quale «sistema penale» europeo?, in GRASSO G.-PICOTTI L.-SICURELLA R., L’evoluzione del diritto penale nei settori d’interesse europeo alla luce del
154
Non v’è dubbio che il riferimento a specifici settori di intervento
particolarmente gravi induca a ritenere che si tratti di ambiti nei quali vi sia già
stata una reazione penale a livello nazionale e che, pertanto, la novità introdotta
all’art. 83 TFUE non sia stata così dirompente. Il principio di riserva di legge
statale, pertanto, non è minimamente scalfito dalla previsione in esame: più che
una valutazione originaria di necessità di pena, si tratta di una necessità di
armonizzazione per la lotta comune mediante la punizione di determinati fatti
già “muniti” di rilevanza penale. Ciò nonostante, non può comunque sottacersi
che un passo in avanti verso la europeizzazione del diritto è stato compiuto,
considerato che la parte generale del diritto penale cambia, anche sensibilmente,
da Stato a Stato, determinando inevitabilmente delle difficoltà di carattere
applicativo. Basti pensare, a mero titolo esemplificativo, alla direttiva in materia
di ambiente del 2008 ove si utilizzano espressioni come «intenzionalmente» e
«grave diligenza», il cui significato può variare notevolmente a seconda
dell’ordinamento nazionale in cui si calano.
Quella attribuita all’Unione europea dal primo paragrafo dell’art. 83 TFUE è
una competenza penale “autonoma” poiché da un lato non necessita della previa
esistenza di norme europee a carattere extrapenale bisognose di tutela, potendo
in ogni momento autolegittimarsi in funzione di lotta alle più insidiose
manifestazioni espressive della criminalità in questione. Dall’altro lato –
«nonostante la formulazione un po’ infelice del comma 1 dell’art. 82, che sembra
collegare […] il ravvicinamento delle disposizioni incriminatrici in materia
penale alla cooperazione giudiziaria ed al mutuo riconoscimento delle decisioni
penali»
388– la suddetta competenza penale UE ha assunto una spiccata
autonomia funzionalistica, in quanto non è più prioritariamente finalizzata alle
Trattato di Lisbona, Giuffrè, Milano, 2011, p. 697: «è da lamentare in effetti che una tale decisione
[…] venga adottata secondo una procedura che svilisce il ruolo del Parlamento europeo, confinato alla approvazione di un testo predisposto dal Consiglio. In questo senso, cfr. anche SOTIS C., Le novità in tema di diritto penale europeo, in BILANCIA P.-D’AMICO M., La nuova Europa
dopo il Trattato di Lisbona, Giuffrè, Milano, 2009, p. 159; GRASSO G., La Costituzione per l’Europa e
la formazione di un diritto penale dell’Unione europea, in GRASSO G.- SICURELLA R. (a cura di), Studi
in onore di Giorgio Marinucci, Giuffrè, Milano, 2003, p. 696.
388 G. GRASSO, Il Trattato di Lisbona e le nuove competenze penali dell’Unione, in Studi in onore di
155
esigenze di coordinamento tra le autorità deputate a contrastare i reati
389(esigenze che, viceversa, ai sensi degli artt. 29 e 31 TUE, sino al 2009 erano alla
base della competenza penale del terzo pilastro)
390. Il vero dato innovativo,
dunque, riguarda il rapporto tra competenze di diritto penale sostanziale e le
esigenze di cooperazione giudiziaria: la competenza al ravvicinamento delle
legislazioni penali nazionali viene affrancata, e non più subordinata, alle
esigenze di cooperazione, come risulta anche dal confronto tra l’art. 67 par. 3
TFUE e l’attuale art. 29 TUE. In questo modo l’Unione potrà emettere bisogni
di pena direttamente connessi al raggiungimento di uno spazio di libertà,
sicurezza e giustizia, senza che sia necessaria la subordinazione alle esigenze di
cooperazione processuale.
La competenza penale in esame è stata pensata per rispondere a ulteriori
istanze disancorate da quelle di cooperazione giudiziaria, ben evidenziate dal
Programma di Stoccolma (2010-2014), volto a delineare «orientamenti strategici
della programmazione legislativa ed operativa nello spazio di libertà, sicurezza e
giustizia»
391. Partendo dalla constatazione che «la criminalità organizzata sta
assumendo sempre più una dimensione globale»
392e allarmante, detto
Programma insiste sulla adozione di «una articolata strategia di lotta» nei
confronti di tale forma di criminalità, ponendola al centro delle priorità
dell’Unione e «individuando le tipologie di reato contro le quali mobilitare gli
strumenti di cui dispone». Ad ogni modo, come sopra chiarito, il tipo di giudizio
di necessità di pena che l’Unione può svolgere, pur liberato dalle esigenze
processuali, sembra restare in qualche modo vincolato all’area della penalità
stabilita a livello statale, visto che il riferimento alla «particolare gravità» sembra
389 V. per tutti R. SICURELLA, Questioni di metodo nella costruzione di una teoria delle competenze
dell’Unione europea in materia penale, in Studi in onore di Mario Romano, Napoli, 2011, p. 2625, nota
85. 390 L. S
ALAZAR, La costruzione di uno spazio penale comune europeo, in Lezioni di diritto penale
europeo, a cura di G. GRASSO-R. SICURELLA, Milano, 2007, p. 395 ss.
391 Programma di Stoccolma – Un’Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini (2010/c 115/01), in Gazz. Uff. Eur., 4 maggio 2010, C 115/4.
392 Programma di Stoccolma – Un’Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini (2010/c 115/01), in Gazz. Uff. Eur., 4 maggio 2010, C 115/21.
156
presupporre un intervento su settori che devono avere già registrato a livello
nazionale una reazione di tipo penale
393.
Il Trattato di Lisbona prevede altresì in capo all’Unione una ulteriore forma
di competenza penale indiretta. Il secondo paragrafo dell’art. 83 TFUE stabilisce
un più inciso potere di emanazione, sempre mediante direttive, di norme minime
relative alla definizione di reati e sanzioni in un settore (questa volta senza
specifica elencazione) al fine di effettuare un ravvicinamento delle disposizioni
normative degli Stati membri in materia penale per garantire l’attuazione efficace
di una politica dell’Unione in quel settore già oggetto di misure di
armonizzazione. In questo caso, pur non spettando all’organo comunitario un
potere di intervento diretto in ambito penale, esso può stabilire un novero
minimo di comportamenti che il legislatore interno dovrà sanzionare
penalmente, nonché tipi ed entità di sanzioni relativi a quei comportamenti che
dovranno essere previsti nell’ordinamento interno.
Si tratta di una competenza penale accessoria, in quanto non rientrante nel
“nucleo duro” della politica criminale europea di cui al primo paragrafo dell’art.
83 TFUE
394. Tale competenza è, però, subordinata alla compresenza di due
requisiti: deve trattarsi di settori già oggetto di procedure di armonizzazione; la
previsione di norme penali deve risultare indispensabile per garantire l’efficace
attuazione di una determinata politica UE
395. La selezione degli obblighi di tutela
393 Più che una primigenia valutazione di necessità di pena quella che sembra emergere, quindi, è una necessità di lotta comune mediante pena di fatti a vario titolo già penalizzati.
394 Il “nucleo duro” della politica criminale europeo, infatti, concerne l’azione di contrasto alle manifestazioni criminali a carattere transnazionale realizzata in forza della competenza penale di cui all’art. 83 par. 1 TFUE. Il carattere accessorio della competenza penale UE prevista dall’art. 83.2 TFUE discende altresì dal fatto che attraverso di essa si possono, a certe condizioni, ravvicinare le risposte punitive adottate ad iniziativa degli Stati membri per tutelare le più diverse prescrizioni in settori oggetto di armonizzazione su base europea. In questo senso le norme minime svolgerebbero una funzione di completamento (dunque, ancora una volta, una funzione accessoria) riguardo alle rispettive misure extrapenali di armonizzazione, consentendo che nei rispettivi settori normativi il processo di ravvicinamento investa anche il versante sanzionatorio. Viceversa, sarebbe errato ritenere che la competenza penale accessoria sia considerata tale in quanto meramente funzionale rispetto alle esigenze di cooperazione penale. È disancorata dalle esigenze di cooperazione di polizia e giudiziaria che, viceversa, come sopra ricordato, erano alla base del processo di ravvicinamento delle normative penali nazionali realizzato nell’ambito del terzo pilastro.
395 GRASSO G., La Costituzione per l’Europa e la formazione di un diritto penale dell’Unione europea, in GRASSO G.-SICURELLA R. (a cura di), Lezioni di diritto penale europeo, Giuffrè, Milano, 2007, p.
695 ss., ritiene che la prima condizione che legittima l’intervento penale debba essere letta estensivamente, nel senso che non è necessaria la già avvenuta armonizzazione della legislazione
157
penale viene affidato, dunque, ad un criterio non per materia ma funzionalistico:
conseguentemente, l’ambito applicativo è più esteso rispetto a quello del primo
paragrafo dell’art. 83 TFUE, difettando una elencazione tassativa di sfere di
criminalità che necessitano di un intervento a livello europeo.
In dottrina si è sottolineato come la condizione della indispensabilità,
giustificativa dell’iniziativa in ambito penale, sia estremamente fragile. Il rischio
è che essa non sia in grado di tenere lontano il pericolo di penalizzazioni a
tappeto, vale a dire non sia capace di scongiurare l’utilizzo generalizzato della
sanzione penale, che perderebbe così il suo carattere di extrema ratio, di eccezione
alla regola opposta in base alla quale «la norma penale deve restare un’isola nel
mare della libertà»
396.
Tale conclusione è dovuta al fatto che si registra uno slittamento del termine
di riferimento del giudizio di indispensabilità: non la tutela del bene giuridico,
ma l’attuazione efficace di una politica dell’Unione. «In questo modo cambia
radicalmente il tipo di giudizio a cui è subordinato l’intervento penale poiché
una norma incriminatrice può a buon diritto essere perfettamente idonea a
difendere la tenuta complessiva di un impianto normativo – ad esempio
stabilendo cosa è giusto e ciò che è sbagliato o indicando la corretta scala di
valori in gioco -, ma al contempo essere del tutto inidonea a proteggere il bene
giuridico tutelato»
397.
extrapenale. V. anche GRASSO G., Dopo il Trattato di Lisbona: quale «sistema penale» europeo?, in
GRASSO G.-PICOTTI L.-SICURELLA R., L’evoluzione del diritto penale nei settori d’interesse europeo alla
luce del Trattato di Lisbona, Giuffrè, Milano, 2011, p. 698. In questo senso, anche SOTIS C., Il
Trattato di Lisbona e le competenze penali dell’Unione europea, in Cass. Pen., 2010, p. 326 ss. Dello
stesso avviso è anche BERNARDI A., La competenza penale accessoria dell’Unione europea: problemi e
prospettive, in PALIERO-VIGANÒ (a cura di), Europa e diritto penale, Giuffrè, 2013, p. 70 ss.: «ci
associamo, e aggiungiamo che quello che ci si può aspettare è che questa clausola di limitazione settoriale svolgerà una funzione selettiva molto marginale, per non dire nulla».
396 PALAZZO F.C., Legalità penale e considerazioni su trasformazioni e complessità di un “principio
fondamentale”, in AA.VV., Quaderni fiorentini. Per la storia del pensiero giuridico moderno, Vol. 36,
Giuffrè, Milano, 2007, p. 1307. Il timore di una legislazione penale ipertrofica è condiviso da PAONESSA C., Gli obblighi di tutela penale. La discrezionalità legislativa nella cornice dei vincoli
costituzionali e comunitari, Edizioni ETS, 2009, p. 272; BERNARDI A., La competenza penale
accessoria dell’Unione europea: problemi e prospettive, in Dir. pen. contemp., p. 51 ss.
397 Così, B
ERNARDI A., La competenza penale accessoria dell’Unione europea: problemi e prospettive,
in PALIERO C.E.–VIGANÒ F. (a cura di), Europa e diritto penale, Giuffrè, 2013, p. 70 ss., il quale
precisa che «Noi non siamo per niente convinti che questa clausola di indispensabilità sia idonea a garantire al diritto penale quel carattere di strumento sussidiario di protezione dei beni giuridici, che è ciò che attualmente caratterizza e legittima il c.d. volto costituzionale dell’illecito penale. […] In altre parole, a seconda del termine di riferimento del giudizio di indispensabilità,