riscritto le fattispecie incriminatrici di cui ai commi 5 ter e 5 quater dell’art. 14,
sostituendo la pena della reclusione con quella della multa
283.
5.3.
L’incompatibilità parziale. Il caso Trinca.
L’incidenza riflessa della normativa europea su quella interna è riscontrabile
per il manifestarsi di profili di incompatibilità non soltanto totale ma anche
parziale tra precetti comunitari e nazionali. Nel primo caso la norma
comunitaria rende inapplicabile la norma penale in tutta la sua estensione,
mentre nel caso di incompatibilità parziale si realizza una limitazione del campo
di applicazione della legge interna.
Questo fenomeno è dovuto al ricorso alla tecnica legislativa della norma
penale in bianco e alla frequente integrazione dei precetti penali ad opera di
elementi normativi definiti da norme extrapenali di fonte comunitaria. Il
fenomeno disapplicativo, che può verificarsi, per rispetto alla ratio garantistica
del principio di legalità, soltanto allorché non influisca contra reum, è accolto
dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti
284. La disapplicazione in bonam
partem, infatti, è ritenuta ammissibile poiché tende ad un trattamento di favore
restringendo l’ambito del penalmente rilevante, sicché non stride con l’assenza di
potestà normativa penale dell’ordinamento comunitario.
Al contrario, non può dirsi lo stesso con riferimento alla disapplicazione in
malam partem: si è detto più volte che, nei casi di contrasto tra la normativa
penale nazionale e le istanze comunitarie di tutela, la Corte di Giustizia ha
283 La pena pecuniaria, in caso di violazione dell’ordine del Questore, costituisce un deterrente per la presenza irregolare sul territorio nazionale, nell’ambito delle misure, anche penali, volte all’esecuzione del provvedimento di rimpatrio, ferme restando quelle già previste dell’accompagnamento coattivo, del trattenimento nel CIE e dell’intimazione del Questore. Inoltre, sempre nell’ottica di favorire l’effettivo espatrio dello straniero espulso, è previsto che in caso di espulsione effettivamente eseguita il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere, fatto salvo un nuovo esercizio dell’azione penale nel caso in cui lo straniero rientri illegalmente nel territorio dello Stato (comma 5 septies).
284 Per tutte, CGUE, 3 maggio 2005, in Foro it., 2005, VI, p. 285 secondo cui «qualsiasi giudice nazionale, adito nell’ambito della sua competenza ha non solo l’obbligo di applicare integralmente il diritto comunitario e di tutelare i diritti che questo attribuisce ai singoli», ma anche il correlativo obbligo di «disapplicare immediatamente e direttamente le disposizioni eventualmente contrastanti della legge interna, sia anteriore sia successiva alla norma comunitaria»
114
escluso che una direttiva possa avere «come effetto, di per sé e
indipendentemente da una legge di uno Stato membro adottata per la sua
attuazione, di determinare o aggravare la responsabilità penale di coloro che
agiscono in violazione delle dette disposizioni»
285. L’omissione di tutela dà
luogo, in tali ipotesi, ad una responsabilità dello Stato inadempiente, senza
alcuna possibilità per la fonte comunitaria di sostituirsi a quella interna.
Se l’ordinamento dell’Unione europea non può introdurre direttamente nuove
fattispecie incriminatrici, allo stesso modo non può ampliare la sfera di
operatività di un precetto penale, poiché altrimenti opinando si creerebbero
nuovi fatti di rilevanza penale che sfuggono alla scelta di politica criminale del
legislatore interno. Dunque, pur in presenza di un contrasto tra la norma
comunitaria e la norma interna, il giudice penale non può disapplicare la
seconda a vantaggio della prima, in quanto in tal modo di fatto gli organi
dell’Unione europea emanerebbero norme incriminatrici di diretta applicazione.
Inoltre, l’istituto della disapplicazione, in tesi generale, secondo la
giurisprudenza europea va incontro ad un limite, che è quello della osservanza
dei principi generali dell’Unione, tra cui vi sono quei principi, come quello di
riserva di legge statale in materia penale, comuni a tutti gli Stati membri.
Siffatta conclusione, tuttavia, non è stata condivisa dalla giurisprudenza
nazionale ed europea in alcune occasioni, tra le quali spiccano il caso Trinca e il
caso Taricco per le loro conseguenze dirompenti. Nel primo caso la Corte di
Cassazione nel 2011 ha ritenuto di poter disapplicare, con evidenti effetti in
malam partem, la normativa nazionale nella parte in cui prevede una percentuale
di tolleranza sul pescato, al di sotto della quale non si configura il reato di cui
alla legge 14 luglio 1965, n. 963.
Ma veniamo con ordine. Questa vicenda aveva ad oggetto la vendita da parte
di un fornitore (il Sig. Trinca) di due esemplari di tonno rosso di dimensioni
inferiori a 80 cm e di peso inferiore a 10 Kg. Il fatto, come si è detto, è previsto
285 C. Giust. CE, 16 giugno 2005, n. 105, in Foro it., 2006, IV, p. 585 ss. con riferimento alle decisioni quadro; ID., 3 maggio 2005, n. 403, ivi, 2005, IV, p. 285 ss.; ID., 11 novembre 2005, n.
457, in Nuovo dir., 2005, p. 390 ss.; ID., 9 settembre 2003, n. 198, in Riv. Dir. Internaz. Priv. Proc.,
2004, p. 334 ss.; ID., 26 settembre 1996, n. 168, in Dir. Pen. Proc., 1998, p. 307 ss.; ID., 8 ottobre 1987, n. 80, in Giust. Civ., 1989, I, p. 3 ss.; ID., 11 giugno 1987, n. 14, in Riv. Giur. Ambiente,
115
dalla legge n. 963 del 1965 in materia di pesca marittima che, nel combinato
disposto dei suoi art. 24 comma 1 e art. 15 lett. comma 1 lett. c)
286, punisce
alternativamente con l’arresto o con l’ammenda chi pesca, detiene, trasporta e
commercia il novellame di qualunque specie vivente marina. La definizione di
novellame – ovvero gli esemplari di una specie marina non arrivati all’età adulta
– era stata demandata dal legislatore del 1965 ad una serie di atti sublegislativi;
inoltre, il regolamento di attuazione della normativa nazionale, emanato in
chiave di specificazione tecnica, prevedeva che per ogni specie sul totale
catturato fosse tollerata la presenza di non più del 10% calcolato sul peso e, ove
possibile, sul volume, di esemplari aventi dimensioni inferiori a quelle previste
287.
Una serie intricata di regolamenti comunitari si sono succeduti nel tempo in
materia di pesca marittima; in particolare, la normativa comunitaria in tema di
tonni rossi vigente al momento della commissione dei fatti (Reg. Ce n. 51/2006
286 Più dettagliatamente, l’art. 15 c. 1 lett. c) della legge citata prevede il fatto del reato: «Al fine di tutelare le risorse biologiche delle acque marine ed assicurare il disciplinato esercizio della pesca, è fatto divieto di […] c) pescare, detenere, trasportare e commerciare il novellame di qualunque specie vivente marina oppure le specie di cui sia vietata la cattura in qualunque stadio di crescita, senza la preventiva autorizzazione del Ministero della marina mercantile», mentre l’art. 24 c.1 della stessa legge stabilisce la pena ad esso ricollegata: «Chiunque violi le disposizioni dell’articolo 15, lettera c), è punito, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, con l’arresto da un mese ad un anno o con l’ammenda da lire un milione a lire sei milioni».
287 V. art. 91 d.p.r. 2 ottobre 1968, n. 1639., così come modificato dall’art. 1, d.m. 21 aprile 1983, emesso dal Ministro della Marina Mercantile e pubblicato in G.U. del 29 aprile 1983, n.116. La norma in esame, nella versione originaria pubblicata in G.U. del 25/07/1969, n. 188, si limitava a prevedere che «gli esemplari di pesci, crostacei e molluschi, di dimensioni inferiori a quelle stabilite negli articoli che precedono, eventualmente catturati» dovessero essere rigettati in mare e che tanto dovesse essere fatto con le femmine di astice e di aragosta, di qualsiasi lunghezza, recanti uova sotto l’addome. In precedenza, l’unico margine di tolleranza era previsto dall’art. 87 c. 2 del d.p.r. n. 1639/1968, che stabiliva che nel prodotto della pesca fosse tollerata «la presenza di pesci aventi dimensioni inferiori a non più del 10 per cento di quelle indicate al comma precedente». Precisano BOSI M.-SOTIS C., Il bizzarro caso dei pesci “in malam partem”.
Osservazioni in tema di pesca del novellame sui rapporti tra disapplicazione dell’atto amministrativo (di favore) contrario alla legge e non applicazione della norma nazionale (di favore) contrastante con il diritto comunitario, in www.penalecontemporaneo.it, Che « la norma citata, come segnalato cursoriamente
in molte delle sentenze in cui ci siamo imbattuti ha l’effetto di rendere nei fatti inapplicabile il reato previsto nella legge del 1965 poiché, come il pescato “scende a terra”, un limite generale sul totale catturato posto in questi termini rende impossibile accertare che il singolo pesce o la singola cassetta trovata “fuori misura” costituisca o meno quantità maggiore o minore del 10% del totale catturato dal peschereccio da cui proviene». Ci si riferisce a Cass. Pen., Sez. III, 15 giugno 1998, n. 8790, Cass. Pen., Sez. III, 23 gennaio 2004, n. 8428 e Cass. Pen., Sez. III, 10 marzo 2005, n. 14281. In questi casi, la Suprema Corte ha affermato che la scelta di riferire la soglia di tolleranza all’intero pescato prima della sua distribuzione in commercio rende impossibile l’affermazione della penale responsabilità di colui che, avendo acquistato solo parte della partita, non può essere a conoscenza dei dati relativi al novellame complessivamente presente nel pescato. Ciò non si verificherebbe solo nell’ipotesi, del tutto inconsueta, in cui tutto il pesce catturato fosse stato consegnato ad un unico commerciante.
116
del 22.12.2005, all. III, parte D. 20)
288, oltre ad individuare le misure minime per
la specie in 10 kg o 80 cm, escludeva espressamente l’ammissibilità di margini di
tolleranza per la pesca di esemplari di tonno rosso sottomisura
289.
Giunto il caso dinnanzi alla Corte di Cassazione, i giudici di legittimità hanno
ritenuto di non dover applicare la disciplina penale nazionale più favorevole
perché in contrasto con il diritto comunitario che vieta la detenzione di
novellame senza alcun margine di tolleranza
290. Sul punto, la Corte ha precisato
che, quando la normativa europea incide soltanto sulla mera specificazione di
elementi della fattispecie già esaurientemente espressi e definiti nel nucleo
significativo essenziale delle scelte valutative della legge penale
291e tale
specificazione tecnica di dettaglio si pone in conflitto con la normativa
comunitaria in forma di incompatibilità evidente, il giudice è tenuto a non
applicare la disposizione contrastante con quella di fonte comunitaria
292.
La disapplicazione della norma interna ha come inevitabile conseguenza la
configurabilità, anche al di sotto del margine di tolleranza, della fattispecie di
reato di cui alla L. 14 luglio 1965, n. 963
293. Dunque, la sostituzione della
normativa interna con quella comunitaria, come si è detto, opera in malam
partem (rectius: ad effetto espansivo)
294.
288 Il regolamento Ce citato dettava le “possibilità di pesca e le condizioni ad esse associate” valide per l’anno 2006 nelle acque comunitarie e per le navi comunitarie, in altre acque dove sono imposti limiti di cattura. Gli accertamenti della Capitaneria di Porto di Savona dai quali prendeva il via la vicenda Trinca si svolgevano in data 18.10.2006, e dunque in piena vigenza di tale regolamento.
289 Più precisamente, la norma stabiliva al primo comma che «in deroga alle disposizioni dell’articolo 6 e dell’allegato IV del regolamento (Ce) n. 973/2001, la taglia minima per il tonno rosso pescato nel Mediterraneo è di 10 Kg o di 80 cm», ed al secondo comma che «in deroga alle disposizioni dell’art. 7, paragrafo 1 del regolamento (Ce) n. 973/2001, non è concesso alcun margine di tolleranza per il tonno rosso pescato nell’Atlantico orientale e nel Mediterraneo».
290 Il contrasto con la normativa interna si manifesta sia rispetto al regolamento n. 51del 2006, che escludeva la possibilità di qualsiasi margine di tolleranza, sia rispetto alle disposizioni più recenti dei Regolamenti n. 643 del 2007 e n. 302 del 2009, che prevedono una diversa e, se ci è concesso l’ossimoro, più ‘rigorosa tolleranza’ per le catture accessorie.
291 Precisa la Corte che la normativa italiana in tema di pesca «non ha carattere generico e non ha bisogno per concretizzarsi e divenire attuale, di essere necessariamente integrata dal contenuto di atti normativi secondari», che comunque non potrebbero porsi in contrasto con il dettato europeo.
292 Cass. Pen., Sez. III, 3 luglio 2007, in Riv. Pen., 2008, p. 834 ss.
293 Cass. Pen., Sez. III, 3 luglio 2007, in Riv. Pen., 2008, p. 834 ss.; Id. Sez. III, 15 febbraio 2007, in C.E.D. Cass., rv. 236117; Id., Sez. III, 12 dicembre 2006, ivi, rv. 236251; contra, Id., Sez. III, 11 luglio 2007, ivi, rv. 237389; Id., Sez. III, 17 gennaio 2006, ivi, rv. 233555.
294 Cass. Pen., Sez. III, 2 luglio 2009, in C.E.D. Cass., rv. 244930; Id., Sez. III, 7 maggio 2009,
117
Preso atto di quanto statuito dalla Corte di legittimità nel 2011, occorre allora
chiedersi se, pur riconoscendo il carattere integrativo di una normativa tecnica
europea rispetto al precetto penale nazionale, possa e debba essere assicurata la
preminenza di un regolamento con evidenti effetti in malam partem. In altri
termini, bisogna verificare la ammissibilità o meno delle conclusioni a cui sono
pervenuti i giudici della Suprema Corte nel caso Trinca.
Al riguardo, in dottrina è stata avanzata la tesi secondo cui, per stabilire la
legittimità delle ipotesi ad effetti espansivi nelle quali la normativa comunitaria,
integratrice della norma incriminatrice nazionale, si sostituisca alla precedente
disciplina (nazionale o comunitaria), oltre ad appurare la natura tecnica della
disciplina integratrice, occorre anche valutare che la stessa sia stata emanata
secondo lo stesso obiettivo e secondo i medesimi criteri tecnici di specificazione
posti dalla legge nazionale. Pertanto, secondo l’opinione in parola, non
basterebbe che la norma sia rispettosa del criterio di “sufficiente determinatezza”
enucleato dalla Corte Costituzionale, in base al quale si ritiene rispettata la
riserva di legge solo se l’atto rinviato si conformi ai presupposti, ai caratteri e ai
criteri tracciati dalla legge. Questo perché, come è stato chiarito
295, se
l’integrazione della norma incriminatrice da parte del diritto comunitario è
assimilabile all’integrazione da parte degli atti nazionali sublegislativi, perché
entrambi sono sprovvisti di competenza penale, tuttavia le due ipotesi sono
anche profondamente diverse. Il diritto comunitario è infatti sovraordinato, e
non subordinato, alla legge.
Ed allora, per aversi legittima integrazione ad effetto espansivo ad opera del
diritto comunitario non basterebbe valutare la natura tecnica della normativa
europea, occorrendo anche valutare se essa sia stata emanata secondo i
medesimi criteri tecnici e obiettivi posti dalla legge nazionale o che comunque
questi siano stati fatti propri da una legge nazionale vigente al momento della
commissione dei fatti. Alla luce di quanto sopra, i fautori della tesi in esame,
ravvisando tanto la immutata natura tecnica della normativa quanto il rispetto
237998; Id., Sez. III, 15 febbraio 2007, ivi, rv. 236117; Id., Sez. III 12 dicembre 2006, ivi, rv. 236251.
295 Cfr. G.MAZZINI, Prevalenza del diritto comunitario sul diritto penale interno ed effetti nei confronti
del reo, in Diritto dell’Unione europea, 2000, p. 371, amplius C.SOTIS, Il diritto senza codice. Uno
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dei criteri e degli obiettivi fissati dalla legge n. 963/1965, concludono in favore
della legittima sostituzione della normativa sublegislativa nazionale da parte del
regolamento europeo ad effetto espansivo, perché le condizioni in questo caso
sarebbero soddisfatte. La legge quadro sulla pesca marittima n. 963 del 1965, nel
demandare ad atti sublegislativi le specificazioni di tipo tecnico, pone all’art. 14
l’obiettivo a cui devono tendere tali misure tecniche, ovvero «garantire la tutela
ed il miglior rendimento costante delle risorse biologiche del mare», mentre al
successivo art. 32 è previsto che la normazione secondaria una volta emanata
possa essere ulteriormente sostituita «al fine di adeguarla al progresso delle
conoscenze scientifiche e delle applicazioni tecnologiche». Ora, è agevole
constatare come il diritto comunitario si attenga agli stessi criteri e obiettivi non
essendo immutato l’obiettivo e rappresentando in sostanza un adeguamento «al
progresso delle conoscenze scientifiche e delle applicazioni tecnologiche» di cui
all’art. 32.
Ad ogni modo, sia che si aderisca a questa impostazione, sia che ci si
mantenga, invece, fedeli al canone in base al quale la normativa europea non
può avere effetti in malam partem, resta il problema dell’ammissibilità del rinvio
mobile o formale, contenuto nell’art. 32 della legge più volte citata. Le ricadute
sul piano della legalità sono evidenti e basterebbe solo questo a paralizzare
l’applicazione del regolamento comunitario.
La necessità che il rinvio ad una fonte diversa dalla legge, in caso di norma
penale in bianco sia fisso
296, è sostenuto da più parti: pur nella consapevolezza
che la tecnica di rinvio recettizio risulti in concreto poco efficace rispetto alle
esigenze di aggiornamento continuo di talune materie, si ritiene che sia l’unica
ammissibile in quanto conforme all’art. 25, co. 2, Cost.
È sufficiente accennare al fatto che tale tecnica di rimando ad altra normativa
mal si presta ad essere utilizzata rispetto alle norme comunitarie a carattere
tecnico, a causa dei frequenti mutamenti cui queste ultime sono di regola
soggette. Tuttavia, rispetto alle norme comunitarie appena ricordate, ostico
296 Il rinvio recettizio o fisso si ha nel caso in cui la norma rinviante faccia riferimento solo alla norma esplicitamente richiamata, cristallizzandone così il contenuto precettivo.