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Dalla tecnica dell’assimilazione sino agli obblighi comunitari di tutela penale:

Nel documento Verso la europeizzazione del diritto penale? (pagine 145-159)

Lussemburgo nella costruzione di un diritto penale europeo.

La necessità di garantire una protezione adeguata ai beni giuridici di matrice

comunitaria

343

si scontrava inevitabilmente con l’inesistenza di un sistema penale

europeo dovuto alla mancanza di attribuzioni alle istituzioni di competenze in

materia penale

344

. In ogni caso, l’assenza di un autonomo sistema penale

comunitario non ha determinato l’impossibilità per l’Unione europea di

apprestare una qualche forma di tutela ai suddetti interessi. Nei paragrafi

precedenti si è visto che tale protezione in parte viene garantita riconoscendo agli

343 Vi sono (pochi) autentici beni giuridici propriamente europei. Questi ultimi sono rappresentati da quegli interessi di creazione legislativa europea in cui soggetto passivo è lo stesso apparato istituzionale (la c.d. P.A. europea), oppure beni di cui quest’ultimo ha la titolarità (le finanze, il c.d. bilancio europeo, la moneta unica), oppure ancora quel peculiare oggetto giuridico costituito dall’intervento regolatore dei pubblici poteri europei in ambito socio- economico. Non a caso la concorrenza viene annoverata tra le nuove oggettività giuridiche europee e così pure la tutela delle finanze pubbliche, le quali sono estese fino a ricomprendere quelle dell’Unione. L’adeguamento dell’ordinamento interno alle esigenze di tutela proprie del diritto europeo, che ha condotto all’inserimento, nel nostro sistema penale, di norme volte a tutelare le finanze comunitarie (artt. 640 bis e 316 bis e ter), sarebbe la riprova della tutela che l’ordinamento interno appresterebbe a “beni non propri”. Le condotte fraudolente, infatti, non solo incidono negativamente sulle finanze delle istituzioni, ma frustrano altresì le esigenze che sottostanno alla corretta allocazione di tali risorse ovvero gli obiettivi di politica economica e sociale programmati in sede politica dalle autorità di governo dell’Unione e non invece dagli organi italiani.

344 Ad abundantiam, si ripete che la configurazione del sistema penale di allora impediva il riconoscimento alle stesse di competenze penali: da un alto, il c.d. deficit democratico avrebbe impedito il rispetto del principio di legalità, costituente un principio fondamentale comune alle tradizioni costituzionali degli Stati membri; dall’altro si notava che l’impossibilità di configurare un sistema penale europeo si collocava più a monte nell’assenza di una base giuridica espressa nei Trattati, non potendo ritenersi sufficiente alla creazione di un sistema penale europeo il riferimento sic et simpliciter a “sanzioni” non meglio qualifiche contenuto nell’art. 172 TCE (art. 229 nella successiva numerazione).

138

organi comunitari il potere di comminare sanzioni amministrative con finalità

punitiva, ma prive di carattere penale, originariamente limitate al settore della

concorrenza

345

e successivamente estese alla tutela dei propri interessi

finanziari

346

.

Ciò posto, occorre analizzare le tecniche di tutela “sperimentate” dagli organi

comunitari (e poi, europei) al fine di apprestare una protezione, non solo

amministrativa ma anche di tipo penale, ai propri interessi

347

. Al riguardo è bene

chiarire sin da subito che il permanere in capo agli Stati nazionali della

competenza a legiferare in materia penale, con conseguente assenza di ogni

possibilità tecnica per gli organi comunitari di incidere, in senso stretto, sulla

suddetta materia

348

, non ha impedito che il processo di integrazione investisse

345 Ci riferiamo alle tradizionali “ammende” e “indennità di mora” previste, sulla base dell’art. 83 TCE, nei regolamenti CEE n. 11/60, 17/62 (modificati dal regolamento CE n. 1216/99), 1017/86, 4056/86, 4064/89.

346 Le Comunità europee hanno infatti generalizzato il loro potere sanzionatorio attraverso l’uso con finalità afflittive di strumenti previsti originariamente, nella regolamentazione in materia di agricoltura e pesca, per finalità reintegrative nel patrimonio comunitario di sovvenzioni irregolarmente versate; tale operazione, contestata dalla Repubblica Federale di Germania, venne invece espressamente riconosciuta valida dalla Corte di Giustizia e000x art. 229 TCE (c. 240/90, 27 ottobre 1992, RFT c. Commissione, in Riv. Trim. dir. Pen. Ec., 1993, p. 739, con commento di GRASSO G., Recenti sviluppi in tema di sanzioni amministrative comunitarie).

Sulla base di tale evoluzione venne adottato il Regolamento CE Euratom n. 2988/95 del Consiglio, del 18 dicembre 1995, “relativo alla protezione degli interessi finanziari delle Comunità europee”, che rappresenta la razionalizzazione codicistica di tale modello sanzionatorio. Su questo potere penale-amministrativo della Comunità v., per tutti, MAUGERI

M.A., Il regolamento 2988/95: un modello di disciplina del potere punitivo comunitario, in GRASSO (a

cura di), La lotta contro la frode agli interessi finanziari della Comunità europea tra prevenzione e

repressione, Giuffrè, Milano, 2000, p. 149 ss.

347 Man mano che l’edificio europeo cresceva, si assisteva al sorgere di una serie di beni giuridici che apparivano meritevoli e bisognosi di tutela. Alcuni di questi erano collegati all’esistenza stessa delle Comunità, in quanto indispensabili all’esercizio delle competenze e dei poteri riconosciuti dai Trattati alle istituzioni comunitarie, altri invece erano connessi soprattutto all’instaurazione del mercato unico e alla regolamentazione di origine comunitaria di alcuni settore chiave dell’economia e di alcuni fenomeni con carattere transfrontaliero, come ad esempio l’immigrazione clandestina o la tutela dell’ambiente.

348 Sul punto, v. BERNARDI A., “Europeizzazione” del diritto penale commerciale?, in Riv trim. Dir.

Pen. Ec., 1996, p. 9 ss.; BERNARDI A., Verso una codificazione penale europea? Ostacoli e prospettive, in

Ann. Dell’Università di Ferrara, 1996, p. 74 ss.; GRASSO G., Comunità europee e diritto penale, Giuffrè, Milano, 1989, p. 77 ss.; GRASSO G., Il “Corpus Juris” e le prospettive di formazione di un

diritto penale dell’Unione Europea, in AA.VV., Verso uno spazio giudiziario europeo, Milano, 1997, p. 3

ss.; MARINUCCI – DOLCINI, Corso di diritto penale, 3° ed., Milano, 2001, p. 61 ss.; MEZZETTI, La

tutela penale degli interessi finanziari dell’Unione europea: sviluppi e discrasie nella legislazione penale degli stati membri, Cedam, Padova, 1994, p. 8 ss.; MEZZETTI L., Quale giustizia per l’Europa?, Il “libro

verde” sulla tutela penale degli interessi finanziari comunitari e sulla creazione di un pubblico ministero europeo, in Cass. Pen., 2002, p. 3955 ss.; VASSALLI, voce “Nullum crimen, nulla poena sine lege”,

in Dig. Pen., VIII, Torino, 1994, p. 317 ss. Per una diversa impostazione, v. RIONDATO S.,

139

anche l’ordinamento penale, sebbene in via indiretta. Con tale espressione si

intende far riferimento non alla possibilità delle istituzioni europee di punire

direttamente ma di chiedere ai singoli Stati membri di farlo attingendo alle

risorse sanzionatorie dei singoli ordinamenti nazionali

349

.

Con il trascorrere degli anni si è progressivamente potenziato il c.d. “modello

dell’affidamento”

350

della potestà punitiva degli Stati nazionali che viene,

appunto, devoluto dalle istituzioni dell’Unione, per la tutela dei beni di matrice

comunitaria. La Corte di Giustizia, preso atto della mancanza di protezione

degli interessi europei dovuta alla scarsa attenzione da parte degli Stati membri,

ha fatto ricorso alla interpretazione “creativa” delle norme, al fine di giungere ad

una uniformità (o quantomeno, omogeneità) degli standard di tutela. Ciò è

potuto accadere in ragione della peculiarità del sistema delle fonti del diritto

europeo che, ancorché complesso e molteplice, risulta un mixtum compositum tra

sistemi di civil law e di common law

351

, nei quali il diritto derivato (tra cui le

pronunce della Corte di Giustizia) ha forza di legge all’interno degli Stati

membri. Nello specifico, l’esigenza di armonizzazione delle norme sanzionatorie

nazionali, tra le quali vi sono anche quelle di diritto penale sostanziale, e il

S., Profili di rapporti tra diritto comunitario e diritto penale dell’economia (“influenza”, poteri del giudice

penale, questione pregiudiziale ex art. 177 TCE, questioni di costituzionalità), in Riv. Trim. dir. Pen. Ec.,

1997, p. 1136 ss.

349 L’adeguamento del diritto statale al diritto europeo, compiuto attraverso la mediazione necessaria del legislatore nazionale, avviene in funzione della tutela di interessi comunitari, ovvero di interessi generali, fondamentalmente comuni a tutti gli Stati membri.

350 Per lungo tempo, la Corte di Giustizia ha individuato il fondamento giuridico del dovere per gli Stati membri di «adottare tutte le misure atte a garantire la portata e l’efficacia del diritto comunitario» nel principio di leale collaborazione, fissato dall’art. 10 TCE, con il conseguente impegno da parte degli Stati di assicurare «che le violazioni del diritto comunitario siano sanzionate in termini analoghi a quelli previsti per il diritto interno simili per natura ed importanza e che in ogni caso conferiscano alla sanzione stessa un carattere di effettività, proporzionalità e capacità dissuasiva», senza che fosse mai esplicitamente imposta l’adozione di sanzioni di carattere penale. C. Giust. CE, 10 luglio 2008, n.54, in Dir. Comunitario online; Id., 26 aprile 2007, n. 177, Ibidem, 2007; Id., 16 ottobre 2003, n.91, in Dir. Prat. Trib. Internaz. 2004, fasc. 2, p. 313 ss.; Id., 27 febbraio 1997, n. 177, in Riv. Dir. Internaz., 1997, p. 807 ss.; Id., 12 settembre 1996, n.58, in Riv. It. Dir. Pubbl. Comunitario, 1997, p.85 ss.; Id., 8 giugno 1994, n.383, in Notiz.

Giur. Lav., 1995, p.151 ss.; Id., 2 ottobre 1991, n. 7, in Riv. It. Dir. Pubbl. Comunitario, 1992,

p.1343 ss.; Id., 21 settembre 1989, in Dir. Comunitario scambi internaz., 1990, p.395 ss.

351 RIONDATO, Sull’arcipelago neo-medievale del diritto penale della Comunità e dell’Unione europea.

In margine al Corpus Juris per la protezione penale degli interessi finanziari dell’Unione, in PICOTTI L.

(a cura di), Possibilità e limiti di un diritto penale europeo, Giuffrè, Milano, 1999, p. 97 ss.; BACIGALUPO G., L’applicazione del diritto penale e la uguaglianza davanti alla legge. Un quadro

europeo, in COCCO G. (a cura di), Interpretazione e precedente giudiziale in diritto penale, Cedam,

140

bisogno di protezione degli interessi emergenti della legislazione comunitaria

352

hanno portato alla creazione dei c.d. obblighi europei di tutela e,

successivamente, di penalizzazione.

Ma veniamo con ordine. Come si è detto, le istituzioni europee, non potendo

predisporre autonomamente sanzioni penali, sono state “costrette” ad attingere

alle risorse sanzionatorie previste dalle legislazioni penali dei singoli Stati

membri, in tal modo assicurando una risposta efficace rispetto alle condotte

lesive dei beni giuridici europei. Tale escamotage, in pratica, consente di aggirare

l’ostacolo costituito dall’assenza di attribuzioni in materia penale in due diversi

modi.

Il primo è dato dalla tecnica dell’assimilazione (in senso stretto), attraverso la

quale l’interesse europeo viene assimilato ad un interesse nazionale di natura

corrispondente, sicché lo Stato sarà tenuto a garantire al primo lo stesso grado e

tipo di tutela predisposto per il secondo: se per quest’ultimo è prevista una tutela

penale, anche il primo dovrà beneficiarne

353

. In altri termini, la risposta

sanzionatoria prevista da una fattispecie incriminatrice di carattere interno viene

estesa ad una violazione di una normativa europea che sia assimilabile a quella

352 Come si è visto, il processo di integrazione UE ha fatto emergere nuovi beni giuridici o comunque beni giuridici che, seppur già esistenti, pongono esigenze di tutela diverse rispetto al passato nel momento in cui vengono proiettati in una dimensione sovranazionale.

353 Come esempi di tale metodo si indicano: l’art. 194 del Trattato Euratom, secondo cui la tutela del segreto atomico deve essere attuata attraverso il ricorso alle disposizioni interne previste per la violazione di segreti in materia di attentato alla sicurezza dello Stato o in materia di divulgazione del segreto professionale353. Per approfondimenti si rinvia a PEDRAZZI C., La

tutela penale del segreto nel Trattato Euratom, in Il diritto dell’energia nucleare, Giuffrè, Milano, 1961,

p. 413 ss. Ancora, l’art. 27 del Protocollo sullo Statuto della Corte di Giustizia CE, che rinvia alle norme nazionali in materia di falsa testimonianza e false perizie in materia civile. In questa cornice si inscrive anche il significato precettivo della disposizione dell’art. 280 TUE, che richiede una avanzata tecnica di armonizzazione della legislazione penale europea, mediante l’adeguamento degli standard (che vengono richiesti almeno come “minimi”) di tutela che sono assicurati ai beni finanziari nazionali per quelli comunitari. V. DELMAS –MARTY, Verso un diritto

penale comune europeo?, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1997, p. 545 ss.; JESCHECK H.H., La tutela penale

dei beni giuridici dell’Unione Europea, in PICOTTI L. (a cura di), Possibilità e limiti di un diritto penale

dell’Unione Europea, Milano, 1999, p. 121 ss.; MARINUCCI G.–DOLCINI E., Corso di diritto penale,

III ed., Giuffrè, Milano, 2001, p. 65 ss.; MEZZETTI E., La tutela penale degli interessi finanziari

dell’Unione europea. Sviluppi e discrasie nella legislazione penale degli Stati membri, Cedam, Padova,

1994, p. 129 ss.; PEDRAZZI C., La tutela penale del segreto nel trattato Euratom, in AA.VV., Il diritto

dell’energia nucleare, Giuffrè, Milano, 1961, p. 416 ss.; BRICOLA, Alcune osservazioni in materia di

tutela penale degli interessi delle Comunità europee, in Ind. Pen., 1968, p. 5 ss.; PATRONO P., Diritto

141

nazionale

354

. Dunque, secondo il modello del c.d. affidamento e sulla base del

principio di leale collaborazione di cui all’art. 280 TUE, le istituzioni europee

affidano agli Stati la protezione dei propri interessi sulla falsariga della

protezione accordata ai beni nazionali

355

.

Questa tecnica

356

fortunatamente non ha avuto un ampio utilizzo, forse a

causa delle molte critiche mosse dalla dottrina penalistica, la quale ha avuto cura

354 In tal modo, si prevede una espansione del diritto penale interno a tutela di interessi strumentali all’attuazione degli obiettivi propri delle Comunità.

355 Quando si parla di assimilazione della tutela si intendono tutte quelle ipotesi in cui il legislatore costruisce la tutela dell’interesse comunitario sul modello a suo tempo concepito per presidiare il corrispondente interesse nazionale. Tale assimilazione della tutela, in quanto muove dall’obbligo comunitario (art. 280 TUE, a sua volta ricavato dal fondamentale principio di leale collaborazione) di garantire lo stesso livello di difesa, potrebbe effettivamente far ritenere che il legislatore nazionale sia vincolato ad un obbligo di tutela penale. Ma la corrispondenza tra l’interesse nazionale e quello comunitario (ad esempio, il patrimonio o gli interessi finanziari in senso lato), provocando pure l’esigenza di considerare le identiche aggressioni e, quindi, le medesime condotte, mostra come il ricorso allo strumento penalistico – onde presidiare il patrimonio comunitario – possa farsi risalire alla scelta originaria del legislatore nazionale di tutelare penalisticamente il patrimonio tout court (privato e pubblico). Anche perché, se si stabilissero per le offese alle finanze comunitarie solo sanzioni non penali (ad esempio, amministrative) si determinerebbe una irragionevole differenziazione di situazioni, di per sé costituzionalmente illegittima.

356 L’obbligo di assimilazione, come pure l’introduzione di fattispecie conseguenti a scelte di criminalizzazioni operate in sede internazionale (v. per tutti la Convenzione PIF del 26 luglio 1995 ed i protocolli aggiuntivi del 1996 e del 1997, ratificata successivamente in Italia con la legge comunitaria 300/2000) hanno indubbiamente provocato un sensibile avvicinamento tra legislazioni. Sempre più spesso, infatti, le risposte alla criminalità transfrontaliera vengono concertate a livello internazionale nell’ambito dell’UE e si traducono in scelte comuni. Si rinvengono così nelle legislazioni penali europee fattispecie incriminatrici uniformi. Da questo punto di vista in passato hanno svolto una rilevante funzione in special modo le c.d. direttive dettagliate, con cui si è intervenuti ad esempio nella materia dell’insider trading o nel fenomeno criminoso transfrontaliero del riciclaggio. Vi è da chiedersi allora se, almeno con riguardo a determinati settori, non sia opportuno procedere ad una vera e propria opera di “unificazione” mediante la previsione di “statuti” penali comuni, incaricati di disciplinare la tutela di alcuni rilevanti interessi comunitari. In questa direzione, com’è noto, si sono mossi alcuni progetti di segno essenzialmente accademico (il c.d. Corpus Juris nella duplice versione del 1996 e del 2000; inoltre, gli Eurodelikte, ovvero un progetto coordinato dal Prof. Tiedemann), nonché istituzionale (il c.d. Libro verde del 2001). Si tratta però di un traguardo ambizioso, perché l’elaborazione di questi corpi normativi non può limitarsi alla enucleazione di alcune essenziali direttive per la costruzione di una o più fattispecie legali di reato; trattandosi, invece, di elaborare un sistema necessariamente più compiuto, nel quale si trovino non solo norme incriminatrici, ma anche previsioni di parte generale. I divari che indubbiamente intercorrono tra ordinamenti sollevano però delicati problemi di adattamento, che interessano generalmente l’elemento soggettivo del reato, nonché il modo di strutturare la partecipazione rilevante al reato. Con riguardo alla parte speciale, poi, le maggiori difficoltà sono connesse alla previsione del reato associativo, vista l’ampia varietà di soluzioni che si riscontrano nei diversi paesi europei: mentre gli ordinamenti anglosassoni possono in linea di principio avvalersi dello strumento assai duttile della conspiracy, nei diritti continentali si tende a prevedere fattispecie associative generiche (sul modello dell’associazione di malfattori di tradizione francese) pure specifiche o – per meglio dire – ritagliate sulle caratteristiche dei gruppi criminali presenti nel territorio nazionale (come nel caso italiano). TIEDEMANN K., L’europeizzazione del diritto penale, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1998, p.

142

di evidenziare le criticità di questo modus operandi. Basti pensare che il legislatore

europeo, dichiarando l’assimilazione di un certo bene giuridico sovranazionale

ad un corrispondente interesse nazionale penalmente tutelato, di fatto invade un

campo proprio del legislatore nazionale: mediante un “allargamento”

dell’ambito applicativo della norma penale prevista dalla legislazione interna a

garanzia del bene nazionale giuridicamente protetto

357

, si creano per tal via vere

e proprie fattispecie incriminatrici di conio europeo.

Nello specifico, l’assimilazione determina il sorgere di una nuova norma

incriminatrice per così dire ibrida poiché nata dall’innesto della norma

comunitaria assimilatrice su quella nazionale penale. La nuova norma penale

solo in parte coincide con quella di partenza che, per soddisfare le nuove

esigenze di tutela, deve necessariamente subire trasformazioni anche

significative. Da ciò discende che la nuova norma assimilatrice viene ad

assumere una funzione incriminatrice, seppure in via mediata ed eventuale, in

quanto dipende dalla circostanza che il bene nazionale di riferimento sia tutelato

con sanzioni penali

358

.

Insomma, da quanto detto emerge in modo chiaro la frizione di questo

modello di tutela dei beni giuridici emergenti nel contesto europeo rispetto al

principio di legalità. Da un lato la riserva di legge viene abilmente aggirata e di

conseguenza violata, specie perché le ipotesi di assimilazione sono state tutte

realizzate attraverso disposizioni aventi efficacia diretta ed immediata negli

357 Anche la mera estensione dell’ambito applicativo della norma penale incriminatrice presenta notevoli profili di criticità. Si riscontra infatti una duplice violazione del principio di legalità: in primis tale ampliamento rimanda a procedimenti di tipo analogico in malam partem, come si sa vietati in ambito penale, ciò che viene chiesto dall’Europa è di punire qualcuno in base ad una norma che in realtà è posta a tutela di interessi simili, rectius assimilabili; in secondo luogo, viene comunque violato il principio di legalità sotto il profilo della riserva di legge, in quanto il Parlamento si vede privato in parte del suo potere esclusivo di stabilire ciò che deve essere penalmente sanzionato e cosa no. Su questi profili si è concentrata, in particolare, l’attenzione di BRICOLA F., Alcune osservazioni in materia di tutela penale degli interessi delle Comunità

europee, in AA.VV., Prospettive per un diritto penale europeo, Cedam, Padova, 1968, p. 189 ss.

358 L’argomento ha suscitato l’interesse, ex plurimis, di BERNARDI A., «Principi di diritto» e diritto

penale europeo, in Annali dell’Università di Ferrara, 1988, p. 161, il quale, nel riferirsi alle

disposizioni comunitarie di assimilazione, le definisce «norme penali»; GRASSO G., Verso un

diritto penale comuniatrio: i progetti di Trattato concernenti l’adozione di una regolamentazione comune in materia di repressione delle infrazioni alle normative comunitarie ed in materia di responsabilità e di tutela penale dei funzionari e degli altri agenti delle Comunità, in Riv. it. Dir. proc. Pen., 1982, p. 637 ss.;

GRASSO G., Comunità europee e diritto penale: i rapporti tra l’ordinamento comunitario e i sistemi penali

143

ordinamenti nazionali

359

. Dall’altro lato, la violazione del principio di legalità

coinvolge anche il corollario della determinatezza, tanto che sotto questo profilo

si parla di fisiologica carenza di determinatezza del precetto originatosi dalla

combinazione della norma assimilatrice con una norma penale nazionale. Tale

indeterminatezza è causata dal fatto che l’assimilazione disposta dal legislatore

comunitario non interessa il singolo sistema penale ma si rivolge a tutti i diversi

ordinamenti facenti parte della costruzione comunitaria

360

. Last but non least, con

questa tecnica verrebbe violato il principio di tassatività perché assimilare la

violazione del diritto UE alla violazione del diritto interno significa estendere

analogicamente la fattispecie incriminatrice nazionale a condotte che non sono

dalla stessa prese in considerazione.

Il secondo percorso seguito dal legislatore comunitario al fine sia di garantire

una tutela adeguata degli interessi comunitari, sia di sopperire alla mancanza di

attribuzioni penalistiche, è stato quello tracciato dalla fissazione dei cc.dd.

Nel documento Verso la europeizzazione del diritto penale? (pagine 145-159)