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Incompatibilità totale in bonam partem Applicazione in tema d

Nel documento Verso la europeizzazione del diritto penale? (pagine 115-121)

Vi sono casi in cui è la stessa incriminazione prevista dalla legislazione

nazionale a risultare incompatibile con la normativa europea. Tale ipotesi è

differente da quella precedentemente esaminata, ove la fattispecie incriminatrice

continua ad applicarsi ad un ventaglio di situazioni che certamente è più

limitato. Qui, invece, è proprio il precetto a contrastare con il diritto europeo,

richiedendo pertanto il necessario intervento del legislatore nazionale per

rimuovere la norma con esso incompatibile. In virtù del principio di primautè del

diritto europeo, il giudice nazionale non potrebbe condannare l’imputato sulla

base della norma non applicabile. In altre parole, se la norma che prescrive un

dato comportamento è contraria al diritto europeo, non è punibile chi tale

comportamento non abbia tenuto.

Un esempio di incompatibilità totale in bonam partem è offerto dal noto caso

Ed Dridi

266

ove la Corte di Lussemburgo ha affermato che il giudice italiano è

tenuto a disapplicare ogni disposizione del d.lgs., 25 luglio 1998, n. 286

267

contraria alla direttiva rimpatri

268

e, in particolare, l’art. 14, co. 5 ter, del T.U.

sull’immigrazione che prevede il reato di inottemperanza, senza giustificato

motivo, da parte dello straniero irregolare all’ordine di allontanamento emesso

dal Questore

269

. Secondo i giudici sovranazionali la direttiva rimpatri

270

va

interpretata nel senso che «osta ad una normativa di uno Stato membro, come

quello dello Stato italiano, che preveda l’irrogazione della pena della reclusione

266 Corte Giust. UE, 28 aprile 2011, causa C-61/11 PPU (Hassen El Dridi).

267 Così come modificata dal d.l. n. 89/2011 (convertito con Legge n. 129/2011, meglio nota come Legge Bossi-Fini).

268 Si tratta della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione del 16 dicembre 2008 (2008/115/CE), recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.

269 Di cui all’art. 14, co. 5 bis, d.lgs. n. 286/1998.

270 In particolare, gli artt. 15 e 16. La Direttiva rimpatri 2008/11/CE mira ad armonizzare la normativa degli Stati membri in materia di immigrazione e, in particolare, era tesa a bilanciare l’interesse di assicurare una efficace gestione del flusso migratorio e l’interesse a non compromettere i diritti fondamentali della persona. Questo bilanciamento si poteva realizzare favorendo l’allontanamento volontario dello straniero irregolare, piuttosto che l’espulsione coattiva vista come extrema ratio e comunque accompagnata da una serie di cautele (es. termini ampi e misure limitative della libertà personale meno incisive).

108

al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare

271

per la sola ragione

che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il

territorio di tale Stato, pemane in detto territorio senza giustificato motivo».

Nello specifico, se è vero che la direttiva europea consente allo Stato di

adottare tutte le misure coercitive indispensabili per eseguire la decisione di

rimpatrio mediante l’allontanamento dello straniero

272

, comprese misure di

carattere penale, «atte segnatamente a dissuadere tali cittadini dal soggiornare

illegalmente nel territorio di detti Stati», è vero anche che tali provvedimenti

nazionali devono comunque risultare compatibili con il diritto dell’Unione, non

potendo gli Stati «applicare una normativa, sia pure di diritto penale, tale da

compromettere la realizzazione degli obiettivi perseguiti da una direttiva e da

privare così quest’ultima del suo effetto utile»

273

.

Ora, tra le finalità proprie della direttiva rimpatri vi è senz’altro quella di

garantire l’efficacia delle procedure di rimpatrio nel rispetto della tutela dei diritti

fondamentali dello straniero (in primis, la sua libertà personale), in conformità ai

principi di proporzionalità e di efficacia. Ciò sta a significare che la procedura di

rimpatrio debba eseguirsi su base volontaria, attraverso una decisione che

attribuisca allo straniero un congruo termine per lasciare il territorio nazionale,

fatte salve le eccezioni espressamente stabilite dall’art. 7 della stessa direttiva.

Qualora lo straniero non lasci spontaneamente il territorio nazionale entro il

termine concessogli, ovvero sin dall’inizio non sia stato concesso alcun termine,

lo Stato membro è tenuto ex art. 8 della Direttiva a procedere all’allontanamento,

prendendo tutte le misure necessarie, comprese quelle coercitive (previste come

extrema ratio), in maniera proporzionata e nel rispetto dei diritti fondamentali e

271 La disciplina italiana in materia di immigrazione irregolare era stata modificata con la Legge Bossi-Fini il cui intento era di perseguire un notevole irrigidimento della disciplina in materia di immigrazione clandestina. Il legislatore italiano prevedeva come misura automatica l’espulsione in termini brevissimi, in particolare attraverso l’ordine di allontanamento del Questore al quale lo straniero doveva ottemperare entro 5 gg. In caso di violazione dell’ordine, venivano comminate allo straniero sanzioni molte severe, tra le quali figurava anche la pena detentiva.

272 La direttiva rimpatri prevede che gli Stati membri possano adottare, ai sensi dell’art. 8, n. 4, le misure coercitive, come quella dell’accompagnamento coattivo alla frontiera previsto all’art. 13, comma 4, D.Lgs. n. 286/1998.

273 Ovvero, la creazione in capo ai singoli di posizioni soggettive direttamente tutelabili davanti al giudice nazionale.

109

della dignità umana

274

. Alla luce delle predette considerazioni, non è consentito

agli Stati membri, al fine di ovviare all’insuccesso delle misure coercitive

adottate per procedere all’allontanamento coattivo, prevedere ed irrogare una

pena detentiva allo straniero che, non ottemperando all’ordine del Questore di

lasciare entro 5 giorni il territorio nazionale, vi permanga.

L’accoglimento della tesi della incompatibilità totale determina il dovere

275

del

giudice italiano di non applicare la fattispecie incriminatrice contenuta nell’art.

14 d.lgs. n. 286/1998

276

in ragione del rilevato contrasto con il diritto europeo.

Ma, ci si chiede, sulla base di quale principio l’interprete è tenuto a disapplicare

274 Più precisamente, possiamo parlare di un sistema “graduale” perseguito dalla UE: vi deve essere, cioè, una vera e propria gradualità, nel rispetto del principio di proporzione e dei diritti fondamentali. Quindi, occorre preferire, in primo luogo, il rimpatrio volontario a quello forzato (“considerando”, par. 10), garantendo altresì: un periodo per consentire il medesimo rimpatrio volontario; una specifica assistenza e consulenza, sfruttando il fondo europeo per i rimpatri (“considerando”, n.10); l’assistenza legale d’ufficio (“considerando”, nn. 11 e 13, IV comma). Il periodo ove effettuare la partenza volontaria, invece, può non essere concesso, od essere concesso per un termine più breve di 7 giorni (art. 7, comma IV della direttiva) solo nel caso in cui vi sia il rischio che si perdano le tracce del soggetto (“rischio di fuga”) o se la persona costituisca un pericolo per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale. A contrario, una pena detentiva, che implica la permanenza del cittadino straniero nel territorio nazionale, ritarda l’esecuzione della procedura di rimpatrio e, quindi, ritarda l’effetto utile dell’espulsione. Dunque, occorre ricorrere, scaduto il termine di allontanamento volontario, alle misure coercitive ex art.8 n.4 della Direttiva (come l’accompagnamento coattivo alla frontiera). Qualora tali misure non siano efficaci rispetto all’obbiettivo posto dal paragrafo n.52, lo Stato potrà applicare misure penali nei confronti dei cittadini irregolari. Ciò premesso, si comprende meglio la ratio per cui l’art.14, V comma ter, del T.U. Immigrazione sia stato riformato dal d.l. n.89 del 2011, con la multa in luogo della reclusione. Per quanto concerne il rispetto dei diritti fondamentali dello straniero, la sentenza El Dridi, al paragrafo n.33, afferma che la Direttiva rimpatri “non permette agli Stati membri di applicare norme più severe nell’ambito che essa disciplina”. La Direttiva consente il “trattenimento” dello straniero irregolare in centri di permanenza temporanea, solo ed unicamente al fine di “preparare il rimpatrio e/o effettuare l’allontanamento”. Questa misura è soggetta ai presupposti oggettivi del pericolo di fuga o della sussistenza oggettiva di condotte poste in essere dall’agente al fine di impedire il proprio rimpatrio. I termini non devono essere superiori ai sei mesi, prorogabili per un massimo di ulteriori dodici. Essa è comunque una misura diversa dalla reclusione in carcere.

275 La pronuncia pregiudiziale della Corte di Lussemburgo resa ai sensi dell’art. 267 TFUE ha un valore generale e vincola non solo il giudice a quo, ma anche tutti i giudici nazionali nonché la pubblica amministrazione nel suo complesso. Cfr. TESAURO G., Diritto dell’Unione europea, Cedam, Padova, 2010, p. 347 ss. Corte cost., 23 aprile 1985, n. 113; Corte cost., 13 luglio 2007, n. 284, secondo cui «le statuizioni della Corte di giustizia delle Comunità europee hanno, al pari delle norme comunitarie direttamente applicabili cui ineriscono, operatività immediata negli ordinamenti interni»; Corte giust., 22 giugno 1989, causa 103/88, Costanzo.

276 Secondo Cass., sez. I, 28 aprile 2011, n. 22105, in www.penalecontemporaneo.it, le conclusioni raggiunte dalla sentenza della Corte di Giustizia valgono, a fortiori, per il reato previsto dall’art. 14 comma 5-quater d.lgs. n. 286 del 1998, il quale deve essere disapplicato perché contrario al risultato che la direttiva rimpatri intendeva perseguire. Precisandosi poi che l’esistenza di una causa di inammissibilità della impugnazione non implica che il ricorso debba essere rigettato; e pertanto, nella specie, la Corte ha adottato, sebbene l’imputato avesse rinunciato al ricorso, un dispositivo di annullamento senza rinvio della decisione impugnata.

110

la disciplina interna? Al riguardo, la giurisprudenza di merito maggioritaria ha

concluso nel senso di ritenere operante il principio secondo cui lex posterior

derogat priori, considerando tale situazione assimilabile al fenomeno

dell’abolizione di una figura di reato. Dunque, seguendo questa impostazione, la

«legge posteriore» cui l’art. 2, co. 2, c.p. fa riferimento deve essere individuata

nella norma comunitaria dotata di effetto diretto e di rango sovraordinato

rispetto alla legge nazionale

277

. La tesi in parola non può dirsi condivisibile in

quanto, pur non essendo contestabile che il “fatto non è più previsto dalla legge

come reato”, ciò non discende dalla circostanza che si è verificata una abolitio

criminis, ovvero una abrogazione di una norma incriminatrice sulla base del

criterio cronologico della lex posterior.

Degna di nota è invece l’impostazione secondo cui il “fatto non è più previsto

dalla legge come reato” perché «la norma incriminatrice non è al momento

applicabile (è quiescente), prevalendo su di essa la norma comunitaria

incompatibile»

278

. In altri termini, il criterio risolutore dell’antinomia tra norma

nazionale e norma europea non è quello cronologico condiviso dai giudici di

merito, bensì il principio di retroattività della lex mitior fondato sul principio della

supremazia del diritto dell’Unione su quello interno degli Stati membri (lex

superior derogat inferiori) che, peraltro, trova la sua consacrazione positiva a livello

internazionale e comunitario. Conseguentemente, non dovrà farsi applicazione

277 Trib. Ravenna, sez. pen., 9 maggio 2011, giud. Massini D’Agostini; Trib. Bari, sez. dist. Altamura, 10 maggio 2011, giud. Galesi; Trib. Bologna, 16 maggio 2011, giud. Castore (che parla di una “sorta di abolitio criminis”). E pure nella giurisprudenza di legittimità si è affacciata l’idea che l’effetto sia «paragonabile a quello della legge sopravvenuta [...] con portata abolitrice della norma incriminatrice». In tal senso, cfr. Cass., sez. I, 28 aprile 2011, n. 22105.

278 Così GAMBARDELLA M., Le conseguenze di diritto intertemporale prodotte dalla pronuncia della

Corte di giustizia El Dridi (direttiva “rimpatri”) nell’ordinamento italiano, 2011, in www.penalecontemporaneo.it. L’Autore precisa che «In definitiva, lo strumento giuridico per

comporre l’antinomia tra norma comunitaria e norma interna è costituito dalla immediata disapplicazione (o non applicazione) di quest’ultima a vantaggio della prima. Designando con il termine disapplicazione un meccanismo di risoluzione di conflitti tra norme fondato sul principio della gerarchia delle fonti, in virtù del quale la norma che deriva dalla fonte di grado superiore prevale su quella di grado inferiore (lex superior derogat inferiori). […] il criterio del primato della norma comunitaria non conduce all’annullamento della norma incriminatrice confliggente con la norma comunitaria sovraordinata, bensì soltanto alla sua disapplicazione da parte del giudice nazionale, a cui pertanto è affidato una sorta di controllo diffuso sulla conformità del diritto interno al diritto comunitario. Attraverso il meccanismo della disapplicazione s’impedisce, allora, alla norma incriminatrice di produrre i suoi effetti, se ne paralizza l’operatività. Non si incide, invece, sulla sua validità. E pertanto se si procedesse in futuro alla abrogazione della direttiva mediante un atto comunitario, l’incriminazione riprenderebbe a spiegare i suoi effetti (riacquisterebbe efficacia)».

111

della disciplina intertemporale dettata all’art. 2 c.p., quanto piuttosto del

principio della retroattività della legge più favorevole così come consacrato a

livello internazionale ed europeo

279

. In particolare, per quanto riguarda i processi

penali pendenti, l’applicazione del principio in parola conduce all’immediato

proscioglimento dell’imputato. Ma, secondo quale formula? Sul punto occorre

distinguere: se la condotta è precedente al termine finale entro cui il nostro Stato

avrebbe dovuto adeguarsi dal punto di vista normativo alla direttiva rimpatri

(ossia, il 24 dicembre 2010), il giudice, ex art. 129 c.p.p., in ogni stato e grado del

processo deve dichiarare immediatamente, anche di ufficio, che «il fatto non è

più previsto dalla legge come reato»

280

; se l’inosservanza dell’ordine del questore

è iniziata successivamente al termine finale di adeguamento del 24 dicembre

2010, il giudice deve pronunciare immediata sentenza di assoluzione, ai sensi

dell’art. 129 c.p.p., «perché il fatto non sussiste»

281

.

Per quanto concerne poi le sentenze di condanna ormai irrevocabili, nella

giurisprudenza di merito si è correttamente abbracciata la tesi che individua

nell’interpretazione analogica dell’art. 673 c.p.p. lo strumento che consente la

revoca delle sentenze di condanna passate in giudicato nel caso di inapplicabilità

sopravvenuta della norma nazionale a seguito di una sentenza della Corte di

giustizia che ne asserisca l’incompatibilità con la norma comunitaria; anche al

fine di fornire una interpretazione costituzionalmente orientata alla disposizione

che, altrimenti, sarebbe fortemente indiziata di incostituzionalità per contrasto

con gli artt. 3, 11 e 117 comma 1 Cost. Revoca della sentenza di condanna che

279 Come vedremo in maniera più approfondita nel prosieguo della trattazione, si tratta in particolare dell’art. 15 paragrafo 1 del Patto internazionale sui diritti civili e politici (adottato a New York il 16 dicembre 1966, ed entrato in vigore per l’Italia il 15 dicembre 1978); dell’art. 49 comma 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 (oggi espressamente richiamata dal Trattato di Lisbona); dell’importante sentenza “Scoppola” della Corte europea, la quale, disattendendo la giurisprudenza precedente, ha riconosciuto che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, all’art. 7, fa proprio il principio di retroattività della legge penale più favorevole; della giurisprudenza della Corte di giustizia secondo cui il principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite deve essere considerato parte integrante dei principi generali del diritto comunitario (Corte giust. CE, sent. 3 maggio 2005, Grande sezione, cause riunite C-387/02, C-391/02, C-403/02, Berlusconi e altri, in Cass.

pen., 2005, p. 2764 ss., con nota di G. INSOLERA-V. MANES, La sentenza della Corte di giustizia sul

“falso in bilancio”: un epilogo deludente?.

280 Ovvero con la stessa formula il giudice è tenuto a pronunciare l’assoluzione dell’imputato,

ex art. 530 comma 1 c.p.p., per il normale esito del processo al compimento dell’attività

dibattimentale.

112

può essere compiuta per mezzo di un provvedimento adottato de plano dal

giudice dell’esecuzione, senza una previa udienza in camera di consiglio ai sensi

dell’art. 666 commi 3 e 4 c.p.p.

282

In conseguenza della decisione della Corte di Lussemburgo, con d.l. 23

giugno 2011 n. 89, convertito con modificazioni dalla legge 2 agosto 2011 n.

129, il legislatore italiano ha inteso uniformarsi ai dettami della direttiva

rimpatri, introducendo significative innovazioni al sistema di esecuzione delle

decisioni di rimpatrio emesse nei confronti dello straniero extracomunitario

irregolarmente soggiornante nel territorio dello Stato. Tra le altre modifiche, il

legislatore è intervenuto anche sui delitti di inottemperanza all’ordine di

allontanamento puniti dall’art. 14 che la suddetta sentenza della Corte di

Giustizia dell’Unione europea aveva dichiarato illegittimo, in quanto la

previsione di una pena detentiva a carico dello straniero inottemperante

all’ordine risultava in contrasto con detta direttiva. Dunque, per rendere

conformi le incriminazioni ai principi affermati in sede europea, il legislatore ha

282 GAMBARDELLA M., Le conseguenze di diritto intertemporale prodotte dalla pronuncia della Corte

di giustizia El Dridi (direttiva “rimpatri”) nell’ordinamento italiano, 2011, in

www.penalecontemporaneo.it affronta poi il caso in cui la sentenza di condanna irrevocabile sia

stata emessa dopo lo scadere del termine in cui doveva avvenire l’adeguamento dell’Italia alla direttiva “rimpatri” (il 24 dicembre 2010), ma prima della sentenza della Corte di giustizia che ha affermato l’incompatibilità del citato illecito penale con la direttiva “rimpatri”: « Siamo di fronte ad un error in iudicando assorbito dal giudicato che limita la possibilità di revoca della sentenza definitiva ex art. 673 c.p.p.? Il giudice dell’esecuzione può cioè ancora revocare la sentenza di condanna, oppure l’errore di diritto del giudice della cognizione circoscrive ormai la revoca del giudicato? Senza poter qui approfondire tale complicato quesito, si può però brevemente osservare che il presupposto per la revoca della sentenza definitiva di condanna, ex art. 673 c.p.p., è che la innovazione legislativa, costituita qui dallo scadere del termine per applicare la direttiva, sia intervenuta dopo la commissione del reato; vicenda modificativa che impedisce alla classe di fatti penalmente illeciti, che contrastano con la direttiva comunitaria, di operare. Non è decisivo che l’abrogazione normativa sia avvenuta (o l’obbligo di disapplicazione della incriminazione sia sorto) prima o dopo la sentenza di condanna irrevocabile, decisivo è che l’abrogazione (o la disapplicazione) si sia configurata dopo la commissione del reato. A tal proposito, una chiara indicazione in questo senso proviene da quanto disposto dall’art. 2 commi 1 e 2 c.p.: se per una legge posteriore alla commissione dell’illecito penale “il fatto ... non costituisce reato”, cessano l’esecuzione e gli effetti penali della condanna irrevocabile. L’art. 673 c.p.p. deve pertanto ritenersi applicabile nel caso in cui il fenomeno abolitivo sia intervenuto (o il dovere di disapplicazione si sia concretizzato) prima del passaggio in giudicato della sentenza, ma non sia stata rilevato dal giudice (finanche dal giudice di Cassazione); ovvero quando il giudice abbia espressamente escluso, in modo erroneo, che la modifica abbia comportato una abolitio criminis o un obbligo di disapplicazione della norma incriminatrice nazionale contrastante con la norma comunitaria».

113

riscritto le fattispecie incriminatrici di cui ai commi 5 ter e 5 quater dell’art. 14,

sostituendo la pena della reclusione con quella della multa

283

.

5.3.

L’incompatibilità parziale. Il caso Trinca.

L’incidenza riflessa della normativa europea su quella interna è riscontrabile

per il manifestarsi di profili di incompatibilità non soltanto totale ma anche

parziale tra precetti comunitari e nazionali. Nel primo caso la norma

comunitaria rende inapplicabile la norma penale in tutta la sua estensione,

mentre nel caso di incompatibilità parziale si realizza una limitazione del campo

di applicazione della legge interna.

Questo fenomeno è dovuto al ricorso alla tecnica legislativa della norma

penale in bianco e alla frequente integrazione dei precetti penali ad opera di

elementi normativi definiti da norme extrapenali di fonte comunitaria. Il

fenomeno disapplicativo, che può verificarsi, per rispetto alla ratio garantistica

del principio di legalità, soltanto allorché non influisca contra reum, è accolto

dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti

284

. La disapplicazione in bonam

partem, infatti, è ritenuta ammissibile poiché tende ad un trattamento di favore

restringendo l’ambito del penalmente rilevante, sicché non stride con l’assenza di

potestà normativa penale dell’ordinamento comunitario.

Al contrario, non può dirsi lo stesso con riferimento alla disapplicazione in

malam partem: si è detto più volte che, nei casi di contrasto tra la normativa

penale nazionale e le istanze comunitarie di tutela, la Corte di Giustizia ha

283 La pena pecuniaria, in caso di violazione dell’ordine del Questore, costituisce un deterrente per la presenza irregolare sul territorio nazionale, nell’ambito delle misure, anche penali, volte all’esecuzione del provvedimento di rimpatrio, ferme restando quelle già previste dell’accompagnamento coattivo, del trattenimento nel CIE e dell’intimazione del Questore. Inoltre, sempre nell’ottica di favorire l’effettivo espatrio dello straniero espulso, è previsto che in caso di espulsione effettivamente eseguita il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere, fatto salvo un nuovo esercizio dell’azione penale nel caso in cui lo straniero rientri illegalmente nel territorio dello Stato (comma 5 septies).

284 Per tutte, CGUE, 3 maggio 2005, in Foro it., 2005, VI, p. 285 secondo cui «qualsiasi giudice nazionale, adito nell’ambito della sua competenza ha non solo l’obbligo di applicare integralmente il diritto comunitario e di tutelare i diritti che questo attribuisce ai singoli», ma anche il correlativo obbligo di «disapplicare immediatamente e direttamente le disposizioni eventualmente contrastanti della legge interna, sia anteriore sia successiva alla norma comunitaria»

Nel documento Verso la europeizzazione del diritto penale? (pagine 115-121)