Un fenomeno di incompatibilità, seppure impropriamente, può realizzarsi
anche per via del conflitto che potrebbe intercorrere tra la norma comunitaria e
la parte sanzionatoria del precetto penale, sì che il contenuto della pena,
principale o accessorio, non può di conseguenza dispiegarsi interamente
329. In
altri termini, è possibile che gli effetti riflessi della normativa europea si
riverberino esclusivamente sui profili sanzionatori (tipologia e misura) della
disciplina penale, senza in alcun modo intaccare il contenuto precettivo della
norma. Al riguardo, in dottrina si è distinto tra effetti che si producono, da un
lato, sulle sanzioni che per il loro contenuto si contrappongono direttamente alle
libertà riconosciute dai Trattati, dall’altro sulle sanzioni stabilite per la violazione
di precetti il cui contenuto interferisca con la regolamentazione comunitaria.
Un esempio di effetti riflessi si ha con la previsione di misure di espulsione
dello straniero
330. Invero, nel caso in cui queste vengano applicate nei confronti
di un cittadino di un altro Stato membro, è indubbio che interferiscano con le
libertà fondamentali riconosciutegli dai Trattai, in particolare le libertà di
circolazione e di stabilimento. Per far fronte a questa possibile incidenza è stata
adottata la direttiva 64/221 concernente il «coordinamento dei provvedimenti
speciali riguardanti il trasferimento ed il soggiorno degli stranieri giustificati da
motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica», in base alla
quale si impone che eventuali misure che comprimano o limitino i diritti di
328 Traccia del principio di non abrogabilità di tali leggi la si è voluta trovare nella sentenza della corte Costituzionale 7 febbraio 2000, n. 31, che ha dichiarato inammissibile il referendum abrogativo dell’intero TU immigrazione.
329 In argomento, v. MARINUCCI G. – DOLCINI E., Corso di diritto penale, Giuffrè, Milano, 2001, p. 75 ss.; GRASSO G., Comunità europee e diritto penale: i rapporti tra l’ordinamento comunitario
e i sistemi penali degli Stati membri, Giuffrè, Milano, 1989, p. 205 ss.
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soggiorno dei beneficiari debbano fondarsi su un «comportamento personale»
331dell’interessato o non possano essere adottate per motivi di prevenzione generale
né possano fondarsi sic et simpliciter su una precedente sentenza di condanna
penale, qualora non si provi ad esempio una «tendenza a persistere» nel
comportamento criminoso
332, anche se, ricorda la Corte di Lussemburgo, non
può escludersi a priori che «la sola condotta tenuta in passato costituisca una
minaccia per l’ordine pubblico»
333. Tuttavia, ad eccezione di quest’ultima ipotesi,
è necessario che il provvedimento si fondi su una valutazione attuale del
comportamento del reo, comportamento che deve rappresentare «una minaccia
effettiva e abbastanza grave per uno degli interessi fondamentali della
collettività»
334, non essendo sufficiente la causazione di una mera «perturbazione
dell’ordine sociale insita in qualsiasi infrazione della legge».
Su queste basi la Corte di giustizia ha ritenuto, nella sentenza Calfa
335,
contrastante con la direttiva 64/221 l’espulsione a vita dal territorio greco
«pronunciata in modo automatico, senza tener conto del comportamento
personale dell’autore del reato, né del pericolo che esso costituisce per l’ordine
pubblico».
Per quanto riguarda l’ordinamento penale italiano, è necessario ricordare che
prima dell’entrata in vigore della legge 10 ottobre 1986, n. 663, il cui art. 31 ha
abrogato l’art. 204 c.p. e stabilito che tutte le misure di sicurezza siano applicate
sulla base di uno specifico accertamento di pericolosità sociale, la misura di
sicurezza dell’espulsione viene impartita sulla base di una presunzione di
pericolosità, addirittura essa conseguiva obbligatoriamente a talune condanne
penali
336dello straniero.
331 Si rinvia a Corte Giust. UE, 26 febbraio 1975, causa 62/74 (caso Bonsignore c/ Stadt Köln), in Racc., 1975, p. 306 s.
332 Corte Giust. UE, 10 febbraio 2000, causa c-340/97 (caso Nazli).
333 Corte Giust. UE, 27 ottobre 1977, causa 30/77 (Regina c/ Boucherau), in Racc., 1977, p. 2012 ss.
334 Corte Giust. UE, 18 maggio 1982, cause riunite 115 e 116/81 (Adoui et Cournaille C/ Belgio), in Racc., 1982, p. 1707 s.
335 Corte Giust. UE, 19 gennaio 1999, causa c-348/96 (caso Calfa).
336 Ad esempio si applicava a seguito di condanna alla pena della reclusione per un periodo non inferiore a 10 anni o in caso di condanna a pena detentiva per uno dei delitti previsti dal titolo I del libro II e, ancora, a causa della condanna per taluni delitti disciplinati dalla legge n. 685/75.
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Questa disciplina si poneva in contrasto con la direttiva più volte citata, dal
momento che essa prescrive all’art. 3 che la misura di espulsione non sia fondata
esclusivamente su una precedente condanna penale. Se l’intervento legislativo ha
eliminato l’aspetto di maggior contrasto della misura dell’espulsione dello
straniero con la disciplina europea basando la stessa su un effettivo accertamento
della pericolosità sociale, a parere della dottrina
337sembrerebbe permanere un
profilo di incompatibilità con la disciplina europea in quanto la pericolosità offre
la misura della probabilità che il reo compia nuovi reati in futuro ma nulla dice
circa l’efficacia destabilizzante dell’ordine pubblico del comportamento del
colpevole, sicché al momento di procedere all’espulsione di un cittadino
comunitario, secondo la dottrina che si cita, non basterà che il giudice accerti la
pericolosità sociale del condannato come definita dal codice penale italiano, ma
sarà necessario che il giudice assuma una nozione più restrittiva e pregnante di
pericolosità, circoscritta alla probabilità della commissione di reati
particolarmente gravi, tali da rappresentare una seria minaccia per uno dei
fondamentali interessi della collettività
338.
Per quanto riguarda invece le sanzioni stabilite per la violazione di precetti il
cui contenuto interferisce con la regolamentazione comunitaria, un primo limite
alla discrezionalità degli Stati membri è dato dal fatto che la sanzione per la
violazione delle prescrizioni che si collegano all’esercizio di un diritto
riconosciuto dalla normativa comunitaria non può essere tale da costituire un
ostacolo all’esercizio del diritto stesso
339, vale a dire tradursi in una negazione del
diritto.
Dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia inoltre possono desumersi una
serie ulteriore di limiti alla libertà degli Stati nella determinazione della sanzione
costituiti dall’applicazione dei principi di proporzione e ragionevolezza e da
quello di non discriminazione
340.
337 GRASSO G., Diritto penale e integrazione europea, in GRASSO G.-SICURELLA R. (a cura di),
Lezioni di diritto penale europeo, Giuffrè, Milano, 2007, p. 45.
338 MARINUCCI G.-DOLCINI E., Corso di diritto penale, Giuffrè, Milano, 2001, p. 75.
339 In questo senso, GRASSO G., Comunità europee e diritto penale: i rapporti tra l’ordinamento
comunitario e i sistemi penali degli Stati membri, Giuffrè, Milano, 1989, p. 319 s.
340 Corte Giust. UE, 18 maggio 1982, cause riunite 115 e 116/81 (Adoui et Cournaille c/ Belgio), in Racc., 1982, p. 1707 s.; Corte Giust. UE, 28 ottobre 1975, causa 36/75 (Rutili c/ Ministre de l’Interieur), in Racc., 1975, p. 1234 s.
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La Corte ha ravvisato un contrasto con il principio di proporzione in quei casi
in cui la sanzione appariva sproporzionata rispetto alla natura e alla gravità
dell’infrazione
341, rivelandosi una interferenza eccessiva sul diritto riconosciuto
dal diritto comunitario, lo stesso si avrebbe nel caso di un intervento
sanzionatorio esorbitante rispetto ai fini perseguiti. Il terzo limite è tracciato dal
principio di non discriminazione, che impone al legislatore di uno Stato membro
di non porre a carico di cittadini di altri Stati membri sanzioni più gravi di quelle
previste per i propri cittadini per infrazioni identiche o analoghe
342, tale
previsione risulterà oltre che discriminatoria anche sproporzionata ed eccessiva.
Anche rispetto alle sanzioni, dunque, occorre chiedersi quali siano le
conseguenze in caso di accertamento di un contrasto tra una sanzione penale e la
normativa comunitaria, Giovanni Grasso propone di distinguere le ipotesi di un
contrasto che coinvolga pene con carattere accessorio, da quelle invece che
hanno ad oggetto pene principali.
Nel primo caso secondo l’autore il contrasto dovrebbe risolversi in favore
della non applicazione della sanzione accessoria, in quanto non verrebbe
preclusa la comminazione della pena principale connessa al reato. Nel secondo
caso invece occorre verificare in prima battuta se l’esercizio del potere
discrezionale consenta al giudice di evitare il contrasto con la disciplina
sovranazionale, tale ipotesi è stata presa in considerazione dalla Corte di
Lussemburgo in occasione della sentenza Sagulo, nella quale ha affermato che
«qualora uno Stato non abbia adottato la propria legislazione alle esigenze
derivanti in materia dal diritto comunitario, il giudice nazionale dovrà far uso
della libertà di valutazione riservatagli al fine di pervenire all’applicazione di una
pena adeguata alla natura e allo scopo delle norme comunitarie di cui si vuole
reprimere l’infrazione».
341 Così, ad esempio, in Corte Giust. UE, 3 luglio 1980, causa 157/79 (caso Regina c/ Pieck), in Racc., p. 2187; Corte Giust. UE, 25 febbraio 1988, causa 299/86 (caso Drexl).
342 Si vedano le conclusioni dell’avvocato generale Trabucchi nella causa Watson e Belman, in Racc., 1976, p. 1207 ss. Il carattere sproporzionato ed eccessivo di una misura di controllo e della relativa sanzione può risultare proprio dall’avere il legislatore di uno Stato membro posto a carico dei cittadini di altri Stati membri di una sanzione più grave rispetto a quella prevista per i propri cittadini, tale previsione risulterà oltre che sproporzionata ed eccessiva anche discriminatoria.