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Competenze personali e interazione tra gli individu

5 4 Presentazione del caso interaziendale

2. i Tavoli di Miglioramento a cui partecipano operatori delle quattro organizzazioni in funzione dell’area di competenza operativa Tal

5.5. Analisi del caso

5.5.2. Competenze personali e interazione tra gli individu

La Comunità di prassi delle Direzioni Sociosanitarie Orobiche è compo- sta da organizzazioni che hanno, all’interno del “mercato”, una posizione differente. Infatti, come definito dalla L.R. 23/2015, l’ATS svolge un ruolo di programmazione e governance strategica, mentre le ASST si occupano dell’erogazione delle prestazioni. Ciò implica che la Comunità di prassi è formata da un’organizzazione la cui funzione è quella di supervisione delle altre tre, le quali sono tra loro concorrenti. Questo avrebbe potuto indurre ostilità nella condivisione delle conoscenze, ma ciò non è stato rilevato. La necessità di supporto e i meccanismi di fiducia, in particolar modo a livello strategico, hanno contribuito ad arginare la possibilità che si verificassero limitazioni alla cooperazione e alla condivisione.

L’atteggiamento che ha caratterizzato tutti i Direttori Sociosanitari è stato quello della collaborazione e del confronto rispetto alle decisioni e alle proble- matiche emerse durante l’attività giornaliera. L’abitudine al confronto periodico, limitatamente alle esperienze effettuate, è di lungo corso nel settore, non solo a livello provinciale. Tuttavia, il fattore differenziale tra gli incontri istituzionali di raccordo e lo stile peculiare appartenente ai membri della Comunità di prassi sta nell’incontro costante, all’emergere delle criticità o delle necessità. Più che una narrazione sterile delle esperienze delle singole organizzazioni risulta essere una collaborazione continua nell’affrontare la quotidianità.

L’impegno reciproco è evidente scorrendo la sezione dei verbali relativa alle presenze. Ad eccezione di un incontro, non vi sono riunioni dei Tavoli Strategici dove sia mancata la rappresentanza delle Direzioni Sociosanitarie, nella figura del Direttore o di un membro del suo staff. Il tasso di presenza è superiore al 94%.

Dai verbali si evince che il Tavolo Strategico si è incontrato 17 volte nei 12 mesi del 2017, quindi ha effettuato un incontro ogni circa tre settimane. Con particolare riferimento al Tavolo Strategico, è stata riscontrata la volontà comune di orientarsi verso la logica di miglioramento continuo, di sostenere l’integrazione e la cooperazione tra gli attori del sistema.

Le modalità di approccio al problema o, più in generale, all’operatività vengono sempre discusse nel Tavolo Strategico e approvate successivamente tramite la validazione del verbale di ogni riunione. La redazione e condivi- sione dei verbali ha, inoltre, garantito che tutti i membri della Comunità fos- sero a conoscenza delle informazioni, a seconda dell’area di competenza e della funzione che ricoprivano nelle rispettive organizzazioni. L’ordine del giorno degli incontri del Tavolo Strategico, in cui vengono esplicitati i pro- blemi e le tematiche da approfondire coerentemente con le necessità del ter- ritorio e le eventuali proposte avanzate dalle ASST, è definito da ATS tramite un incontro di semplice raccordo tra il Direttore Sociosanitario e il suo staff. Esso viene comunque stilato considerando le eventuali proposte provenienti dalle Direzioni Sociosanitarie delle ASST.

Dalla lettura dei verbali degli incontri del Tavolo Strategico è possibile notare che le discussioni vengono affrontate, a meno di richieste specifiche da parte dei partecipanti, senza alcun preambolo iniziale che ricordi le deci- sioni o le considerazioni precedenti. La possibilità di prepararsi sulle temati- che all’ordine del giorno e, eventualmente, di accedere estemporaneamente alle informazioni è garantita dall’Agenda Setting (di seguito verranno appro- fonditi gli strumenti a sostegno della CdP).

Tale approfondimento non può essere effettuato per i Tavoli di Migliora- mento per l’assenza di verbali formalizzati. È però possibile notare che le Co- munità di Pratica sviluppate nei Tavoli di Miglioramento hanno maturato un gergo comune, spesso caratterizzato da sigle o da riferimenti normativi, che permette ai partecipanti di poter favorire la comprensione durante i colloqui. Inoltre, sono stati creati strumenti, come la “Procedura relativa alla documen- tazione interaziendale”, che hanno la funzione di codificare format condivisi in modo che venga facilitato l’accesso alle informazioni e alle conoscenze.

La letteratura sulle CdP suggerisce di analizzare la velocità del flusso di informazioni quale fattore di successo delle comunità. Questo elemento è in- fluenzato negativamente dalla cultura burocratica tipicamente riscontrabile in

questo tipo di organizzazioni. Considerato tale influsso, è possibile riscontrare che attraverso l’attività della Comunità di prassi c’è stata una lieve accelera- zione del flusso informativo. A titolo esemplificativo, si fa riferimento al fre- quente e diretto scambio di informazioni in merito alle deliberazioni e alle pro- cedure vigenti tra gli Uffici Qualità Aziendali durante gli incontri del Tavolo di Miglioramento dedicato alla qualità. Quest’ultimo, infatti, ha permesso il contatto diretto tra tutti gli operatori delle singole organizzazioni favorendo lo scambio informale di informazioni in merito allo stato di avanzamento del pro- cesso legato alla deliberazione delle procedure, all’utilizzo delle stesse e alle criticità che presentano una volta applicate a livello operativo.

Considerata la situazione di partenza e la difficoltà di slegarsi dalla logica burocratica intrinseca nelle organizzazioni, è possibile asserire che l’introdu- zione di una Comunità di Pratica ha contribuito a rendere più flessibile e fluida l’interazione tra i diversi individui e le diverse organizzazioni. Questo è particolarmente vero a livello di Tavolo Strategico, dove non vi è alcuna ostilità nella condivisione delle informazioni, all’interno dei Tavoli di Mi- glioramento si sono invece rilevate alcune resistenze principalmente legate alla novità dei processi e della modalità di lavoro.

La difficoltà di condivisione delle conoscenze potrebbe essere conse- guenza, così come vorrebbe la teoria delle CdP, della partecipazione non spontanea agli incontri dei Tavoli di Miglioramento. Infatti, se tra i Direttori Sociosanitari si sono sviluppati meccanismi di fiducia che hanno favorito anche l’informalità dei contatti all’interno della Comunità, ciò è avvenuto in misura minore tra gli altri membri.

Sebbene l’aspettativa di reciprocità e i rapporti di fiducia fatichino ad in- staurarsi all’interno dei Tavoli di Miglioramento, questi possono essere incre- mentati mediante l’utilizzo di sistemi che influiscono sulla motivazione dei membri. Attualmente la Comunità di prassi utilizza incentivi monetari per sti- molare il raggiungimento degli obiettivi strategici. Tuttavia, come evidenziato da Davenport e Hall (2002), è necessario considerare che la condivisione della conoscenza non può avvenire come imposizione, ma può solo essere stimolata. Infatti, l’utilizzo di incentivi economici può non essere sufficiente in quanto il knowledge sharing comporta un lento cambiamento culturale.

La complessità della gestione del flusso di conoscenza all’interno della Comunità porta a sostenere, almeno parzialmente, la tesi esposta da Profili (2004). L’autore ritiene, infatti, che la condivisione spontanea delle cono- scenze che caratterizza le CdP possa difficilmente verificarsi nel rispetto delle gerarchie formali. Nonostante ciò, i segni e gli stimoli decisamente po- sitivi osservati a livello del Tavolo Strategico lasciano presagire tutte le po- tenzialità delle CdP nell’accelerare la trasformazione in atto nel settore

pubblico, diffondendo con maggiore rapidità le conoscenze e fornendo uno spazio di confronto tra i membri che si trovano a dover affrontare le difficoltà legate al rilevante cambio di passo culturale (Bonaretti e Codara, 2001).

5.5.3. Governance

Tra i fattori critici per il successo delle CdP Probst e Borzillo (2008) ne individuano quattro legati al ruolo dei partecipanti alla comunità o, più ge- nericamente, alla struttura organizzativa. Ciò assume particolare rilevanza nel caso specifico considerato che:

 la Comunità di prassi nasce in un contesto manageriale inter-organiz- zativo;

 le organizzazioni che vi partecipano non hanno, così come definito dalla L.R. 23/2015, posizioni paritarie;

 la cultura fortemente insita nelle organizzazioni è di tipo formale-bu- rocratico;

 la partecipazione all’interno della Comunità di prassi non è spontanea, ma segue la gerarchia interna delle organizzazioni ed è “imposta” dai Direttori.

Dall’analisi della struttura e del processo di attività della Comunità di prassi emerge chiaramente come la Comunità sia fortemente sbilanciata verso le Direzioni Sociosanitarie. È prova di ciò la partecipazione dei Diret- tori ai Tavoli di Miglioramento con finalità di supervisione dei processi.

Nella prima formulazione i diversi ruoli e le rispettive funzioni che ven- gono definiti dalla teoria delle CdP convergono tutti all’interno del Tavolo Strategico dei Direttori Sociosanitari. Unica eccezione è l’identificazione del Direttore Sociosanitario ATS come coordinatore della Comunità, ciò appare coerente con quanto definito dalla normativa.

Tuttavia, è doveroso sottolineare che il coinvolgimento di più organizza- zioni incrementa la complessità dell’identificazione dei ruoli. Si prenda ad esempio la funzione dello sponsor. Quest’ultima potrebbe essere svolta dal Direttore Sociosanitario dell’ATS in quanto rappresentante dell’organizza- zione deputata alla governance del sistema provinciale, ma tale figura non ha influenza reale all’interno delle ASST per fare in modo che il Direttore Generale di ogni singola azienda decida di supportare la Comunità di prassi. Ne consegue che, per questioni legate alla loro afferenza gerarchica, ogni

Direttore Sociosanitario dovrebbe svolgere (e di fatto svolge) il ruolo di sponsor all’interno della propria organizzazione4.

In specifico, all’interno della Comunità di Prassi, i Direttori Sociosanitari sono chiamati a:

 sostenere e partecipare all’attività della Comunità data la sua valenza strategica nell’ottica di una risposta univoca, equi-accessibile ed effi- ciente ai cittadini;

 promuovere i suoi risultati nelle rispettive organizzazioni;  adottare logiche di problem solving condiviso;

 sostenere l’implementazione delle best practice definite all’interno della Comunità;

 nominare i partecipanti ai Tavoli di Miglioramento (poi dei Gruppi di Lavoro) considerando la competenza tecnica, l’interesse e la sensibi- lità all’argomento oggetto dell’approfondimento;

 favorire la collaborazione tra il personale delle rispettive organizza- zioni chiamato a partecipare alla Comunità di prassi.

Dal confronto di tali responsabilità con i ruoli e le rispettive funzioni così come indicati nella teoria delle CdP emerge che il Tavolo Strategico assume all’interno della Comunità di prassi una funzione assimilabile a quella del Comitato di governance. Spetta a quest’ultimo, infatti, la valutazione dell’at- tività della CdP al fine di verificarne la coerenza con la strategia dell’orga- nizzazione e la presentazione dei risultati al management. Anche il monito- raggio dei Tavoli di Miglioramento (e poi dei Gruppi di Lavoro) in capo alle Direzioni Sociosanitarie coincide con il ruolo del Comitato di governance al quale fa capo la gestione delle sotto-CdP.

Come più sopra evidenziato, ai Direttori Sociosanitari è conferita anche la funzione, che la teoria delle CdP pone sotto la responsabilità dello spon- sor¸ di pubblicizzare i risultati della Comunità in particolar modo nei con- fronti delle organizzazioni. Tale scostamento rispetto alla teoria è frutto dell’ambiente gerarchico in cui è nata la Comunità di prassi. Considerata la necessità di rispettare i gradi così come assegnati all’interno delle organiz- zazioni, l’allontanamento rispetto ai canoni teorici, che si riferiscono princi- palmente ad aziende private, può essere considerato accettabile.

Nel caso di studio pare, inoltre, evidente che il nucleo della CdP coincida con il Tavolo Strategico. I Direttori Sociosanitari risultano, infatti, i membri più attivi e motivati della Comunità e che maggiormente hanno sviluppato

4 Il rispetto delle gerarchie organizzative risulta essere un punto molto influente in merito alla

partecipazione nella Comunità di prassi. Infatti, i membri vengono prevalentemente coinvolti a seconda della loro posizione organizzativa e non alla loro reale propensione alla coopera- zione e alla condivisione delle informazioni.

senso di appartenenza alla stessa. Tale deduzione appare scontata se si con- sidera che la Comunità di prassi nasce per rispondere a un’esigenza strate- gico-organizzativa degli stessi Direttori Sociosanitari.

Particolare attenzione merita la figura del leader della CdP. Nel rispetto della teoria delle Comunità di pratica, tale ruolo dovrebbe definirsi sponta- neamente all’interno della comunità. Il leader rappresenta colui cha la co- munità stessa sceglie come riferimento al fine di:

 guidare la comunità;

 motivare e spronare la partecipazione;

 sostenere l’integrazione e la cooperazione tra i membri.

Sulla sua figura spesso può ricadere la responsabilità della comunità in quanto egli convoca e modera gli incontri della stessa agevolando la diffu- sione delle conoscenze.

Nel caso di studio tale ruolo corrisponde a quello del Direttore Sociosa- nitario dell’ATS. Questo potrebbe essere motivabile con la funzione che la L.R. 23/2015 assegna all’organizzazione che egli rappresenta. Durante il pe- riodo di osservazione della Comunità di prassi è, tuttavia, stato rilevato che il ruolo di leader in capo al Direttore della suddetta organizzazione è ricono- sciuto all’interno del Tavolo Strategico non solo per mera attuazione norma- tiva. Ad oggi, dunque, imposizione normativa, teoria delle CdP e realtà della Comunità di prassi coincidono. Viene, dunque, spontaneo chiedersi come potrebbe evolvere tale aspetto nel caso in cui ciò non dovesse più verificarsi.