• Non ci sono risultati.

Evoluzione della struttura organizzativa

5 4 Presentazione del caso interaziendale

2. i Tavoli di Miglioramento a cui partecipano operatori delle quattro organizzazioni in funzione dell’area di competenza operativa Tal

5.5. Analisi del caso

5.5.6. Evoluzione della struttura organizzativa

Tenuto conto delle criticità rilevate, delle problematicità emerse e delle nuove esigenze di contesto, la Comunità di prassi si è lentamente evoluta verso una nuova struttura che dovrebbe, almeno teoricamente, favorire ulte- riormente la condivisione delle conoscenze e il flusso informativo.

Inoltre, la forte presenza delle Direzioni Sociosanitarie nella struttura or- ganizzativa iniziale della Comunità di prassi era facilmente comprensibile se si considera il contesto generale delineato dalla L.R. 23/2015. La necessità di integrare i servizi sociosanitari all’interno delle ASST e la nuova figura, per altro poco chiaramente definita dal legislatore, del Direttore Sociosani- tario comportavano l’estremo bisogno di comprendere molti aspetti che ri- sultavano, ai tempi della strutturazione della Comunità di prassi, alquanto confusi. Oggi, a quasi tre anni dalla riforma sanitaria lombarda, il contesto appare più limpido: le singole ASST hanno provveduto alla riorganizzazione aziendale e la figura del Direttore Sociosanitario ha assunto una sua colloca- zione all’interno delle organizzazioni. Da ciò, è emersa la necessità dei

Direttori di slegarsi dai Tavoli di Miglioramento e di concentrarsi sulle deci- sioni strategiche di competenza.

Tali considerazioni hanno comportato la ristrutturazione della Comunità di prassi favorendo, seppur con tutte le cautele precedentemente citate, la definizione di ruoli e delle relative funzioni più coerente con la teoria delle CdP.

La modifica apportata nei primi mesi del 2018 ha coinvolto l’organi- gramma e il processo di attività della Comunità di prassi, non ha invece in- fluito né sul modello di management, né sugli strumenti a supporto della co- munità.

In particolare, il Tavolo di Miglioramento della Qualità Interaziendale è stato trasformato in Tavolo fisso in staff al Tavolo Strategico delineando una nuova struttura organizzativa. I vecchi Tavoli di Miglioramento sono stati trasformati in Gruppi di Lavoro (permanenti e “in Time”).

La nuova struttura influisce sul processo di attività della Comunità e per- mette di identificare chiaramente:

 l’organismo decisionale, ossia il Tavolo Strategico;

 quello di supporto al monitoraggio dell’attività, ossia il Tavolo Qua- lità Interaziendale (TQI);

 i gruppi operativi, suddivisi in Gruppi di Lavoro (GdL), permanenti e “in Time”.

Nello specifico, il Tavolo Qualità Interaziendale è composto da personale degli Uffici Qualità Aziendali delle quattro organizzazioni e si occupa di:

 mappatura, analisi e supporto all’implementazione dei processi so- ciosanitari;

 monitoraggio dei processi interni della Comunità di prassi;  supporto alla redazione della documentazione interaziendale;  effettuare audit interaziendali;

 effettuare il riesame della Comunità di prassi.

In relazione alla sua funzione di monitoraggio dell’attività della Comu- nità di prassi il TQI assume ruolo di supporto al Tavolo Strategico nella de- finizione della strategia, in quanto la sua funzione permette di evidenziare aree critiche da implementare o punti di forza da mantenere.

I Gruppi di Lavoro costituiscono il cuore operativo della Comunità. Nello specifico quelli permanenti si occupano di monitoraggio dell’appropriatezza delle attività, definizione di best practice e aggiornamento della documenta- zione. I Gruppi “in Time”, invece, vengono costituiti per effettuare approfon- dimenti teorici, studi di fattibilità o sviluppo di progetti innovativi.

La nuova strutturazione implica una modifica nelle relazioni che intercor- rono tra gli organi della Comunità stessa. Il processo della Comunità di prassi

si sviluppa, infatti, in modo circolare. Si origina dalla definizione degli obiet- tivi da parte del Tavolo Strategico, prosegue con l’attività specifica del Ta- volo e con l’assegnazione dei mandati ai Gruppi di Lavoro e si conclude con l’emissione dell’outcome da parte del Tavolo stesso.

In qualità di partecipanti alla Comunità di prassi i componenti del TQI e dei Gruppi di Lavoro hanno la responsabilità di interagire con i colleghi delle altre organizzazioni al fine di definire best practice condivise che rispondano ai bisogni dei cittadini. Inoltre, hanno la responsabilità di adempiere ai man- dati assegnati dal Tavolo Strategico nelle modalità e nei tempi previsti.

Appare chiaro che tutto il personale coinvolto nell’attività della Comunità di prassi ricopra la posizione che la teoria delle CdP definisce come parteci- pazione periferica. L’impegno dei membri e la loro motivazione rispetto all’argomento fa sì che essi abbiano una maggior relazione con il Tavolo Strategico. In tal senso i partecipanti dei GdL e del TQI si muovono lungo la traiettoria della partecipazione verso il nucleo della Comunità.

Particolare attenzione merita la posizione dei partecipanti al TQI. Essi, coerentemente alla posizione di staff del Tavolo stesso, assumono una fun- zione di collegamento tra le conoscenze generate dai GdL e le Direzioni So- ciosanitarie. Nella logica del miglioramento continuo, a cui la Comunità di prassi si ispira, è stata assegnata loro la responsabilità di partecipare ai GdL al fine di:

 favorire la riflessione rispetto al mandato;  monitorare il processo di lavoro del GdL;

 facilitare il processo di raggiungimento dell’obiettivo e garantire la coerente attuazione del mandato nei tempi previsti;

 supportare, per la componente formale, il GdL nell’eventuale stesura delle procedure.

Le responsabilità dei componenti del TQI, tuttavia, vanno oltre i meri adempimenti pratici all’interno della Comunità. Ad essi, infatti, competono responsabilità “ponte” tra la Comunità di prassi e le organizzazioni. Più nel dettaglio hanno il compito di:

 diffondere la qualità come valore aziendale e interaziendale;

 collaborare per migliorare l’efficienza, l’efficacia dei processi socio- sanitari;

 svolgere l’attività affinché possa essere di supporto, ma anche di in- put alle Direzioni Sociosanitarie nel definire le strategie;

 fare da connettori tra il TQI e l’organizzazione di appartenenza. Confrontando le attività in capo al Tavolo Qualità Interaziendale e le re- sponsabilità dei suoi partecipanti con la descrizione che la teoria delle CdP

offre, è possibile sostenere il TQI sta progressivamente assumendo il ruolo di sponsor.

5.6. Conclusioni

«La pubblica amministrazione è un soggetto che agisce non nel proprio interesse ma nell’“interesse pubblico” […]. Se questo è vero, ed è vero che questa è la ragion d’essere dell’amministrazione, allora la qualità dell’ammi- nistrazione sta nel sapere seguire, comprendere ed adeguarsi alle esigenze della società di cui è parte» (Cozzi, 2008, p. 33).

Cambiamento e qualità sono fattori strettamente interconnessi. Nel caso specifico, è impossibile pensare ad una pubblica amministrazione di qualità che resti immutata nel tempo. Tuttavia, il cambiamento si configura come un processo in cui è necessario identificare una modalità di avvio e i fattori che possono mantenerlo vitale sostenendolo nel tempo.

Gli artefici del cambiamento nelle pubbliche amministrazioni sono le per- sone, dipendenti e gli stakeholder.

Nel tentativo di governare la complessità introdotta da questa nuova vi- sione acquistano esponenzialmente rilievo l’asset della conoscenza, sia essa intesa come competenza individuale che organizzativa, e l’interazione so- ciale tra gli attori del settore.

Affinché i diversi componenti del sistema operino in modo coordinato e unitario sono necessari un alto grado di interazione che favorisca il “processo di convergenza” e la consapevolezza comune di quali siano i bisogni, espressi e non, dei cittadini.

Il cambiamento richiesto è legato alla capacità «di rispondere ai bisogni di realtà sociali in continuo mutamento, che tendono a farsi più complesse» (Cozzi, 2008, p. 53).

Il caso studiato si posiziona in un contesto pubblico in profondo cambia- mento, sia per ragioni normative, sia per i bisogni della popolazione, radical- mente diversi rispetto al passato. Entrambe queste spinte sollecitano risposte innovative da parte degli attori del sistema. L’analisi ha fatto emergere come una CdP interorganizzativa possa essere uno strumento che favorisce la con- divisione di esperienze, lo sviluppo e la diffusione di conoscenza.

È risultato piuttosto evidente come alcuni elementi, quale ad esempio la strutturazione gerarchica delle aziende di provenienza, abbiano influito sui meccanismi di funzionamento e sulla diffusione del flusso di conoscenza. Gli obiettivi individuati sono stati molto numerosi e riguardanti tematiche molto ampie e diverse.

Al contempo, sono emerse alcune caratteristiche che hanno consentito alla CdP di raggiungere risultati di interesse. Ad esempio, nonostante la numerosità degli obiettivi, la chiarezza nella loro definizione e disarticolazione, unita al fatto che prevedevano il coinvolgimento di figure aziendali appropriate, ha permesso di dare fluidità all’operatività della CdP e, conseguentemente, alle quattro aziende sociosanitarie. Inoltre, la valenza fortemente strategica con- nessa fin dall’origine alla CdP è stato un fattore importante, così come la rela- zione di fiducia all’interno del Tavolo Strategico che ha comunque guidato anche i più operativi Tavoli di Miglioramento. La scelta di alcuni strumenti di supporto, come la formazione interaziendale, ha assunto, anche verso le sin- gole aziende, un valore di coesione e ha reso chiaro l’intento complessivo.

Rispetto alla teoria è possibile sostenere come, anche in un contesto piut- tosto rigido e burocratico, una CdP può contribuire ad attivare meccanismi di condivisione e di cambiamento anche a livello interaziendale. Ciò che as- sume rilevanza in questi contesti è la capacità di bilanciare in modo appro- priato i rigidi meccanismi di funzionamento delle aziende con la spontaneità e informalità delle CdP. In tal senso giocano un ruolo determinante le figure che assumono i vari ruoli di sponsor, leader etc. e, nel caso di specie, le forme parzialmente condivise degli stessi ruoli.

L’evoluzione organizzativa della CdP conferma, rispetto alla teoria, il fatto che tali forme di cooperazione si modulano e si ricompongono in rela- zione alle forze interne e agli stimoli delle organizzazioni di provenienza.

Ponendosi in una prospettiva futura si potrebbe immaginare un’apertura delle sub-comunità a tutti gli stakeholder, al fine di coinvolgere e integrare tutti gli attori che possono avere un’influenza sui processi, così come speri- mentato da alcune esperienze analizzate in letteratura (Shaw et al., 2013; Gabbay et al., 2003; Ogden et al., 2014; Anderson-Carpenter et al., 2014). Si pensi, a titolo esemplificativo, ad una grande comunità per la prevenzione delle dipendenze in cui partecipano anche educatori, insegnati, singoli citta- dini che sono interessati all’argomento. In quest’ottica la Comunità di prassi, favorendo il cambiamento culturale degli operatori delle organizzazioni, si pone come un piccolo passo verso tale possibile evoluzione. CdP «may be used by organizations to counteract slow-moving hierarchies and potentially provide significant benefits to the organization in managing change» (Gara- van, 2007, p. 35).

Bibliografia

Alessandrini G. (a cura di) (2007), Comunità di pratica e società della conoscenza, Roma, Carocci.

Anderson-Carpenter K., Watson-Thompson J., Jones M., e Chaney L. (2014), “Using Communities of Practice to Support Implementation of Evidence-Based Prevention Strategies”, Journal of Community Practice, 22(1-2), pp. 176-188. Astrologo D. e Garbolino F. (2013), La conoscenza partecipata, Milano, Egea. Bardon T. e Borzillo S. (2016), “Communities of practice: Control or Autonomy”,

Journal of Business Strategy, 37(1), pp. 11-18.

Benson D. e Hughes J.A. (1983), The perspective of ethnomethodology, Longman Publishing Group.

Bonaretti M. e Codara L. (2001), Il Progetto Ripensare il Lavoro Pubblico: rifles- sioni su un’esperienza di sostegno all’innovazione, in Bonaretti M. e Codara L.,

Ripensare il lavoro pubblico. Come gestire le risorse umane e la contrattazione nelle amministrazioni pubbliche. Dipartimento della Funzione Pubblica. Ufficio

per l’innovazione delle pubbliche amministrazioni.

Borzillo S., Aznar S. e Schmit A. (2011), “A journey through communities of prac- tice: How and why members move from periphery to the core”, European Man-

agement Journal, 29, pp. 25 - 42.

Borzillo S. e Kaminska-Labbé R. (2011), “Step-in or Step-out: Supporting Innova- tion Through Communities of Practice”, Journal of Business Strategy, 32 (3), pp. 29-36.

Borzillo S., Schmitt A. e Antino M. (2012), Communities of Practice: Keeping the Company Agile”, Journal of Business Strategy, 33 (6), pp. 22-30.

Cozzi T. (2008), Le competenze manageriali tra pubblica amministrazione, imprese

e non-profit. Bari, Cacucci.

Davenport E. e Hall H. (2002), “Organizational Knowledge and Communities of Practice”, Annual Review of Information Science and Technology (ARIST), 36, pp. 171-227.

Davis F. (1973), “The Martian and the convert: Ontological polarities in social re- search”, Urban Life and Culture, 2(3), pp. 333-343.

Fabbri L. (2007), Comunità di pratiche e apprendimento riflessivo, Roma, Carocci. Gabbay J., Ie May A., Jefferson A., Webb D., Lovelock R., Powell J., e Lathlean J. (2003), “A Case Study of Knowledge Management in Multi-Agency Consumer- Informed ‘Communities of Practice’ Implication for Evidence-Based Policy Development in Health and Social Services”, Health: an Interdisciplinary

Journal for the Social Study of Health, Illness and Medicine, 7(3), pp. 283-310.

Garavan T. (2007), “Managing Intentionally Created Communities of Practice for Knowledge Sourcing Across Organizational Boundaries: Insights on the Role of the CoP”, Learning Organization, 14(1), pp. 34-49.

Handley K., Sturdy A., Fincham R. e Clark T. (2006), “Within and Beyond Communities of Practice: Making Sense of Learning Throgh Participation, Identity and Practice”, Journal of Management Studies, 43(3), pp. 641-653. Junker B.H. e Hughes E.C. (1960), Field work: An introduction to the social science,

Keast R. e Mandell M. (2014), “The collaborative push: moving beyond rhetoric and gaining evidence”, Journal of Management and Governance, 18, pp. 9-28. Laughlin R.C. (1995), “Empirical research in accounting: alternative approaches and

a case for “middle-range” thinking”, Accounting, Auditing e Accountability Jour-

nal, 8(1), pp. 63-87.

Lave J. e Wenger E. (1991), Situated learning: legitimate, peripheral participation, Cambridge University Press.

Maimone F. (2007), Dalla reta al silos. Modelli per comunicare e gestire la cono-

scenza nelle organizzazioni “flessibili”, Milano, FrancoAngeli.

Ogden J., Morrison K. e Hardee, K. (2014), “Social Capital to Strengthen Health Policy and Health Systems”, Health Policy and Planning, 29(8), pp. 1075-1085. Probst G. e Borzillo S. (2008), “Why communities of practice succeed and why they

fail”, European Management Journal, 26, pp. 335-347.

Profili S. (2004), Il knowledge management, Milano, FrancoAngeli.

Quagli A. (2001), Knowledge management. La gestione della conoscenza aziendale.

Il caso CAP Gemini Ernst e Young, Milano, Egea.

Ryan B., Scapens R.W. e Theobald M. (2002), Research Method e Methodology in

Finance e Accounting, Second Edition, London: Thomson Learning.

Shaw L., Jennings M., Poost-Foroosh L., Hodgins H. e Kuchar A. (2013), “Innovation in Workplace Accessibility and Accomodation for Person with Earing Loss: Using Social Networking and Community of Oractice Theory to Promote Knowledge Exchange and Change”, IOS Press, 46(2), pp. 221-229. Snowden D. (2002), “Complex Acts of Knowing: Paradox and Descriptive Self

Awareness”, Journal of Knowledge Management, 6(2), pp. 100-111.

Wenger E.C. (1998), Communities of practice: learning, meaning, and identity, Cambridge University Press.

Wenger E.C. (2004), “Knowledge management as a doughnut: shaping your knowledge strategy through communities of practice”, Ivey Business Journal

Online, 68.

Wenger E.C. (2006), Comunità di pratica. Apprendimento, significato e identità, Milano, Cortina.

Yin R.K. (2003), Applications of case study research, Second Edition, Applied So- cial Research Methods Series, Vol. 34, California: SAGE Publications, Inc. Yin R.K. (2009), Case Study Research. Design and Methods, Fourth Edition, Cali-

6. COULD HOSPITAL RECOVERY PLAN IMPROVE