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di Renzo Caligava

I .

Il Piano Incremento Occupazione Operaia - Case per Lavoratori

I complessi edilizi ed i veri e propri quartieri dell’INA-Casa meri­ tano un discorso apposito, per il fatto quantitativamente e qualitativa­ mente importante che costituiscono, sia dal punto di vista edilizio ed urbanistico, sia dal punto di vista sociale, come dal punto di vista ammi­ nistrativo e politico, nell’edilizia popolare e nell’ambito dei problemi posti dall’urbanesimo e dallo sviluppo delle città.

Per inquadrare ed interpretare questo fatto occorre riferirsi al Piano Incremento Occupazione Operaia - Case per Lavoratori, in base al quale si realizzano, si assegnano e si amministrano gli alloggi INA-Casa (la Gestione INA-Casa è un organo del Piano).

II PIOO-CL è un piano settennale — istituito nel 1949 (legge 28 feb­ braio 1949, n. 43) e prorogato ed ampliato nel 1956 (legge 26 novem­

bre 1956, n. 1148).

Nel corso del primo e del secondo settennio, fino al 30 settembre 1959, sono stati realizzati in base al PIOO-CL: 274.107 alloggi, per un totale di 1.439.809 vani, con una spesa complessiva di 673,9 miliardi di lire.

Qui non staremo ad illustrare l’entità delle realizzazioni del Piano, ma ci occuperemo delle innovazioni che esso ha portato e della sua stessa novità di ispirazione e di struttura, che le ha rese possibili in modo incon­ sueto per un ente pubblico.

Momento in cui fu istituito il Piano

La legge istitutiva del Piano porta la data del 28 febbraio 1949. Ela­ borata attraverso una lunga e contrastata gestazione, nasceva negli anni critici del dopoguerra, quando la ricostruzione stentava ancora ad avviarsi e la vita sociale ed economica risentivano ancora delle conseguenze della guerra.

Le distruzioni erano ingenti; per molti anni era mancata alla vita civile tutta la produzione assorbita dalle necessità belliche e le attrez­ zature per la produzione erano distrutte o da convertire o da rinnovare. La domanda era ridotta dalle generali condizioni di impoverimento. Erano

assai limitate le possibilità di rimunerazione immediata agli investimenti e mancava la fiducia per coraggiosi impegni in una situazione politica ritenuta incerta dai possessori di capitali. Si sostenevano ancora grandi spese pubbliche improduttive per garantire un minimo di sussistenza, onde impedire un’ulteriore degenerazione alla vita sociale.

Era il tempo dell’elevatissimo tasso di disoccupazione e di molti lavoratori in servizio in aziende che lavoravano ancora a ritmo ridotto o addirittura ancora impegnati in lavori fittizi creati per giustificare un salario, che equivaleva ad un sussidio.

Nelle città, sinistrati, profughi ed immigrati vivevano malamente accampati in ex caserme ed in altri edifici pubblici, in baracche, in grotte, in cantine. La coabitazione ed il sovraffollamento negli alloggi rimasti erano diffusi. Le distruzioni del patrimonio edilizio si erano aggiunte alla precedente stasi dell’attività edilizia in una situazione già carente prima della guerra e, per colmo, si aggiungeva, nelle città grandi e nelle città industriali, l’incontenibile fenomeno dell’urbanesimo. In quegli anni a Roma (censimento del 1951) il 9,7% delle famiglie viveva in baracche, grotte, sottoscale, ecc., ed il 20% delle famiglie viveva in coabitazione.

Tanto nel campo economico quanto in quello della vita sociale, ces­ sate la tensione e la compressione del periodo bellico, le energie scarse e disorganizzate stentavano a trovare la fiducia e gli orientamenti neces­ sari per avviarsi su nuove strade positive.

Nel settore edilizio, quello scelto per l’intervento del Piano, vanno indicati alcuni aspetti particolari della situazione di lentezza della ripresa produttiva e di insufficiente organizzazione.

Gli enti per l’edilizia popolare, che avevano subito gravi danni nel loro patrimonio immobiliare, non erano in condizione di poter far fronte, con i loro mezzi, all’ampiezza ed all’urgenza delle necessità di ricostru­ zione e di nuovi piani di costruzione. L’attesa di un vasto pubblico, dalle possibilità economiche limitate, gravava su vecchi organi burocratici assolutamente inadeguati alle proporzioni ed alla qualità del nuovo pro­ blema che si poneva all’intervento statale. Gli architetti, desiderosi, nel nuovo clima democratico, di incontrare questa immensa clientela in temi per lo più nuovi all’esperienza della loro classe professionale in Italia, ma non nuovi alla cultura a cui partecipavano, non erano inseriti nel­ l’attività edilizia. Né ad essi poteva giungere la domanda dei senza-tetto, né essi potevano proporre le proprie soluzioni attraverso le strutture e la prassi tradizionali degli organi pubblici competenti.

Obbiettivi del Piano

In questa situazione ed in consapevole rapporto ad essa è nato il Piano Incremento Occupazione Operaia - Case per Lavoratori.

La legge istitutiva, come gli atti legislativi successivi, sono indicati col titolo Provvedim enti p er increm entare Voccupazione operaia agevo­

lando la costruzione di case per lavoratori.

Il Piano, che porta il nome del Ministro del Lavoro del tempo, Fan- fani, e che il Parlamento ha affidato al controllo del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, è nato, infatti, con lo scopo di incrementare l’occupazione, promuovendo un piano di attività economica capace di rimettere in movimento l’attività produttiva del Paese. Il settore di inter­ vento è stato scelto in funzione di questo scopo; per questo, pur trat­ tandosi, nei fatti, di edilizia popolare, il Piano deriva dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale.

Si è voluto provvedere ad una spesa massiccia, in una direzione definita, per un’attività pianificata, estesa a tutto il territorio nazionale e di una durata piuttosto lunga (7 anni), per fornire un punto di riferi­ mento, ed una garanzia, nella quantità e nella durata, ad altre iniziative private e pubbliche di spesa e di produzione di beni, capaci di impiegare produttivamente la mano d’opera inattiva o non pienamente utilizzata, e di assorbire nuova mano d’opera.

Si è voluto che il Piano prevedesse la collaborazione di enti pubblici e di imprese private esistenti, ciascuno secondo i compiti istituzionali e le proprie specializzazioni, perché impiegassero il loro personale, le loro attrezzature ed il loro patrimonio di esperienze e di capacità, e che sti­ molasse la ripresa della produzione, nuovi investimenti e nuove inizia­ tive in altri settori più o meno indirettamente interessati dall’opera e dalla domanda da essa promossa.

Il settore edilizio è sembrato il settore d’intervento più adatto allo scopo. In esso sarebbe stato possibile l’impiego di molta mano d opera, anche non specializzata, da parte delle imprese costruttrici. L attività edilizia avrebbe richiesto l’uso di molte attrezzature, stimolando quindi anche la produzione, data l’ampiezza e la durata del Piano; avrebbe generato la domanda diretta in settori di produzione per i materiali e gli impianti ; avrebbe generato estese richieste di beni da parte dei futuri inquilini, sia per le necessità dell’arredamento, sia per la possibilità di orientare in questo senso la loro spesa, dato il basso costo dell alloggio, oltre a favorire, per le esigenze del Piano e per la sua mole, 1 occupa­

zione impiegatizia e nelle stesse classi professionali. , . . .

Inoltre, beneficiando di questa enorme spesa, gli enti per l’edilizia pubblica, chiamati a collaborare, sarebbero ritornati in grado di perse­ guire automaticamente, dopo il dissesto provocato dalla guerra, 1 loro fini istituzionali, allargando gli stessi effetti promossi dall’intervento del Piano.

Il settore edilizio scelto per l’intervento del Piano finalizzato ad incrementare l’occupazione operaia, presentava un altro vantaggio, di carattere sociale, di alto interesse economico. Una delle cause che contri­ buivano a far protrarre il ristagno dell’economia era il disordine ed il disagio sociale, generati dalle condizioni di abitazione, nelle città, del­ l’enorme folla di sinistrati, degli immigrati, dei profughi e di tutti coloro che vivevano, per altre cause, in alloggi impropri, malsani e sovraffollati. L’incremento dell’occupazione, da solo, non avrebbe rimosso questa, causa di disorientamento, di insicurezza e, quindi, di stasi. Infatti il reddito del- l’occupazione operaia non avrebbe facilitato il lavoratore, se non a molto

lunga scadenza, nel procurarsi un alloggio, e l’iniziativa privata, come l’iniziativa pubblica tradizionale, avrebbe offerto al lavoratore con scarso reddito alloggi economici privi della salubrità o del decoro o dell’am­ piezza o dell’attrezzatura necessaria alla dignità della vita famigliare ed all’elevazione della vita sociale.

La costruzione di case per lavoratori, che del resto è comunemente considerata il risultato e l’obbiettivo stesso del Piano, è stata scelta come attività capace di contribuire ad affrontare il problema della ripresa dell’attività produttiva nelle sue cause sociali ed economiche insieme e capace di produrre degli effetti sociali ed economici, come non scindibili e reciprocamente influenti. Per questo hanno così grande im­ portanza per il Piano, diversamente da quanto era avvenuto prima nel­ l’edilizia d’iniziativa pubblica, l’architettura e l’urbanistica ed il problema dei servizi del quartiere.

L’assegnatario dell’alloggio INA-Casa non è stato considerato, isti­ tuzionalmente, né il destinatario di un intervento assistenziale, né il bene­ ficiario di un intervento economico. L’assegnatario dell’alloggio INA-Casa è uno dei finanziatori del Piano e può diventare padrone del suo alloggio se lo desidera, amministrando automaticamente con i coinquilini l’im­ mobile di cui l’alloggio fa parte. Questo modo di concepire l’assegnatario è quello che fonda, intrinsecamente alla stessa amministrazione del Piano, la possibilità di rapporti democratici tra organi del Piano e assegnatari e l’esigenza di partecipazione attiva degli assegnatari agli interventi che li riguardano.

Struttura e funzionamento del Piano

L ’organo che presiede il Piano è il Comitato di attuazione. E’ com­ posto da 18 membri, che rappresentano le categorie di cittadini e le Amministrazioni dello Stato direttamente interessate al Piano: un pre­ sidente; un rappresentante per ciascuno dei Ministeri delle Finanze, del Tesoro, dei Lavori Pubblici, dell’Industria e del Commercio, del Lavoro e della Previdenza Sociale (quest’ultimo con funzioni di vicepresidente); cinque rappresentanti dei lavoratori e tre dei datori di lavoro delle cate­ gorie interessate ; due rappresentanti delle organizzazioni cooperative ; un ingegnere dell’associazione nazionale della categoria; il direttore gene­ rale dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni.

Il Comitato detta le linee generali del Piano e le norme di attuazione alla Gestione INA-Casa, che è l’organo preposto all’esecuzione delle ope­ razioni previste dalla legge del Piano, in esecuzione delle deliberazioni del Comitato e sotto la vigilanza generale di questo.

La Gestione INA-Casa è una gestione autonoma, avente personalità giuridica, costituita presso l’Istituto Nazionale delle Assicurazioni. Alla Gestione ’ INA-Casa è preposto un Consiglio direttivo, di 10 membri, così composto : dal direttore generale dell’Istituto Nazionale delle Assicu­ razioni, da tre rappresentanti dei lavoratori e da un rappresentante dei datori ’di lavoro delle categorie interessate, da un rappresentante per

ciascuno dei Ministeri del Tesoro, dei Lavori pubblici, del Lavoro e della Previdenza Sociale (quest’ultimo con funzione di vicepresidente), da un rappresentante dell’Ordine dei Medici, da un ingegnere dell’asso­ ciazione nazionale della categoria. Il Consiglio elegge il presidente nel proprio seno.

I presidenti di questi due organi possono avvalersi di una Commis­ sione tecnico-consultiva composta di esperti, scelti, in misura paritetica, da ciascuno dei due organi al di fuori degli organi, enti o persone, che partecipano alle costruzioni del Piano.

Questa struttura, con il conseguente dialogo tra Comitato e Gestione, è quella che ha permesso lo spirito di iniziativa che caratterizza il Piano rispetto alla normale amministrazione degli organi esecutivi. Infatti, diversamente dalla tradizione amministrativa, il Piano ha cercato le sue strade di realizzazione, ha riconosciuto e affrontato i problemi che ha incontrato imprevisti e quelli stessi che ha creato, preoccupandosi delle finalità proposte e della natura delle cose da fare, nell’ambito della legge, anziché di una vera osservanza formale della legge astratta dalle conse­ guenze.

II finanziamento del Piano è dato da tutti i lavoratori occupati nel­ l’industria, nel commercio, nel credito e nelle assicurazioni, nei trasporti, nelle aziende giornalistiche ed editoriali, nelle amministrazioni pub­ bliche, nella misura del 0,60% delle rispettive retribuzioni mensili, dai loro datori di lavoro (escluse le amministrazioni pubbliche) nella misura dell’ 1,20% delle retribuzioni mensili corrisposte e dallo Stato.

Il contributo dello Stato, costituito dal 4,30% del complesso dei con­ tributi dei lavoratori e dei datori di lavoro, e dal 3,20% del costo di ciascun vano costruito, uguaglia quasi, ogni anno, la somma dei contri­ buti dei lavoratori e dei datori di lavoro.

Il Comitato presiede all’impiego dei fondi, predisponendo i piani tecnico-finanziari, ripartendo la spesa, anno per anno, sul territorio nazionale. Nella ripartizione delle costruzioni, il Comitato deve tener conto degli indici locali di affollamento e di disoccupazione. Per il primo settennio la legge richiedeva che si tenesse conto anche dell’indice delle distruzioni belliche e che almeno un terzo delle somme da investire fosse destinato a costruzioni in Italia meridionale, in Sicilia ed in iSar- degna.

Il Comitato stabilisce il costo massimo a vano, che deve essere con­ tenuto nel limite di 400.000 lire.

La costruzione delle case è affidata dal Consiglio direttivo della Gestione INA-Casa agli enti indicati dal Comitato, che possono essere : l’Istituto Nazionale delle Assicurazioni, l’Istituto Nazionale della Previ­ denza Sociale, le amministrazioni dello Stato per i propri dipendenti, l’Istituto Nazionale per le Case degli Impiegati dello Stato, gli Istituti per le Case Popolari o altri enti pubblici o di diritto pubblico, nonché consorzi e cooperative di produzione e di lavoro.

Con questo sistema il Piano ha inteso impiegare le risorse già esi­ stenti : sia per iniziare immediatamente, sia per contribuire al

stamento degli organismi che avevano già una funzione nell’edilizia popolare, sia per non sovrapporre alle strutture debilitate dalle distru­ zioni belliche una nuova e improvvisata struttura.

Questi enti sono chiamati « Stazioni appaltanti ». Esse inviano al Consiglio direttivo i progetti per l’approvazione, appaltano i lavori alle imprese costruttrici e ne seguono l’esecuzione, di cui rispondono alla Gestione INA-Casa.

I progetti vengono, però, affidati a professionisti indipendenti, non agli uffici tecnici delle Stazioni appaltanti.

Questo sistema ha permesso di affidare lo studio e la trattazione dei temi richiesti dalla realizzazione del Piano alle forze più varie e più vive dell’architettura e dell’urbanistica dando luogo a ricerche e attua­ zioni audaci e svariate e, soprattutto, provocando la rottura della tradi­ zione di anonimità e uniformità, caratteristiche delle case popolari, a favore di un’architettura più qualificata e personalizzata.

Prima .ancora di bandire i concorsi per la scelta degli architetti, la Gestione INA-Casa pubblicò un opuscolo, che raccoglieva « suggerimenti, norme e schemi per la elaborazione dei progetti ». L’opuscolo equivaleva al punto sulla situazione culturale in proposito. A questo primo seguirono altri tre opuscoli analoghi, derivati da successive delibere del Comitato di attuazione, che riunirono i nuovi suggerimenti dell’estesa esperienza della realizzazione stessa del Piano, tratti dalle relazioni di collaudo, dai rilievi degli ispettori tecnici, dei reclami degli assegnatari, da un apposito referendum tra gli assegnatari sulle loro preferenze, dalle osser­ vazioni dell’Ente che svolge il servizio sociale nei complessi.

L’assegnazione degli alloggi avviene, da parte degli Uffici provinciali o regionali del lavoro, sulla base di una graduatoria tra gli aventi diritto che hanno presentato domanda, stabilita da apposite commis­ sioni provinciali, presiedute da un magistrato e composte inoltre da un magistrato a riposo, dal direttore dell’Ufficio del lavoro, da un rappre­ sentante della Gestione INA-Casa, da un rappresentante dell’Intendenza di Finanza, da un rappresentante dei lavoratori e da un rappresentante dei datori di lavoro delle categorie interessate.

Hanno diritto a prenotarsi per l’assegnazione i lavoratori che abbiano pagato almeno una mensilità di contributi. La graduatoria è formata sulla base del punteggio attribuito a ciascun candidato, in base al bisogno di alloggio, all’anzianità di lavoro nella circoscrizione di zona in cui sorgono le costruzioni ed alla composizione del nucleo familiare.

L’amministrazione degli alloggi è affidata agli stessi assegnatari, costituiti in condominio con un rappresentante responsabile verso la Gestione INA-Casa, per gli alloggi assegnati con promessa di futura vendita, che vengano riscattati con quote mensili di ammortamento in 25 anni. Per gli alloggi assegnati in locazione, l’amministrazione è affi­ data agli stessi Enti pubblici, che possono essere Stazioni appaltanti. In pratica gli Istituti per le case popolari sono le maggiori Stazioni appaltanti ed i maggiori enti amministratori.

Gli alloggi costruiti vengono destinati all’assegnazione a riscatto in una misura non superiore ai due terzi. Gli assegnatari degli altri alloggi possono ottenere il passaggio a riscatto dietro domanda di intere unità immobiliari.

La legge 28 febbraio 1949, n. 43 prevedeva che gli alloggi fossero destinati per metà a riscatto e per metà alla locazione.

L’intenzione di assegnare gli alloggi in proprietà incontrò molta resistenza : sia per l’alienazione in sé, non in uso negli altri enti di edilizia pubblica, sia per la stima e la fiducia necessarie nei destinatari degli alloggi. Ora la cessione dell’alloggio all’assegnatario, che intende riscattarlo, è diventata legge per tutta l’edilizia popolare.

II.

I servìzi collettivi ed il rapporto Complesso-città

La legge istitutiva prevedeva la costruzione di « case » e le norme integrative per la sua attuazione, emanate con decreto del Presidente della Repubblica del 22 giugno 1949, n. 340, raccomandavano la distribuzione degli edifici nei vari quartieri o rioni della città. Senonché le aree edifì- cabili nei rioni preesistenti furono presto esaurite dall’intervento del Piano come dalla ripresa dell’attività edilizia, ovvero, per questo stesso ultimo motivo, acquistarono un valore di mercato inaccessibile alla Gestione INA-Gasa tenuta a rispettare il limite di costo di 400.000 lire a vano. Inoltre le ingenti somme da spendere e l’economicità della spesa suggerirono esse stesse la necessità di concentrare le costruzioni in aree piuttosto grandi, anziché disseminare qua e là singole costruzioni. Gli enti locali non risultarono in grado di favorire l’intervento del Piano donando od espropriando aree di sufficiente ampiezza nell’ambito del tessuto urbano o nelle zone più vive della naturale espansione delle città. Così gli organi direttivi del Piano hanno dovuto provvedere in modo autonomo al reperimento delle aree ed al loro acquisto, reperendole, necessariamente, in zone poco interessate dallo sviluppo edilizio e, perciò, a prezzi accessibili. Nacquero, in questo modo, i complessi INA-Casa e veri e propri quartieri INA-Casa. (Il secondo opuscolo, del 1950, conte­ nente i suggerimenti per i progettisti, è dedicato infatti ai temi del­ l’urbanistica, mentre il primo faceva riferimento all’alloggio ed all’edi­ ficio singolo). Difficilmente, però, questi nuovi grandi complessi poterono nascere in aree « ben provvedute dei normali servizi pubblici esistenti nelle località e delimitate da pubbliche strade o comunque allacciate alle pubbliche strade », né gli enti locali furono in grado di provvedere solle­ citamente alle carenze.

Le norme per l’attuazione della legge, che proroga il Piano per un secondo settennio, non raccomandano più di distribuire gli edifici nei vari quartieri o rioni preesistenti, ma, semplicemente, « di evitare il concentramento di alloggi in zone non sufficientemente dotate di servizi civici e sociali ».

Nel primo settennio, la Gestione INA-Casa si limitò a provvedere, in via transitoria ed in misura minima, ad alcuni servizi sociali. Costruì dei centri sociali, affidati ad assistenti sociali guidati dalle rispettive scuole (1952) e poi da un apposito ente, l’Ente Gestione Servizio Sociale - Case per Lavoratori (1954), a cui fu demandato, con una convenzione, la gestione del servizio, affinché si creasse sul posto un rapporto ed una collaborazione tra assegnatari, organi del Piano ed enti locali, per la isti­ tuzione e la gestione dei servizi più indispensabili. Ai centri sociali ven­ nero aggregati, inizialmente, dei locali per ambulatorio e dei locali per la custodia dei bambini in età prescolastica. Questi locali furono, alle volte, usati per ospitarvi le prime classi della scuola elementare.

Con il secondo settennio gli organi direttivi del Piano decisero di affrontare direttamente questo grosso problema, inizialmente non pre­ visto e determinato dalle difficoltà o impossibilità di usufruire di quelle collaborazioni degli Enti locali, che la legge istitutiva aveva previsto.

L’Ente Gestione Servizio Sociale fu incaricato di un’indagine com­ pleta, in tutti i grossi complessi, quelli in cui attuava il servizio, sul fabbisogno dei servizi collettivi d’ogni genere, sulle aree disponibili e

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