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L’ESERCITO ITALIANO DALLA “APOLITICITA’” ALLA CONNIVENZA

3. I complotti del 1919-

In una lettera datata 30 marzo 1918, Luigi Einaudi ammonì Luigi Albertini che la situazione italiana si presentava intricata e controversa a causa della pedissequa ammirazione, se non fanatismo vero e proprio, diffusasi nei confronti della Germania. L’insigne economista deprecò l’assenza di un’adeguata preparazione morale e spirituale a vantaggio della scimmiesca imitazione dei tedeschi, in virtù della quale i difetti connaturati al paese non avrebbero avuto speranze di essere superati e si sarebbe finito “per non creare nulla”. Einaudi, in una lettera successiva scritta il 19 maggio dello stesso anno, constatò amaramente come la classe dirigente stesse in tal modo screditando l’Italia in modo irreparabile per le misure varate riguardo le imprese straniere. Non era ammissibile, infatti, a suo parere, pretendere che gli stranieri investissero capitali nel nostro paese rinunciando a qualsivoglia sorveglianza. Si trattava di provvedimenti inconcepibili e criminosi ascrivibili al ministero del Tesoro.

La fonte è il solito Tesoro – dichiarò – dove si vuol far bottino in fretta, collocando i propri scherani e profittando dello stato d’animo nazionale per far passare ricatti per atti di patriottismo. Con la vigliaccheria dei giudici italiani, i quali non esitano a condannare alla galera a vita innocenti, contro di cui un qualsiasi giornale infierisca; con la storditaggine e la carognaggine dei deputati che plaudono a tutto, pur di non figurar da meno di altri, io non so dove si andrà a finire. Altro che giustizia e libertà! Peggio dei bolscevichi; noi diventeremo terra di conquista dei peggiori arnesi, che intimidendo prima contro gli stranieri e poi contro gli avversari italiani, ci parranno al livello delle repubbliche sud-americane. Tutto ciò provoca desiderio di governo forte, simpatia per i tedeschi, che mettono le cose a posto ecc. ecc. Bisogna pensarci per tempo, per evitare di perdere i frutti di tanto lavoro e di tanti sacrifici a prò di una masnada di ipocriti lestofanti133.

Ancor prima dell’insediamento del gabinetto Nitti, tra maggio e giugno 1919, giunsero al governo numerose allarmanti segnalazioni circa l’organizzazione di un

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Marzio Achille Romani (a cura di), Luigi Einaudi-Luigi Albertini. Lettere (1908-1925), Milano, Fondazione Corriere della Sera, 2007, pp.119-130.

complotto volto a sovvertire l’ordine costituzionale e ad imporre al paese una dittatura militare con l’appoggio di nazionalisti e fascisti. L’indisciplina, l’insubordinazione, la ferma volontà di difendere i propri interessi come attestato dal variegato processo di “sindacalizzazione delle forze armate”, la sempre più marcata vocazione a combattere i nemici interni al fine di restaurare l’autorità dello stato e dunque il progressivo l’inserimento nell’agone politico, contribuirono a diffondere la psicosi del pronunciamento militare. Già in questo periodo giungevano numerose le segnalazioni al ministero dell’Interno di una progressiva penetrazione del movimento fascista, ancorché neocostituito, tra le file dell’esercito, considerato il massimo serbatoio cui attingere attraverso un capillare reclutamento, con radici sempre più profonde tra i graduati di varie categorie, e le informazioni raccolte accreditavano trame eversive che potevano contare sul pieno appoggio di reparti militari134. Una nota riservatissima della prefettura di Roma riferiva di frequenti contatti fra ufficiali dell’esercito appartenenti ad associazioni nazionaliste ed elementi rivoluzionari locali finalizzati, secondo fonti fiduciarie, ad un’azione ostile al governo. Secondo le notizie raccolte, gli ufficiali disponevano di un’ampia quantità di esplosivi che avrebbero impiegato in un prossimo tentativo sedizioso con centro nella capitale.

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A.C.S., Ministero dell’Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Divisione AA.GG.RR., 1922, b.103, G-1, f.1 “Fasci di combattimento – Affari Generali”, sottof.2 “Elenco denunzie”, Ministero dell’Interno, doc.135 alla Direzione Generale P.S., oggetto: “Movimento fascista”, 26 luglio 1919; A.C.S., Ministero dell’Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Divisione AA.GG.RR., 1922, b.103, G-1, f.1 “Fasci di combattimento – Affari Generali”, sottof.2 “Elenco denunzie”, Ministero dell’Interno, doc.141, alla Direzione Generale P.S., oggetto: “Movimento fascista”, 7 luglio 1919.

Nonostante l’intensa propaganda fra i soldati ed i graduati della Brigata Re, essi rifiutarono recisamente qualunque coinvolgimento in attività eversive135.

L’influenza della propaganda nazionalista su alcuni settori delle alte sfere delle forze armate e la progressiva diffusione in seno all’esercito di velleità eversive fecero paventare l’organizzazione di un complotto. L’Idea nazionale smentì recisamente la trama cospirativa asserendo, altresì, che simili voci avessero il dichiarato intento di stornare l’opinione pubblica dalla politica rinunciataria del governo alla conferenza di pace e di accreditare l’immagine di un partito socialista angariato dai partiti d’ordine al fine di spazzare via una volta per tutte “lo spirito della guerra e della vittoria”. Il quotidiano ammoniva, inoltre, come fosse oltremodo rischioso e avventato infamare l’esercito, “la virtù stessa del popolo vittorioso”, che meritava bensì “la devozione e la gratitudine di tutti gli Italiani”. Secondo il quotidiano, si trattava di una macchinazione contro i combattenti, ovvero il simbolo di Vittorio Veneto, di cui i nazionalisti ambivano ad essere gli interpreti politici, che “la frusta oligarchia parlamentare” minacciava136.

Tra i presunti congiurati spiccavano i nomi del duca d’Aosta, del generale Giardino, di D’annunzio, Federzoni e Mussolini, che, tuttavia, si affrettarono a dichiararsi completamente estranei. Intervistato dal Corriere della Sera, Giardino invero riconobbe di aver sostenuto in Senato, durante conversazioni private, la necessità di “sentire libera e genuina la voce del popolo” al fine di “prevenire

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A.C.S., Ministero dell’Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Divisione AA.GG.RR., 1922, b.103, G-1, f.1 “Fasci di combattimento – Affari Generali”, sottof.2 “Elenco denunzie”, Prefettura di Roma, nota n.6830 al Ministero dell’Interno, 6 luglio 1919.

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Adriano Roccucci, Roma capitale del nazionalismo (1908-1923), Roma, Istituto per la Storia del Risorgimento italiano, Biblioteca Scientifica, Roma, 2001, pp.368-372.

qualunque moto inconsulto” e “dare a questo popolo affidamenti precisi che avrà facoltà e modo di esprimere il suo volere mediante la nomina legale della sua rappresentanza politica”. Non chiarì affatto se, a convocare le elezioni, dovesse essere un gabinetto costituito secondo le regole costituzionali o imposto da un colpo di stato militare, ma il suo silenzio fu eloquente. Analogamente, Mussolini, due giorni dopo, dichiarò “Accadrà quello che deve accadere”. I principali obiettivi della cospirazione, che si sarebbe attuata col sostegno armato di arditi ed ufficiali dell’esercito, erano lo scioglimento della Camera dei deputati con l’arresto di coloro che erano ritenuti responsabili dei disastri del paese, la messa al bando dei partiti sovversivi e la guerra contro la Jugoslavia. Sebbene non si possa stabilire la consistenza effettiva del progetto militarista e sino a che punto si fosse convertito in azione, verosimilmente la trama eversiva dell’ordine costituzionale fu ordita ma la congiura non ebbe attuazione soprattutto per la ferma opposizione del sovrano a soluzioni istituzionali che menomassero i diritti del parlamento. L’atteggiamento del re attirò alla monarchia i feroci attacchi dei fascisti e dei nazionalisti, mentre, nell’ambiente militare, si auspicava da più parti la sua sostituzione col duca d’Aosta137. Giardino nel suo libro sostenne che il complotto ipotizzato nel 1919 e le altre congiure di cui si favoleggiò in seguito furono “inventate” con l’evidente scopo di “diffamare capi militari, non esclusi principi del sangue”, vicende per cui egli fu sottoposto in vari periodi a sorveglianza e pedinamenti da parte della polizia138.

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Gaetano Salvemini, Le origini del fascismo in Italia, Lezioni di Harvard, a cura di Roberto Vivarelli, Milano, Feltrinelli,1966, pp.199-201, 243; Roberto Vivarelli, Storia delle origini del fascismo, Bologna, Il Mulino,1991, pp.496-497.

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Il Popolo d’Italia difese Giardino dalle accuse mossegli per “basso scopo politico” poiché il generale aveva pubblicamente deplorato la corruzione dilagante nella classe politica e l’assenza colpevole del governo incapace di provvedere ai bisogni del popolo139. Il capo di Stato Maggiore della Marina, Augusto Capon, nella relazione inviata al direttore Generale della Pubblica Sicurezza, trasmise le informazioni pervenutegli in merito “al preteso complotto militarista” capeggiato da Mussolini e dal generale Giardino rivelatosi, invero, una “inabile e grossolana manovra”:

Il recentissimo scandalo politico ha disgustato tutti. I socialisti, pur sapendo che si è esagerato il movimento dei fasci interventisti fino a renderlo ideatore ed artefice di un complotto anticostituzionale, si servono abilmente della notizia per rinsaldare la disciplina dei gregari agitando lo spettro di mene militariste, e sono i soli a trarre profitto dalle fantasticherie del Ministero dell’Interno. Superfluo dire che tutto quanto si riferisce ad adunanze clandestine che avrebbero dovuto aver luogo in casa di Mussolini ed in Roma, è semplicemente falso140.

Molteplici furono i tentativi di guadagnare all’organizzazione del colpo di stato l’appoggio di Badoglio. Secondo la versione di Caviglia, egli era a conoscenza dei propositi di rivolta della III armata: quando il colonnello Cordella gli confermò che dei dodici comandanti, dieci erano favorevoli e due non avrebbero opposto resistenza. sembrò propenso ad avallare il complotto salvo poi decidere di avvertire Nitti provocando, peraltro, il siluramento del duca d’Aosta. Ancorché confusa e spesso incongruente, tale testimonianza conferma una costante nell’atteggiamento di Badoglio nei confronti di simili progetti: “un legittimismo di fondo accompagnato da

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Il Popolo d’Italia, n.161, 14 giugno 1919.

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A.C.S., Ministero dell’Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Divisione AA.GG.RR., 1919, b.62, C-1, f.“Condizioni dell’ordine pubblico e movimento sovversivo nel Regno – Relazioni quindicinali”, Relazione del Capo di Stato Maggiore della Marina Augusto Capon al Ministero dell’Interno-Direzione Generale della Pubblica Sicurezza, 15 gennaio 1919.

una prudente attesa dello svolgersi degli eventi senza compromettersi in un senso o nell’altro”, un’ambiguità comprensibile alla luce della perfetta conoscenza dell’esercito, dalle sue forti propensioni reazionarie e da “una straordinaria capacità di simbiosi col potere”. Dubitava, pertanto, delle capacità d’attuazione di disegni politici che confidassero nei militari, soprattutto in un periodo in cui il prestigio delle forze armate risultava piuttosto appannato e dunque sarebbe stato difficile compattare attorno ad esse un solido e diffuso consenso. Diffidava altresì delle abilità politiche dei generali, coinvolti in un vischioso sistema clientelare ed interessati esclusivamente a perpetuare il loro gruppo dirigente e non a concreti progetti governativi. Ancorché proclive ad allearsi con movimenti e uomini di destra, suo obiettivo precipuo era preservare da ogni ingerenza politica il potere nell’esercito e, a tal fine, sviluppò quella sua “camaleontica abilità nell’adattarsi alla formula di governo che in quel momento rappresentava il potere”, che gli consentì di collaborare con Nitti, con Giolitti, con Mussolini141, un ministerialismo non ascrivibile ad un reale agnosticismo politico, bensì alla consapevolezza che l’esercito, in quanto strumento di classe, necessitava dell’appoggio della borghesia per garantire la sua unità e la sua forza in particolare nella difesa dell’ordine pubblico142.

Nell’ottobre 1920, si paventò nuovamente l’organizzazione di una congiura militare. Numerosi rapporti fiduciari che la direzione della pubblica sicurezza fece pervenire al ministero dell’Interno, segnalarono fermenti eversivi delineatisi all’interno delle caserme cui si affiancava l’opera propagandistica di “facinorosi

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Giovanni De Luna, Badoglio. Un militare al potere, Milano, Bompiani, 1974, pp.72-76.

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assoldati da industriali” ed elementi fascisti che giravano il paese seminando odio contro Giolitti e additando al suo governo la disastrosa situazione dell’Italia. Le voci di possibili sommovimenti erano assai diffuse e si riferivano soprattutto agli ufficiali dello Stato Maggiore, persuasi che il governo non avrebbe dato prova di sufficiente risolutezza ed energia nel reprimere l’ascesa del movimento operaio. I graduati miravano all’instaurazione di una dittatura militare e confidavano nell’iniziativa dei capi dell’esercito. Nei notiziari riservati, infatti, si facevano i nomi di Caviglia, Badoglio, Giardino, Petitti di Roveto, Millo e D’Annunzio e si denunciava l’esistenza, a Roma, di un comitato segreto fascista e militarista che mirava ad invadere simultaneamente la capitale, Torino e Milano. A tale “pazzesco complotto” avevano aderito molti ufficiali e generali superiori che avevano provveduto a dislocare reparti di truppa nelle tre città. L’ammiraglio Millo avrebbe messo a disposizione tutte le navi da guerra per consentire uno sbarco ad Ancona. In quei giorni si tennero svariate riunioni alla redazione dell’Idea Nazionale cui parteciparono numerosi graduati143. Il 25 ottobre 1920, si tenne una conversazione telefonica tra Alberto Albertini, nella sede milanese del Corriere della Sera, e Rossini, che si trovava nella redazione di Roma. Discutendo a proposito del presunto complotto, i due giornalisti affermarono che il ministero dell’Interno era interessato a

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A.C.S., Ministero dell’Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Divisione AA.GG.RR., 1920, b.57, C-1, f.36 “Movimento nazionalista-Congiure fasciste e militariste”, Direzione Generale di P.S., Notiziario riservatissimo, 17/20 ottobre 1920 al Ministero dell’Interno.

darne ampio risalto per favorire la riunione in unico fascio di tutte le forze borghesi attorno a Giolitti e al suo governo144.

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