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Claudio Faschilli

Department of Philosophy, University of Turin, Italy faschilli@gmail.com

Nella recente prospettiva teorica conosciuta con il nome di Embodied

Cognition (EC), una delle ipotesi che ha ricevuto ampia conferma sperimen-

tale – sia in ambito comportamentale, sia in ambito neuroscientifico [cfr. 1] – è stata quella secondo cui la comprensione del linguaggio farebbe uso degli stessi sistemi neurali per la percezione, le azioni e le emozioni. Comprendere, ad esempio, il significato della parola ‗sedia‘ comporterebbe il parziale recu- pero dalla memoria a lungo termine delle informazioni percettive di una sedia e questo avverrebbe grazie ad una parziale riattivazione delle aree senso- motorie coinvolte quando effettivamente percepiamo le sedie. In tal senso si è recentemente parlato di comprensione linguistica in termini di simulazione di esperienze1.

I concetti stessi sembrano così essere nient‘altro che strutture composte da rappresentazioni senso-motorie. Ognuna di queste rappresentazioni è poi adibita alla codifica di una particolare proprietà della categoria corrisponden- te al concetto (la forma tipica, il movimento, il suono emesso, le interazioni motorie possibili, etc.) ed è riconducibile ad aree corticali sovrapposte o a- diacenti a quelle dei sistemi senso-motori (visivo, uditivo, motorio, etc.) coinvolti durante la percezione delle medesime proprietà [cfr. 3, p. 298].

Ciò è nettamente differente da quanto era sostenuto nelle precedenti teo- rie non-embodied (semantiche a tratti, liste di features, frames, reti semanti- che e buona parte delle teorie emerse in linguistica e psicolinguistica), che hanno dominato nel secolo scorso e che descrivevano i concetti come simboli astratti – o come strutture composte da simboli astratti – di un linguaggio del- la mente, generati ―trasformando‖ le informazioni percettive presenti a livello senso-motorio in rappresentazioni non-percettive e a-modali (ossia slegate

dalle particolari modalità percettive in cui si erano inizialmente formate). Con la svolta alle teorie embodied si è quindi assistito ad un radicale ―spo- stamento‖ delle informazioni associate ai concetti da un piano di pura rappre- sentazione a-modale e pseudo-proposizionale ad uno percettivo e modale.

La questione che qui mi preme sollevare è perciò la seguente: si può an-

cora sostenere che vi siano componenti residuali dei concetti non riconduci- bili a rappresentazioni modali-percettive, bensì mentalmente codificate in forma a-modale?

A mio parere vi sono buoni motivi per sostenere la presenza di tali com- ponenti non-percettive. Qui di seguito ne presenterò alcuni2.

Un primo argomento ci viene dalla linguistica e in particolare dal lavoro di Ray Jackendoff, il quale con la sua teoria dei concetti – la Conceptual Se-

mantics [cfr. 5] – è passato da un iniziale approccio classico ―a-modale‖ ad

uno più embodied, tanto che negli ultimi anni è giunto a descrivere i concetti come strutture di informazioni in parte codificate secondo una forma percet- tiva (la Spatial Structure – SpS) ed in parte secondo una forma classica a- modale/proposizionale (la Conceptual Structure – CS). Del resto, ancora oggi Jackendoff lascia aperta la questione su quante delle componenti a-modali (CS) potrebbero essere ricondotte ad elementi percettivi: «How far can con- tent be bled out of CS into SpS?» [5, p. 350].

Jackendoff sostiene che la CS dei concetti sia costituita da una serie di possibili componenti primitive. Sebbene alcune di queste potranno in futuro essere descritte in termini di rappresentazioni senso-motorie, ve ne sono altre che, a mio parere, non sembrano ammettere tale riduzione, essendo quindi necessaria per loro una forma a-modale di rappresentazione.

Una di queste componenti è, ad esempio, il tratto che specifica l‘appartenenza ad una categoria ontologica – ossia, che specifica se il concet- to è relativo ad un Oggetto, Evento, Stato, Azione, Percorso, Proprietà, Quan- tità, etc. [cfr. 5, p. 318]. Tale componente è essenziale sia perché contribuisce all‘organizzazione del percepito, sia perché facilita la comunicazione nell‘interfaccia sintassi-semantica (la scelta di un costituente sintattico riflet- te, secondo Jackendoff, la categoria ontologica associata al concetto: un Sin- tagma Preposizionale è associato a concetti di Luogo, Percorso e Direzione; un Sintagma Aggettivale a concetti di Proprietà; etc.).

Un ulteriore aspetto riguarda poi la rappresentazione dell‘informazione tassonomica: è difficile pensare che per sapere che un cane è un animale si debba ogni volta simulare l‘esperienza di un cane. Se anche così fosse, non è chiaro da quale elemento della simulazione potrebbe essere ricavata tale in-

2 Si badi, tuttavia, che in tal modo non intendo rifiutare la teoria simulativa, della quale in-

formazione. Al contrario, sembra più plausibile ipotizzare che questa sia regi- strata attraverso una sorta di legame funzionale che associa il concetto CANE a quello di ANIMALE, specificando che il primo è ―un tipo di‖ quest‘ultimo [cfr. 5, p. 343]. Una funzione simile difficilmente potrà essere espressa in termini puramente senso-motori; più facilmente sarà il prodotto di un legame sussistente tra concetti, espresso ad un livello più astratto e a-modale.

Abbandonando il campo della linguistica per passare a quello della filo- sofia, un altro argomento a favore della presenza di componenti a-modali nei concetti emerge dal recente lavoro di Paternoster [6], il quale difende una versione debole della teoria simulativa della comprensione, affermando che «le rappresentazioni sensomotorie costituiscono verosimilmente soltanto un

aspetto delle nostre capacità concettuali» [6, p. 130] e sottolineando perciò la

necessità di ammettere anche rappresentazioni semantico-concettuali ―astrat- te‖ [cfr. 6, p. 156].

Uno dei motivi per cui afferma questo è la presenza di concetti rispetto ai quali il contributo percettivo sembra essere nullo. Molti concetti – spesso de- finiti ―astratti‖ poiché relativi ad entità astratte – sembrano, infatti, non pos- sedere alcuna rappresentazione senso-motoria e per essere compresi devono essere posti all‘interno di una rete semantico-concettuale [6, p. 155].

In realtà, negli ultimi anni sono state avanzate in ambito simulativista di- verse ipotesi a favore dell‘idea che anche la comprensione dei concetti astrat- ti possa essere trattata in termini di riattivazione di aree senso-motorie e di simulazione di stati di origine percettiva. La tesi dei sostenitori della teoria simulativa è diventata così una tesi molto forte: ciò che si dice è che tutta la sfera concettuale è ri(con)ducibile a rappresentazioni di tipo senso-motorie, senza che sia perciò coinvolta alcuna rappresentazione di tipo proposizionale e a-modale [cfr.7].

a) Una prima ipotesi con cui si è cercato di individuare una base percetti- va anche per i concetti astratti è stata quella di Lakoff, incentrata sulle meta- fore (cfr. ([8], [9])). L‘idea di Lakoff è che il modo in cui il nostro corpo è strutturato determina la struttura delle esperienze, le quali sono rappresentate secondo image-schemas. Queste, inizialmente prodotte dall‘interazione con oggetti concreti, possono essere in seguito metaforicamente applicate anche a concetti astratti che hanno struttura simile.

b) Altra spiegazione è stata quella fornita da Barsalou [cfr. 10], secondo la quale almeno alcuni concetti astratti sarebbero prodotti da processi di si- mulazione non tanto della percezione di oggetti, quanto di situazioni generi- che che coinvolgono stati interni, operazioni cognitive, etc.

c) Un terzo approccio è stato invece quello adottato da Glenberg e Ka- schak [11]. In questo caso l‘attenzione è stata rivolta alle azioni, osservando come anche la comprensione del linguaggio astratto coinvolgerebbe l‘attivazione di schemi motori di azione, il cui impiego è estendibile da azioni

concrete (come ―dare‖) ad azioni astratte (―comunicare‖, la quale ricalca lo schema motorio in cui vi è qualcosa – l‘informazione – che è data da qualcu- no a qualcun‘altro).

Ora, sebbene queste proposte siano molto plausibili, ritengo che il loro limite stia nel fatto che non sono pervasive, ossia estendibili alla totalità dei concetti astratti, ma riguardano solamente alcuni casi molto specifici.

Del resto, è interessante notare, come fa lo stesso Paternoster [cfr. 6, p. 155], che spesso anche gli esperimenti condotti dai sostenitori della teoria simulativa della comprensione ricorrono a termini astratti come variabili di controllo rispetto a quelli concreti.

Va altresì notato che vi sono studi di neuroimmagine [cfr. 12] che sem- brano confermare l‘ipotesi di Paternoster, evidenziando l‘impiego di aree ce- rebrali parzialmente distinte per l‘elaborazione dei concetti ―astratti‖ rispetto a quelli ―concreti‖. I primi, per essere compresi, sembrerebbero infatti richie- dere l‘inserimento in una rete semantica, ossia l‘attivazione di altri concetti ad essi associati: «To accept an abstract item as a word requires holding its phonological form in working memory while retrieving words associated with the item in question. Hence, in the case of abstract words, the lexical de- cision response depends less on retrieval of associated words, resulting in greater activation of left perisylvian areas subserving phonological working memory and lexical retrieval.» [12, p. 910]

In conclusione, potrei riassumere la mia posizione dicendo che tra l‘estremo costituito dalle teorie classiche a-modali – che descrivono i concetti come rappresentazioni in formato proposizionale – e l‘estremo opposto delle recenti teorie embodied – che invece li descrivono come rappresentazioni di natura senso-motoria – forse la via corretta da scegliere è come sempre quella di mezzo, ossia un approccio duale, che ammetta componenti dei concetti sia percettive sia proposizionali.

Tengo però a sottolineare come questo non voglia essere un rifiuto delle teorie simulative della comprensione, le quali forniscono, infatti, un enorme contributo alla spiegazione della struttura e del funzionamento del nostro si- stema semantico-concettuale, quanto invece una loro semplice integrazione. Bibliografia

1. Bergen, B.: Experimental methods for simulation semantics. In: Gonzalez- Marquez, M. et al. (eds.) Methods in cognitive linguistics. John Benjamins, Ams- terdam, 277--301 (2007)

2. Barsalou, L.W.: Perceptual symbol systems. Behavioral and Brain Sciences 22, 577-660 (1999)

3. Kemmerer, D.: How words capture visual experience. In: Malt, B. C., Wolff P. (eds.) Words and the Mind. Oxford University Press, Oxford, 287--327 (2010)

4. Gallese, V., Lakoff, G.: The brain‘s concepts. Cognitive Neuropsychology, 22, 455--479 (2005)

5. Jackendoff, R.: Foundations of Language. Oxford University Press, Oxford (2002) 6. Paternoster, A.: Le teorie simulative della comprensione e l‘idea di cognizione in-

carnata. Sistemi Intelligenti, XXII, 1, 129--159 (2010)

7. Borghi A.M., Cimatti F.: Words and Tools and the Problem of Abstract Words Meanings. In: Taatgen, N., van Rijn, H., (eds) Proceedings of the 31st annual con- ference of the cognitive science society, pp. 2304--2309. Cognitive Science Socie- ty, Amsterdam (2009)

8. Lakoff, G.: Women, Fire, and Dangerous Things. The University of Chicago Press, Chicago (1987)

9. Lakoff, G, Johnson, M.: Philosophy in the flesh. Basic Books, New York (1999) 10.Barsalou, L.W.: Abstraction in Perceptual Symbol Systems. Philosophical Trans-

actions of Royal Society, 358, 1177--1187 (2003)

11. Glenberg, A.M., Kaschak, M.P.: Grounding language in action. Psychonomic Bul- letin and Review, 9, 558--565 (2002)

12.Binder, J.R., Westbury, C. F., et al.: Distinct Brain Systems for Processing Con- crete and Abstract Concepts. J. Cogn. Neurosci, 17, 905--917 (2005)

La naturalizzazione dei concetti: aspetti