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Il ruolo delle etichette denigratorie sulla percezione sociale e sul comportamento verso gli omosessual

Fabio Fasoli1, Maria Paola Paladino1, Andrea Carnaghi3, Jolanda Jetten4, Brock Bastian4 & Paul Bain4

1 Facoltà di Scienze Cognitive, Università degli Studi di Trento, Italia 2

Facoltà di Psicologia, Università degli Studi di Trieste, Italia

3

School of Psychology, University of Queensland, Australia Corresponding author – [email protected]

L‘omofobia, intesa come atteggiamento negativo e avversione verso omo- sessuali, lesbiche e transessuali, è un fenomeno molto diffuso in Italia come in altri paesi del mondo [1,2]. Infatti, sebbene nella società moderna esistono delle direttive legislative ed azioni sociali volte alla condanna e alla risolu- zione di questo problema, la discriminazione e il pregiudizio verso queste minoranze sessuali sono ancora molto frequenti. In Italia, negli ultimi anni numerosi episodi di violenza fisica sono stati riportati nelle notizie di cronaca e c‘è stato un ampio dibattito relativo all‘approvazione di una legge contro l‘omofobia [3]. Tuttavia, l‘omofobia non riguarda esclusivamente le aggres- sioni fisiche ma anche le offese verbali e i discorsi d‘incitamento all‘odio (si veda la direttiva della Commissione Europea, 2006) [4]. Gli insulti verso gli omosessuali sono estremamente frequenti nella nostra società e sembrano es- sere la principale e più semplice modalità attraverso cui le persone esplicita- no il loro atteggiamento pregiudiziale [5]. Tra queste offese rientrano anche singoli termini (es. ―frocio‖ e ―culattone‖) che veicolano un atteggiamento negativo verso uno specifico gruppo, e che in Psicologia Sociale vengono de- nominati ―etichette denigratorie‖[6]. Queste parole si contrappongono alle ―etichette categoriali‖, le quali descrivono un determinato gruppo in modo neutro (es. ―gay‖ e ―omosessuale‖).

Gli studi relativi a questa specifica tipologia di linguaggio non sono molti e possono essere raggruppati in tre filoni principali. Il primo è rappresentato dagli studi di Mullen e collaboratori [7, 8], i quali hanno analizzato la rappre- sentazione cognitiva degli ―ethnophaulisms‖, ossia etichette denigratorie rife-

rite a gruppi etnici, considerando gli aspetti di complessità e valenza in rela- zione alla familiarità e all‘esclusione sociale dei gruppi a cui le etichette si ri- ferivano. Il secondo filone fa riferimento a studi che hanno studiato gli effetti delle etichette denigratorie sulla valutazione del gruppo di minoranza etnica [9,10]. Queste ricerche hanno evidenziato che a seguito dell‘esposizione ad una etichetta denigratoria (―nigger‖ in inglese) i partecipanti valutavano in modo maggiormente negativo couli che era destinatario dell‘offesa. Inoltre, Simon e Greenberg [6] per la prima volta hanno confrontato gli effetti di un etichetta denigratoria con una categoriale (―Blacks‖ vs. ―nigger‖). La terza linea di ricerca si è focalizzata sulle etichette riferite agli omosessuali eviden- ziando conseguenze in termini di comportamento automatico e di attivazione dello stereotipo, poiché le etichette denigratorie facilitavano l‘attivazione del- la componente negativa dello stereotipo [11,12].

Seguendo l‘ultimo filone di ricerca, la presente ricerca si propone di inda- gare gli effetti delle etichette denigratorie sull‘infra-umanizzazione dell‘out- group. La teoria dell‘infra-umanizzazione sostiene che le persone hanno la tendenza ad attribuire una maggiore umanità al proprio gruppo di apparte- nenza (in-group) rispetto ad un gruppo esterno saliente (out-group) [13]. Le- yens e collaboratori hanno analizzato tale fenomeno attraverso la distinzione di attribuzione di emozioni primarie e secondarie. Le prime sono emozioni che l‘essere umano condivide con gli animali (es. paura, sorpresa), mentre le seconde sono quelle che richiedono un processo cognitivo sottostante e risul- tano, quindi, essere ―unicamente umane‖ (es. ammirazione, risentimento). I risultati di numerosi studi [14,15] mostrarono che le persone tendevano ad associare all‘in-group maggiori emozioni secondarie rispetto all‘out-group, mentre non differivano nell‘attribuzione di emozioni primarie. Un altro me- todo per misurare l‘infra-umanizzazione è stato introdotto da Viki e colleghi [16], i quali proponevano un compito in cui i partecipanti dovevano scegliere una decina di parole che caratterizzavano sia in-group che out-group da una lista di 20 termini, la quale comprendeva 10 parole animali e 10 parole uma- ne. Per quanto riguarda gruppi distinti in base all‘orientamento sessuale, a nostra conoscenza, un unico studio [17] ha evidenziato che gli eterosessuali non infraumanizzano gli omosessuali e le lesbiche, attribuendo in egual modo ai due gruppi emozioni primarie e secondarie.

Sulla base di queste evidenze la nostra ricerca si proponeva di indagare se, a seguito dell‘esposizione ad un etichetta denigratoria, si verificava un processo d‘infraumanizzazione dell‘out-group. In particolare, utilizzando il metodo di Viki [16] era ipotizzato che nella condizione denigratoria i parte- cipanti avrebbero attribuito maggiori parole umane al proprio in-group rispet- to all‘out-group.

1. Studio 1 e Studio 2

Il primi due studi sono stati condotti in Italia rispettivamente su un cam- pione di 93 (Studio 1) e 49 studenti eterosessuali (Studio 2). Nel primo studio il tipo di etichetta era manipolato in un compito di Associazione Libera, in cui ai partecipanti era chiesto di scrivere le prime tre parole che venivano lo- ro in mente a seguito della lettura di alcune parole-stimolo presentate singo- larmente su una pagina. La lista delle parole-stimolo era costituita da 4 paro- le-distrattrici (es. Sole, Americano, Cesso, Tavolo) e da un‘ultima etichetta che definiva la condizione sperimentale (categoriale: ―gay‖ vs. denigratorio: ―frocio‖ vs. controllo: ―coglione‖). La condizione di controllo proponeva un insulto generico non riferito specificamente al gruppo degli omosessuali, per verificare che l‘effetto atteso si presentasse solo qualora i partecipanti erano sottoposti ad un termine denigratorio specifico per l‘out-group di riferimento. A seguire i partecipanti completavano un compito volto a misurare l‘infra- umanizzazione. Nello specifico, ad entrambi i gruppi (in-group: eterosessuali vs. out-group: omosessuali) i partecipanti dovevano associare circa 8-10 pa- role, scelte da una lista di 10 parole umane e 10 parole animali.

Nel secondo studio i partecipanti erano esposti subliminalmente all‘etichetta (categoriale: ―gay‖ vs. denigratorio: ―frocio‖). Riprendendo la metodologia di Bargh e collaboratori [15], era chiesto di partecipare ad un compito al computer che consisteva nello stimare se il numero di cerchi pre- sentati in un immagine era pari o dispari. Prima di tale immagine compariva l‘etichetta che definiva la condizione sperimentale per 13 millisecondi, segui- ta da una prima maschera (stinga di ―XXXX‖) e da una seconda maschera di pallini, a cui seguiva l‘immagine da giudicare. Al termine di tale compito i partecipanti completavano la stessa misura d‘infra-umanizzazione dello Stu- dio 1.

I risultati di questi due studi hanno mostrato che nella condizione denigra- toria, ma non in quella categoriale e di controllo, si assisteva ad una minore attribuzione di umanità all‘out-group rispetto all‘in-group, a cui corrisponde- va la tendenza ad associare anche una maggiore animalità al gruppo degli omosessuali.

2. Studio 3

L‘ultimo studio è stato condotto in un contesto diverso, ossia quello Au- straliano, su 60 studenti della University of Queensland. Gli obbiettivi erano quelli di replicare i risultati ottenuti in Italia e di analizzare possibili conse- guenze comportamentali all‘etichetta denigratoria. Ai partecipanti era detto che avrebbero preso parte ad una serie di compiti non collegati tra loro. Dopo il compito al computer in cui l‘etichetta (categoriale: ―gay‖ vs. denigratorio: ―faggot‖ vs. controllo: ―asshole‖) era presentata subliminalmente, veniva det-

to loro che avrebbero dovuto discutere con un ragazzo omosessuale di tema- tiche legate all‘omosessualità in contesto accademico. A questo punto veniva chiesto al partecipante di prendere due sedie, una per sé ed una per l‘altro ra- gazzo, e di posizionarle nella stanza al fine di preparare il setting per la di- scussione. La distanza tra le sedie rappresentava la nostra misura di distanza fisica. A seguire i partecipanti completavano la stessa misura d‘infra- umanizzazione utilizzata negli studi 1 e 2.

I dati hanno evidenziato che, quando esposti ad un etichetta denigrato- ria, i partecipanti posizionavano le sedie ad una distanza maggiore rispetto al- le altre due condizioni, mostrando la volontà di mantenere una distanza fisica verso un membro dell‘out-group. Allo stesso tempo si assisteva solo nella condizione denigratoria ad un attribuzione di umanità inferiore agli omoses- suali, favorendo l‘umanità del proprio gruppo di appartenenza. Tale effetto non si manifestava, invece, nella condizione categoriale e di controllo. 3. Conclusioni

La novità della ricerca presentata consiste nell‘aver indagato gli effetti del linguaggio denigratorio riferito agli omosessuali sulla percezione dell‘out- group in termini di umanità. Se il fenomeno di infraumanizzazione dell‘out- group in generale non si manifesta tra eterosessuali ed omosessuali [16], l‘esposizione ad etichette denigratorie sembra comportare una deumanizza- zione degli omosessuali. Ulteriore merito sta nel fatto di aver confrontato due contesti culturali diversi come l‘Italia ed l‘Australia. Relativamente ai risulta- ti ottenuti sulla distanza fisica, essi evidenziano come a seguito di un lin- guaggio di questo tipo i partecipanti eterosessuali preferivano accentuare il distacco da un esponente del gruppo a cui l‘etichetta si riferiva. Tali evidenze forniscono numerosi spunti per riflessioni riguardo l‘utlizzo di tali parole nel- la vita quotidiana, poiché esse veicolano un messaggio negativo che modifica la percezione del gruppo a cui si riferiscono.

Bibliografia

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Making (another) sense of a debate on artifacts