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Comportamenti di genere nel contesto familiare

E’ stata fin qui esaminata la progressiva crescita della forza lavoro femminile, che si muove su uno sfondo costituito non solo da obiettivi di guadagno e di indipendenza economica, ma anche rispetto ai mutamenti dei comportamenti femminili, in particolare delle donne con carichi di lavoro e responsabilità familiari, che hanno condotto ad una crisi del modello famiglia-lavoro tradizionale.

La stretta interdipendenza tra la sfera privata e occupazioni lavorative nella dimensione femminile, “ha diffuso la sensazione di un crescente declino dei valori rappresentati dalla famiglia tradizionale”, improntata, come è stato affrontato nel percorso storico, sul “potere incontrastato del patriarcato”(Biancheri, 2012a, pp.126-127), facendo leva sulla tradizionale organizzazione per cui il marito-padre ha la responsabilità di procacciare il reddito, mentre la moglie-madre ha quello di provvedere a tempo pieno alla cura e al lavoro domestico.

Come mettono in evidenza Saraceno e Naldini (2011), “si tratta di un modello che tende a divenire progressivamente non tradizionale per quanto riguarda la divisione di responsabilità di procacciamento del reddito, ma rimane tradizionale per quanto riguarda quella relativa alla responsabilità di cura”(p.187), per cui i nuovi modelli familiari si originano su una “varietà di dimensioni che interagiscono con intrecci e interdipendenze che si riflettono sull’occupazione e sulle strategie messe in atto dalle famiglie, promuovendo o meno comportamenti tradizionali o di condivisione della coppia”(Biancheri, 2012a, p.130).

Per la comprensione di questi fenomeni, risulta necessario prendere in esame il rapporto tra domanda e offerta di cura nella famiglia, contestualmente ai cambiamenti dei processi demografici e specificatamente alla riduzione della fertilità, in parallelo all’aumento delle aspettative di vita.

Infatti, con l’invecchiamento della popolazione, come conseguenza dell’intreccio di più fattori, rappresentati da una vecchiaia molto avanzata, da una progressiva riduzione delle nascite e dall’innalzamento dell’età in cui si fanno i figli, le caratteristiche della domanda di cura nelle famiglie si trovano a fare i conti con la riduzione del tempo del sostegno offerto dai nonni e con la crescita del bisogno di cura da parte di persone anziane non autosufficienti. I cambiamenti che si registrano nel processo demografico, si riflettono inoltre sull’invecchiamento delle reti parentali, nello specifico sui potenziali caregiver familiari e sul rapporto numerico tra questi e i soggetti bisognosi di cura, che la progressiva crescita dell’instabilità coniugale ha contribuito a ridurne il potenziale di cura disponibile.

2.3.1 Distribuzione del lavoro di cura nella coppia

Di fronte ad uno scenario in cui le domande di cura all’interno del contesto familiare provengono sia da parte dei bambini, sia da parte di soggetti non autosufficienti, con un’elevata concentrazione di persone molto anziane, l’equilibrio tra domanda e offerta di cura si definisce all’interno di una nuova organizzazione del “sistema famiglia-lavoro”(Naldini e Saraceno, 2011, p.39), che nel passato, era rappresentata dalla naturale divisione di genere. Con l’aumento del tasso di occupazione femminile, infatti, emerge la necessità di una distribuzione del tempo di lavoro, remunerato e non, tra i componenti della famiglia e in particolare tra uomini e donne, mariti e mogli, confermando una forte interdipendenza tra l’organizzazione del lavoro remunerato e l’organizzazione dei bisogni di cura della famiglia. Si inserisce, quindi, il tema della conciliazione, rispetto alla “doppia presenza”30

che si

30 “Doppia presenza”, “concetto introdotto nel 1978 dalla sociologa Laura Balbo per sottolineare, “il sovraccarico derivante dagli impegni professionali e dalle responsabilità familiari” e per stabilire “le premesse

traduce tra le ore dedicate all’attività domestica e a quella lavorativa, che per le donne occupate, trova le sue fondamenta nella divisione del lavoro all’interno della coppia, visto che “i bilanci tempo, sommando lavoro pagato e non pagato, sono ovunque più gravosi per le donne che per gli uomini”(Ibidem,p.62), in concomitanza all’aumento del tempo dedicato al lavoro remunerato.

Come si può leggere dalla figura 2.6, infatti, il tempo di lavoro non pagato è superiore per le donne rispetto agli uomini, in tutti i gruppi di paesi, a dimostrazione che la donna rimane tuttora in modo prioritario, se non addirittura esclusivo, la responsabile del lavoro domestico e di cura; il gap diminuisce nei paesi nordici, compresa la Svizzera, mentre si presenta molto alto in Romania e Bulgaria, dove il tempo di lavoro non pagato delle donne arriva quasi ad 80 ore settimanali, contro 60 ore settimanali degli uomini.

E’ importante osservare che proprio nei paesi dell’Est Europa, è stata raggiunta una parità di genere nella partecipazione al mercato del lavoro, come dimostra la stessa figura, tuttavia non è avvenuta nella condivisione del lavoro familiare, mantenendo un modello tradizionale nei ruoli di genere e un tempo di lavoro composito estremamente lungo delle donne, a differenza di quanto si rileva negli altri gruppi di paesi nordeuropei e occidentali.

Fig.2.6 Indicatore composito del tempo di lavoro pagato e non pagato (n. ore alla settimana)

Fonte: EWCS, in EUROSTAT (2009 b, fig.3.3, 43) L’indicatore composito del tempo pagato include: numero di ore settimanali di lavoro retribuito, tempo per gli spostamenti, tempo non retribuito sulla base delle dichiarazioni di uomini e donne che lavorano (Naldini e Saraceno, 2011, p.63).

per un’innovazione sociale “ (R. Biancheri, 2010, Partecipazione al mercato del lavoro e scelte professionali, p.31, in R.Biancheri a cura di, 2010, Formazione e carriere femmnili. La scelta di ingegneria, Pisa, ETS).

Le ricerche condotte dimostrano che, pur registrando nei diversi paesi una convergenza dei tempi maschili e femminili nella partecipazione al lavoro domestico, la spiegazione non è dovuta ad una crescita consistente del contributo degli uomini al lavoro casalingo, ma è da ricercare principalmente sul versante femminile, in concomitanza alla riduzione del tempo che le donne dedicano al lavoro domestico, pur mantenendo quello dedicato ai figli.

Si osserva, inoltre, che il motivo, per cui la differenza delle ore di lavoro settimanali tra uomini e donne in alcuni paesi è più contenuta, è attribuibile in parte al ricorso che le donne fanno al part-time e in minor misura alla partecipazione degli uomini al lavoro familiare, che è comunque maggiore rispetto agli uomini dei paesi, dove, sono le donne a lavorare full-time. Tuttavia, le tensioni sono alte anche nei paesi dove i tassi di occupazione femminile sono elevati e il tempo pieno più diffuso, evidenziando che l’avere responsabilità di cura aumenta i conflitti sul tempo solo per le donne, mentre l’insicurezza lavorativa aumenta i conflitti solo per gli uomini, confermando indirettamente il permanere di una divisione delle responsabilità in base al genere sul sistema famiglia-lavoro (Naldini e Saraceno, 2011).

E’ importante sottolineare, come notano le autrici, che le differenze si verificano anche tra gruppi sociali all’interno di ciascun paese: infatti, emerge che gli uomini con istruzione medio-alta sono più disponibili a condividere il lavoro domestico e sopratutto di cura e che il numero di donne occupate è più alto tra quelle maggiormente istruite, dimostrato dai paesi con bassa occupazione femminile.

Nel sistema famiglia-lavoro con doppio reddito, pertanto, emergono maggiormente tensioni nell’organizzazione del tempo, infatti, se da una parte le donne guadagnano di più grazie al livello più elevato di istruzione, dall’altra, il denaro guadagnato assume anche un “valore simbolico e cambia i rapporti di potere nel matrimonio e nella famiglia”( Biancheri, 2012b, p.145).

A tale proposito, secondo Esping-Andersen (2011), come ha rilevato da una sua ricerca, “l’omogamia della coppia è determinante per una maggior uguaglianza di genere solo per le coppie con un livello di istruzione alto”(p.56), ma in realtà, fa notare l’autore che, “i meccanismi di specializzazione sono determinati anche da come si combinano tra loro l’omogamia di una coppia e il suo livello di istruzione”(pp.56-57).

Infatti, se da una parte la donna sembra conquistare, in questo modo, un potere di negoziazione nell’affermare la sua soggettività, per uscire da “un’attività quasi feudale come casalinga e come moglie”, dall’altra sembra rimanere “immutabile la disoccupazione domestica dell’uomo” (Biancheri, 2012b, p.145), a dimostrazione di una persistente disuguaglianza nel tessuto familiare, traducibile nella tradizionale gerarchia dei ruoli in base

al genere e nella conseguente doppia presenza femminile.

A tale proposito, Cervia (2008), con riferimento a quanto è emerso dall’indagine multiscopo dell’Istat (ISTAT 2005) rispetto alla realtà italiana, sottolinea che:

“l’Italia resta caratterizzata da una forte rigidità dei ruoli di genere nella vita familiare. Le donne italiane continuano a farsi carico di circa i tre quarti del tempo complessivamente dedicato dalla coppia al lavoro famigliare…inoltre…emerge che ben il 22,4% degli uomini in coppia non dedica neanche dieci minuti ad attività di cura della casa e dei famigliari…alle donne non resta che ridurre il tempo dedicato alle attività fisiologiche e al tempo libero, ma non solo, le donne con figli riducono le ore di lavoro retribuito…Questo impatto non si registra affatto nel ciclo di vita lavorativo dei padri…”(p.65)