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Il comportamento d’acquisto nel wine business: la segmentazione generazionale e il focus sulla coorte dei Millennials

Strategie di customer engagement marketing.

3. Il comportamento d’acquisto nel wine business: la segmentazione generazionale e il focus sulla coorte dei Millennials

Il processo di segmentazione del mercato ha l’obiettivo di identificare i segmenti di mercato - ovvero i gruppi omogenei di acquirenti - propedeuticamente alla decisione circa quali scegliere per la specifica offerta di un certo prodotto o servizio (Tynan and Drayton, 1987). La prima definizione fornita da Kotler è particolarmente efficace: “la segmentazione è la suddivisione di un mercato in

sottoinsiemi distinti di clienti, in cui ogni sottoinsieme può plausibilmente essere selezionato come un obiettivo di mercato da raggiungere con un mix di marketing distinto” (Kotler, 1980, p. 195).

Nel corso dei decenni successivi, sono stati definiti diversi approcci alla segmentazione di un mercato: geografici, demografici, psicografici e comportamentali.

Nell’ambito del wine business, tuttavia, le ricerche sul tema della segmentazione sono limitate e la maggior parte di esse riguardano il mercato australiano (Thach and Olsen, 2006). La società di

marketing research australiana McKinna ha avviato le prime ricerche sul finire degli anni ‘80

utilizzando un approccio di tipo psicografico e comportamentale, mettendo a punto il concetto di

Wine-Related Lifestyle (WRL) (Spawton, 1991; Bruwer and Li, 2007). Tra le variabili più efficaci

nel segmentare il consumo di vino vi è quella dell’occasione d’uso (Hirche and Bruwer, 2014). Il consumatore, a parità di altre possibili variabili classificatorie, modifica significativamente la condotta d’acquisto al mutare delle occasioni d’uso: acquisto di vino per il proprio consumo a casa; scelta di un vino dalla wine list durante una cena con gli amici al ristorante; acquisto di una bottiglia di vino come regalo.

Un secondo filone di ricerca, improntato alla segmentazione geografica, pone a confronto il comportamento d’acquisto dei consumatori di diversi paesi. Queste ricerche sono abbastanza convergenti nel mostrare che il consumo di vino è fortemente country specific, un fenomeno socio- culturale rispetto al quale non emerge un modello di consumo convergente verso un global market, come invece accade, ad esempio, per gli spirits e, per certi versi, per le birre (Lockshin et al., 2001). Le ricerche empiriche, dunque, individuano una serie di differenze sia nei modelli di consumo che nei processi di percezione della qualità del vino tra i diversi paesi, traghettando la distinzione tra ‘vecchio’ e ‘nuovo’ mondo, nata sul versante dell’offerta, anche su quello della domanda (De Magistris et al., 2011; Mueller et al., 2011).

Pur conservando la sua natura di business multi-domestico, l’ultima edizione del Global Trends

Report (IWSR, 2016), relativo all’evoluzione del comportamento dei consumatori di vino (e degli

alcolici in generale) con riferimento ad una copertura geografica di 118 paesi, evidenzia alcuni

meta-trends: la ‘sete’ per la sperimentazione; la selezione di marche la cui immagine sia ritenuta

coerente con il proprio lifestyle; la premiumisation, ovvero l’orientamento dei consumatori verso vini di maggiore qualità percepita, in uno con la ricerca della convenienza, in termini di value for

money. Ulteriori tendenze rilevate dal rapporto concernono: l’attenzione ai temi della salute e della

sostenibilità ambientale (health and green), la ricerca della comodità (che si traduce in un aumento dei consumi di prodotti più facilmente fruibili, più comodi da aprire e da trasportare) e una crescita significativa degli acquisti di vino sulle sempre più numerose piattaforme online.

Alla base di segmentazione geografica si sovrappone, con sempre maggiore efficacia, quella demografica. Più precisamente, una specifica attenzione è stata dedicata a una particolare modalità di segmentazione demografica, anche di matrice transnazionale, che divide la popolazione in coorti generazionali. Una coorte generazionale è un gruppo di individui che hanno conosciuto eventi ed esperienze simili in quella particolare fase della vita che è il raggiungimento della maggiore età. Questa contingenza storica tende a generare nella coorte in questione una certa ‘visione del mondo’ basata su un comune modello di valori, preferenze, attitudini e comportamenti di acquisto che tendono poi a rimanere abbastanza radicati per tutta la loro vita (Schewe and Meredith, 2004; Eastman and Liu, 2012). Le tre principali coorti generazionali (Gardiner et al, 2013) sinora definite sono: i Baby Boomers (i nati tra il 1946 e il 1963), la Generazione X (i nati tra il 1964 e il 1979) e la Generazione Y, altrimenti nota con il termine di Millennials (Howe and Strauss, 1991, 2000)1.

I Millennials, ovvero i nati tra il 1980 e il 2000 che oggi hanno tra i 17 e i 37 anni2, stanno divenendo il cluster di consumo più interessante per il mercato del vino e con un maggior potenziale di crescita.

Il primo elemento rilevante concerne la numerosità di questa coorte di consumatori. Secondo un recente studio di Goldman Sachs (2016) riferito al mercato USA, i Millennials sono circa 92 milioni di persone e rappresentano il più grande gruppo di consumatori di tutta la storia americana.3 Dal punto di vista quantitativo, la situazione è pressoché analoga in tutti i paesi a maggior

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Sono numerosi gli studiosi che cominciano ad analizzare e profilare la prossima coorte generazionale, ovvero i nati dopo il 2004 e fino al 2025. Nel 2012, USA Today ha sponsorizzato un contest online per scegliere il nome della generazione successiva ai Millennials. Il nome che vinse quel contest e che è al momento il più accreditato è Generazione Z. Gli altri nomi proposti furono: post Millennials, iGeneration, Gen Tech, Gen Wii, Net Gen, Digital Natives e Plurals. Si tratta di una generazione, in larga parte formata da ancora non nati, che presenta notevoli elementi di differenza rispetto ai Millennials e che è strategica per l’economia digitale che va profilandosi all’orizzonte. Sono i primi che hanno conosciuto internet sin dalla loro infanzia.

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Non c’è universale accordo circa la fascia d’età nella quale collocare i Millennials. L’anno di partenza oscilla tra il 1977 e, al più tardi, il 1983 e l’anno di demarcazione finale arriva fino al 2004. Oltre a quella qui presa a riferimento, la definizione alternativa più utilizzata, proposta da Nielsen, individua questi consumatori tra i nati nell’intervallo di tempo tra il 1977 e il 1995 (Nielsen, 2014).

3 Per il mercato del vino, questa coorte di consumatori (definita anche come ‘Y Generation’, ‘Next Generation’, ‘Net

Generation’ e ‘Echo Boomers’) va corretta, paese per paese, tenendo conto dell’età minima alla quale è consentito il consumo di alcool. Per gli USA, in particolare, dove l’età minima per il consumo di alcolici è 21 anni, vanno esclusi tutti i nati nel quinquennio 1996-2000. Al netto di questa rettifica, il numero dei millennials negli Stati Uniti è pari a circa 72 milioni.

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concentrazione del consumo di vino: dal Canada all’Australia, dall’Europa alla Cina e al Giappone. Proprio a causa di questa grande popolosità, alcune ricerche hanno evidenziato come il profilo comportamentale potrebbe non essere omogeneo per l’intero gruppo identificando alcune differenze tra il segmento più giovane (Young Millennials, 17-27 anni), più edonista e individualista, e il segmento più vecchio (Old Millennials, 28-37 anni), più orientato a condotte socialmente responsabili e con un forte movente collaborativo (Debevec et al, 2013; Nielsen, 2014).

A fronte del primato in termini di numerosità, che accredita ai Millennials anche la leadership di valore potenziale complessivo per i consumi futuri, proviamo ad approfondire il profilo di questo

key consumer dal punto di vista psicografico e comportamentale e, successivamente, a comprendere

che cosa ha valore per lui ed è in grado di orientarne le condotte durante tutto il processo d’acquisto del category vino.

Il profilo di questi consumatori è stato ampiamente definito in letteratura. Si tratta di individui cresciuti con una nozione centrale, quella dell’empowerment individuale, che li rende molto critici, persino cinici e nichilisti (Van den Bergh e Behrer, 2013).Da questo elemento di fondo deriva la caratteristica di consumatori impazienti, impulsivi, alla ricerca di gratificazioni immediate. Un profilo sintetizzato efficacemente dall’acronimo ‘IWWIWWIWI’ (I Want What I Want When I

Want) che non qualifica tuttavia una condotta d’acquisto sciatta o superficiale, una miope ricerca

della quantità e/o del prezzo a scapito della qualità. Si tratta di consumatori dalle condotte molto più complesse. Impulsività, velocità e infedeltà nei consumi, convivono con maggiore ulteriori elementi valoriali: la condivisione, alimentata dalla necessità di connessione e di continua apparizione nei contesti di vita sociale digitale, in primis i social network; la giustizia, che alimenta in loro la necessità di fare ciò che è ritenuto giusto; e l’autenticità, alla base di una continua ricerca di semplificazione, di riduzione del superfluo, secondo uno dei mantra di questa generazione che è il

less is more (McCann, 2011).

La tecnologia gioca un ruolo fondamentale in ogni aspetto della loro vita fino a divenire il

driver focale per interpretare il comportamento di consumo di questa generazione. Mostrano un

atteggiamento quasi bulimico verso le tecnologie digitali, heavy users di sistemi di instant

messaging (sostituti della posta elettronica), costantemente ‘connessi’ attraverso l’uso di mobile devices (Nowak et al., 2006). Sono la generazione su cui si regge lo sviluppo dell’e-commerce, che

diviene per loro un modello di consumo più che un canale distributivo, caratterizzato non tanto dal profilo tecnologico quanto dal sistematico processo di searching for value attraverso il confronto at

your fingertips prezzo-prodotto-marca. Sono wellness and fitness focused, caratterizzati da una

rinnovata consapevolezza della propria salute: sono più in forma, mangiano meglio e fumano meno della generazione precedente. Questo comparto è, nel loro budget, tra i primi capitoli di spesa, insieme all’entertainment.

Si tratta di una generazione con livelli occupazionali più bassi e con un reddito medio inferiore rispetto alla precedente. Questa condizione ha indotto un differente modello di consumo, non più orientato alla proprietà dei beni quanto all’accesso alla disponibilità degli stessi. Elementi questi che, se da un lato hanno dato forma alla cosiddetta ‘sharing economy’, dall’altro hanno alimentato la ‘renter generation’ basata su uno strutturale ricorso a nuove forme di indebitamento di breve e medio termine. Tutte le decisioni ‘esistenziali’ che hanno caratterizzato la generazione precedente (il matrimonio, l’acquisto della casa, l’arrivo del primo figlio) sono significativamente spostate in avanti (tra i 7 e 10 anni).

Il rapporto tra Millennials e vino è oggetto di grande interesse. Sono numerose le ricerche sul comportamento d’acquisto nel wine business che hanno focalizzato su questo cluster di consumatori la propria attenzione in virtù di una serie di specifiche caratteristiche, quantitative e qualitative (Charters et al., 2011; Henley et al., 2011).

Negli USA, ad esempio, il mercato del vino sta registrando il suo maggior tasso di crescita proprio per effetto dell’ingresso di questi nuovi consumatori (Wine Market Council, 2009; Shultz, 2010). In questo mercato i Millennials sono ritenuti il motore principale dello sviluppo dei consumi di vino negli ultimi quindici anni pur rappresentando, allo stato attuale, solo il 16% dei consumi complessivi contro il 32% della X Generation (38-49 anni) e il 41% dei Baby Boomers (50-67

anni).4 Nei principali paesi produttori del ‘vecchio mondo’, in primis Italia e Francia, si registrano dati discordanti e alcune ricerche rilevano una tendenziale contrazione nei consumi di vino da parte dei Millennials (Charters et al., 2011).

Dal punto di vista psicografico, rispetto alla Generazione X, questo segmento è più edonistico, maggiormente consapevole sia per quanto concerne la qualità che la marca, continuamente in cerca di novità. Emerge una forte ibridazione tra lo spiccato orientamento alla sperimentazione (fig. 3) e alla condivisione sociale delle esperienze (live more, share more) da parte di questo target e la natura esperienziale e sociale del prodotto vino (Sweeney, Soutar, 2001).

Fig. 3: L’orientamento alla sperimentazione da parte dei millennials

Fonti: Nielsen, Bev Al Generations Study, 2013; *WMC, High Frequency Wine drinker, 2014.

Per i Millennials, dunque, il vino non è solo un lifestyle product quanto un social driven

product, da consumare insieme agli altri ed in grado di attivare processi di costruzione e di

valorizzazione del proprio capitale sociale e relazionale (Agnoli et al., 2001; Thach and Olsen, 2006). Essi ne apprezzano il potenziale di esperienzialità partecipando alle sempre più numerose iniziative che ruotano intorno al mondo del vino e all’integrazione d’offerta nell’hospitality da parte delle cantine, dal turismo enoico ai wine festival, dalle wine dinner ai format più innovativi di wine

tasting (Bruwer et al., 2012). Questo carattere ludico, esperienziale e ad elevata sedimentazione nel

tempo delle relazioni con i wine lovers ha conferito una valenza centrale alle attività di wine tasting in cantina, che si dimostrano massimamente efficaci nel creare e coltivare relazioni di lungo termine proprio con gli appartenenti al cluster dei Millennials (Novak et al., 2006).

Dal punto di vista dell’analisi della personalità e delle motivazioni d’acquisto, le ricerche hanno rilevato come il vino sia connotato da una significativa poliedricità valoriale (Spielmann et al., 2016), che mescola prodotto, marca e territorio, e da una certa ansia o insicurezza per il consumatore: la scelta della ‘bottiglia sbagliata’ può ingenerare imbarazzo e negative ripercussioni sociali. Quasi tutti i fattori esperienziali circa la qualità del prodotto sono, infatti, valutabili solo dopo l’acquisto: l’odore, l’aroma, il gusto, la persistenza, il corpo, etc. Nella fase pre-acquisto è possibile acquisire solo una serie di informazioni: il grado alcolico, il vitigno, l’annata, la denominazione, il paese di origine. Entrano poi in gioco altri fattori, quali la marca, la presenza sulla stampa specializzata, l’attribuzione di premi e riconoscimenti e il prezzo (De Magistris et al., 2011). Il livello a cui è percepito il wrong bottle risk è stato considerato un driver importante nel comportamento d’acquisto del consumatore di vino. Nel caso dei Millennials, questo livello è più alto rispetto alla generazione precedente in virtù di una minore esperienza d’acquisto e di una maggiore propensione alla socializzazione delle proprie esperienze di consumo (Atkin and Thach,

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Gli USA sono il più grande mercato del vino al mondo dal punto di vista dei consumi, con oltre 162 milioni di casse da 9 litri e un prezzo medio a bottiglia di 7,02 dollari. Il Compound Annual Growth Rate (CAGR) nel periodo 2009- 2014 è stato del 2,4% e le stime nel periodo 2014-2019 sono di circa il 2,7% il che evidenzia uno scenario nel quale verrà mantenuta la leadership attuale. SILICON VALLEY BANK, State of the Wine Industry, 2017.

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2012). Ne consegue un più strutturato processo di ricerca delle informazioni (Hall et al., 2004), una sorta di strategia d’acquisto finalizzata alla riduzione della percezione del rischio (Spawton, 1991) del potenziale impatto negativo derivante dalla scelta della bottiglia sbagliata e alla sua conversione in un beneficio sociale e in un accrescimento dell’autostima derivante dalla scelta della bottiglia giusta (Barber et al., 2006). Questa strategia passa attraverso due percorsi, apparentemente contradditori: da una parte, una iper-semplificazione del processo di qualificazione dei vini che tende a riassorbire tutta la varianza derivante dalle caratteristiche specifiche del prodotto in due segnali ‘forti’, semplici da decodificare, che sono il terroir di origine del vino (Orth et al., 2005; Johnson and Bruwer, 2007; Famularo et al., 2010) e il prezzo; dall’altra, la ricerca di segnali ‘deboli’ di rinforzo da parte della pubblicistica di settore e della stampa specializzata (premi, riconoscimenti, punteggi elevati).

I Millennials, soprattutto nel nuovo mondo, attribuiscono molta importanza al giudizio degli esperti e tendono a scegliere quei vini che mostrano le caratteristiche di qualità definite dalle raccomandazioni disponibili sulle principali riviste e guide settoriali. La leva di marketing dell’opinione degli esperti diviene dunque uno degli strumenti più efficaci nell’influenzare le scelte d’acquisto di vino presso i Millennials. In particolare, le ricerche tendono a mostrare che se una positiva opinione da parte degli esperti non rinforza ulteriormente la già positiva opinione verso un vino già noto, nel caso di un vino non ancora conosciuto e/o non particolarmente apprezzato, l’opinione positiva degli esperti aumenta la percezione positiva presso i consumatori inducendo almeno un acquisto di prova. Questo fenomeno è particolarmente vero per il segmento femminile dei Millennials che sembrano essere disponibili a pagare di più per provare vini nuovi accompagnati da recensioni positive (Chocarro and Cortinas, 2013).

Anche le raccomandazioni non esperte, fornite da membri del proprio peer-group, giocano un ruolo chiave rispetto alle decisioni d’acquisto. A tale riguardo, Duhan et al. (1997) includono tra gli

strong-tie questo tipo di segnali, mentre collocano le opinioni degli esperti tra i weak-tie,

evidenziando che queste entrano in gioco soprattutto nella ricerca di informazioni tecniche circa il vino (i metodi di vinificazione, i caratteri varietali, le informazioni sul produttore, etc).

Fig. 4: Evoluzione delle quote di mercato del consumo di vino negli USA per coorte generazionale (2015-2035)

Fonte: Silicon Valley Bank (SVB), State of the Wine Industry 2017, p. 50.

Ultimo elemento sul quale è opportuno soffermarsi concerne il valore potenziale di questo segmento rispetto al wine business. Ancora con riferimento al mercato USA (fig. 4), allo stato attuale, infatti, i Millennials, pur essendo il motore del più interessante tasso di crescita del consumo medio pro-capite di vino, esprimono una domanda pari al 16% del mercato con una netta concentrazione nella fascia di prezzo tra gli 8 e i 12 dollari a bottiglia. Per converso, i Baby

Boomers, che concentrano quasi un quarto della popolazione mondiale, continuano a detenere la

fasce di prezzo più elevate. Un primato destinato a passare di mano in quanto è previsto che entro il 2021 sarà la coorte della X Generation a divenire il più grande segmento per consumo di vino negli USA.

4. Wine business e Millennials: verso un modello ad hoc di customer engagement marketing