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Strategie di customer engagement marketing.

2. Dal marketing relazionale al customer engagement marketing

Il tema del coinvolgimento attivo e volontario del cliente nell’ambito dei processi di marketing è, potremmo dire generando consapevolmente un paradosso logico, più antico del marketing stesso. Le imprese sono da sempre consapevoli dell’influenza delle decisioni e delle condotte di alcuni clienti (attuali, opinion leader, innovators, early adopters) sulle decisioni e sulle condotte di altri (potenziali, follower, early majority, late majority). Questa consapevolezza, di là dal prendere meramente atto del fenomeno, si estende a ritenere tale influenza non solo rilevante in termini assoluti ma relativamente maggiore, più efficace, rispetto ad alternative azioni di marketing intraprese direttamente dall’impresa (Katz and Lazarsfeld, 1995; Neff, 2007; Voyles, 2007).

TRACK -CONOSCERE IL CLIENTE PER RICERCARNE L’ENGAGEMENT

I clienti sono oggi considerati quali player strategici da coinvolgere attivamente e sistematicamente in una serie di attività e processi di marketing, in una logica di value co-creation (Ranjan and Read, 2016): dall’innovazione di prodotto/servizio (Hoyer et al., 2010), alla comunicazione, dall’acquisizione di nuovi clienti alla ritenzione/fidelizzazione dei clienti (Malthouse et al., 2013; Kumar, 2013).

Alcuni approcci, in primis quello del relationship marketing, sviluppato nell’ambito del marketing dei servizi (Berry, 1983) e in quello dei beni industriali (B2B), a partire dagli anni settanta del novecento, presentano una serie di affinità con il concetto di customer engagement

marketing al punto da indurre in alcuni la convinzione che si tratti dell’ennesima nuova etichetta per

un concetto che nuovo non è (Brodie et al., 2011). In realtà ci sono notevoli differenze. La visione ispiratrice del marketing relazionale è quella di superare l’approccio transazionale al fine di “iniziare, negoziare e gestire le relazioni di scambio con gruppi chiave di interesse al fine di

perseguire vantaggi competitivi sostenibili in specifici mercati, sulla base di accordi a lungo termine con clienti e fornitori” (Hakansson and Wootz, 1979). L’ambito del marketing relazionale

concerne dunque tutte le attività di marketing dirette a creare, sviluppare e mantenere nel lungo termine relazioni mutuamente profittevoli con determinati attori chiave.

Lo stratificarsi nel tempo di tali azioni è foriero di uno specifico processo di creazione di valore che trova la sua qualificazione concettuale nella locuzione di capitale relazionale aziendale (Costabile, 2001). La chiave interpretativa di questo approccio è connessa al fatto che, attraverso la creazione di rapporti di lungo periodo, si riducono - per le parti in relazione - sia i rischi di comportamenti opportunistici sia i costi di transazione (Morgan and Hunt, 1994). Dal punto di vista dei rapporti con il consumatore (di beni e/o servizi), questo approccio sfocia in una serie di tecniche e strumenti volti ad incrementare la fidelizzazione e, attraverso i riacquisti, il valore del cliente nell’arco dell’intero customer lifetime.

L’approccio della co-creazione di valore che dà vita al filone del customer engagement

marketing, condividendo la visione relazionale più sopra sintetizzata, amplia ancora gli spazi di

azione, partendo dall’ipotesi che vi sia una ulteriore e larga parte del comportamento del cliente non sufficientemente esplorata nell’alveo degli studi di marketing, pur essendo di grande interesse per l’impresa. Una parte che non solo va oltre le attività funzionali alla conclusione della transazione (la ricerca delle alternative di offerta, la valutazione di tali alternative e la decisione di acquisto), ma supera anche la visione bidirezionale della relazione tra l’impresa e il cliente, facendola evolvere in una prospettiva di network (Van Doorn et al., 2010; Vivek et al., 2012). Questa prospettiva, relazionale (Gummesson, 1994) ed esperienziale (Pine and Gilmore, 1998), è esplicitamente richiamata in seno ai principi della service-dominant (S-D) logic: il principio n. 6 statuisce che “the

customer is always a co-creator of value” (Vargo and Lusch, 2004, 2008).

Il concetto di customer engagement, dunque, riferisce a quella parte del comportamento del cliente che è “esterna alla transazione” (Pansari and Kumar, 2016) e che pone in evidenza ambiti rispetto ai quali il cliente può apportare valore all’impresa oltre la mera risorsa finanziaria (il pagamento del prezzo), mettendo a disposizione ulteriori risorse (fig. 2): il suo patrimonio relazionale (network assets), il suo capitale di persuasione (persuasion capital), la sua conoscenza specifica (knowledge stores) e la sua creatività (creativity). Questo set di risorse incrementali, tangibili e intangibili, possono essere utilizzate dall’impresa per concepire e implementare le sue strategie e perseguire i suoi obiettivi.

Approfondendo le specifiche attività che il consumatore può svolgere in seno ai processi di marketing aziendali, il customer engagement è stato definito come “customers’ behavioural

manifestation toward a brand or firm, beyond purchase, resulting form motivational drivers such as word-of-mouth activity, recommendations, helping other customers, blogging, writing reviews”

Fig. 2: Tipologia delle customer-owned resources

Fonte: ns. adattamento da Harmeling et al., 2016.

Ulteriore interessante contributo arriva da Patterson et al. (2006) i quali individuano quattro specifiche componenti del customer engagement:

a) absorption (assorbimento, assimilazione): riguarda la dimensione cognitiva dell’engagement e qualifica il livello di attenzione e di concentrazione del cliente su una marca e/o un’organizzazione;

b) dedication (dedizione, passione): riguarda la dimensione emozionale dell’engagement e connota il senso di appartenenza del cliente verso una marca e/o un’organizzazione;

c) vigor (forza, energia): il livello di energia mentale e di resilienza nell’interagire con una marca e/o un’organizzazione;

d) interaction (rapporto, interazione): le forme di comunicazione reciproca tra il cliente e la marca/organizzazione.

Le componenti c) e d) riguardano la dimensione comportamentale dell’engagement.

Le attività di marketing dunque debbono arricchirsi di nuove capacità tese ad identificare e implementare l’intero set di customer-owned resources orientandolo efficacemente e con continuità ad alimentare processi di co-creazione di valore e, conseguentemente, generando nuove logiche e nuove pratiche di redistribuzione del valore creato. Dal concetto di customer engagement, che è

l’outcome al quale si punta, è distinto quello di customer engagement marketing (Bowden, 2009)

che è l’effort aziendale diretto ad ottenere quell’outcome. Si tratta di una condotta, con una specifica identità nell’alveo delle politiche di marketing, definibile come “the firm’s deliberate effort to

motivate, empower and measure a customer’s voluntary contribution to its marketing functions. It actively enlists customers to sere as pseudo-marketers for the firm” (Harmeling et al., 2016).

Dal punto di vista operativo, le pratiche di task-based customer engagement marketing (Kozinets et al., 2010) sono rapidamente divenute usuali nel perimetro dell’e-business: lasciare un

feed-back sul proprio acquisto, lasciare un suggerimento per migliorare, scrivere una recensione sul

prodotto/servizio, segnalare un nuovo cliente, offrire supporto a un altro cliente, attuale o potenziale, etc. In generale, si tratta di una serie di attività (facilmente riscontrabili nei modelli di

customer engagement marketing di aziende come eBay, Amazon, Dropbox, Trip Advisor, etc.) che

puntano ad utilizzare le conoscenze, le competenze e il tempo dei clienti nell’ambito dei processi di marketing aziendali. Più in generale, queste pratiche sono finalizzate a intercettare, arruolare ed implementare le risorse relazionali e cognitive dei clienti per completare specifici e ben strutturati

tasks di solito a fronte di una qualche forma di ricompensa per il cliente (visibilità, gadgets, premi

e/o sconti, servizi reali, etc.). Queste forme di motivazione esterna al coinvolgimento hanno condotto alcuni studiosi a definire misure di pay-per-engagement al fine di quantificare lo sforzo di marketing richiesto a fronte di un determinato risultato atteso in termini di value co-creation (Ryu

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and Feick, 2007). Tali iniziative, tuttavia, soffrono un persistente orientamento al breve termine, il che ne fa crescere l’onerosità a causa del continuo sforzo ad idearne di nuove. Inoltre si espongono a possibili condotte opportunistiche da parte dei clienti, indotti ad ‘alzare il prezzo’ per le proprie attività, e/o di quella parte di clienti che, proprio in virtù della consapevolezza della acquisita notorietà e autorevolezza presso altri clienti, finiscono per porre in vendita la loro influenza, generando così un conflitto di interessi endemico che mina alla base i principi del customer

engagement (Liu et al., 2015). Si pensi all’incessante fiorire di bloggers e/o youtubers su ogni

argomento (il cosiddetto ‘popolo degli influencers’), pronti a tramutare la propria conoscenza specifica su una certa tecnologia e/o prodotto in traffico sulle proprie bacheche e, dunque, in

advertising e pseudo-redazionali dietro compenso.

Accanto al task-based customer engagement marketing, orientato a motivare, potenziare e misurare il contributo del cliente su specifiche azioni ideate e messe a punto dall’impresa, prende sempre più spazio un’altra logica, meno strutturata e strutturabile, basata sul coinvolgimento esperienziale del cliente in attività ad alta memorabilità.

Si tratta di attività esperienziali più simili a giochi che non a compiti, attività nelle quali il livello di immersione del cliente è assai elevato, che intervengono in momenti lontani dalla transazione con due specifiche finalità. Da una parte gratificare i clienti (di solito i migliori clienti) e motivarli verso iniziative spontanee di ulteriore diffusione e condivisione della propria esperienza e, indirettamente, dei valori della marca. Ad esempio, invitare alcuni clienti ad un’esclusiva anteprima mondiale per il lancio di un nuovo prodotto con l’obiettivo di alimentare una spontanea viralità dell’evento sui social. Dall’altra questo tipo di iniziative è rivolto a modificare la percezione che il cliente ha del prodotto/marca e di sé stesso in relazione al prodotto/marca. Ad esempio, coinvolgere i clienti di auto sportive in una due giorni di gara su un circuito, con tanto di corso di formazione di guida sportiva e di ‘real life’ nel paddock motoristico, può mutare profondamente il rapporto emozionale tra il cliente e la marca, rialimentando la memoria di quell’esperienza anche nei mesi e negli anni successivi, quando l’auto sarà usata per accompagnare i figli a scuola o per fare la spesa. Queste iniziative esperienziali sono particolarmente efficaci nel tramutare, nel corso del tempo, il proprio cliente da anonimo acquirente ad ambasciatore selezionato (brand

ambassador) forte di un radicato senso di appartenenza, quasi di familiarità, rispetto alla marca.

3. Il comportamento d’acquisto nel wine business: la segmentazione generazionale e il focus