• Non ci sono risultati.

Per comprendere le ragioni della nova quaestio dell’adesione dell’Ue alla CEDU è necessario soffermarsi, sia pur rapidamente, sullo storico parere 2/94 adottato dalla Corte

di giustizia il 28 marzo 1996, che chiude, com’è noto, la già citata vetero quaestio e che,

col senno di poi, potrebbe essere considerato come la prima manifestazione della Corte di

Lussemburgo – seppur “celata” dietro la constatazione dell’assenza di competenza della

(allora) Comunità europea – di voler salvaguardare le proprie prerogative

286

.

Com’è noto, il dibattito istituzionale sorto, a partire dagli anni Settanta, tra la

Commissione europea, il Parlamento ed il Consiglio in merito all’adesione dell’Unione

europea alla CEDU e sfociato in una richiesta formale di adesione, da parte della stessa

Commissione, con una Comunicazione del 1990, aveva trovato una prima (negativa)

risposta proprio nell’adozione del citato parere della Corte di giustizia

287

. Quest’ultima,

dell’altra». In terzo luogo, «la possibilità di prevedere (mediante dei protocolli al trattato sull’Unione europea e alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo) un ricorso individuale alla Corte di Strasburgo contro la condotta delle istituzioni dell’Unione europea, senza, peraltro, che quest’ultima aderisse alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (c.d. adesione funzionale)».

286

Parere 2/94 della Corte del 28 marzo 1996, in Raccolta, 1996, p. I-1759, ECLI:EU:C:1996:140. Il parere fu chiesto ex art. 228, n. 6, del Trattato CE, ai sensi del quale «Il Consiglio, la Commissione o uno Stato membro possono domandare preventivamente il parere della Corte di giustizia circa la compatibilità di un accordo previsto con le disposizioni del presente Trattato. Quando la Corte di giustizia abbia espresso parere negativo, l’accordo può entrare in vigore soltanto alle condizioni stabilite, a seconda dei casi, dall’articolo N del Trattato sull’Unione europea». Tra i numerosi contributi si segnalano: O. DE SCHUTTER,Y.LEJEUNE,

L’adhésion de la Communauté à la Convention européenne des droits de l’homme à propos de l’avis 2/94 de la Cour de justice des Communautés, in Cahiers de droit européen, 1996, vol. 32, n. 5/6, pp. 555-606; C.

ESCOBAR HERNANDEZ, Comunidad Europea y Convenio Europeo de Derechos Humanos: ¿el fin de una

vieja polemica?, in Revista de instituciones europeas, 1996, vol. 23, n. 3, pp. 817-838; J.-F.FLAUSS, L’avis

2/94 de la Cour de Justice des Communautés européennes du 28 mars 1996, in Bulletin des droits de l’homme, 1996, n. 6, pp. 1-19; G. GAJA, Opinion 2/94, accession by the Community to the European

Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms, in Common Market Law Review, 1996, vol. 33, n. 5, pp. 973-989; S.O’LEARY, Current Topic: Accession by the European Community

to the European Convention on Human Rights – The Opinion of the CJEU, in European Human Rights Law Review, 1996, n. 4, pp. 362-377; L.PETTITI, L’adhesion de l’Union européenne à la Convention européenne

après l’avis de la C.J.C.E., in Bulletin des droits de l’homme, 1996, n. 6, pp. 20-30; L.S.ROSSI, Il parere

2/94 sull’adesione della Comunità europea alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Il Diritto dell’Unione Europea, 1996, vol. 1, n. 3, pp. 839-861; P.WACHSMANN, L’avis 2/94 de la Cour de justice

relatif à l’adhésion de la Communauté européenne à la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales, in Revue trimestrielle de droit européen, 1996, vol. 32, n. 3, pp. 467-491.

287

Il riferimento è, innanzitutto, alla Dichiarazione comune del Parlamento europeo, della Commissione e

del Consiglio, del 5 aprile 1977, in GUCE C 103, del 27 aprile 1977, p. 1, nella quale veniva sottolineata

«l’importanza essenziale che essi attribuiscono al rispetto dei diritti fondamentali, quali risultano in particolare dalle costituzioni degli Stati membri nonché dalla convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali» e che «Nell’esercizio dei loro poteri e perseguendo gli obiettivi delle Comunità europee, essi rispettano e continueranno a rispettare tali diritti». Inoltre, viene in rilievo il

127

interrogata dal Consiglio dell’Unione europea – ex art. 228, n. 6, del Trattato CE – se

l’Unione europea potesse accedere alla CEDU, con una serie di motivi apparsi, invero, a

taluno poco convincenti nella loro formulazione

288

, aveva sostenuto che «(…) allo stato

attuale del diritto comunitario, la Comunità non ha la competenza per aderire alla

Convenzione»

289

: da un lato, infatti, alcuna disposizione del Trattato attribuiva alle

Istituzioni comunitarie il potere di dettare norme in materia di diritti dell’uomo né,

tantomeno, di concludere convenzioni internazionali in tale settore; dall’altro lato, invece,

in assenza di poteri specifici espressi o impliciti, nemmeno l’art. 235 del Trattato poteva

costituire la base giuridica idonea a consentire l’adesione dell’allora Comunità europea alla

Convenzione europea

290

.

Memorandum relativo all’adesione delle Comunità europee alla convenzione sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, adottato dalla Commissione il 4 aprile 1979 e pubblicato sul

Bollettino delle Comunità europee, Supplemento 2/79. Come si legge nell’introduzione del citato Memorandum, la Commissione riteneva che «(…) il modo migliore per soddisfare la necessità di rafforzare la tutela dei diritti fondamentali a livello comunitario consista attualmente in una formale adesione della Comunità alla convenzione europea del 4 novembre 1950 sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (…)» e che «Per rafforzare immediatamente e nel modo più efficace possibile la tutela giuridica dei cittadini della Comunità, si dovrebbe pertanto fare, in primo luogo, appello ai diritti fondamentali sanciti dalla CEDU. In altri termini, la Comunità dovrebbe essere vincolata, il più presto possibile, a questa convenzione e ai meccanismi di protezione che essa contiene. L’elaborazione di un catalogo prettamente comunitario non ne risulterebbe affatto ritardata. L’adesione alla CEDU rappresenterebbe anzi un primo passo verso la realizzazione di questo obiettivo». Per una più completa ed efficace ricostruzione di tali tappe si rinvia, per tutti, ad A.DI STASI, Diritti umani e sicurezza regionale, cit., in particolare Parte Seconda, cap. terzo, par. 9 (“L’adesione dell’Unione europea alla CEDU nella prassi

delle istituzioni comunitarie: nova-vetero quaestio”), pp. 276-285, in part. p. 276, ove l’A. sottolinea, inter alia, come «(…) le istituzioni comunitarie, sia pure attraverso soluzioni alquanto differenziate, si erano

preoccupate di rispettare, nell’esercizio dei loro poteri, i diritti fondamentali quali risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni ma, anche, di definire modalità di collegamento formale tra il sistema comunitario e quello convenzionale».

288

V., ad esempio, P. ALSTON, J.H.H. WEILER, An “Ever Closer Union” in Need of a Human Rights Policy:

The European Union and Human Rights, in P. ALSTON (ed.), The EU and Human Rights, OUP, Oxford, 1999, pp. 3-66, in part. p. 24 ss.

289

P.to 36 del parere 2/94, cit. Invero, i governi irlandese, danese, svedese e del Regno Unito avevano sostenuto che la richiesta di parere dovesse essere dichiarata inammissibile e che un parere della Corte di giustizia sarebbe stato prematuro, stante l’assenza di un accordo che fornisse alla stessa Corte elementi sufficienti per poterne valutare la compatibilità con il Trattato.

290

Al riguardo, giova richiamare i p.ti 29-30 del citato parere 2/94, ove si legge che «29. L’art. 235 è diretto a supplire all’assenza di poteri di azione attribuiti espressamente o implicitamente alle istituzioni comunitarie da specifiche disposizioni del Trattato, quando poteri di tal genere dovessero apparire non di meno necessari affinché la Comunità possa svolgere i propri compiti ai fini della realizzazione degli obiettivi fissati dal Trattato. 30. Tale disposizione, costituendo parte integrante di un ordinamento istituzionale basato sul principio dei poteri attribuiti, non può costituire il fondamento per ampliare la sfera dei poteri della Comunità al di là dell’ambito generale risultante dal complesso delle disposizioni del Trattato, ed in particolare di quelle che definiscono i compiti e le azioni della Comunità. Essa non può essere in ogni caso utilizzata quale base per l’adozione di disposizioni che condurrebbero sostanzialmente, con riguardo alle loro conseguenze, a una modifica del Trattato che sfugga alla procedura all’uopo prevista nel Trattato medesimo».

128

Infatti, come si legge ai p.ti 34 e 35 del citato parere, «Se il rispetto dei diritti

dell’uomo costituisce, quindi, un requisito di legittimità degli atti comunitari, si deve

tuttavia rilevare che l’adesione alla Convenzione determinerebbe una modificazione

sostanziale dell’attuale regime comunitario di tutela dei diritti dell’uomo, in quanto

comporterebbe l’inserimento della Comunità in un sistema istituzionale internazionale

distinto, nonché l’integrazione del complesso delle disposizioni della Convenzione

nell’ordinamento giuridico comunitario». Conseguentemente, «Una siffatta modifica del

regime della tutela dei diritti dell’uomo nella Comunità, le cui implicazioni istituzionali

risulterebbero parimenti fondamentali sia per la Comunità sia per gli Stati membri,

rivestirebbe rilevanza costituzionale ed esulerebbe quindi, per sua propria natura, dai limiti

dell’art. 235. Essa può essere quindi realizzata unicamente mediante modifica del

Trattato».

In considerazione di quanto appena affermato, a modesto avviso di chi scrive, il parere

2/94 potrebbe essere, oggi, riletto alla luce della già menzionata Opinion 2/13 (su cui v.